venerdì, Novembre 22, 2024
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Problematiche afferenti al danno non patrimoniale

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“Problematiche afferenti al danno non patrimoniale”*

di Fulvio Maria Longavita, Consigliere Corte dei conti

 

Sommario: §-1) Premessa: le problematiche dell’art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78/2009 e s.m.i.; §-2) L’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione esclusiva sul danno all’ immagine; §-3) Il danno all’immagine della P.A. ed i delitti di cui a Capo I del Tit. II del libro II cp – i “reati speciali contro l’amministrazione militare” ed i delitti contro la P.A. assorbiti nei reati comuni più gravi. §-4) Segue: i reati comuni, in ipotesi di mancata deduzione dell’eccezione di nullità, ex art. 17, comma 30-ter; §-5) Problematiche applicative minori: a) la specifica ipotesi del danno all’immagine di cui all’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 150/2009; b) la “sentenza anche non definitiva”, quale limite alla retroattività della regola della nullità degli atti della Procura; c) il criterio di quantificazione del danno all’immagine di cui all’art. 1, comma 62 della l. n. 190/2012.

  • -1) Premessa: le problematiche dell’art. 17, comma 30-ter del d.l. n.78/2009 e s.m.i.

Il tema da trattare investe le problematiche proprie del “danno all’immagine della P.A.”, nelle quali si esauriscono le ipotesi di danno non patrimoniale giuscontabilmente rilevanti.

Senza soffermarmi sugli aspetti generali del danno in discorso, proverò a soffermarmi essenzialmente sulle criticità applicative delle disposizioni del c.d. “Lodo Bernardo”, che – come noto – hanno innovato l’assetto dogmatico-giurisprudenziale del danno stesso.

L’art. 17, comma 30-ter (d.l. n. 78/2009 e s.m.i.) costituisce un riconoscimento normativo della figura pretoria del danno all’immagine della P.A., anche se con una conformazione molto diversa da come elaborato dalla giurisprudenza ultraventennale della Corte dei conti  e della Corte di Cassazione [1].

Le prime e più rilevanti problematiche, di ordine costituzionale, poste dall’art. 17, comma 30-ter sono state risolte dal Giudice delle Leggi con la nota sent. n. 355/2010, nella quale sono stati affermati principi di grande rilievo, ribaditi in successive pronunce di inammissibilità e di manifesta infondatezza per analoghe questioni[2].

La Corte costituzionale è stata interessata da quasi tutte le Sezioni della Corte dei conti, essenzialmente, per le limitazioni che le disposizioni del precitato art. 17, comma 30-ter hanno recato all’esercizio dell’ “azione per il risarcimento del danno all’immagine”, sia alle “procure della Corte dei conti”, consentendola “nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della l. 27/3/2001, n. 97”, e sia alla Amministrazione danneggiata, per eventuali iniziative innanzi al Giudice ordinario[3].

La Corte costituzionale ha ritenuto legittime le sospettate norme, e le limitazioni al diritto risarcitorio ivi previste, affermando che:

  1. a) il danno all’immagine è configurabile solo quando si realizza un delitto contro la P.A. (ex capo I del titolo II del libro II del codice penale), mentre “la formulazione della disposizione [impugnata] non consente di ritenere che, in presenza di fattispecie distinte da quelle espressamente contemplate, la domanda di risarcimento del danno […] possa essere proposta innanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei conti” (v. paragrafo 6 della sent. n. 355/2010), così da escludere “forme di concorrenza di altre giurisdizioni, in relazione a fattispecie diverse da quelle contemplate dalla norma stessa” (v. paragrafo 12), atteso che –si è soggiunto – “il legislatore non ha inteso attribuire la cognizione di talune fattispecie di responsabilità amministrativa ad una diversa autorità giudiziaria” (v. paragrafo 17);
  2. b) il legislatore “non ha inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, [ma ha inteso] circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale [oltre che] processuale, chiedere il risarcimento del danno” in discorso (v. ancora paragrafo 6 e paragrafo 17);
  3. c) rientra nella discrezionalità del legislatore conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa “con il solo limite della non manifesta irragionevolezza ed arbitrarietà della scelta”, che nel caso non è stato superato (v. paragrafi 9 e 16), in relazione ai beni-valori tutelati, rinvenibili in quelli di cui all’art. 97 Cost., così che il “danno derivante dalla lesione del diritto all’immagine della P.A. [va] identificato nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa [P.A.] ha di sé, in conformità al modello delineato dal [citato] art. 97” (v. paragrafo 13); tanto, anche in relazione alle disposizioni dell’art. 54 Cost., che – come noto – impongono ai “cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche il dovere di adempierle con disciplina ed onore” (v. ancora paragrafo 13);
  4. d) non vi è neanche violazione dell’art. 24 Cost., sotto il profilo di una eventuale limitazione del diritto della P.A. di agire in giudizio a tutela dei propri diritti ed interessi, atteso che “la garanzia apprestata dall’art. 24 Cost. opera attribuendo la tutela processuale delle situazioni giuridiche soggettive nei termini in cui queste risultano riconosciute dal legislatore”, così che, “una volta ritenuta esente da vizi di costituzionalità la configurazione ricevuta [dal diritto risarcitorio del danno all’immagine della P.A.] non è ravvisabile alcun vulnus alle conseguenti modalità di tutela processuale” (v. paragrafo 14);
  5. e) il danno all’immagine della P.A. costituisce un “danno non patrimoniale”, da rapportare all’art. 2059 cc, nel contesto del sistema “bipolare” di cui alla sent. n. 26972/2008 delle SS.UU. della Cassazione, laddove “il riferimento, contenuto nella giurisprudenza della Corte dei conti, alla patrimonialità del danno stesso –in ragione della spesa necessaria per il ripristino dell’immagine dell’ente pubblico – deve essere inteso come attinente alla quantificazione monetaria del pregiudizio subito e non alla individuazione della [sua] natura giuridica” (v. paragrafo 13).

 

La sentenza n. 355/2010 della Corte Costituzionale, accettata con distacco dalla magistratura contabile e con qualche critica da una parte della dottrina[4], è coeva alla sent. n. 1-QM/2011 delle SS.RR. della Corte dei conti[5].

Con tale ultima sentenza, le Sezioni Riunite della Corte dei conti hanno ribadito i principi affermati con la precedente sent. n. 10-QM/2003 delle medesime SS.RR., riaffermando la natura patrimoniale del danno all’immagine della P.A., da responsabilità contrattuale (ex art. 1218), nonostante gli arresti delle SS. UU. della Cassazione di cui alla sent. n.26972/2008, con i quali è stata superata l’autonoma rilevanza del “danno esistenziale” (ricondotto nella più ampia categoria del danno non patrimoniale) e la storica dicotomia “danno evento – danno conseguenza” [6].

La data di adozione (17/11/2010) delle due sentenze (Corte Costituzionale e SS.RR. della Corte di conti) non ha consentito ai collegi di conoscerne i rispettivi contenuti, così da esprimere valutazioni in parte diverse sul danno all’immagine della P.A.

 

Probabilmente anche per tale ragione è venuto a formarsi, subito dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 78/2009, un quadro interpretativo dell’art. 17, comma 30-ter poco chiaro, caratterizzato da orientamenti dissonanti su aspetti normativi non secondari.

I contrasti più significativi si sono avuti sulla individuazione dei reati ai quali collegare la realizzazione del danno all’immagine della P.A. e sull’affermazione, in concreto, della giurisdizione esclusiva della Corte dei conti sulle relative controversie.

Problematiche di minore importanza, invece, hanno riguardato:

  1. a) la delimitazione concettuale della “sentenza irrevocabile di condanna”, che consente di azionare il diritto risarcitorio per lesione dell’immagine pubblica (ex comma 1 dell’art. 7 della l. 97/200, richiamato dall’art. 17 comma 30-ter);
  2. b) l’individuazione concettuale della “sentenza non definitiva”, quale limite temporale di applicazione delle nuove disposizione alle fattispecie di danno all’immagine verificatesi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 78/2009;
  3. c) la determinazione dei criteri di quantificazione del danno in discorso, in relazione anche alle disposizione dell’art. art. 1, comma 62, della legge 190/2012.

Un rilievo di primissimo piano, infine, assume l’esatto inquadramento della “sentenza irrevocabile di condanna” per un delitto contro la P.A., nel contesto dell’illecito da danno all’immagine (ex art. 7 della l. n. 97/2001).

Anche su tale aspetto, manca una concordanza di vedute.

