In materia di rapporti tra diritto dell’Unione europea e diritto penale nazionale
SULLA NON APPLICABILITA’ DELLA “Regola taricco”
PER INDETERMINATEZZA
Nota a Corte cost., sent. n. 115 del 31 maggio 2018
di Paolo Luigi Rebecchi, Vice Procuratore Generale della Corte dei conti
Con la sentenza n. 115, del 31 maggio 2018, la Corte costituzionale ha evidenziato il limite, posto dalla Costituzione italiana, all’applicazione diretta del diritto europeo in materia penale ed in particolare dell’art. 325 del Trattato sull’Unione europea (TUEF), con riguardo al regime della prescrizione dei reati in materia di IVA. La questione si era posta in seguito all’emanazione, da parte della Corte di giustizia UE della sentenza Grande sezione, dell’8 settembre 2015, Taricco – C-105-/14 relativa alle frodi IVA (che è una risorsa “propria” dell’UE). Con tale sentenza (emessa a seguito di un rinvio pregiudiziale proposto in un giudizio penale presso il tribunale di Cuneo (ordinanza GIP del 17 gennaio 2014), la Corte UE aveva ribadito l’obbligo per gli Stati membri, sancito dall’art. 325 del TUEF, di una tutela efficace, proporzionata ed effettiva delle finanze dell’Unione e in conseguenza l’obbligo di disapplicazione di norme penali interne (artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, del codice penale), che , attraverso l’istituto della prescrizione, rendevano non punibili casi “gravi” di frode UE nel settore dell’IVA. Tale interpretazione dei rapporti fra diritto Ue e diritto penale nazionale aveva determinato vari commenti negativi in dottrina (fra i molti, S. Di Paola, Frodi tributarie gravi, prescrizione penale e disapplicazione del diritto interno, in Foro it., 2016,II, 236 e ss. e V. Manes, La “svolta” Taricco e la potenziale sovversione del sistema:le ragioni dei controlimiti, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 6 maggio 2016) e la proposizione da parte della Corte di cassazione, nell’ambito di un diverso processo penale, di questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (la legge di ratifica ed esecuzione del Trattato UE), per la violazione degli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma, 27, terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, con riguardo all’applicazione dell’art. 325 TUEF come imposta dalla sentenza “Taricco”. A sua volta la Corte d’appello di Milano, in un altro processo penale, aveva sollevato una analoga questione di legittimità costituzionale. La disposizione contestata ordina l’esecuzione del TUEF e conseguentemente, dell’art. 325 di tale Trattato. Secondo i giudici remittenti, la sentenza Taricco aveva stabilito che il giudice nazionale deve disapplicare gli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., omettendo di dichiarare prescritti i reati e procedendo nel giudizio penale, in due casi: innanzitutto, secondo una regola che è stata tratta dall’art. 325, paragrafo 1, TFUE, quando questo regime giuridico della prescrizione impedisce di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di gravi casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione; in secondo luogo, in base a una regola desunta dall’art. 325, paragrafo 2, TFUE (principio di assimilazione), quando il termine di prescrizione, per effetto delle norme indicate, risulta più breve di quello fissato dalla legge nazionale per casi analoghi di frode in danno dello Stato membro. In entrambi i processi penali, in cui sono state sollevate le questioni, agli imputati erano addebitati reati che, qualora fossero stati applicati gli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., dovevano essere dichiarati prescritti. Diversamente i giudici avevano evidenziato che, in applicazione della “regola Taricco” tali disposizioni non potevano operare, considerando che la regola era certamente applicabile nei rispettivi giudizi, riguardanti gravi frodi in materia di IVA, con conseguente lesione degli interessi finanziari dell’Unione. Le frodi, inoltre, ricorrevano in un numero considerevole di casi, così da integrare tutte le condizioni che concretizzano la “regola Taricco”. La Corte costituzionale italiana, nel giudizio sulla costituzionalità delle norme contestate dalla Corte di cassazione e dalla Corte di appello di Milano , con l’ordinanza n. 24 del 26 gennaio 2017, aveva riunito i giudizi e sollevato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in ordine al possibile contrasto di quanto affermato nella sentenza Taricco con il principio di legalità penale, in quanto la decisione imponeva di disapplicare le disposizioni in tema di prescrizione dei reati, previste nell’ordinamento italiano. La Corte di giustizia si era pronunciata con la sentenza (c.d.”Taricco bis”) della Grande sezione 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, M.A. S. e M. B. (imputati nei processi dinanzi alla corte di cassazione e alla Corte di appello di Milano nei quali erano stati sollevate le questioni di costituzionalità). Con tale sentenza, la Corte di giustizia aveva ribadito i contorni della “regola Taricco”, ma aveva confermato che essa può trovare