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Questioni di massima in materia di pensioni

Questioni di massima in materia di pensioni (possibilità delle Sezioni regionali della Corte dei conti di sollevarle e ammissibilità del decreto ingiuntivo)

 Corte dei conti

Sezione giurisdizionale per la regione Umbria

Giudice unico per le pensioni

Ord. 1 del 15 febbraio 2017: Giudice unico, Fava – Giudizi pensionistici iscritti ai numeri 12284, 12285, 12286, 12287, 12288, 12289, 12290, 12291, 12292 e 12293 del registro di segreteria promossi contro l’INPS rispettivamente dai Sig.ri Andrea Carucci ed altri (Avv. Alessandro Borscia)

 

Corte dei conti – Sezioni giurisdizionali regionali – Questioni di massima di particolare importanza e di interesse generale

(art. 1, comma 7, d.l. 15 novembre 1993, n. 453)

Va rimessa alle Sezioni Riunite della Corte dei conti la questione di massima se sia possibilità per le Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti sollevare questioni di massima di particolare importanza e di interesse generale sulla base dei principi affermati dalle Sezioni riunite (sentenza 22 settembre 2016, n. 22/QM) e ponendo il problema della perdurante vigenza dell’art. 1, comma 7, d.l. 15 novembre 1993, n. 453, specie con riguardo a questioni giuridiche di cui le Sezioni d’appello non potrebbero mai occuparsi.

Corte dei conti – Sezioni giurisdizionali regionali – Questioni di massima di particolare importanza e di interesse generale – Valutazione del Presidente della Corte

(artt. 11 e 114 c.g.c.)

Contestualmente alla rimessione della questione di massima alle Sezioni riunite va sottoposta alla valutazione  del Presidente della Corte dei conti ai fini dell’eventuale esercizio dei poteri di cui gli art. 11 e 114 c.g.c..

Corte dei conti – Giudizio in materia di pensioni – Ricorso per decreto ingiuntivo – Questione di massima

(artt. 1, comma 2, 2, 3, 4 e 7, comma 2, c.g.c.; art. 633 e s.s. c.p.c.)

Va sottoposta alle Sezioni Riunite la questione di massima se, giusta il combinato disposto degli art. 1, comma 2, 2, 3, 4 e 7, comma 2, c.g.c., sia ammissibile esperire il ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei giudizi pensionistici di competenza della Corte dei conti”;

inoltre “se, ove le Ecc.me Sezioni riunite dovessero ritenere il rimedio ammissibile, possano applicarsi le norme di cui art. 633 e s.s. c.p.c. nei limiti della compatibilità con il rito pensionistico disciplinato dal Codice di giustizia contabile”;

“se, ove le Ecc.me Sezioni riunite dovessero decidere per l’inammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei giudizi pensionistici, la declaratoria di inammissibilità consenta al ricorrente di riproporre il ricorso nelle forme ordinarie secondo i principi generali del Codice di procedura civile posti dall’art. 640 c.p.c. e dalla menzionata giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione”.

 

Ritenuto di dover decidere in sede monocratica secondo il procedimento monitorio attivato dai ricorrenti i quali, senza sollecitare la fissazione dell’udienza, si sono limitati a ricorrere alla “Sezione per l’Umbria Giudice unico per le pensioni, ai sensi e per gli effetti degli art. 633 e ss. c.p.c.”, affinchè ingiunga all’I.N.P.S., di pagare le somme richieste oltre accessori e compensi derivanti dal procedimento monitorio.

Svolgimento del processo

Con i ricorsi in epigrafe i ricorrenti, deducendo di essere ferrovieri in pensione, hanno chiesto l’emanazione di decreti ingiuntivi finalizzati alla condanna dell’INPS alla corresponsione della rivalutazione dei propri trattamenti per gli anni 2012 e 2013 a seguito della dichiarazione di incostituzionalità (C. cost. 30 aprile 2015, n. 70) dell’art. 24, comma 25, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214 (art. 1, comma 1), nell’assunto secondo cui la caducazione retroattiva della normativa che aveva bloccato la predetta rivalutazione avrebbe fatto loro acquisire il diritto alla menzionata rivalutazione secondo la normativa previgente, mentre quella sopravvenuta non potrebbe avere efficacia retroattiva,  incidendo sulle predette pretese, poiché, in tale ipotesi, vi sarebbe una violazione del giudicato costituzionale.

I ricorrenti, previa istanza amministrativa all’ente previdenziale (tutte le richieste all’INPS risultano allegate in copia ai ricorsi introduttivi unitamente alle ricevute postali e agli avvisi di ricevimento), hanno attivato il procedimento monitorio dinanzi la Sezione “ai sensi e per gli effetti degli art. 633 e ss. c.p.c.”, al fine di ottenere decreti ingiuntivi di condanna dell’I.N.P.S. al pagamento delle somme richieste, oltre accessori e compensi derivanti dal procedimento monitorio.

Motivi della decisione

  1. I ricorsi in epigrafe devono essere riuniti (art. 84 c.g.c.) ai fini del sindacato di nomofilachia ponendo medesime questioni giuridiche processuali nuove, generali, ermeneuticamente controverse e di rilevante importanza (in tali termini la capostipite C. conti, sez. Campania, 29 settembre 2010, n. 1734, seguita da numerose altre decisioni, la quale, avvalendosi di una tecnica poco diffusa, ha promosso una gestione economica ed efficiente del contenzioso seriale implicante la risoluzione di questioni di diritto identiche: sovvertendo le trattazioni tradizionali parcellizzate dei giudizi pensionistici, frutto della degenerazione patologica delle pressanti esigenze statistiche non rispettose dei superiori bisogni della ragionevole durata dei processi, attraverso la definizione unitaria ed accorpata delle cause seriali identiche, la sentenza ha perseguito l’obiettivo dell’abbattimento dell’arretrato pensionistico con sensibili riduzioni nella spesa pubblica correlata al servizio di giustizia su giudizi pensionistici e agli indennizzi derivanti dalla legge Pinto).
  2. Deve preliminarmente evidenziarsi che sulla presente controversia esiste la giurisdizione della Corte dei conti trattandosi di ricorso in materia pensionistica (art. 1, comma 2, c.g.c.) e che la c.d. “fase monocratica” costituisce un vero e proprio giudizio tanto che la stessa Corte costituzionale ha considerato giudice a quo, legittimato a sollevare incidenti di costituzionalità, quello investito del potere di pronunciare il decreto ingiuntivo (C. cost. 16 aprile 2008, n. 128 – nella specie il Presidente del Tribunale di Bari era stato investito del potere di decidere un ricorso per decreto ingiuntivo depositato dai proprietari del Teatro Petruzzelli; in precedenza C. cost. 6 ottobre 1981, n. 177).
  3. Circa la competenza all’esercizio dei poteri giurisdizionali nella fase monocratica si precisa che questo Giudice assomma il ruolo di Presidente facente funzioni della Sezione per l’Umbria e di Giudice unico delle pensioni assegnatario dei ricorsi in epigrafe (art. 637 c.p.c.).
  4. Ritenuta, quindi, l’esistenza della giurisdizione e della competenza di questo Giudice, si segnala che non è, tuttavia, chiaro se il rimedio giuridico attivato dai ricorrenti sia o meno ammissibile ovverosia se rientri o meno tra quelli che questa Corte può utilizzare a tutela del pensionato nell’ambito della propria giurisdizione pensionistica.