Anticipando ciò che verrà detto nel paragrafo 4), si ricorda che la giurisprudenza è divisa in proposito tra chi ritiene che la “sentenza irrevocabile di condanna” per un delitto contro la P.A. costituisca una condizione di “procedibilità” (o di “promovibilità”) dell’azione risarcitoria e chi, invece, ritiene che si tratti di uno elemento strutturale dell’illecito amministrativo-contabile

Sul piano normativo, l’art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78/2009, si limita semplicemente a stabilire che, in mancanza della cennata sentenza, “qualunque atto istruttorio o processuale […] è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse”.

 

 

  • -2) L’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione esclusiva sul danno all’immagine.

Le considerazioni espresse dalla Corte Costituzionale con la ricordata sentenza n. 355/2010 depongono sicuramente per la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti sulle controversie da danno all’immagine della P.A., laddove sottolineano che la “formulazione” dell’artt. 17, comma 30-ter, non consente di “ritenere che, in presenza di fattispecie distinte da quelle espressamente contemplate, la domanda di risarcimento del danno […] possa essere proposta innanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei conti” (v. paragrafo 6 della sent. n. 355/2010), così da escludere “forme di concorrenza di altre giurisdizioni, in relazione a fattispecie diverse da quelle contemplate dalla norma stessa” (v. paragrafo 12)[7].

La Corte costituzionale, in tal senso, ha anche precisato che: “il legislatore non ha inteso attribuire la cognizione di talune fattispecie di responsabilità amministrativa ad una diversa autorità giudiziaria” (v. paragrafo 17).

In relazione a ciò, ben può dirsi che l’art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78/2009, oltre ad essere norma conformativa del diritto risarcitorio da danno all’immagine della P.A, è anche norma attributiva di giurisdizione esclusiva alla Corte dei conti, in quanto riferita alle sole “Procure della Corte” stessa (v. l’incipit dell’art. 17, comma 30-ter).

Le Sezioni Unite della Cassazione civile hanno aderito agli arresti della Corte Costituzionale.

Con la sent. 5756/2012, infatti, hanno ripetutamente ed espressamente dichiarato di condividere le considerazioni della Corte Costituzionale “di cui alla sentenza n. 355/2010, secondo la quale, per il danno all’immagine di cui al più volte citato art. 17, comma 30-ter, sono escluse forme di concorrenza di altre giurisdizioni, in relazione a fattispecie identiche o diverse da quelle contemplate dalla norma stessa” (v. paragrafo 7.2 e, in senso del tutto identico, il successivo paragrafo 10.1).

L’intestazione in via esclusiva della giurisdizione alla Corte dei conti sulle controversie risarcitorie da danno all’immagine della P.A., del resto, processualmente appare anche l’unica soluzione compatibile con la regola della nullità degli atti “istruttori e processuali” delle controversie instaurate per danni del genere e non correlate ai delitti contro la P.A, ex capo I del titolo II del libro II c.p.

E’ da escludere, infatti, che una simile eccezione di nullità possa essere dedotta innanzi al Giudice ordinario per gli atti processuali posti in essere innanzi al medesimo Giudice dalla danneggiata P.A., atteso che il principio di “tassatività delle nullità processuali” (ex art.156 cpc) non consente di estendere al giudizio civile la cause di nullità espressamente previste per il solo giudizio risarcitorio erariale.

La riconosciuta natura esclusiva della giurisdizione della Corte dei conti sulle controversie per danno all’immagine della P.A., peraltro, segna – almeno per tali controversie – il superamento dell’orientamento della Corte Costituzionale di cui alla sent. n. 773/1988, sul potere del giudice penale di conoscere anche la pretesa risarcitoria della P.A., costituitasi parte civile, per i danni da reato.

In quella circostanza, la Corte costituzionale aveva avuto modo di precisare che l’affermato carattere concorrente (c.d. “doppio binario”) delle due azioni risarcitorie (erariale ed ordinaria) era maturato nell’ottica di non privare “l’Amministrazione di fondamentali facoltà processuali spettanti alla parte civile” ed “il giudice (penale) del potere di acquisire elementi rilevanti ai fini della determinazione della pena”, in un contesto di sospensione necessaria del giudizio di responsabilità amministrativa, imposta dalla allora operante pregiudiziale penale, prevista dall’art. 3 del codice di procedura penale del 1930, così da non porre “l’Amministrazione medesima in una condizione ingiustificatamente deteriore, rispetto a quella di ogni altro soggetto”.

Nel contesto delle nuove regole sul danno all’immagine della P.A. del 2009, invece, la Corte Costituzionale ha negato la perdurante vigenza di una siffatta concorrenza di azioni e, dunque anche la possibilità dell’Amministrazione medesima di agire in sede penale, mediante la costituzione di parte civile (v. paragrafo 14 della sent. n. 355/2010).

 

L’esperienza lavorativa, maturata dopo l’entrata in vigore delle predette nuove regole, tuttavia, mostra che non sono infrequenti i casi di pronunce sul danno all’immagine della P.A. da parte del Giudice civile (v. Tribunale di Verona – Sez. Lav. sent. n. 225/2015) e/o penale (v. GIP di Perugia sent. n. 359/2011, confermata dalla Corte d’Appello di Perugia con sent. n. 923/2012 e da Cass. Pen. Sez. IV con sent. n. 41389/2013).

D’altronde, la Cassazione, Sezione III Pen. sent. n. 5481/2014, ha anche negato che i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sent. 355/2010 siano valsi ad escludere la giurisdizione concorrente del giudice ordinario per l’azione risarcitoria da danno all’immagine della P.A.; danno che – è stato puntualizzato – continuerebbe ad avere natura “patrimoniale”, originerebbe da una responsabilità di tipo “contrattuale” e si correlerebbe anche ai “reati comuni”[8].

In realtà, come è stato opportunamente notato[9], gli arresti della citata sentenza n. 5481/2014 non dovrebbero avere grande importanza per il tema della responsabilità erariale da danno all’immagine della P.A., in quanto si riferiscono alla diversa ipotesi della responsabilità civile da danno all’ immagine della P.A. provocato da terzi e non dai dipendenti pubblici.

All’opposto, è stata considerata degna di maggiore attenzione, per il tema del danno all’immagine della P.A. conseguente agli illeciti dei dipendenti pubblici, la sentenza della Cassazione Sez. II^ Pen. n. 14605/2014, che sostanzialmente ha aderito ai principi affermati dalla Corte costituzionale con la sent. n. 355/2010[10]. Trattasi oltretutto, si è soggiunto, di sentenza che ha anche risolto i problemi di coordinamento delle disposizioni dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 con quelle (apparentemente diverse, in punto di reati ai quali collegare il danno stesso) dell’art. 1, comma 62, della l. n. 190/2012, affermando che il danno all’immagine della P.A. si collega comunque ai soli delitti contro la P.A., ex capo I del titolo II del libro II c.p. [11].

 

Non è il caso di addentrarsi nell’analisi teorico-dommatica della questione, dato l’indirizzo eminentemente pratico-operativo dell’odierno incontro, e tuttavia va segnalato che anche la sent. n. 14605/2014 appena citata è stata resa su una controversia risarcitoria di danno all’immagine della P.A. da condotta illecita di un dipendente pubblico, azionata mediante costituzione di parte civile, definita nel merito da un giudice diverso dalla Corte dei conti.

Nel concreto assetto applicativo delle regole del 2009 sul danno all’immagine della P.A., dunque, l’affermata giurisdizione esclusiva della Corte dei conti stenta a realizzarsi.

 

Di qui alcuni motivi di riflessione su due aspetti di una certa importanza, correlati alle due possibili soluzioni della vocatio in ius innanzi ad un giudice diverso dalla Corte dei conti, costituite dalla eventuale declinatoria della giurisdizione sulla controversia e, all’opposto, dalla eventuale definizione nel merito della controversia stessa.

Nella prima ipotesi (declinatoria di giurisdizione), è evidente che la concreta tutela risarcitoria del danno all’ immagine della P.A. risente negativamente anche delle difficoltà di praticare la translatio (ex art. 59 della l. n. 49/2009) nei giudizi innanzi alla Corte dei conti.

In tali giudizi è, infatti, presente il P.M. contabile, in luogo dell’Amministrazione danneggiata, che è invece parte nel giudizio risarcitorio ordinario, nel quale manca la Procura erariale[12].

Nella seconda ipotesi (definizione nel merito della controversia), invece, la inapplicabilità al giudizio ordinario della regola sulla “nullità degli atti istruttori e processuali”, prevista solo per l’azione esercitata dalle “Procure della Corte dei conti” (ex art. 17, comma30-ter), comporta che l’adito Giudice si pronunci sempre e comunque nel merito della causa, anche in ipotesi di fattispecie dannosa da lesione dell’immagine pubblica non suffragata da un delitto contro la P.A.

