Tecnica di redazione e completezza di sintesi dei provvedimenti giudiziari.
di Luisa Motolese,
Consigliere della Corte dei conti
Il problema legato ad una adeguata redazione degli atti giudiziari ha ricevuto molta attenzione da parte della Corte di Cassazione tanto da formare oggetto di raccomandazione al Consiglio Nazionale Forense. In questo senso si pongono le prescrizioni anche della Corte Europea dei diritti dell’uomo e del cittadino che fissa il limite di 20 pagine così come quelle del Consiglio di Stato che suggerisce, per i ricorsi e le memorie il limite di 20-25 pagine. La novella del codice del processo amministrativo prevede inoltre che il rispetto della sintesi degli atti venga valutato ai fini delle spese di giudizio.
Sempre più urgente ed ineludibile è divenuta l’esigenza affinché gli atti degli attori coinvolti nel processo – giudici ed avvocati – abbiano determinati requisiti quali la completezza, la sintesi, la incisività, la facile comprensione.
La nuova realtà del processo richiede dunque un nuovo approccio nella redazione degli atti[1].
Per ciò che concerne i giudici l’obbligo della motivazione è antico ed ineludibile; il giudice motiva spiegando le ragioni del decidere; altrimenti si sarebbe in presenza di un verdetto puro e semplice.
L’obbligo di motivare risale alla Rivoluzione Francese ma non mancano esempi anche in periodi più recenti, per esempio la Rota Fiorentina nel 1502 ed il Dispaccio di Tannucci nel 1774 sotto il regno di Carlo e Ferdinando IV di Borbone ([2]).
Nei paese di common law nessuna norma sancisce l’ obbligo di motivare e si parla a tale proposito di motivazione spontanea; in Italia tale obbligo è costituzionalizzato (art. 111).
La norma non tutela solo le parti quanto la funzione del decidere ed i suoi destinatari sociali. La motivazione sottopone il giudice ad un controllo che elimina il rischio di un uso scorretto od irresponsabile dell’esercizio della giurisdizione.
Ma è proprio la motivazione la causa – secondo larga parte degli addetti ai lavori – della crisi della giustizia civile. La nuova realtà del processo, come si è accennato, impone un nuovo approccio.
In questo senso si è mossa la Cassazione .
È significativa al riguardo una recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, la n. 642/2015 che si inserisce, peraltro, in un filone di pronunce dirette a potenziare il principio della sinteticità delle sentenze così da renderle, da una parte, rispettose di quel nucleo motivazionale minimo tale da consentire la verifica della congruità e della correttezza logica e, dall’altra sufficientemente motivate con riferimento all’art. 132 c.p.c. ed agli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi nel passato.
Anche il legislatore è intervenuto in tal senso con la legge n. 69/2009 e modificando l’art. 118 Disp. Att. del codice di procedura civile ha statuito che la motivazione della sentenza consta della succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento ai precedenti conformi.
La Corte Suprema, nella menzionata sentenza ha passato in rassegna le riforme legislative intervenute e le pronunce più significative in materia di sinteticità della sentenza ed una volta osservata la natura sociale del provvedimento giudiziario “sempre più sentito dalla collettività in ragione della crescente influenza mediatrice” ha affermato che “la sentenza non è opera dell’ingegno di carattere creativo appartenente alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia e come tale non può essere oggetto del diritto d’autore ai sensi dell’art. 3575 c.c., nelle due espressioni (morale e patrimoniale) considerate dal legislatore. Non viene dunque in considerazione per l’ordinamento come opera letteraria bensì quale espressione di una funzione dello Stato, come accade per gli atti amministrativi e legislativi. Continua ancora la Corte “nella sentenza non viene in rilievo l’eventuale originalità dei contenuti e/o delle relative modalità espressive. Nella sentenza può essere riportato e richiamato testualmente in tutto od in parte il contenuto di altre sentenze, di atti amministrativi e legislativi o di atti del processo (perizie, prove testimoniali, scritti difensivi) senza che si ponga sotto entrambi gli aspetti un problema di individuazione di paternità; come sarebbe possibile con riguardo alle opere dell’ingegno opere letterarie od artistiche.