L’affermazione positiva consentirebbe l’attuazione del principio di tutela piena, effettiva e concentrata di cui discorrono gli art. 2 e 3 c.g.c., utilizzando le previsioni degli art. 633 e ss. c.p.c. in quanto compatibili (giusta disposto dell’art. 7 comma 2, c.g.c.).

Una scelta negativa, invece, determinerebbe un vulnus alla tutela dei diritti soggettivi costituzionalmente rilevanti del pensionato (art. 3 e 24 Cost. in combinazione con l’art. 38 Cost. e art. 1, Prot. I CEDU essendo i contributi e gli emolumenti pensionistici un autentico bene giuridico anche in senso convenzionale), non potendo questi rivolgersi all’A.G.O. (la giurisprudenza civile considera pacificamente ammissibili i ricorsi per decreto ingiuntivo in materia lavoristica e previdenziale) per ottenere l’anelato decreto ingiuntivo, essendo tutte le controversie in materia pensionistica attribuite alla giurisdizione piena ed esclusiva di questa Corte (art. 1, 2 e 3 c.g.c. – Cass., sez. un., 10 giugno 2004, n. 11025).

  1. Giova altresì precisare che una declaratoria di inammissibilità pronunciata da questo Giudice nella fase monocratica avrebbe prodotto la chiusura del procedimento ingiuntivo, senza possibilità di pronuncia da parte di alcun altro Giudice o Collegio di questa Corte.

La Corte di cassazione ha, difatti, reiteratamente precisato, in tal modo ponendo un principio generale della materia, che la decisione con cui si rigetti nel merito il ricorso per decreto ingiuntivo, come pure quella che ravvisi in rito l’impossibilità di ricorrervi, non è idonea a passare in giudicato sostanziale, con inammissibilità di qualsivoglia rimedio d’impugnazione quali reclami o ricorsi straordinari ex art. 111 Cost. (Cass., sez. un., 19 aprile 2010, n. 9216: “il decreto con il quale il giudice respinge il ricorso per decreto ingiuntivo non essendo suscettibile di dar luogo a una pronuncia definitiva, poiché il terzo comma dell’art. 640 c.p.c. consente la riproposizione della domanda respinta, non è ricorribile per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto non suscettibile di passare in cosa giudicata”). Tali affermazioni sono poste in un quadro giuridico normativo chiaro (art. 640 c.p.c.) il quale sancisce la riproponibilità dell’istanza nelle forme ordinarie senza che possa dirsi maturata alcuna preclusione giuridica. Secondo un certo orientamento il rigetto non precluderebbe nemmeno la riproposizione del ricorso nelle forme del decreto ingiuntivo (Cass. 20 dicembre 1985, n. 6547: “il provvedimento di rigetto della domanda di decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 640 cod. proc. civ., sebbene non sia suscettibile di impugnazione, non può essere oggetto del ricorso per Cassazione previsto dall’art. 111 cost., in quanto non ha contenuto decisorio e definitivo, potendo la domanda stessa essere anche immediatamente riproposta non solo nelle forme ordinarie, ma anche in quelle proprie del suddetto procedimento”; in termini Cass., 9 dicembre 1993, n. 6547; 29 novembre 1995, n. 12398; 29 settembre 2005, n. 19130; 21 settembre 2016, n. 18526).

L’inidoneità al giudicato è stata affermata dalle Sezioni riunite (Cass., sez. un., 1° marzo 2006, n. 4510) anche con riguardo all’accoglimento parziale della pretesa (il quale implica un rigetto parziale): “il decreto ingiuntivo non opposto acquista autorità ed efficacia di cosa giudicata solo in relazione al diritto consacrato e non con riguardo alle domande o ai capi di domanda non accolti, atteso che la regola contenuta nell’art. 640, u.c., c.p.c. (secondo cui il rigetto della domanda di ingiunzione non pregiudica la riproposizione della domanda, anche in sede ordinaria) trova applicazione sia in caso di rigetto totale della domanda di ingiunzione che di rigetto parziale (e, quindi, di accoglimento solo in parte della richiesta)”.

  1. Tutte le questioni poste sono rilevanti ai fini della decisione della fattispecie concreta.

Questo giudice non può, difatti, alla luce della prospettazione specifica e vincolante dei ricorrenti, effettuare alcuna conversione giuridica del rimedio (sempre che essa sia ammissibile atteso che il Codice di giustizia contabile non prevede l’istituto), né ha il potere di fissare l’udienza per la decisione nel merito secondo le forme ordinarie (che i ricorrenti non hanno chiesto).

Di qui la necessità di ricevere preziosi indirizzi ermeneutici nomofilattici in ordine ai poteri spettanti a questo Giudice nella decisione dei ricorsi in epigrafe anche in ragione delle lacune del Codice di giustizia contabile il quale, pur prevedendo il rito monitorio nei giudizi di responsabilità e di conto, non ha espressamente disciplinato il procedimento ingiuntivo né in generale, né, in particolare, nel giudizio pensionistico.

Ai fini della decisione monocratica di questo Giudice è, quindi, essenziale conoscere se:

se, giusta combinato disposto degli art. 1, comma 2, 2, 3, 4 e 7, comma 2, c.g.c., sia ammissibile esperire il ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei giudizi pensionistici di competenza della Corte dei conti”;

se, ove le Ecc.me Sezioni riunite dovessero ritenere il rimedio ammissibile, possano applicarsi le norme di cui all’art. 633 e ss. c.p.c. nei limiti della compatibilità con il rito pensionistico disciplinato dal Codice di giustizia contabile”;

se, ove le Ecc.me Sezioni riunite dovessero decidere per l’inammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei giudizi pensionistici, la declaratoria di inammissibilità consenta al ricorrente di riproporre il ricorso nelle forme ordinarie secondo i  principi generali del Codice di procedura civile posti dall’art. 640 c.p.c. e dalla menzionata giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione”.

L’estrema rilevanza nomofilattica delle questioni poste, che interessano non solo le parti in causa (in relazione alle quali esse sono manifestamente rilevanti), bensì l’intera collettività, giustificano la necessità di una decisione di codeste Ecc.me Sezioni riunite che fissi chiari, esaustivi ed univoci principi di diritto nell’interesse della legge per un’esigenza trascendente quella specifica delle parti in causa.