Ricorrendo tale ultima ipotesi (danno all’immagine slegato da un delitto contro la P.A.), peraltro, le soluzioni di merito possono diversificarsi tra loro, in base all’orientamento concretamente seguito dal giudice adito.

Se il giudice adito aderisse all’orientamento espresso dalla Cassazione Penale con la sentenza della Sezione III sent. n. 5481/2014, dovrebbe allora pervenire alla condanna del convenuto, sempreché riscontri la sussistenza di tutti gli altri elementi costituitivi della pretesa risarcitoria, diversi dalla sentenza di condanna penale per un delitto contro la P.A.

Se, invece, il giudice adito aderisse all’orientamento espresso dalla Cassazione Penale con la sentenza della Sezione II sent. n. 14605/2014, invece, dovrebbe allora pervenire all’assoluzione del convenuto anche, semplicemente, per la mancanza della predetta sentenza.

E’ peraltro evidente che ognuna di tali soluzioni, pur nella radicale diversità dei loro contenuti, è comunque disarmonica rispetto a quella che si potrebbe delineare nel giudizio di responsabilità erariale, per la contestazione di un danno all’immagine della P.A. non suffragato da un delitto contro la P.A. medesima.

In tale giudizio, infatti, la regola della “nullità degli atti istruttori e processuali della Procura”, con onere di eccezione a carico dell’interessato, comporta che:

  1. a) in presenza di tale eccezione, gli atti della Procura siano dichiarati nulli;
  2. b) in assenza dell’eccezione stessa, invece, la Corte dei conti deve valutare il merito, con possibile condanna del convenuto, anche in assenza di delitto contro la P.A. (v. paragrafo 4).

 

Le segnalate dissonanze impongono un coordinamento di fondo tra la magistratura ordinaria e quella contabile sui temi introdotti dalle disposizioni dell’art. 17, comma 30-ter.

In questa ottica, appare anzitutto necessario pervenire alla più ampia convergenza delle due magistrature sui principi attinenti alla giurisdizione, affermati dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 355/2010.

In secondo luogo, sempre a fini di coordinamento, è necessario assicurare con sempre maggiore puntualità, il rispetto dei doveri di comunicazione delle sentenze penali di condanna e di informazione dell’esercizio dell’azione penale (ex art. 129 disp. att. cpp), previsti dall’art. 7 della l. n. 97/2001.

L’osservanza di tali doveri, peraltro, presuppone che si realizzi tra le due magistrature un idem sentire sui profili più importanti del danno all’immagine della P.A. e, quindi :

  1. sulla identificazione concettuale della “sentenza irrevocabile di condanna”, ex art. 7 della l. n 97/2001;
  2. sulla individuazione dei reati ai quali correlare il danno stesso, ex art. 17, comma 30-ter.

Sul primo punto, è da ricordare che la giurisprudenza della Corte dei conti è ormai consolidata nel ritenere che anche le sentenze che definiscono il giudizio con “applicazione della pena su richiesta” vadano ricomprese tra le “sentenze irrevocabili di condanna”[13].

A fronte dell’applicazione concordata della pena, del resto, il giudice non può decidere “sulla domanda di costituzione di parte civile” (v. art. 444, comma 2 cpp).

Anche le sentenze di “patteggiamento”, pertanto, vanno comunicate alle competenti procure regionali della Corte dei conti, per l’esercizio del diritto risarcitorio da lesione dell’immagine della P.A.

Sul secondo aspetto, attinente alla individuazione dei reati ai quali correlare il danno all’immagine della P.A., invece, si dirà meglio nel paragrafo che segue.

 

 

  • -3) Il danno all’immagine della P.A. ed i delitti di cui a Capo I del Tit. II del libro II cp. – I “reati speciali contro l’amministrazione militare” – I delitti contro la P.A. assorbiti nei reati comuni più gravi.

L’individuazione dei reati ai quali correlare il danno all’immagine della P.A. ha costituito uno degli aspetti di maggior divaricazione della magistratura contabile nell’applicazione delle disposizioni dell’art. 17, comma 30-ter.

In termini descrittivi e generali, può dirsi che si sono venuti a creare, nell’ambito della Corte dei conti, due orientamenti: uno, restrittivo, che ha individuato simili reati nei soli delitti contro la P.A., ex capo I del titolo II del libro II c.p.; l’altro, ampliativo, che ha invece allargato il numero dei reati in questione, comprendendovi anche alcune figure di reati “comuni”, valorizzando il richiamo all’art. 129 delle norme di attuazione cpp, di cui all’art. 7 della l. n. 97/2001.

I termini del problema sono ben rappresentati nella sent. n.8-QM/2015, con cui le SS.RR. della Corte dei conti hanno composto il contrasto giurisprudenziale, alla quale si rinvia per una migliore comprensione delle tematiche affrontate, oltre che per le sue ricche ed articolate argomentazioni.

Con la richiamata sentenza, le SS.RR. hanno affermato il seguente principio di diritto:

“l’art. 17, comma 30-ter, va inteso nel senso che le Procure della Corte dei conti possono esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine solo per i delitti di cui al Capo I del Titolo II del libro II del codice penale”.

Il riferito principio di diritto, che peraltro offre spazi di ulteriori riflessioni sulla configurabilità del danno all’immagine della P.A. anche per il solo tentativo (ex art. 56 c.p.) di commettere uno dei delitti contro la P.A. di cui al capo I del titolo II del libro II° c.p. [14], va sicuramente condiviso, ma necessita di almeno due approfondimenti.

Il primo, riguarda i criteri interpretativi seguiti dalle SS.RR. per giungere ad esso.

Le SS.RR. hanno precisato in proposito che, “senza voler disquisire sulla differenza tra interpretazione analogica ed estensiva”, sono pervenute “all’ermeneusi delle norme in rassegna […] secondo criteri di stretta interpretazione, ai sensi dell’art. 14 della preleggi, [in base al] significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse e alla intenzione del legislatore”.

Il secondo approfondimento, invece, costituisce una sub specificazione del primo ed attiene proprio all’individuazione dell’ “intenzione del legislatore”, sottesa alle disposizioni dell’art. 17, comma 30-ter, la cui corretta identificazione certamente consente di meglio comprendere la portata delle disposizioni stesse, favorendone anche l’ “esatta osservanza” e, quindi, l’ “uniforme applicazione”, ex art. 65 R.D. n°12/1941.

A tale ultimo proposito, è da dire che le disposizioni dell’art. 17, comma 30-ter, sono intervenute per porre un limite all’azione risarcitoria erariale, conformandone l’esercizio sulla base di elementi di maggior concretezza ed attendibilità del danno (“le Procure della Corte dei conti possono…”), e ciò anche in base ai principi affermati in proposito dalla Corte Costituzionale (v. sentenze n. 104 del 1989, 100 del 1995, 209 del 1994 e 337 del 2005), come ben evidenziato dalle SS.RR. con la sent. n. 12-QM/2011.

In questo intervento di tendenziale oggettivizzazione delle iniziative della Procura erariale, il danno all’immagine della P.A. è stato ancorato alla realizzazione di uno dei “delitti contro la pubblica amministrazione”, ex capo I, titolo II del libro II cp.

Trattasi, con ogni evidenza, di un intervento di per sé corretto e che, tuttavia, può sconfinare nella irrazionalità, se interpretato in senso ingiustificatamente riduttivo dei poteri della Procura, tali da non consentire più la tutela di quei beni valori che l’intervento legislativo stesso non ha mai pensato di mettere in discussione.

In questa ottica, e con specifico riferimento al danno all’immagine della P.A., le valutazioni sui limiti dell’attività della Procura vanno condotte in base ai beni-valori che l’azione erariale intende tutelare e la cui lesione produce il danno in discorso, come concordemente riconosciuto dalla Corte costituzionale (ex sent. n. 355/2010) e dalle SS.RR. (ex sent. n. 8-QM/2015), che hanno individuato tali beni-valori in quelli declinati dall’art. 97 Cost.

Peraltro, la realizzazione in concreto dei predetti valori dipende dal modo di esercizio delle funzioni pubbliche.

In questa ottica, il Costituente ha correlato ai beni valori declinati dall’art. 97 Cost. il fondamentale dovere, per “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche […] di adempierle con disciplina ed onore”, ex art. 54, comma 2, Cost.

La riferita previsione normativa dell’art. 54 Cost. è ricca di significato, anche per il suo inquadramento sistematico nell’ambito della Carta Costituzionale.

