di Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato
Per il Consiglio di Stato basta il rischio astratto, la norma chiede prove a chi accusa
L’imparzialità rappresenta un valore fondamentale dell’agire amministrativo. Per questo rileva anche il solo conflitto potenziale di interessi, perché l’amministratore pubblico non solo deve essere, ma, anche, apparire imparziale, indipendentemente dal fatto che in concreto abbia effettivamente perseguito un interesse privato.
Lo ha stabilito la sentenza n. 1064 del primo febbraio 2024 con cui il Consiglio di Stato ha ritenuto invalida la delibera adottata da un Comune che, sebbene all’apparenza di carattere generale, in realtà era stata assunta in violazione della normativa sul conflitto di interessi. Infatti, la delibera aveva deciso l’ampliamento di alcuni lotti demaniali di terreno per uso sportivo, che però, in concreto, erano quasi interamente in concessione alla società in cui lo stesso Sindaco ricopriva funzioni dirigenziali.
In base alla normativa, infatti (art. 78 del decreto legislativo 267 del 2000, Testo Unico degli enti locali), il comportamento degli amministratori pubblici deve essere improntato all’imparzialità, e per questo devono astenersi dal prendere parte alla discussione e alla votazione di delibere riguardanti “gli interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado”. Il Consiglio di Stato stigmatizza l’operato del Sindaco in base ad un suo possibile coinvolgimento in astratto, “a nulla rilevando che lo specifico fine privato sia stato o meno realizzato e che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizio per la p.a.”.
L’obbligo di astensione per incompatibilità è espressione del principio generale di imparzialità e trasparenza (art. 97 Costituzione) al quale ogni pubblica amministrazione deve conformare la propria immagine, ancor prima che la propria azione. Non a caso, la c.d legge “Severino” (l.190 del 2012) in funzione di prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, ha introdotto una norma di carattere generale che obbliga il responsabile del procedimento ad astenersi in caso di conflitto di interessi (art. 6 -bis della L. 241/1990).
Va da sé che l’obbligo di astensione è ancor più rilevante nell’ambito di aggiudicazione od esecuzione dei contratti pubblici, per garantire la concorrenza e parità di trattamento di tutti gli operatori. Tuttavia, in controtendenza rispetto all’interpretazione fatta propria dal Consiglio di Stato di astratta rilevanza del conflitto di interessi, il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) impone, in materia di appalti, la prova concreta dell’esistenza dello stesso.
Infatti, in nome della coerenza “con il principio della fiducia” alla base del nuovo codice (art. 2), l’art. 16 dispone che la minaccia all’imparzialità e indipendenza in capo al pubblico amministratore deve essere provata da “chi invoca il conflitto” sulla base di presupposti “specifici e documentati” e “deve riferirsi ad interessi effettivi”. Sarà compito non facile della giurisprudenza individuare le conseguenze sul piano operativo della nuova norma e i suoi effetti sulla garanzia dell’imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa.
(da Il Sole 24 Ore del 26 febbraio 2024
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