dell’avv. Paola Maria Zerman
(fonte Quotidiano del Sole 24 Ore)
Nate gemelle eppure così diverse. Anzi opposte. Ci si riferisce a due sentenze depositate entrambe nel medesimo giorno, il 24 marzo del 2015, l’una della Cassazione (Sezioni unite n. 5848), l’altra della sezione centrale d’appello della Corte dei conti (la numero 249) sul medesimo e spinoso argomento. E cioè se ed entro quali limiti sussista la
giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di soggetti che abbiamo svolto funzioni amministrative o di controllo (amministratori o sindaci) in società di capitali costituite e/o partecipate da Enti pubblici, quando ad essi vengano imputati atti contrari ai loro doveri d’ufficio con conseguenti danni per la società.
La posizione della Cassazione
Le Sezioni unite della Corte di cassazione (quale Giudice della giurisdizione) si sono più volte espresse sul tema della giurisdizione contabile in materia di responsabilità di gestori e sindaci di società partecipate da enti pubblici, fenomeno sempre più vasto e correlato all’uso dello strumento societario privato da parte delle Pubbliche amministrazioni anche per la realizzazione di finalità tipicamente pubblicistiche. Il punto centrale del ragionamento della Cassazione è costituito dalla autonomia e separazione del patrimonio della società di capitali, rispetto al patrimonio dell’Ente pubblico che detiene la partecipazione, sicchè non può dirsi arrecato all’Ente pubblico il danno conseguente alla mala gestio degli amministratori e al mancato controllo da parte dei sindaci. La responsabilità nei confronti degli stessi è ‘unicamente esperibile nelle forme stabilite dal diritto civile’ per la tutela del patrimonio sociale, da parte degli altri soci o sindaci, e non già da parte della Corte dei conti per danno erariale. Con le uniche eccezioni costituite dal c.d danno indiretto (e cioè di responsabilità ‘in capo all’ente pubblico partecipante’ quando in qualità di socio abbia trascurato i propri diritti di socio così pregiudicando il valore della partecipazione), o nell’ipotesi in cui la società sia da considerarsi longa manus dell’Ente pubblico (c.d. società in house) in ragione dell’esistenza di un controllo analogoa quello delle proprie articolazioni interne, nonché la proprietà integrale da parte dell’ente partecipante e l’attività svolta a favore prevalentemente dello stesso (v. anche Cassazione, Sezioni unite, sentenza n. 26283 del 2013).
…e quella della Corte dei conti
Ben diversa è la posizione assunta dalla Corte dei conti, che pone come discrimine per l’ambito della propria giurisdizione la presenza di capitale pubblico in un organismo, indipendentemente dalla forma, pubblica o privata, che lo stesso rivesta. Anche da ultimo, nella sentenza in commento, la Corte ribadisce il principio che anche nelle ipotesi di società ‘non in house’, la partecipazione pubblica comporta la necessità di‘tutelare l’integrità economica e complessiva del sistema- Paese” alla stregua delle Pubbliche amministrazioni. La funzione della Corte è quella di tutelare il patrimonio pubblico indipendentemente dalla forma privatistica adottata.
Del resto, come la Corte illustra nella decisione in commento, la normativa non solo comunitaria ma nazionale è sempre più indirizzata all’adozione di un parametro di natura sostanziale e non solo formale, che individui nell’utilizzo del denaro pubblico il discrimine decisivo per fondare la responsabilità pubblicistica amministrativo-contabile.Si pensi all’estensione della legge sul procedimento amministrativo (articolo 29 legge 241/1990 come modificato dalla legge 69/2009) alle società con totale o prevalente capitale pubblico in relazione alle funzioni amministrative esercitate. Egualmente il Dlgs 33/2013 relativo agli obblighi di trasparenza della PA, si applica anche alle società di diritto privato in controllo pubblico (articolo 11, comma 2).
Èben noto, poi, che anche la nozione penale di “incaricato di pubblico servizio” in ordine ai reati di corruzione e concussione, prescinde da qualificazioni unicamente formalistiche, per valorizzare quello oggettivo-funzionale, non richiedendosi che ‘l’attività svolta sia direttamente imputabile a un soggetto pubblico, ma è sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalità pubbliche’ (Cassazione n. 53578 del 2014 a proposito della finalità pubblica costituita dalla “promozione dell’attività sportiva nell’interesse della collettività” realizzata dal Coni).