L’art. 54 Cost., infatti, chiude l’elenco delle norme che riconoscono e dichiarano i diritti fondamentali dei cittadini, quasi a sottolineare che il riconoscimento dei diritti stessi – che, nella loro effettività, implicano necessariamente l’azione dell’Amministrazione – ha senso solo se le funzioni pubbliche vengano “adempiute con disciplina ed onore”.

Da questo punto di vista, è evidentissimo lo stretto e biunivoco collegamento che si crea tra l’art. 97 e l’art. 54 Cost. e, tramite quest’ultimo articolo, con gli articoli precedenti, fino ai “principi fondamentali” della Repubblica.

Alla stregua di tale biunivoco collegamento, sembra davvero eccessivo pensare che l’ “intenzione” limitativa del legislatore del 2009 consenta di enucleare il danno all’immagine solo quando il delitto contro la P.A. resti nell’ambito del capo I del titolo II del libro II cp e non anche quando un delitto del genere, sebbene ugualmente commesso, si compenetri nella struttura di un reato di maggiore consistenza per condotta incriminata, disvalore ed allarme sociale, e muti la sua collocazione sistematica nell’ambito del codice penale.

Nel quadro dei valori costituzionali e secondo l’id quod plerumque accidit, infatti, è ragionevole ritenere, che anche i reati “comuni”, commessi dai dipendenti pubblici in spregio del fondamentale dovere di “disciplina ed onore”, procurino discredito alla P.A., se implicano la realizzazione anche di un delitto del capo I del titolo II del libro II cp.

La Corte Costituzionale, forse, ha dedicato poco spazio al collegamento biunivoco che intercorre tra il dovere di “adempiere le funzioni pubbliche con disciplina ed onore” e la realizzazione in concreto del buon andamento e dell’imparzialità della P.A. (v. paragrafo 16 della sent. n. 355/2010), e tuttavia è da considerare che l’idea di non accordare rilevanza al danno all’immagine anche in presenza di un delitto contro la P.A. che si inserisca nella struttura di un diverso reato, nella sostanza delle cose equivale a subordinare il danno stesso all’ulteriore requisito dell’autonoma punibilità del delitto contro la P.A.

Trattasi, all’evidenza, di un requisito aggiuntivo, non espressamente previsto dal legislatore, che comprime eccessivamente il potere d’azione della Procura erariale, rispetto ai beni valori declinati dagli artt. 97 e 54 Cost., così da accreditare nuovi e ben più consistenti dubbi di giustificatezza e ragionevolezza, rispetto a quelli scrutinati dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 355/2010.

Alla stregua delle riferite considerazioni, non è fuor di luogo auspicare una rimeditazione delle conclusioni delle Sezioni Riunite[15] che:

  1. con riferimento ai criteri interpretativi seguiti nella sent. n.8-QM/2015 (interpretazione estensiva, analogica, ecc.), ricomprenda tra i reati che suffragano il danno all’immagine della P.A. anche quelli speciali contro l’amministrazione militare” (ex artt. 215 e ss. c.p.m.p.);
  2. con riferimento all’ “ermeneusi” dell’art. 17, comma 30-ter, basata sulla “intenzione del legislatore”, ricomprenda tra i delitti contro la P.A. anche quelli del capo I del titolo II del libro II cp “assorbiti” in reati più gravi.

Sotto il primo profilo, vale considerare che i reati del capo I del titolo IV del libro II del c.p.m.p (“peculato e malversazione militare”), sono caratterizzati da una intrinseca ed oggettiva consistenza di offensività dell’immagine pubblica analoga alle omologhe figure di reato previste dal codice penale, delle quali ne condividono anche il nomen iuris.

Sotto il secondo profilo (rimeditazione della soluzione negativa per i delitti contro la P.A. assorbiti in reati comuni più gravi), invece, va ribadito che l’ “autonoma punibilità” del delitto contro la P.A. non è un requisito per la configurazione del danno all’immagine, espressamente previsto dall’art. 17, comma 30-ter. E ciò assume un valore particolare proprio per l’ “abuso d’ufficio” che, per le sue intrinseche caratteristiche, enunciate dallo stesso art. 323 cp (“salvo che il fatto costituisca un più grave reato…”), favorisce la commissione di reati di maggiore gravità, in vario modo combinandosi con gli elementi specifici di tali più gravi reati.

La Cassazione, dal canto suo, ha offerto conducenti chiarimenti sulla figura dell’abuso d’ufficio, anche con riferimento al “danno ingiusto” che caratterizza il reato stesso, precisando che: “in tema di abuso di ufficio, realizza l’evento del danno ingiusto ogni comportamento, espressione della volontà prevaricatrice del pubblico funzionario, che determini un’aggressione ingiusta alla sfera della personalità, per come tutelata dai principi costituzionali” (cfr. Cass. Sez. V Pen. n. 32023/2014).

Nella giurisprudenza di merito della Corte dei conti, inoltre, non sono mancate pronunce –precedenti al recente intervento nomofilattico del 2015 delle Sezioni Riunite – che, in ipotesi di “reato complesso” (ex art. 84 cp), nel quale era presente anche l’ “abuso”, hanno ritenuto di poter “assorbire” il reato comune in quello contro la P.A., con la precisazione che: “ se dal sistema gius-penale, ispirato al principio del favor rei, si passa a quello gius-contabile, ispirato alla preminente esigenza erariale di tutela dei beni-valori pubblici, gli assetti funzionali e teleologici dell’assorbimento mutano direzione, e l’illecito più grave – nel quale assorbire gli altri – non è più la violenza sessuale (ex art. 609-bis cp), ma l’ abuso d’ufficio, quale reato base dei delitti contro la Pubblica Amministrazione (ex capo I, tit. II del libro secondo del codice penale), ai quali (delitti) rapportare il danno all’immagine, ex art. 17, comma 30-ter del d.l. n°78 e s. i. e m.” [16].

Anche la dottrina, seguendo con interesse il dibattito giurisprudenziale maturato nella Corte dei conti che ha condotto alla più volte richiamata sent. 8-QM/2015, si è mostrata sensibile ad una apertura del danno all’immagine della P.A. ai reati diversi da quelli previsti nel capo I del titolo II del libro II cp, seppur con argomentazioni non propriamente collimanti con quelle esposte finora[17].

 

  • -4) Segue: i reati comuni, in ipotesi di mancata deduzione dell’eccezione di nullità, ex art. 17, comma 30-ter

Una trattazione a sé merita, nel contesto della condotta alla quale si correla il danno all’immagine della P.A., il problema della mancata deduzione della nullità, nei casi in cui la Procura erariale abbia promosso l’azione in assenza di un delitto contro la P.A., ex art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009.

La giurisprudenza, invero, ha inquadrato in vario modo la sussistenza del “delitto contro la P.A.”, nell’ambito dell’azione erariale da danno all’immagine della P.A.

In alcune pronunce, la presenza di un tale delitto è stata considerata come “condizione di procedibilità dell’azione”[18], ovvero come “condizione di proponibilità dell’azione” stessa[19].

La Corte Costituzionale, invece, sembra averla considerata come un elemento strutturale dell’illecito[20].

Nel senso dell’elemento strutturale dell’illecito ha preso posizione nettissima anche la Sez. II Cass. Pen. con la sent. n. 14605/2014, con la quale ha respinto la pretesa risarcitoria proprio per la mancanza di un delitto contro la P.A al quale rapportare il danno all’immagine.

Analoga posizione sembra aver preso la sent. n.8-QM/2015 delle SS.RR., nella quale tuttavia tale aspetto non è stato approfondito.

Le disposizioni dell’art. 17, comma 30-ter del d.l. n.78/2009, ancorando il decorso della prescrizione quinquennale del diritto risarcitorio erariale “alla conclusione del procedimento penale”, potrebbero indurre a ritenere che effettivamente la sentenza irrevocabile di condanna per un delitto contro la P.A. sia un elemento strutturale dell’illecito amministrativo da danno all’immagine della P.A. stessa.

Senonchè, la mancanza di un simile delitto (e della relativa sentenza irrevocabile di condanna) è stata presa in considerazione espressamente dall’art. 17, comma 30-ter in termini puramente processuali, ossia come causa di nullità degli atti della Procura regionale, al pari della mancanza della “specifica e concreta notizia di danno”[21].

Il rilievo puramente processuale della mancanza della sentenza irrevocabile di condanna per un delitto contro la P.A., induce ad escludere che la sentenza stessa (ed il relativo reato) sia elemento costitutivo dell’illecito erariale da danno all’immagine della P.A.

L’assenza di tale sentenza, si ripete, è solo motivo di nullità degli atti istruttori e processuali della Procura e può, tramite la deduzione o meno di tale nullità, avere una incidenza davvero sorprendente sul concreto andamento del giudizio.