applicazione solo se è rispettosa del principio di legalità in materia penale, nella duplice componente della determinatezza e del divieto di retroattività. Quanto alla prima aveva “…sollecitato una verifica della competente autorità nazionale”, mentre sulla retroattività aveva specificato che la “regola Taricco” non si estendeva ai fatti compiuti prima dell’8 settembre 2015, data di pubblicazione della sentenza che l’aveva enunciata. Pur ribadendo l’efficacia dell’art. 325 TUEF, aveva evidenziato che la stessa non poteva determinare la disapplicazione del diritto interno (effetto conseguente alla primazia del diritto europeo), se questa disapplicazione comportava “…una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene…”, costituzionalmente garantito nello Stato membro medesimo (v. R.Bin, “Taricco” tango, quale sarà il prossimo passo?, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 5 aprile 2018) Nella sentenza 315/2018, la Corte costituzionale, premessa la illustrazione dell’intera vicenda processuale, ha ricordato che la stessa sentenza Taricco (paragrafi 53 e 55) appariva tendente ad escludere la sua applicazione “…ogni qual volta essa venga a trovarsi in conflitto con l’identità costituzionale dello Stato membro e in particolare implichi una violazione del principio di legalità penale, secondo l’apprezzamento delle competenti autorità di tale Stato…”. Di ciò la Corte costituzionale aveva chiesto (con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale) conferma alla Corte di giustizia. La Corte di giustizia, con la sentenza M.A.S e M.B del 5 dicembre 2017, aveva “…compreso il dubbio interpretativo…” della Corte costituzionale e aveva “…affermato che l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la normativa interna in materia di prescrizione, sulla base della “regola Taricco”, viene meno quando ciò comporta una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o dell’applicazione retroattiva di una normativa che prevede un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato…”. La Corte costituzionale ha osservato quindi, che la nuova pronuncia della Corte di Lussemburgo ha in primo luogo chiarito che, in virtù del divieto di retroattività in malam partem della legge penale, la “regola Taricco” non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente alla data di pubblicazione della sentenza che l’ha dichiarata, ovvero anteriormente all’8 settembre 2015 (paragrafo 60). In secondo luogo la Corte di giustizia ha demandato alle autorità giudiziarie nazionali il compito di saggiare la compatibilità della “regola Taricco” con il principio di determinatezza in materia penale (paragrafo 59), che costituisce “…sia principio supremo dell’ordine costituzionale italiano, sia cardine del diritto dell’Unione, in base all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo (paragrafi 51 e 52 della sentenza M.A.S.)…”. Alla luce del chiarimento interpretativo offerto dalla sentenza M.A. S., le questioni sollevate dinanzi alla Corte costituzionale da entrambi i rimettenti soni risultate non fondate, perché la “regola Taricco” non era applicabile nei relativi giudizi di merito, in quanto i processi riguardavano fatti avvenuti prima dell’8 settembre 2015, sicché l’applicabilità degli artt. 160, terzo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. e la conseguente prescrizione dei reati oggetto dei procedimenti a quibus erano riconosciute dalla stessa sentenza M.A. S.. Ha tuttavia evidenziato la Corte costituzionale la sussistenza della rilevanza delle questioni in ordine alla generale applicabilità o meno della “regola Taricco”. Ha infatti precisato che, indipendentemente dalla collocazione dei fatti, prima o dopo l’8 settembre 2015, il giudice comune non può applicare loro la “regola Taricco”, in quanto essa è in contrasto con il principio di determinatezza in materia penale, previsto dall’art. 25, secondo comma della Costituzione. Infatti “…un istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena, nel nostro ordinamento giuridico rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza. La prescrizione pertanto deve essere considerata un istituto sostanziale, che il legislatore può modulare attraverso un ragionevole bilanciamento tra il diritto all’oblio e l’interesse a perseguire i reati fino a quando l’allarme sociale indotto dal reato non sia venuto meno (potendosene anche escludere l’applicazione per delitti di estrema gravità), ma sempre nel rispetto di tale premessa costituzionale inderogabile (ex plurimis, sentenze n. 143 del 2014, n. 236 del 2011, n. 294 del 2010 e n. 393 del 2006; ordinanze n. 34 del 2009, n. 317 del 2000 e n. 288 del 1999). Ciò posto, appare evidente il deficit di determinatezza che caratterizza, sia l’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE (per la parte da cui si evince la “regola Taricco”), sia la “regola Taricco” in sé. Quest’ultima, per la porzione che discende dal paragrafo 1 dell’art. 325 TFUE, è irrimediabilmente indeterminata nella definizione del «numero considerevole di casi» in presenza dei quali può