Del resto la recente Legge europea 2013-bis (legge n. 161/2014) prevede che “per valutare i riflessi sui conti delle pubbliche amministrazioni, la Corte dei conti, nell’ambito delle sue funzioni di controllo, può richiedere dati economici e patrimoniali agli enti e agli organismi dalle stesse partecipati a qualsiasi titolo” attribuendo così i potere alla Corte di chiedere direttamente alle Società partecipate quei dati (bilancio, consulenze ecc.) che ben possono fondare una responsabilità degli amministratori, e che comunque obbligano gli stessi alla trasparenza e al rendere conto alla Corte.
La lotta alla corruzione e le società partecipate con denaro pubblico
L’inquietante e diffuso fenomeno della corruzione che ogni giorno di più sta venendo alla luce come un cancro che mina alla radice le stesse basi di una sana economia del Paese, ha indotto il legislatore a rendere più stringenti i controlli nella gestione del denaro pubblico ed ad emanare la ben nota legge n. 190 del 2012 diretta alla “repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”. Assai significativa è la circostanza che la legge, per volontà esplicitamente indicata nell’articolo 1 comma 34, si applica non solo alle PA e agli Enti pubblici nazionali, ma anche alle “società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c.”. L’estensione appare particolarmente importante, e manifesta la presa di coscienza da parte del legislatore, di quanto il fenomeno della corruzione sia spesso annidato proprio nella società partecipate da Enti pubblici, specie locali.
E ciò per una serie di ragioni di intuibile rilievo, che così si possono schematizzare:
a) Presenza di denaro (pubblico);
b) Modesta estensione della società, con possibilità di un agevole controllo della gestione da parte degli amministratori;
c) Nomina fiduciaria degli amministratori (spesso privi di adeguata competenza) da parte dell’organo politico locale (a tal proposito, infatti, il comma 39 dell’articolo 1 della legge 190 impone ora l’obbligo di pubblicità e trasmissione dei dati di dirigenti di società partecipate da Stato ed Enti pubblici senza adeguata selezione).
d) A ciò si aggiunga, la mancanza di controllo da parte della Corte dei conti al fine della responsabilità erariale, fattore che, al di là delle conseguenze patrimoniali, costituisce, spesso, anche valido deterrente dal punto di vista psicologico-comportamentale.
Conclusioni
Gli elementi sopra descritti sembra debbano imporre un ripensamento alla soluzione formalistica adottata dalla Corte di cassazione. Che peraltro, non pare debba fare affidamento, per la tutela del patrimonio pubblico, alle azioni di responsabilità o impugnazione delle delibere sociali illegittime previste dal codice civile. È ben noto, infatti, che il clima di ricatto, intimidazione, reciproci favori ed influenze che si creano a livello locale, specie laddove si verificano consolidate pratiche di corruzione e abuso d’ufficio, impediscono o comunque frenano l’azione di controllo e responsabilità interna alla società.Di questo deve dunque tener conto la Suprema Corte di cassazione laddove sia nuovamente chiamata a pronunciarsi, in quanto giudice della giurisdizione, sulle sentenze della Corte dei conti, chiamata per Costituzione a tutelare il denaro dei cittadini.
Nel comune di Fasano (be) in zona Tuppina si sta mettendo su un cavalcaferrovia che la popolazione nn vuole in quanto è in piena campagna, passano pochi trattori, e’ un bellissimo paesaggio fatto di ulivi e muretti a secco e 300 più avanti c’è un opera identica lasciata a meta’ da anni. Perché spendere 3 milioni di euro per creare un altra opera è non terminare quella già iniziata???ci siamo rivolti alle istituzioni ma tutti (compreso chi ha firmato il consenso per iniziare l’opera) dicono che effettivamente è un’opera inutile, ma nessuno fa niente scaricando le responsabilità. Chiedo di aiutarci a fermare questo scempio. Grazie