Se, infatti, l’eccezione di nullità degli atti della Procura regionale per mancanza della ripetuta sentenza irrevocabile di condanna non viene eccepita, è del tutto ovvio che il Giudice deve procedere all’esame della causa.

La giurisprudenza della Corte dei conti, infatti, ritiene che la nullità degli atti istruttori e processuale, ex art. 17, comma 30-ter, è soggetta alle regole generali del codice di procedura civile, anche per ciò che attiene alla sua non rilevabilità d’ufficio, ex artt. 157 cpc[22].

In quanto eccezione di parte in senso stretto, del resto, la prevalente giurisprudenza è anche contraria alla sua deducibilità per la prima volta in appello.

Una volta che la Sezione adita esamina il merito della causa, attinente ad una fattispecie risarcitoria da danno all’immagine priva di sentenza irrevocabile di condanna penale per delitto contro la P.A., il Collegio non può certo prosciogliere il convenuto semplicemente perché manca la sentenza penale stessa.

In concreto, è capitato – e dunque può capitare ancora – che le difese dei convenuti non abbiano dedotto l’eccezione di nullità, pur mancando nella fattispecie contestata dalla Procura la sentenza irrevocabile di condanna per un delitto contro la P.A.

In casi del genere, le Sezioni adite hanno esaminato nel merito la causa e, non considerando la sentenza irrevocabile di condanna requisito strutturale dell’illecito contabile, hanno condannato il convenuto, pervenendo all’accertamento del danno all’immagine indipendentemente dalla commissione di un delitto contro la P.A. [23].

La soluzione appare razionale e coerente con il sistema della responsabilità erariale nel suo complesso.

Se, infatti, si dovesse ritenere che la sentenza irrevocabile di condanna per un delitto contro la P.A. fosse un requisito strutturale dell’illecito per danno all’immagine della P.A medesima, allora si dovrebbe concludere che:

  1. in assenza di una siffatta sentenza, l’eventuale eccezione di nullità (ex art. 17, comma 30-ter), regolarmente dedotta, comporta la definizione in rito della causa, mediante –appunto – la declaratoria di nullità degli atti della Procura, senza che ciò comporti anche il riconoscimento del diritto al rimborso delle spese legali (ammesse solo per il “proscioglimento” nel merito), ex art. 2-bis della l. n. 639/2006 e s.m.i [24];
  2. al contrario, ferma restando la mancanza della sentenza penale di condanna per un delitto contro la P.A., la mancata deduzione della nullità degli atti della Procura porta ad esaminare il merito della controversia ed all’assoluzione del convenuto per mancanza di un elemento strutturale dell’illecito contabile (la sentenza penale stessa), con il non secondario effetto di riconoscere il diritto al rimborso delle spese legali, ex precitato art. dell’art. 3, comma 2-bis, della l. n. 639/1996.

Evidenti le conseguenze paradossali delle soluzioni ipotizzate.

Sembra, dunque, corretto ritenere che, in ipotesi di mancata eccezione della nullità per carenza della sentenza penale di condanna per un delitto contro la P.A., l’esame delle controversie sul danno all’immagine vada comunque condotto ed il merito venga deciso in base ai principi giurisprudenziali affermati prima dell’entrata in vigore dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 e s.m.i.

Tanto, anche con riferimento all’eventuale accertamento della prescrizione del vantato diritto risarcitorio, per il quale non potranno trovare applicazione le disposizioni dell’art. 17, comma 30-ter, che ancorano l’esordio della prescrizione “alla conclusione del procedimento penale”[25].

 

 

  • -5) Problematiche applicative minori: a) la specifica ipotesi del danno all’immagine di cui all’art. 69, comma 1, del d.lgs. n.150/2009; b) la “sentenza anche non definitiva”, quale limite alla retroattività della regola della nullità degli atti della Procura; b) il criterio di quantificazione del danno all’immagine di cui all’art. 1, comma 62 della l. n. 190/2012.

La nuova conformazione del danno all’immagine della P.A. ha comportato anche una serie di problematiche applicative di minore importanza, rispetto a quelle esaminate finora.

In tal senso, meritano un cenno le problematiche attinenti alla speciale ipotesi di danno all’immagine delineata dall’art. 1, comma 69 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, nonché quelle sulla esatta delimitazione dell’ambito concettuale della “sentenza non definitiva” (ex art. 17, comma 30-ter del d.l. n. 78/2009) e sulla quantificazione del danno all’immagine (ex art. 1, comma 62 della l. n. 190/2012).

 

  1. a) La prima delle riferite problematiche attiene, come detto, alle disposizioni dell’art. 1, comma 69, del d.lgs. n. 150/2009.

Le menzionate disposizioni hanno previsto due nuove figure di responsabilità erariale, correlate alla falsa attestazione della presenza in servizio del dipendente pubblico, ovvero alla falsa giustificazione della sua assenza dal servizio stesso.

Trattasi di fattispecie sanzionate con la restituzione della retribuzione percepita e con il danno all’immagine.

La prima (restituzione della retribuzione) costituisce una ipotesi di responsabilità erariale sanzionatoria in senso stretto[26]; la seconda (danno all’immagine), invece, rappresenta una fattispecie di responsabilità risarcitoria.

La disposizione, per la parte relativa al danno all’immagine, è stata inizialmente vista come una sorta di apertura normativa alla configurabilità del danno all’immagine anche per i “reati comuni”[27].

Superata questa prima fase giurisprudenziale, il suo corretto inquadramento storico-sistematico, è stato alquanto dibattuto.

Una parte della giurisprudenza, infatti, ha tentato di armonizzare la figura di illecito in discorso con le disposizioni del “Lodo Bernardo”, ed ha ritenuto che per il suo configurarsi sia necessario la condanna definitiva in sede penale per il reato di truffa[28].

Altra parte della giurisprudenza, al contrario, ha considerato la fattispecie di danno in argomento “una chiara specificazione di una particolare tipologia di danno all’immagine”[29], non correlata né ad un delitto contro la P.A., né ad una sentenza irrevocabile di condanna penale[30];

Altra parte ancora della giurisprudenza, infine, non ha accordato carattere innovativo al danno all’immagine previsto dall’art. 1, comma 69, del d.lgs. n.150/2009, ma meramente “confermativo” di un indirizzo consolidatosi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo stesso[31].

La dottrina che si è occupata del problema, si è espressa anch’essa per la “natura meramente ricognitiva della disposizione in parola”, ricordando – con richiami alla sent. n. 866/2005 della Sezione Giurisdizionale Regionale Veneto della Corte dei conti – come la giurisprudenza contabile avesse già ritenuto “punibile il vulnus recato all’immagine della P.A. a fronte di fenomeni di assenteismo ingiustificato”, cosi da accordare efficacia retroattiva alle disposizioni dell’art. 1, comma 69, del d.lgs. n.150/2009[32].

Le Sezioni Riunite della Corte dei conti, nella recente sentenza n. 8-QM/2015, hanno potuto dedicare poco spazio alla figura in rassegna, tenuto conto dell’ambito proprio della questione rimessa alla loro attenzione, ed hanno ritenuto che la stessa costituisca una “ipotesi speciale di danno all’immagine per la P.A.”, rispetto alla ipotesi generale di cui all’art. 17, comma 30-ter più volte richiamato, al pari della fattispecie –anch’essa speciale – di danno all’immagine, prevista dall’art. 46 del d.lgs. n. 33/2013.

In realtà, il carattere “speciale” delle predette fattispecie, esclude per esse l’applicazione delle limitazioni all’azione erariale di danno previste dall’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009 e s.m.i.

 

  1. b) La seconda delle cennate problematiche, attiene alla esatta delimitazione concettuale della “sentenza non definitiva”, quale limite applicativo alle nuove regole che conformano la figura generale del danno all’immagine della P.A.

Si ricorda, infatti, che ai sensi del citato art. 17, comma 30-ter, “qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di sui al [medesimo] comma […] è nullo, salvo che sia stata già pronunciata [dalla competente Sezione Regionale della Corte dei conti] sentenza anche non definitiva, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del [citato] decreto legge”.

La portata della riferita disposizione ha formato oggetto di approfondimenti, da parte delle SS.RR. della Corte dei conti, con la sent. 12-QM/2011.

L’organo nomofilattico ha precisato, in proposito, che la “sentenza non definitiva”, di cui al ripetuto art. 17, comma 30-ter, è quella “conforme al senso comune del termine, ed è perciò un provvedimento giudiziale a carattere e contenuto decisorio, secondo l’ordinaria disciplina del codice di rito” (v. paragrafo 5.3 della menzionata sent. n°12-QM/2011).