  1. La questione dell’ammissibilità della forma speciale di tutela attivata con i ricorsi in epigrafe (decreto ingiuntivo) nell’ambito del processo pensionistico è nuova e di particolare importanza involgendo problematiche connesse alle tecniche remediali della classe dei pensionati pubblici, soggetti deboli del rapporto e privi di specifiche competenze tecniche, i quali possono rivolgersi al Giudice contabile anche senza patrocino legale, circostanza che rende necessaria una risposta chiara, univoca e tempestiva che solo in via nomofilattica è possibile dare.

In passato le Sezioni territoriali hanno manifestato orientamenti eterogenei con riguardo ad altre tipologie di giudizi dai quali, quindi, non è possibile trarre indirizzi univoci, né chiari in ordine alle questioni rilevanti poste.

Con riguardo al giudizio di responsabilità amministrativa la Sezione Sicilia ha ammesso l’esperibilità del rimedio ingiuntivo (“ove la prova del credito dell’amministrazione risulti in modo documentale, l’azione di responsabilità può essere esercitata con lo strumento del ricorso per decreto ingiuntivo, non sussistendo alcuna plausibile ragione di incompatibilità con gli istituti propri del giudizio contabile, anche per effetto delle disposizioni contenute nel 174º comma dell’art. 1 l. 23 dicembre 2005 n. 266” C. conti, sez. giur. reg. Sicilia, 23 maggio 2007, n. 1351), superando il precedente contrario della stessa Sezione (“il ricorso per decreto ingiuntivo, previsto dagli art. 633 seg. c.p.c., non è compatibile con gli istituti propri del giudizio amministrativo-contabile e pertanto in questa sede deve ritenersi inammissibile” C. conti, sez. giur. reg. Sicilia, decreto 4 maggio 1998, n. 24).

La Sezione Sardegna ha seguito quest’ultimo negativo indirizzo in un giudizio ad istanza di parte ex art. 58 R.D. 1038/1933 (“il ricorso per decreto ingiuntivo da parte di un comune per far valere un credito che trova fonte in un rapporto di concessione esattoriale con una società privata, quando l’obbligazione dedotta in giudizio derivi direttamente dal rapporto gestorio fra l’ente pubblico e l’agente contabile va considerato inammissibile in quanto non previsto dall’ordinamento contabile ed incompatibile con la particolare struttura dei giudizi in materia di contabilità pubblica” C. conti, sez. giur. reg. Sardegna, 3 agosto 2009, n. 1008).

A conclusioni positive era, invece, giunta anche la Sezione Campania con riguardo all’opposizione ad ingiunzione emessa da un Comune a carico del proprio ex tesoriere al fine di ottenere le competenze relative alla pregressa gestione del servizio (sez. Campania, 31 marzo 2000, n. 8) sulla quale è stata affermata la giurisdizione della Corte dei conti utilizzando le forme previste per i giudizi ad istanza di parte ex art. 58 R.D. 1038/1933.

Per completezza non è senza interesse segnalare che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno espressamente qualificato “esclusiva” la giurisdizione pensionistica della Corte dei conti riconducendo alla stessa tutte le controversie relative ai recuperi di ratei pensionistici anche laddove l’Amministrazione abbia utilizzato il rimedio ingiuntivo di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639 (Cass., sez. un., 10 giugno 2004, n. 11025).

  1. Il procedimento ingiuntivo (art. 633 c.p.c.) è un tipo particolare di processo di cognizione e più precisamente di condanna, appartenendo alla categoria chiovendiana degli “accertamenti con prevalente funzione esecutiva” in quanto caratterizzati, dal punto di vista della funzione, dall’esigenza di conseguire, il più rapidamente possibile, il titolo esecutivo e con esso l’avvio dell’esecuzione forzata, nonché, dal punto di vista strutturale, dalla sommarietà della cognizione.

Più precisamente la cognizione è, in questo procedimento speciale, “sommaria perché superficiale” ed “inaudita altera parte” in quanto il Legislatore consente, in casi ed ipotesi determinate, la rapida formazione di un titolo esecutivo. Il contraddittorio pieno è differito, rimettendosi l’iniziativa all’ingiunto che potrà spiegare opposizione nei termini perentori previsti dalla legge a pena di decadenza (c.d. “inversione dell’iniziativa circa l’instaurazione del contraddittorio”).

Il Codice di procedura civile prevede che la pronuncia di rigetto (analoghe considerazioni valgono per quella con cui il Giudice monocratico dichiari l’impossibilità di ricorrere alla procedura speciale per l’assenza delle condizioni di legge) non precluda la riproposizione della domanda, non avendo tale decisione idoneità al passaggio in giudicato, anche perché adottata senza contraddittorio (art. 640 c.p.c.). Per tale ragione è escluso che il decreto negativo possa essere impugnato con regolamento di competenza o con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. Il rigetto del ricorso per decreto ingiuntivo è idoneo solo a condizionare la prosecuzione del processo attivato attraverso le peculiari forme di tutela accelerata e sommaria, senza assumere la stabilità del giudicato sostanziale, dunque, senza pregiudicare la riproposizione della domanda in via ordinaria (accanto alla  giurisprudenza innanzi citata, si segnala anche, più di recente, Cass., sez. un., 1° febbraio 2017, n. 2610, punto 2, pag. 4 e 5; la decisione si riferisce all’azione di classe ex art. 140-bis d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, ma richiama i principi costituenti jus receptum in materia di ricorso per decreto ingiuntivo: “ciò che è inibito non è la tutela giurisdizionale di un diritto, sebbene la tutela giurisdizionale in una determinata forma di un diritto tutelabile nelle forme ordinarie; il provvedimento di rigetto del reclamo avverso l’ordinanza di inammissibilità  è dunque analogo a quello di rigetto della “domanda d’ingiunzione”, cioè un provvedimento che “non pregiudica la riproposizione della domanda anche in via ordinaria”” Cass., sez. un., 1° febbraio 2017, n. 2610).

  1. Il Codice di giustizia contabile non prevede espressamente il ricorso per decreto ingiuntivo (si contempla esclusivamente, secondo la tradizione, nell’ambito dei giudizi di responsabilità e di conto – art. 131 c.g.c., il c.d. “rito monitorio” che presenta vaghe assonanze con il procedimento ingiuntivo di cui all’art. 633 c.p.c.).

Nell’attribuire a questa Corte la giurisdizione sui “giudizi in materia pensionistica” (art. 1, comma 2, c.g.c.), il Codice sancisce che, nell’ambito di quest’ultima si debba assicurare una “tutela piena ed effettiva” (art. 2 c.g.c.), con “concentrazione davanti al giudice contabile di ogni forma di tutela degli interessi pubblici e dei diritti soggettivi coinvolti, a garanzia della ragionevole durata del processo contabile” (art. 3 c.g.c.).

Come è noto, il Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104) ha istituto una panoplia di rimedi giurisdizionali non contemplando, tuttavia, talune azioni molto anelate dal Giudice amministrativo (azioni di accertamento, di adempimento e di c.d. “condanna atipica”).