Le conseguenze in concreto sono rilevanti[3].
“Il giudice motivando, potrà richiamare testualmente gli atti di parte, salvo ovviamente esprimere la propria condivisione in merito agli stessi. Si eviterà così da parte del giudice la faticosa rielaborazione dei suddetti atti di parte superando il disagio per molti giudici di riportare nel provvedimento gli argomenti di un solo procuratore e che prima della sentenza citata determinava la ricerca di precedenti giurisprudenziali diversi da quelli richiamati dagli avvocati proprio per dimostrare di aver approfondito la causa” [4].
Anche gli avvocati comunque sono chiamati ad uno sforzo di sintesi; basti pensare al Decreto n. 40 del 25 maggio 2015 sulla sinteticità degli atti difensionali adottato dal Presidente del Consiglio di Stato in attuazione del decreto-legge n. 90/14, convertito nella legge n.114/14[5].
Il decreto dunque si colloca sempre in questa ottica di sintesi e di chiarezza espositiva e soprattutto in vista della riforma del codice degli appalti. Il decreto come può rilevarsi elenca in maniera sintetica le nuove regole in materia di presentazione dei ricorsi al Consiglio di Stato. È lo stesso Presidente che nella relazione introduttiva specifica il valore sperimentale del provvedimento soggetto al monitoraggio da parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa con la raccomandazione finale che la massima sobrietà e sinteticità deve anche caratterizzare le pronunce giurisdizionali, in parallelo, per consentire la piena realizzazione delle finalità della norma.
Si impongono alcune osservazioni. Questi limiti, in termini quantitativi e qualitativi, concernono dunque entrambi gli attori coinvolti e proprio perché dettati dalle Supreme Corti dovranno applicarsi senza dubbio alle corti giudicanti di ogni grado e di ogni ordine giudiziario. La legge di riforma del processo amministrativo la n. 205/2001 aveva già previsto, per ciò che concerne la Corte dei Conti, la decisione in forma semplificata (art. 9, commi 1 e 3) “ove si ravvisano la manifesta fondatezza, la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”, ed hanno soddisfatto pienamente queste esigenze di semplificazione e di smaltimento dell’arretrato.
Già nel menzionato convegno erano emerse suggestioni interessanti, menzionate come consigli per l’acquisto per entrambi i protagonisti:
l’esposizione in diritto non deve tramutarsi in un copia –incolla di precedenti giurisprudenziali, rifuggire dall’idea che la forza dell’ argomentazione in diritto sia una questione quantitativa, le allegazioni e le contestazioni da parte degli avvocati deve essere pertinente e specifica, inutili le frasi quali contrariis rejectis, la forma enfatica ridondante.
[1]Tra sintesi necessaria e completezza sufficiente. Lo stile di redazione degli atti giudiziari. Convegno organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura a Milano, Palazzo di Giustizia il 23 aprile 2015.
2.Bernardo Tannucci è stato un importante uomo politico, Ministro e reggente nel Regno di Napoli durante il Regno di Carlo e Ferdinando IV in www.EnciclopediaTreccani.it
[3]Nicolò Vallini Vaccari in Commento alla sentenza della Cassazione n.642/15 in www.studiocataldi.it
[4] Sempre N.Vallini Vaccari nell’articolo citato.
[5] L’avvocato dovrebbe fare contento il cliente e convincere il giudice; il rischio è di redigere un atto che garantisce piena soddisfazione morale all’interessato e che non gli consentirà di ottenere alcuna ragione sostanziale in giudizio……,così Chiara Colosimo nel suo intervento nel convegno citato del 23 aprile 2015.
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