Senonchè, il giudice che aveva rimesso la questione di massima definita con la ripetuta sent. n. 12-QM/2011, ossia la Sezione Terza Centrale di Appello, ha avvertito qualche difficoltà nell’applicare il criterio indicato dalle SS.RR.

In particolare, secondo la Sezione Terza Centrale di Appello, il criterio indicato dalle SS.RR., “sebbene intrinsecamente corretto, non [era] tuttavia pienamente appagante per la soluzione dei numerosissimi e variegati casi concreti che la realtà processuale e la pratica giudiziale continuamente pongono”, atteso che, “a rigore, qualsiasi provvedimento giudiziale ha in sé un quid di decisorio, finanche nella soluzione delle questioni istruttorie, tipicamente oggetto di ordinanze, ovvero nella soluzione di questioni di mero governo del processo”[33].

Secondo la Sezione Terza Centrale d’Appello, “meglio risponde alle finalità della corretta verifica ed individuazione delle sentenze non definitive, ed alla risoluzione dei numerosi casi controversi che la pratica pone, il più specifico criterio elaborato dalla Suprema Corte che fa leva sull’attitudine della questione decisa a definire il giudizio”.

Alla stregua di tale (diverso) criterio, ha puntualizzato la Sezione III, “concettualmente si passa dal generico carattere decisorio della sentenza non definitiva, comune anche ad altri provvedimenti giudiziali, a quello più specifico e di maggiore utilità pratica del carattere definitorio della causa, proprio delle sole sentenze, definitive o non definitive che siano”.

In sostanza, nel rispetto del principio di diritto affermato dalle SS.RR. con la sent. n. 12-QM/2011, il “giudice a quo” ne ha semplicemente specificato la portata, valorizzando il carattere funzionale della sentenza, volto alla definizione di tutto o di parte del giudizio, più che l’aspetto meramente “decisorio” del suo contenuto[34].

Il riferito orientamento, ribadito in altre pronunce d’appello[35], è stato ripreso e seguito anche dalle Sezioni Territoriali della Corte dei conti[36] e costituisce, a tutt’oggi, il criterio in base al quale vengono risolte le problematiche attinente all’applicazione (retroattiva o meno) delle regole sul danno all’immagine di cui all’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n. 78/2009.

 

  1. C) La terza ed ultima delle ridette problematiche attiene all’applicazione dell’art. 1, comma 62, della l. n. 190/2012.

Anche in questo caso la giurisprudenza della Corte dei conti ha tentato di trarre argomento dalle disposizioni del citato art. 1, comma 62, per superare i limiti all’azione erariale di danno all’immagine della P.A. posti dal “Lodo Bernardo”[37]

Si è però subito chiarito che il legislatore, “usando l’espressione: reato contro la pubblica amministrazione, che figura nel ripetuto art. 1, comma 62, non ha inteso abrogare tacitamente l’espressione di cui al combinato disposto de gli artt. 17 l. n. 141/2009 e 7 l. n. 97/2001 (“delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel Capo I del Titolo II del  Libro Secondo del Codice penale”), poiché non aveva regolato ex novo” l’intera materia, […] ma ha inserito solo alcuni commi, relativi al quantum dovuto in caso di danno all’immagine”[38].

Superato tale aspetto, le problematiche insorte sulla norma hanno essenzialmente riguardato l’applicabilità retroattiva (o meno) del criterio di quantificazione del danno ivi previsto, basato sulla presunzione di corrispondenza del danno stesso al doppio del valore della “somma di danaro [ricevuta] o […] altra utilità illecitamente percepita” (ex art. 1, comma 62, della l. n. 190/2012).

La prevalente giurisprudenza ha ritenuto che tale criterio di quantificazione del danno valga solo per le fattispecie realizzatesi dopo l’entrata in vigore della l. n. 190/2012[39]

La soluzione, in sé esatta, non ha tuttavia particolari conseguenze pratiche, tenuto conto:

  1. a) del valore “relativo” (e non assoluto) della presunzione prevista dall’art. 1, comma 62, della l. n.190/2012;
  2. b) del fatto che la giurisprudenza, già prima del 2012, aveva annoverato, tra i criteri di quantificazione del danno all’immagine (ex art. 1226 cc) anche quello dell’ammontare dell’illecita dazione di danaro o altra utilità[40].

Un’attenzione maggiore, invece, merita l’altro aspetto, attinente anch’esso all’applicabilità del criterio in discorso, della natura della “utilità illecitamente percepita”.

E’ stato evidenziato, infatti, che il criterio di quantificazione del danno, basato sul valore del bene illecitamente percepito, è inapplicabile “nei casi […] in cui l’utilitas esprima fondamentalmente la violazione dei valori essenziali della dignità umana”, come quello in cui l’utilitas stessa è costituita da prestazioni sessuali estorte dal dipendente pubblico con abuso d’ufficio [41].

La natura dell’utilitas, dunque, può costituire essa stessa un “limite intrinseco della norma”[42].

 

Un ulteriore limite operativo del cennato criterio di quantificazione del danno all’immagine della P.A. può individuarsi nelle fattispecie di tentativo di illecito contro la P.A., ex capo I del titolo II del libro II c.p.

Anche in ipotesi di tentativo dei predetti illeciti, infatti, la giurisprudenza ammette il configurarsi del danno all’immagine[43].

In casi del genere, tuttavia, il riferimento alla “somma di danaro […] o di altra utilità percepita”, (ex art. 1, comma 62, della l. n. 190/2012), quale base di determinazione presuntiva del danno stesso, può non essere praticabile, almeno nei casi in cui la condotta criminosa si arresti ad una fase anteriore alla dazione (ed alla corrispondente percezione) della predetta “somma di danaro […] o altra utilità”.

 

Estratto dall’art. 17 del d.l. n. 78/2009, convertito in l. n. 102/2009, modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c) *del d.l. n. 103/2009, convertito in l. n. 141/2009

 

30-ter. Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (145). A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale (146). Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta. (131) (147) (148)

 

 

==== oo0oo ===

 

(131) Comma inserito dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102 e così modificato dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), D.L. 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 ottobre 2009, n. 141.

(145) La Corte costituzionale, con sentenza 01 – 15 dicembre 2010, n. 355 (Gazz. Uff. 22 dicembre 2010, n. 51, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, periodi secondo, terzo e quarto, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

(146) La Corte costituzionale, con sentenza 01 – 15 dicembre 2010, n. 355 (Gazz. Uff. 22 dicembre 2010, n. 51, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, periodi secondo, terzo e quarto, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

(147) La Corte costituzionale, con sentenza 01 – 15 dicembre 2010, n. 355 (Gazz. Uff. 22 dicembre 2010, n. 51, 1ª Serie speciale), ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, periodi secondo, terzo e quarto, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. La stessa Corte con ordinanza 04 – 21 luglio 2011, n. 219 (Gazz. Uff. 27 luglio 2011, n. 32, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera c), numero 1, del decreto-legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 2009, n. 141, sollevata in riferimento agli articoli 3, 97 e 111 della Costituzione. La Corte costituzionale, con altra ordinanza 04 – 21 luglio 2011, n. 220 (Gazz. Uff. 27 luglio 2011, n. 32, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 103 della Costituzione. La Corte costituzionale, con ordinanza 04 – 21 luglio 2011, n. 221 (Gazz. Uff. 27 luglio 2011, n. 32, 1ª Serie speciale), ha ancora dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 30-ter, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, sollevata in riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione.

(148) La Corte costituzionale, con ordinanza 17 – 28 ottobre 2011, n. 286 (Gazz. Uff. 2 novembre 2011, n. 46, 1ª Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 30-ter, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 97 della Costituzione.

 

 

*Estratto dall’incontro di studio “Esercizio della giurisdizione e responsabilità contabile”, Corte conti – Edificio Montezemolo – Aula Franco Turina, 5-6 ottobre 2015, Roma.

 

 

[1] Le prime pronunce della Corte dei conti sono state di netta chiusura verso il danno all’immagine e, soprattutto, verso la possibilità di intravedere una qualche espansione della giurisdizione della Corte stessa sui possibili “danni non patrimoniali” della P.A., ex art. 2059 cc.

Si collocano in questo primo periodo la sentenza sella Sez. Giur. Regione Sicilia n°1416/1985, le sentenze della Sezione I^ Cont. n°52 e n°91 del 1987 e la sentenza della Sez. II^ cont. n°99 del 1987.