L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha sancito, con numerose decisioni, che la tutela dell’interesse legittimo, essendo piena, deve essere assicurata anche attraverso rimedi giurisdizionali atipici purchè necessari in una prospettiva costituzionalmente orientata (Cons. Stato, ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3; Id., ad. plen., 29 luglio 2011, n. 15).

Tali principi dovrebbero a maggior ragione valere in un processo, quale è quello pensionistico, ove viene tutelata una situazione soggettiva che assurge a natura di diritto soggettivo costituzionalmente rilevante e imprescrittibile (salvo la prescrizione di singoli ratei), anche perché non esistono nel Codice altri rimedi giuridici idonei a produrre, nell’ambito del giudizio pensionistico, gli stessi effetti del decreto ingiuntivo.

In tale auspicabile prospettiva estensiva, costituzionalmente orientata a favore del pensionato, deve rilevarsi che il Codice di giustizia contabile, anche se non ha espressamente previsto il ricorso per decreto ingiuntivo, ha tuttavia introdotto un rinvio ampio alle disposizioni del Codice di procedura civile che esprimano principi generali (“per quanto non disciplinato dal presente Codice si applicano gli articoli 99, 100, 101, 110 e 111 del codice di procedura civile e le disposizioni del medesimo codice, in quanto espressione di principi generali” – art. 7 c.g.c.). Ed è proprio attraverso tal rinvio che potrebbe ammettersi l’esperibilità del rimedio attivato dai ricorsi in epigrafe, assoggettato alla disciplina degli art. 633 e ss. c.p.c., nei limiti di compatibilità con la nuova disciplina del processo pensionistico posta dal Codice di giustizia contabile.

Ritiene questo Giudice che la questione dell’ammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei giudizi pensionistici sia estremamente importante involgendo anche profili generali di ordine sistematico circa il servizio giustizia erogabile da questa Corte alla Collettività dei cittadini interessati.

Si chiede, innanzitutto, se il processo pensionistico regolato dal Codice di giustizia contabile (e analogo discorso si potrebbe fare anche con riguardo ad altre tipologie di processi) sia un processo fondato su un sistema di azioni tipiche o atipiche.

Il Codice di giustizia contabile, similmente al Codice di procedura civile, ma a differenza di quello sul processo amministrativo, non contempla una parte generale sulle azioni esperibili.

Né dibattiti specifici e accesi su tali problemi sono emersi nei lavori preparatori del Codice di giustizia contabile (a differenza di quanto accaduto in occasione dell’approvazione del Codice del processo amministrativo ove i testi della commissione sulle c.d. “azioni desiderate” dal Giudice amministrativo – di accertamento, adempimento e condanna atipica – sono stati puntualmente “sforbiciati” in sede finale, con conseguenziale presa di posizione dell’adunanza plenaria attraverso le menzionate decisioni del 2011).

La problematica non è solo teorico-accademica ma essenzialmente pratica, dipendendo, dalla soluzione che s’intende dare ai quesiti posti, il grado, l’intensità ed il livello di tutela che questa Corte è in condizione di fornire al cittadino che bussi alla porta del Giudice contabile. Nel giudizio pensionistico, peraltro, sono considerate ammissibili, accanto alla tutela esecutiva (ottemperanza) e cautelare, anche quella di accertamento e di condanna (cognizione). Quest’ultima, senza dubbio, nelle forme ordinarie, non essendo prevista espressamente nelle forme accelerate ingiuntive.

Venendo alla questione specifica, dunque, le opzioni ermeneutiche astrattamente prospettabili sono essenzialmente due.

L’apertura del processo pensionistico alla tutela ingiuntiva (salva chiaramente ogni valutazione del Giudice del merito in ordine alla fondatezza del ricorso) potrebbe essere basata sui richiamati principi di “pienezza”, “effettività” e “concentrazione” della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi del pensionato (art. 1 (2), 2 e 3 c.g.c.). Del resto le utilità derivanti dal rimedio de quo (caratterizzato dalla possibilità di ottenere in termini strettissimi un titolo esecutivo all’esito di una cognizione sommaria) non potrebbero essere perseguite da altri rimedi tipici espressamente previsti dal Codice di giustizia contabile (quale, ad esempio, la tutela cautelare). La mancata previsione non necessariamente potrebbe essere interpretata come scelta implicita di esclusione del rimedio ingiuntivo essendo recuperabile quest’ultimo facendosi applicazione, nei limiti di compatibilità, giusta rinvio dell’art. 7 c.g.c., degli art. 633 e ss. c.p.c. in quanto costituenti espressione di principi generali (attingendo, quindi, a tali disposizioni normative per identificare i casi di ammissibilità di tale forma di tutela accelerata). Ove si ammettesse l’esperibilità del ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito del giudizio pensionistico dovrebbero rispettarsi tutte le condizioni di ammissibilità del ricorso pensionistico (tra cui, inter plures, l’esistenza di una previa istanza all’amministrazione, art. 153, comma 1, lett. b), c.g.c.), salvo il giudizio di ritualità del rimedio (ovverosia di praticabilità dello stesso in base alla condizioni previste dagli art. 633 e ss. c.p.c.) e di fondatezza nel merito della pretesa da parte del Giudice monocratico.

A questa interpretazione potrebbe tuttavia obiettarsi che la tutela monitoria non ha carattere generale, essendo limitata alle sole ipotesi contemplate dalla Legge (il Codice di procedura civile e talune leggi speciali che abilitano soggetti, che svolgano attività particolari, alla fruizione della tutela ingiuntiva). L’esclusione della tutela monitoria, quindi, potrebbe dipendere da una precisa scelta (implicita) di politica legislativa, trattandosi di una forma remediale che garantisce un’azione più tempestiva alle ragioni di talune classi creditorie in luogo delle forme processuali della cognizione ordinaria. La scelta implicita di non prevedere altre categorie creditorie o di escludere (per mancanza di previsione espressa) la tutela monitoria non sarebbe superabile dall’interprete e potrebbe giustificarsi, resistendo al sindacato di irragionevolezza (art. 3 Cost.), proprio in ragione della non indispensabilità della stessa per la tutela dei diritti del lavoratore, essendo già sufficiente quella assicurata dalle forme ordinarie di condanna.

Potrebbe, però, replicarsi che tale ultima ricostruzione ermeneutica porrebbe il “pensionato pubblico” in una condizione deteriore rispetto a quella del “pensionato privato” (art. 3 Cost.) e di tale discriminazione potrebbe essere interessata la Corte costituzionale, anche perché attraverso i rimedi tipici previsti dal Codice di giustizia contabile (tra cui, ad esempio, la tutela cautelare) non si potrebbero ottenere, in termini di tutela giurisdizionale, gli stessi effetti prodotti dal decreto ingiuntivo.