operare, perché il giudice penale non dispone di alcun criterio applicativo della legge che gli consenta di trarre da questo enunciato una regola sufficientemente definita. Né a tale giudice può essere attribuito il compito di perseguire un obiettivo di politica criminale svincolandosi dal governo della legge al quale è invece soggetto (art. 101, secondo comma, Cost.). Ancor prima, è indeterminato l’art. 325 TFUE, per quanto qui interessa, perché il suo testo non permette alla persona di prospettarsi la vigenza della “regola Taricco”…. Il principio di determinatezza ha una duplice direzione, perché non si limita a garantire, nei riguardi del giudice, la conformità alla legge dell’attività giurisdizionale mediante la produzione di regole adeguatamente definite per essere applicate, ma assicura a chiunque «una percezione sufficientemente chiara ed immediata» dei possibili profili di illiceità penale della propria condotta (sentenze n. 327 del 2008 e n. 5 del 2004; nello stesso senso, sentenza n. 185 del 1992). Pertanto, quand’anche la “regola Taricco” potesse assumere, grazie al progressivo affinamento della giurisprudenza europea e nazionale, un contorno meno sfocato, ciò non varrebbe a «colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale» (sentenza n. 327 del 2008). È persino intuitivo (anche alla luce della sorpresa manifestata dalla comunità dei giuristi nel vasto dibattito dottrinale seguito alla sentenza Taricco, pur nelle sfumature delle diverse posizioni) che la persona, prendendo contezza dell’art. 325 TFUE, non potesse (e neppure possa oggi in base a quel solo testo) immaginare che da esso sarebbe stata estrapolata la regola che impone di disapplicare un particolare aspetto del regime legale della prescrizione, in presenza di condizioni del tutto peculiari. Se è vero che anche «la più certa delle leggi ha bisogno di “letture” ed interpretazioni sistematiche» (sentenza n. 364 del 1988), resta fermo che esse non possono surrogarsi integralmente alla praevia lex scripta, con cui si intende garantire alle persone «la sicurezza giuridica delle consentite, libere scelte d’azione» (sentenza n. 364 del 1988). Ciò è come dire che una scelta relativa alla punibilità deve essere autonomamente ricavabile dal testo legislativo al quale i consociati hanno accesso, diversamente da quanto accade con la “regola Taricco”. Fermo restando che compete alla sola Corte di giustizia interpretare con uniformità il diritto dell’Unione, e specificare se esso abbia effetto diretto, è anche indiscutibile che, come ha riconosciuto la sentenza M.A. S., un esito interpretativo non conforme al principio di determinatezza in campo penale non possa avere cittadinanza nel nostro ordinamento. Quanto appena rilevato concerne la “regola Taricco”, sia per la porzione tratta dal paragrafo 1 dell’art. 325 TFUE, sia per quella desunta dal paragrafo 2. In quest’ultimo caso, anche se il principio di assimilazione non desse luogo sostanzialmente a un procedimento analogico in malam partem e potesse permettere al giudice penale di compiere un’attività priva di inaccettabili margini di indeterminatezza, essa, comunque sia, non troverebbe una base legale sufficientemente determinata nell’art. 325 TFUE, dal quale una persona non avrebbe potuto, né oggi potrebbe, desumere autonomamente i contorni della “regola Taricco”. In altri termini, qualora si reputasse possibile da parte del giudice penale il confronto tra frodi fiscali in danno dello Stato e frodi fiscali in danno dell’Unione, al fine di impedire che le seconde abbiamo un trattamento meno severo delle prime quanto al termine di prescrizione, ugualmente l’art. 325, paragrafo 2, TFUE non perderebbe il suo tratto non adeguatamente determinato per fungere da base legale di tale operazione in materia penale, posto che i consociati non avrebbero potuto, né oggi potrebbero sulla base del solo quadro normativo, raffigurarsi tale effetto. Bisogna aggiungere che una sufficiente determinazione non sarebbe rintracciabile neppure nell’enunciato della sentenza Taricco, relativo ai «casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato», per i quali sono stabiliti «termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione». Si tratta infatti di un enunciato generico, che, comportando un apprezzamento largamente opinabile, non è tale da soddisfare il principio di determinatezza della legge penale e in particolare da assicurare ai consociati una sua sicura percezione. L’inapplicabilità della “regola Taricco”, secondo quanto riconosciuto dalla sentenza M.A. S., ha la propria fonte non solo nella Costituzione repubblicana, ma nello stesso diritto dell’Unione…”. In tal modo la “…violazione del principio di determinatezza in materia penale sbarra la strada, senza eccezioni, all’ingresso della “regola Taricco” nel nostro ordinamento…”. In conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità sollevate (v. ampiamente, C. Cupelli, La Corte costituzionale chiude il caso Taricco e apre a un diritto penale europeo “certo”, in www.dirittopenalecontemporaneo.it-4 giugno 2018).