Con la prima delle citate sentenze, in particolare, è stato dichiarato “non risarcibile”, in quanto “danno di natura non patrimoniale”, non suscettibile di valutazione economica, “il pregiudizio subito dall’Amministrazione a seguito della violazione del principio di buon andamento, previsto dall’art. 97 cost.”.

Con le altre sentenze, e segnatamente con l’ultima, invece si è escluso, con ancor più specifico riferimento al danno all’immagine, “il risarcimento del danno morale per il discredito subito dall’Amministrazione”.

Il punto più alto del riferito orientamento negativo è rappresentato dalla sentenza n°580-A del 1988 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, con la quale si è praticamente posto fine ad ogni ulteriore tentativo, per gli anni “80, di recuperare alla responsabilità erariale le ipotesi di danno in questione.

Il quadro sintetico della pronuncia è espresso dalla massima della sentenza in questione, riportata nella rivista della Corte dei conti, nella quale si precisa che : “il danno erariale deve intendersi come nocumento patrimoniale effettivo subito dalla P.A. e, pertanto, poiché la cognizione del giudice contabile afferisce alle sole ipotesi di danno patrimoniale, deve negarsi la giurisdizione della Corte dei conti a conoscere del cosiddetto danno morale consequenziale al reato, ex artt. 2059 cc e art. 185 cp, in quanto trattasi di lesione a posizione soggettiva pubblica non patrimoniale” (v. volume IV, 1988, pag. 61)

 

Un passo in avanti verso la enucleazione di beni-valori nuovi, autonomamente valutabili e definibili come oggetto di tutela erariale, invece, è stato segnato dalla sentenza n°195/1990 della Sezione Giurisdizionale II^ Cont., relativa ad ipotesi di danni alle FF.SS. conseguente a dei furti di merce, oggetto di spedizione a mezzo ferrovia, posti in essere dai dipendenti delle FF.SS. medesime.

In tale sentenza, distinguendo e separando il “danno morale” dalla “lesione all’attendibilità commerciale delle FF.SS.”, i giudici contabili hanno ribadito la carenza di giurisdizione della Corte dei conti sul primo, ma hanno affermato l’astratta idoneità della seconda ad incardinare il potere cognitorio e decisorio della Corte medesima, posto che l’ “attendibilità commerciale, al pari dell’avviamento aziendale, concretandosi nella qualificata idoneità dell’impresa a produrre reddito, è certamente un bene patrimonialmente valutabile”.

In concreto, però, la Sezione non è giunta ad alcuna pronuncia innovativa, ritenendo che “il disdoro “, che discende dagli illeciti sanzionati dal giudice penale, “non può che ricadere [solo] su coloro che se ne sono resi autori, senza alcuna possibilità di identificazione o di commistione con l’Ente di appartenenza”.

Evidente il limite della sentenza, agevolmente individuabile nel fatto di aver completamente separato l’azione dei dipendenti pubblici, che operano nell’esercizio delle loro incombenze istituzionali, dai fini pubblici ai quali l’azione stessa è funzionalizzata, così da appiattirla ai livelli di un qualsivoglia altro agire “privato”, quasi come se colui il quale ha agito fosse totalmente estraneo all’Amministrazione pubblica ed il suo agire non fosse l’agire dell’Amministrazione stessa, in base al principio di immedesimazione organica che porta a ritenere propria dell’ente l’azione del suo dipendente .

 

I tempi, tuttavia, stavano sempre più maturando e così, con tre pronunce del 1994, pressoché coeve, la magistratura contabile ha dato la decisiva “spallata” al riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti sul danno all’immagine della P.A.

Le prime due, di contenuto quasi identico (estensore è lo stesso giudice), sono state rese nel marzo del 1994 dalla Sezione I^ Giurisdizionale Contabile (sent. n°55/1994) e dalla Sezione Giurisdizionale Reg. Lombardia (sent. n°31/1994) ; la terza, che poggia su argomentazioni differenti da quelle delle prime due, invece, è stata resa nell’aprile del 1994 dalla Sezione II^ Giurisdizionale Contabile (sent. n°114/1994) .

In particolare, le prime due, hanno affermato la giurisdizione della Corte dei conti sul danno all’immagine della P.A., quale “danno morale”, in quanto, “a seguito delle innovazioni normative contenute nella l. n°142/1990 e nei dd.ll. n°143, 232 e 359 del 1993 che hanno dato una disciplina uniforme a rilevanti aspetti della responsabilità, prima disciplinati in maniera difforme per talune categorie di amministratori e dipendenti pubblici, deve riconoscersi ad essa [Corte] la natura di giudice generale ordinario nella materia della responsabilità amministrativa e contabile, con le sole eccezioni previste dall’ordinamento positivo, come ad esempio l’art. 18 della l. n°349/1986 in tema di danno ambientale…”.

Evidente il limite delle riferite sentenze, costituito dal fatto di continuare ad inquadrare nell’ambito del “danno morale”, ex all’art. 185 c.p. (ontologicamente diverso dal danno patrimoniale, in quanto semplice pretium doloris) il danno all’immagine della P.A., ossia il danno ad uno dei “beni” fondamentali della P.A., suscettibile, sul piano patrimoniale, se non altro di valutazione economica.

 

La soluzione offerta dalle sentenze appena menzionate è risultata inappagante a buona parte della magistratura contabile.

E’ in questo periodo, quello cioè che va dal 1994 al 1997 (primo intervento della Corte Regolatrice in materia di danno all’immagine della PA), che, probabilmente, la Corte dei conti si è trovata nel maggior disagio nel conciliare l’affermata natura non patrimoniale del danno all’immagine con la sua giurisdizione sulle relative controversie di responsabilità, imperniata sulla diminuzione patrimoniale dei beni erariali.

Da un lato, infatti, si hanno delle pronunce che, seppur sporadiche ed isolate, comunque declinano ancora la giurisdizione della Corte dei conti in materia di danno all’immagine ed al prestigio della P.A., per la natura non patrimoniale del “danno morale” (v. Sez. Giur. Reg. Puglia n°69/1995), dall’altro lato, però, si ha il proliferare di pronunce che affermano, nella stessa materia, la giurisdizione della Corte dei conti, salvo poi ad argomentare sulla giurisdizione medesima nella maniera più disparata e con profili asseverativi non sempre condivisibili, né meritevoli di attenzione. Anzi, uno degli aspetti su cui si è registrato subito un notevole contrasto giurisprudenziale è stato quello sulla necessità che, per affermare la giurisdizione della Corte dei conti, concorresse insieme al danno all’immagine anche un danno patrimoniale in senso stretto. La questione è stata portata alla cognizione delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, che con la sentenza n°16-QM/1999, hanno escluso la necessaria concorrenza del danno all’immagine con il “danno a bene patrimoniale”.

 

L’intervento delle SS. UU. della Cassazione del 1997-1999 hanno contribuito a chiarire la vera natura del danno all’immagine della P.A. come danno patrimoniale, a responsabilità contrattuale, ex art. 1218 cc.

Tra le sentenze pronunciate dalla Suprema Corte, quelle che meglio hanno contribuito a chiarire la natura del danno all’immagine della P.A sono state la n°05668/1997 (intervenuta sulla nota vicenda De Lorenzo-Poggiolini, a danno del Ministero della Sanità) e la n°744/1999 (intervenuta nella meno nota vicenda del danno all’immagine arrecato al Comune di Campi Bisenzio per la realizzazione di un ponte).

Con la prima le SS.UU. della Cassazione hanno avuto modo di precisare che il danno all’immagine della P.A., lungi dal configurarsi come pretium doloris, è un danno che, “se anche non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di una valutazione patrimoniale, sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso”.

Con la seconda, le SS.UU. hanno precisato che il danno all’immagine è “prodotto dalla medesima condotta degli amministratori e dipendenti comunali, nei confronti del medesimo ente territoriale ed in violazione degli stessi doveri di servizio”, concludendo nel senso di interpretare la domanda della Procura attrice “come diretta all’ accertamento di una responsabilità contrattuale”.

I principi affermati dalla Suprema Corte con le richiamate sentenze sono stati, poi, ribaditi e confermati da varie, ulteriori pronunce della Corte medesima (v., tra le altre, SS. UU. n°744/1999, n°17078/2003, n°14990/2005, n°20886/2006 e n°8098/2007).

 

La sentenza delle SS.RR. della Corte dei conti n°10-QM/2003, anche sulla scorta degli interventi della Suprema Corte appena menzionati, ha poi avuto modo di rapportare il danno all’immagine della P.A. nell’ambito del “danno evento”, inquadrandolo nel “danno esistenziale”, connotato di patrimonialità, in ragione della sua rapportabilità alla “spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso”, ex SS.UU. Cass. n°05668/1997 e n°744/1999.