  1. Nel caso in cui codeste Sezioni riunite dovessero opinare per la soluzione negativa, la quale implica la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi in epigrafe, sarebbe opportuno fornire indicazioni ai cittadini che hanno fatto richiesta della prestazione del servizio di giustizia (nella specie gli attuali ricorrenti) circa la possibilità di riproporre il ricorso nelle forme ordinarie (come espressamente previsto nel rito civile dall’art. 640 c.p.c.).

Questo Giudice conosce le tecniche decisorie e ben sa che quest’ultima questione potrebbe essere dichiarata inammissibile in quanto non necessariamente rilevante ai fini della decisione del giudizio (sarebbe sufficiente la declaratoria di inammissibilità senza necessità che questo Giudice disponga in merito alla eventuale successiva riproponibilità del ricorso). Esigenze di giustizia sostanziale ed equità, tuttavia, depongono nel senso che i cittadini ricorrenti, i quali peraltro potrebbero riproporre il ricorso personalmente in proprio, ricevano indirizzi dalla Corte anche in merito a tale possibilità in funzione di collaborazione e servizio alla Collettività, specie in considerazione della novità delle questioni sottoposte e della carenza, in capo ai ricorrenti, di specifiche capacità tecnico-professionali (nella prospettiva più moderna, declinata da autorevole dottrina, quale giustizia “aperta e collaborativa al servizio del cittadino”, che sancisca il superamento di un modello di giustizia arcaica spesso trincerata su posizioni processuali arroccate ed incomprensibili dal quisque de populo che pur avrebbe il diritto di leggere e comprendere le sentenze pronunciate “in nome del popolo”, percependone le ricadute effettuali e le conseguenze particolari sulla propria sfera giuridica).

Ove, invece, l’Ecc.me Sezioni riunite dovessero, all’opposto, ritenere esperibile il ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei giudizi pensionistici, sarebbe necessario conoscere se questo Giudice possa o meno applicare la disciplina del Codice di procedura civile (art. 633 e ss. c.p.c.) in quanto espressione di principi generali e nei limiti di compatibilità con la disciplina specifica che governa i giudizi pensionistici di competenza di questa Corte.

  1. Circa l’ammissibilità delle questioni di massima sollevate è noto che la giurisprudenza delle Ecc.me Sezioni riunite richiede l’esistenza di una questione di un elevato grado di complessità interpretativa involgente problematiche di carattere generale, essendo irrilevante che si siano determinati orientamenti divergenti tra Sezioni sfociati in un vero e proprio contrasto o che la questione possieda le potenzialità di determinarlo a causa di obiettive difficoltà interpretative (sez. riun., 12 luglio 2006, n. 5/QM) ovvero che si ponga per la prima volta (sez. riun., 23 aprile 2003, n. 10/QM). Sussistendo tali requisiti non è, dunque, necessario il presupposto del c.d. “contrasto orizzontale” (tra sezioni regionali, in mancanza di pronunce d’appello, ovvero tra pronunce d’appello, essendo irrilevante il c.d. “conflitto verticale” che rientra nei rapporti fisiologici di un’organizzazione giurisdizionale fondata su gradi diversi – sez. riun., 12 dicembre 2011, n. 17/QM), come pure non è più necessario il consenso delle parti in causa (sez. riun., 16 febbraio 1998, n. 7/QM).

Nel corso del 2016 le Sezioni riunite hanno avuto modo di ribadire questi principi con la decisione che ha attribuito agli “albergatori” la qualità di agenti contabili (C. conti, sez. riun., 22 settembre 2016, n. 22/2016/QM, secondo la quale “deve ritenersi ammissibile il deferimento alle Sezioni riunite della Corte dei conti da parte delle Sezioni giurisdizionali regionali della soluzione di questioni di massima di “particolare rilevanza”, intendendosi per tali quelle che investono problematiche giuridiche di particolare importanza ed obiettiva complessità ed aventi rilevanza generale in quanto suscettibili di diffusa applicazione”).

Assumono particolare importanza nell’ottica della presente decisione le argomentazioni spese dal Supremo consesso contabile che si ritiene opportuno riportare integralmente: “La norma presenta una struttura prescrittiva caratterizzata da oggettiva genericità, tanto che queste Sezioni riunite, con un consolidato orientamento condiviso e fatto proprio anche in questa sede, hanno ritenuto di doversi far carico di precisare in via giurisprudenziale le condizioni e i presupposti di ammissibilità delle questioni di massima.

La norma colloca processualmente il deferimento della questione di massima come momento incidentale nell’ambito di un giudizio in trattazione presso una delle Sezioni giurisdizionali, territoriali e centrali di appello, nell’ambito del quale la soluzione della questione medesima si caratterizza per la rilevanza.

La norma inoltre individua come unico presupposto positivo per il deferimento, la circostanza che si configuri la necessità della risoluzione di una questione di massima, che, di per sé, implica l’esame di un problema interpretativo di diritto potenzialmente interessante una ampia platea.

La giurisprudenza di queste Sezioni riunite ha ripetutamente affrontato la tematica dell’ammissibilità, centralizzando innanzitutto la propria attenzione sul “contrasto giurisprudenziale”, giungendo a ritenere ammissibile il deferimento solamente in presenza di un contrasto orizzontale fra sezioni di appello.

Il contrasto è stato cioè ritenuto il parametro a cui ancorare il consolidamento di un problema interpretativo meritevole di essere affrontato e risolto dalle Sezioni riunite nell’esercizio della loro funzione nomofilattica.

La ripetuta valorizzazione del “contrasto” risente, evidentemente, del quadro normativo e giurisprudenziale antecedente alla riforma del 1994, allorché, sia pure in un diverso assetto processuale, poteva essere rimesso alle Sezioni riunite il giudizio solo in presenza di un conclamato contrasto giurisprudenziale.

Infatti “Ove una Sezione giurisdizionale della Corte dei conti rilevi che il punto di diritto sottoposto al suo esame abbia dato luogo a contrasti giurisprudenziali può, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d’ufficio, rimettere il giudizio alle SSRR” (art.4 legge 21 marzo 1953 n. 161).

Orbene, non può essere privo di significato il diverso regime normativo del deferimento come sopra evidenziato – sia pure in un assetto processuale in parte dissimile – con particolare riguardo all’omessa menzione del “contrasto” nella legge n. 19/94.

Dalla interpretazione letterale della norma, emerge quindi che il deferimento delle questioni di massima non può essere collegato in via esclusiva alla sussistenza di un conclamato contrasto giurisprudenziale.

Il ragionamento decisorio deve necessariamente passare per una attenta ponderazione dei valori “in gioco”, in parte reciprocamente confliggenti: necessità, da una parte, della certezza del diritto, e quindi della coerenza degli indirizzi giurisprudenziali, e salvaguardia, dall’altra, delle dinamiche processuali nella loro idoneità di arricchimento della funzione giurisdizionale.

Ne discende che il deferimento può trovare spazio anche nei casi in cui si manifesti la necessità di rimettere alle Sezioni riunite una questione caratterizzata dalla “particolare importanza” desumibile da vari indicatori, fra i quali la complessità e la novità della materia, l’ampiezza della platea di riferimento, la specifica necessità di assicurare la tendenziale coerenza giurisprudenziale, la valorizzazione dei principi costituzionali circa la celerità dei processi.

Nell’ambito di tali indicatori può assumere rilevanza anche il manifestarsi, ancora “in nuce”, di diversi orientamenti interpretativi, così come possono essere opportunamente valorizzati anche indicatori di carattere particolare, riferibili in modo diretto alla singola fattispecie in esame.

Pertanto, nel ricordare il consolidato indirizzo di queste Sezioni riunite in tema di ammissibilità “per contrasto” che, in particolare, esclude la rilevanza del contrasto verticale fra sezioni di primo grado e di appello, così come di regola quella fra sezioni di primo grado, va evidenziato che il deferimento possa essere ammesso anche in ipotesi ove la questione oggetto del deferimento stesso abbia le caratteristiche della “particolare rilevanza” come sopra individuata, e dunque direttamente riferibili alla locuzione “questione di massima” che trova spazio nel comma 7 dell’articolo 1 della legge n. 19/94.

In altre parole queste Sezioni riunite sono chiamate a dirimere “questioni di massima” anche in mancanza di conclamato contrasto, ove per questioni di massima si devono intendere quelle che investono “problematiche giuridiche di particolare importanza ed obiettiva complessità ed aventi rilevanza generale in quanto suscettibili di diffusa applicazione“ (Sezioni riunite n. 5/2004/QM).

Più recentemente queste Sezioni riunite hanno espressamente affermato che: “Tali problematiche, inoltre, riguardano profili di generalizzata applicazione ad un numero potenzialmente indefinito di giudizi ed esigono, pertanto, una soluzione uniforme, al fine di evitare inammissibili differenziazioni tra vicende processuali identiche. Anche per tale motivo le questioni vanno giudicate ammissibili, pur in assenza, sinora […] di contrasti giurisprudenziali significativi in grado di appello” (n. 12/2011/QM), puntualizzando poi: “in presenza di una questione interpretativa complessa […] la questione di massima può essere deferita anche senza un contrasto giurisprudenziale in atto” (n.13/2011/QM); richiami a detti principi si rinvengono anche nelle sentenze n. 2/2010/QM e n. 1/2012/QM.

La valutazione circa la sussistenza degli indicatori caratterizzanti la “questione di massima di particolare importanza” è rimessa allo scrutinio delle Sezioni riunite in un’ottica di massimo rigore motivazionale.

In particolare le questioni di massima debbono investire problematiche di diritto di particolare importanza ed obiettiva complessità, aventi rilevanza generale in quanto suscettibili di diffusa applicazione. Il punto di maggiore incisività è dato dalla obiettiva difficoltà interpretativa di una norma (ovvero di un sistema normativo) suscettibile di più significati secondo i vari criteri ermeneutici adottati dall’ordinamento. Siffatta difficoltà interpretativa può presentarsi sin dalle prime applicazioni di una norma, fatto che può consentire al giudice di primo grado, nel concorrere degli altri elementi precisati, di deferire la questione alle Sezioni riunite prospettando le varie e differenti soluzioni possibili secondo i divergenti criteri ermeneutici adottati, nonché i contrastanti effetti di ricaduta sul caso al suo esame. Il deferimento può così avvenire ancora prima del consolidarsi di qualsivoglia indirizzo giurisprudenziale (cfr. la già richiamata sentenza n.5/2004/QM).

Nè il deferimento per “particolare importanza” (che si aggiunge a quello “per contrasto”) comprime le dinamiche processuali, tenuto conto che le pronunce delle Sezioni riunite in sede nomofilattica sono vincolanti solo per il Giudice remittente, costituendo per gli altri Giudici solo un importante faro orientativo (e salvo quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 42 della legge 66/09).

Nell’ambito del deferimento per “questione di massima di particolare importanza” restano fermi alcuni principi che sono stati ripetutamente precisati da queste Sezioni riunite.

Intanto la determinazione “oggettiva” della questione è rimessa esclusivamente al Giudice remittente e si concretizza nella formulazione di quesiti che vengono a determinare il limite della cognizione delle Sezioni riunite nel caso specifico. In sostanza il limite del deferimento è dato dalla effettiva portata della questione, come sintetizzato nel quesito di remissione.

Inoltre, compete al Remittente nell’ordinanza di deferimento evidenziare le ragioni del deferimento stesso, dando conto del contrasto ovvero della particolare importanza della questione, anche valorizzando gli indicatori all’uopo indicati dalla giurisprudenza, nonché della rilevanza della questione nel giudizio “a quo”.

Infine debbono essere dichiarati inammissibili i deferimenti di mero carattere “consulenziale” e comunque quelli privi del carattere della “rilevanza” della questione ai fini della decisione del giudizio.

Alla luce dei principi innanzi esposti, va vagliata l’ammissibilità dei tre quesiti proposti, verificando in particolare la sussistenza dei presupposti della “questione di massima di particolare importanza”, difettando nel caso all’esame un contrasto giurisprudenziale orizzontale tra sezioni di appello” (C. conti, sez. riun., 22 settembre 2016, n. 22/2016/QM).

Le Sezioni riunite, attribuendo centrale importanza alle proprie funzioni nomofilattiche, onde assicurare l’obiettivo essenziale della coerenza giurisprudenziale, dirigono l’attenzione verso la necessità che tale coerenza debba essere assicurata entro tempi ragionevoli valorizzando, dunque, nella prospettiva nomofilattica, il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, dal quale, secondo questo Giudice, non può essere escluso il giudizio nomofilattico da intendersi non quale fase processuale in sé autonomamente considerata (quanto tempo impiegano le Sezioni riunite a decidere la questione), ma nella prospettiva della Collettività che fa richiesta del servizio di giustizia contabile, quindi come processo da intendersi nel suo complesso, strutturato in modo che le questioni “in nuce” idonee a creare conflitti giurisprudenziali rilevanti siano intercettate sul nascere e risolte tempestivamente senza che si determinino effetti negativi sul sistema giustizia derivanti dalla moltiplicazione dei processi e degli orientamenti sino a giungere ad un conclamato conflitto.

Proprio nell’ottica del cittadino che chiede giustizia, attraverso un processo tempestivo, riveste massima importanza la chiarezza ed univocità del quadro normativo, specie ove l’incertezza involga proprio questioni processuali relative non all’interpretazione di norme di diritto sostanziale, bensì di quelle processuali afferenti le tecniche di tutela disponibili.

Una risposta che intervenga, anche solo dopo due anni, potrebbe essere peraltro non economica anche in una prospettiva di contenimento dei costi della giustizia. Si moltiplicherebbero giudizi inammissibili o infondati, mentre una risposta nomofilattica tempestiva ed immediata potrebbe evitare tale deprecabile conseguenza, fermo restando che sarebbe preciso obbligo del Legislatore congegnare i processi in modo da non fare sorgere tali infausti effetti.

In quest’ottica meriterebbero conferma i principi espressi da codeste Ecc.me Sezioni riunite nella richiamata decisione del settembre 2016 la quale, ferma restando la necessità di una rigorosa valutazione in ordine all’ammissibilità delle questioni di massima, punta l’attenzione sull’essenziale ruolo svolto dalle Sezioni regionali che potrebbero intercettare problematiche di interesse generale idonee “in nuce” a generare indirizzi giurisprudenziali equivoci, giungendo a confermare i principi costituenti oramai jus receptum (“il deferimento delle questioni di massima non può essere collegato in via esclusiva alla sussistenza di un conclamato contrasto giurisprudenziale” C. conti, sez. riun., 22 settembre 2016, n. 22/2016/QM, la quale richiama le precedenti decisioni n. 1/2012/QM, 2/2010/QM, 12 e 13/2011/QM, 5/2004/QM).

  1. In relazione alla legittimazione a sollevare le questioni di massima da parte delle Sezioni regionali deve segnalarsi che l’art. 1, comma 7, d.l. 15 novembre 1993, n. 453 convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 19, come modificato dall’art. 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69, non rientra tra le disposizioni abrogate dall’art. 4, All. 3, del Codice di giustizia contabile.

Tale norma dispone che: “Le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali ovvero su richiesta del Procuratore Generale […]. Il Presidente della Corte dei conti può disporre che le Sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali e su quelle che presentano una questione di massima di particolare importanza. Se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Riunite rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio”.

Né potrebbe ritenersi che la norma sia stata abrogata per incompatibilità dalla disciplina sopravvenuta specie con riguardo alle ipotesi, quale è quella che caratterizza la fattispecie concreta, in cui sulle questioni ermeneutiche di interesse generale non sarebbe possibile l’esercizio del sindacato giurisdizionale ad alcun altro Giudice (ivi compreso quello d’appello).

É noto che gli art. 11, comma 3 (“le sezioni riunite in sede giurisdizionale decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferiti dalle sezioni giurisdizionali d’appello, dal Presidente della Corte dei conti, ovvero a richiesta del procuratore generale”), e 114, comma 3 (“il presidente della Corte dei conti e il procuratore generale possono deferire alle sezioni riunite in sede giurisdizionale la risoluzione di questioni di massima oppure di questioni di diritto che abbiano dato luogo, già in primo grado, ad indirizzi interpretativi o applicativi difformi”), c.g.c. hanno attribuito la legittimazione a sollevare le questioni ivi contemplate alle sezioni d’appello, al Presidente della Corte dei conti e al Procuratore generale.

L’omessa previsione espressa da parte del Legislatore della legittimazione delle Sezioni regionali, indipendentemente dai passaggi della relazione governativa al Codice (che non tiene conto della differenza tra questioni di massima di particolare importanza e questioni sulle quali sia maturato un contrasto giurisprudenziale omettendo ogni riferimento ai principi sino ad oggi sanciti dalle Sezioni riunite), non può essere indice della volontà legislativa di attuare un’abrogazione per incompatibilità del disposto del menzionato art. 1, comma 7, d.l 453/1993 (che, invece, tale legittimazione continua a prevedere espressamente), specie, lo si ripete, in relazione a questioni di massima sulle quali le Sezioni d’appello non potrebbero mai avere modo di pronunciarsi, creando zone franche dal sindacato di nomofilachia contabile in relazione a questioni giuridiche sulle quali codeste Ecc.me Sezioni riunite non potrebbero mai pronunciarsi. Si pensi a tutta la materia dei provvedimenti cautelari (e alla nota questione dell’ammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c. finalizzato a prevenire ed anticipare la produzione del danno erariale sulla quale sono maturati orientamenti divergenti nell’ambito della Sezione Campania – C. conti, sez. giur. Campania, ord. 7 marzo 2016, n 63, http://www.corteconti.it/stampa_media/comunicati_stampa/archivio_2016/dettaglio.html?resourceType=/_documenti/archivio_comunicati_stampa/2016/elem_0017.html, la quale, manifestando una posizione negatrice, si è conformata alla giurisprudenza delle Sezioni unite e riunite ivi richiamata, mentre in sede di reclamo il collegio, pur pervenendo al rigetto dell’azione cautelare ingiuntivo-propulsiva, ha, invece, confermato la precedente tesi estensiva ribaltata dall’ordinanza n. 63, senza tuttavia superare le argomentazioni giuridiche ostative espresse dal Giudice della fase monocratica, rilevanti peraltro anche a fini disciplinari in considerazione degli orientamenti consolidati del Consiglio superiore della magistratura, occupatosi in numerose occasioni dei provvedimenti cautelari atipici concessi in carenza di base normativa).

Anche sulla questione specifica posta dai ricorsi in epigrafe (ammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei processi pensionistici) non potrebbero mai pronunciarsi le Sezioni d’appello, rendendo impossibili preziose statuizioni nomofilattiche che risolvano anticipatamente problematiche giuridiche di rilevante importanza, evitando che emergano orientamenti eterogenei tra le Sezioni territoriali e persino all’interno delle stesse Sezioni, con disorientamento del cittadino, parte debole del rapporto pensionistico e non dotato di competenze tecniche specifiche, in un processo che può egli stesso incardinare personalmente senza patrocinio legale, le cui regole dovrebbero essere chiare, certe, univoche e prevedibili.

La tesi che richiede necessariamente l’esistenza di un contrasto di tipo orizzontale tra le Sezioni d’appello per sollevare le questioni di massima è stata sempre (e anche di recente) smentita proprio dalle Sezioni riunite che hanno, per converso, seguito un orientamento aperto allargando l’area potenzialmente suscettibile di sindacato nomofilattico contabile, ferma restando una valutazione rigorosa sull’ammissibilità delle questioni poste avente ad oggetto la natura “di massima” delle stesse (C. conti, sez. riun., 22 settembre 2016, n. 22/2016/QM, secondo la quale “deve ritenersi ammissibile il deferimento alle Sezioni riunite della Corte dei conti da parte delle Sezioni giurisdizionali regionali della soluzione di questioni di massima di “particolare rilevanza”, intendendosi per tali quelle che investono problematiche giuridiche di particolare importanza ed obiettiva complessità ed aventi rilevanza generale in quanto suscettibili di diffusa applicazione”).

Del resto una tesi orientata verso l’abrogazione per incompatibilità impedirebbe ai Giudici che operano a più immediato e diretto contatto con il cittadino ed il territorio di intercettare problematiche interpretative meritevoli di una rapida risoluzione da parte delle Sezioni riunite, onde assicurare che l’obiettivo dell’uniforme osservanza del diritto non venga raggiunto dopo anni, come ragionevolmente potrebbe accadere in un sistema in cui uniche legittimate fossero esclusivamente le Sezioni d’appello.

Il processo giusto di ragionevole durata (art. 111 Cost. e 4 c.g.c.), nella menzionata prospettiva complessiva di sistema di giustizia contabile, dovrebbe, dunque, essere valutato anche con riguardo alla nomofilachia.

Tali limiti e lacune del Codice, nella fattispecie specifica, potrebbero far sorgere un fumus di incostituzionalità per svariate ragioni (art. 2, 3, 24, 38, 111, 117 Cost. – art. 1, I prot. CEDU).

Tuttavia, secondo consolidata giurisprudenza costituzionale, il Giudice, prima di sollevare questione di legittimità costituzionale, è tenuto, ove possibile, a ricercare ed identificare una strada ermeneutica che renda la normativa compatibile con il quadro costituzionale vigente.

Tra le strade praticabili, percorribili anche in base alle citate disposizioni del Codice di giustizia contabile, vi sono:

1) l’affermazione della perdurante vigenza dell’art. 1, comma 7, d.l. 15 novembre 1993, n. 453, alla luce del “diritto vivente” emergente dai principi posti dalle Sezioni riunite (sez. riun., 22 settembre 2016, n. 22/2016/QM);

2) un’interpretazione dell’art. 11, comma 3, c.g.c. non escludente che consenta alle Sezioni riunite di ammettere, attraverso una valutazione preliminare rigorosa sulla “particolare importanza”, preminenti questioni di massima provenienti dalle Sezioni regionali, soprattutto nelle ipotesi in cui le Sezioni d’appello non avrebbero modo di pronunciarsi (come accade nei procedimenti cautelari ed ingiuntivi rimessi alla competenza esclusiva delle Sezioni territoriali); ciò per evitare la criticità (che il sistema sinora vigente ha sempre scongiurato) che la nomofilachia intervenga tardivamente, in contrasto con gli obiettivi della ragionevole durata, onde consentire ai destinatari delle regole (i cittadini che chiedano a questa Corte la prestazione del servizio di giustizia contabile) di orientare le proprie scelte, senza che, per risolvere la “babele normativa e giurisprudenziale” creata, le Sezioni riunite non possano essere chiamate ad esercitare le proprie preziosissime funzioni se non attraverso una richiesta delle sole Sezioni d’appello e sempre che sussista un contrasto giurisprudenziale (scelta manifestamente irragionevole nella descritta prospettiva complessiva e di sistema del “processo nomofilattico” di ragionevole durata effettivo e tempestivo).

3) un’interpretazione del combinato disposto degli art. 11, comma 3, e 114 c.g.c. che consenta alle Sezioni territoriali di rivolgersi anche al Presidente della Corte dei conti affinché attivi, ove dovesse effettivamente ritenere le questioni di massima poste particolarmente importanti, il proprio potere speciale di deferimento alle Sezioni riunite, in tal modo svolgendo, nella sostanza, una preziosissima centrale funzione di filtro.

Gli organi centrali di vertice potrebbero, in tal modo, aprire, attraverso le Sezioni regionali, un dialogo costruttivo con le comunità territoriali realizzando un’innovativa “sussidiarietà verticale giurisdizionale”.

Non avendo la Sezione territoriale il potere di risolvere una questione affermando un’interpretazione forte e stabile, il “livello giurisdizionale superiore di vertice istituzionale” potrebbe immediatamente entrare nel dialogo con la comunità locale (che ha rivolto la richiesta del “servizio giustizia”) esercitando i propri poteri di nomofilachia, onde fornire una risposta immediata di giustizia su questioni importanti potenzialmente controverse.

Seguendo gli indirizzi prospettati si attuerebbe una “ragionevole durata processuale della nomofilachia” alla stregua del sistema complessivo di giustizia contabile (con riguardo a questioni sollevabili anche dalle Sezioni d’appello, ma in tempi più lunghi), oppure del “necessario esercizio nomofilattico” che non avrebbe modo di spiegarsi altrimenti (in relazione a questioni, quale è quella posta dalla fattispecie concreta, che non potrebbero mai essere sollevate ed intercettate dalle Sezioni d’appello).

Per tali ragioni si ritiene costituzionalmente necessario rivolgere tale richiesta, oltre che alle Sezioni riunite, anche a S.E. il Presidente della Corte dei conti, onde consentire ogni valutazione in merito all’attivazione dei propri poteri di deferimento delle questioni di massima poste alle Sezioni riunite ex art. 11, comma 3, e 114, comma 3, c.g.c., considerando che esse sono “particolarmente importanti” sia perché potenzialmente idonee ad investire un numero amplissimo di cittadini (si pensi che solo in Umbria sono stati proposti numerosi ricorsi tra cui quelli in epigrafe che questo Giudice ha ritenuto di riunire per evidenti esigenze di semplificazione, efficientismo processuale e ragionevole durata delle risposte di giustizia al cittadino), sia perché investono tematiche di tipo sistematico e di natura generale afferenti i rimedi giuridici esperibili nell’ambito dei giudizi pensionistici per assicurare ai cittadini pensionati una tutela giurisdizionale piena, effettiva e concentrata, in un processo giusto e di ragionevole durata, costituzionalmente e convenzionalmente orientato, che il Codice attribuisce a questa Corte.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Umbria, previa riunione dei ricorsi ex art. 84 c.g.c. ai fini della pronuncia nomofilattica, sospesa ogni ulteriore pronuncia ex art. 106 c.g.c., rimette, per le ragioni espresse in motivazione, alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale, le seguenti questioni di massima:

se, giusta combinato disposto degli art. 1, comma 2, 2, 3, 4 e 7, comma 2, c.g.c., sia ammissibile esperire il ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei giudizi pensionistici di competenza della Corte dei conti”;

se, ove le Ecc.me Sezioni riunite dovessero ritenere il rimedio ammissibile, possano applicarsi le norme di cui all’art. 633 e ss. c.p.c. nei limiti della compatibilità con il rito pensionistico disciplinato dal Codice di giustizia contabile”;

se, ove le Ecc.me Sezioni riunite dovessero decidere per l’inammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo nell’ambito dei giudizi pensionistici, la declaratoria di inammissibilità consenta al ricorrente di riproporre il ricorso nelle forme ordinarie secondo i principi generali del Codice di procedura civile posti dall’art. 640 c.p.c. e dalla menzionata giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione”.

Sottomette la presente ordinanza alle valutazioni del Presidente della Corte dei conti ai fini dell’esercizio dei poteri di cui agli art. 11, comma 3, e 114 c.g.c.

Manda alla Segreteria della Sezione, perché trasmetta alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale, la presente ordinanza unitamente ai fascicoli d’ufficio, provvedendo a tutti gli adempimenti di competenza necessari.

La predetta Segreteria comunicherà, altresì, la presente ordinanza alla Segreteria del Presidente della Corte dei conti.

Così deciso in Perugia il 15 febbraio 2017.

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