 

Su tali basi è andata consolidandosi la giurisprudenza della Corte dei conti, almeno fino alla sentenza delle SS.UU. della Cassazione n. 26972/2008, che ha eliminato la figura del “danno evento”, nella sua contrapposizione dommatico-giurisprudenziale al “danno conseguenza” ed ha escluso l’autonoma rilevanza del “danno esistenziale” rispetto alla più generale figura del “danno non patrimoniale”, nel quale ultimo va ricompreso.

 

I disallineamenti giurisprudenziali insorti nell’ambito della magistratura contabile, sulla scorta di tale sentenza della Cassazione, sono stati composti dalle SS.RR. con la sent. n.1-QM/2011, di cui al testo della relazione.

 

[2] V. Corte cost. ordinanze nn. 219, 220 e 221/2011, nonché ord. n. 286/2011.

 

[3] Si ricorda che l’art. 7 della legge n. 97 del 2001, ai fini della delimitazione dell’ambito applicativo dell’azione risarcitoria, fa riferimento alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate nei confronti dei dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale.

L’articolo dispone che tali sentenze sono comunicate al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro 30 gg. l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato, con la precisazione che “resta salvo quanto disposto dall’art. 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie al c.p.p, approvate con decreto legislativo 28/7/1989, n.271”.

 

[4] V. F.M. Longavita: “Un contributo al chiarimento del danno all’immagine della P.A.: riflessione a margine della sent. n.355/2010 della Corte Cost., Riv. Corte dei conti 2010, volume VI, pag. 279.

 

[5] Si ricorda che la sent. n. 355 della Corte Costituzionale è stata adottata, previa udienza del 16/11/2010, nella camera di consiglio del 17 novembre 2010, ossia lo stesso giorno della discussione della questione di massima innanzi alle SS.RR. della Corte dei conti, ed è stata depositata il 15/12/2010 con pubblicazione sulla G.U. il successivo 22 dicembre.

La sent. n.1-QM, adottata – come detto – a seguito dell’udienza del 17/11/2010 (e relativa camera di consiglio di pari data), è stata depositata il 18/1/2011.

 

[6] La sent. n. 1-QM/2011, in sostanza, ha dichiarato inammissibile la questione di massima, sulla scorta dei delle puntualizzazioni offerte dalla Sezione Terza Centrale di Appello con la sent. n. 143/2009, condivise dalle altre sezioni di Appello della medesima (Sez. App. per la Regione siciliana, n. 103/2010, Sez. II centr. app., n. 106/2008 e Id n. 294/2009, nonché Sez. I centr. app. n. 494/2009) sull’autonomia del figura del danno all’immagine della P.A. giuscontabilmente rilevante, rispetto a quello di diritto comune, proprio dei privati.

 

[7] V. in termini anche Corte conti SS.RR. sent. n.8-QM/2015.

[8] Per ragioni di completezza vale riportare per esteso il testo della sent. n. 5481/2014.

<<Va detto che al quesito sulla configurabilità in astratto del danno all’immagine, nei confronti dalla P.A., provocato dall’azione di un terzo, questa Corte in passato ha fornito una risposta positiva, affrontando il caso di un soggetto che con il proprio comportamento aveva leso il prestigio dell’Ente pubblico

omissis

Sulla questione occorre oggi fare i conti con l’articolato ragionamento che ha offerto la Corte Costituzionale con la sentenza n. 355/10 al fine di rigettare le censure di illegittimità costituzionale sollevate nei confronti delle numerose questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate da varie sezioni giurisdizionali della Corte dei conti con riferimento alla norma di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 17, comma 30 ter, conv. con L. n. 102 del 2009, e succ. mod. (il c.d. “Lodo Bernardo”, dal nome del parlamentare proponente), ai sensi del quale “Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 7”.

L’art. 7 richiamato dispone a sua volta che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’art. 129 disp. att., di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271”.

Nella pronunzia ricordata la Corte Costituzionale si preoccupava di precisare che l’art. 17, comma 30 ter, cit., ha lo scopo di “… circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa”; la norma, cioè, secondo il Giudice delle leggi deve essere interpretata “… nel senso che, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste di responsabilità per danni all’immagine dell’ente pubblico di appartenenza, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria”.

Dunque, secondo il dictum della Corte Costituzionale, soltanto nelle ipotesi in cui ricorrano taluni, specifici reati posti in essere dal pubblico dipendente (peculato, concussione, corruzione, etc.) sarebbe in astratto ipotizzabile una concorrente lesione dell’immagine pubblica; in tutti gli altri casi non sarebbe ammissibile, in radice, alcuna tutela dell’immagine pubblica. E, secondo una prima, restrittiva, interpretazione sembrerebbe escludere la configurabilità del danno all’immagine nei confronti della P.A. al di là delle ipotesi in cui vi è la giurisdizione della Corte dei Conti, ossia quando si tratti di un’azione posta in essere da un pubblico dipendente.

Tale scelta legislativa di limitare i rei e la tipologia dei reati ritenuti rilevanti ai fini del danno all’immagine è stata giudicata, dalla Consulta, non contrastante con i principi della Carta fondamentale, ma anzi è stato ritenuto possibile “… ricondurre anche la norma ora in esame, limitativa della particolare forma di responsabilità per i danni da lesione dell’immagine della pubblica amministrazione, all’alveo dei meccanismi, previsti con il citato decreto-legge, aventi lo scopo di introdurre nell’ordinamento misure dirette al superamento della attuale crisi in cui versa il Paese”. Il legislatore, dunque, ha ammesso la proposizione dell’azione risarcitoria per danni all’immagine dell’ente pubblico da parte della procura operante presso il giudice contabile soltanto in presenza di un fatto di reato ascrivibile alla categoria di “delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione; ciò per effetto del richiamo di cui all’articolo sette della L. n. 97 del 2001, che fa espresso riferimento ai delitti previsti dal capo primo del titolo secondo del libro secondo del codice penale.

Non pare, peraltro, esservi alcun dubbio che la domanda di risarcimento del danno per la compromissione dell’immagine dell’amministrazione possa essere proposta anche dinanzi ad un organo giurisdizionale diverso dalla Corte dei Conti e al di fuori di un giudizio per responsabilità amministrativa ai sensi dell’articolo 103 della costituzione. Deve, in altri termini, optarsi per l’interpretazione secondo cui il legislatore non abbia inteso prevedere un maggiore ambito operativo alla giurisdizione contabile a discapito di un’altra giurisdizione, e segnatamente di quella ordinaria, ma soltanto circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine della amministrazione. Che si avrà solo in presenza di una lesione dell’immagine della stessa ascrivibile ad un suo dipendente. Come hanno correttamente rilevato numerose pronunce della Corte dei Conti, quella della Consulta è una sentenza di rigetto e pertanto – a differenza di quelle dichiarative di illegittimità costituzionale, che hanno invece efficacia erga omnes, sulla scorta dell’insegnamento di questa Corte (di cui è stata richiamata la pronuncia delle Sezioni Unite Penali n. 23016/2004) – vincolante (nemmeno in senso assoluto) solo per il giudice del procedimento nel quale la relativa questione è stata sollevata (in tal senso, tra tutte, Corte dei Conti, sez. giurisd. Toscana, n. 90 del 18.3.2011).

Negli altri procedimenti, invece, il giudice conserva il potere- dovere di interpretare in piena autonomia la norma denunciata, quindi anche eventualmente in difformità dall’interpretazione fatta propria dalla Corte Costituzionale, sempre che il risultato ermeneutico sia adeguato ai principi della nostra Carta fondamentale. Sulla sorta di tale principio in numerose pronunce si è optato per un’interpretazione dell’art. 17, comma 30 ter, diversa e più ampia rispetto alla sentenza costituzionale 355/2010, anche non presenza di un reato ascrivibile alla categoria dei “delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione”, cioè di uno dei delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale.

Il danno all’immagine della PA, sia esso perseguito dinanzi alla Corte dei Conti o davanti ad altra A.G., va configurato come danno patrimoniale da “perdita di immagine”, di tipo contrattuale, avente natura di danno-conseguenza (tale, comunque, da superare una soglia minima di pregiudizio) e la cui prova, secondo il costante orientamento di questa Corte in sede civile, può essere fornita anche per presunzioni e mediante il ricorso a nozioni di comune esperienza. Si tratta, in particolare, di danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica che, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di valutazione sotto il profilo della spesa necessaria al ripristino del bene giuridico leso.

Univocamente – e convincentemente – si è ritenuto sussistente il danno all’immagine della PA anche in presenza di reati comuni, sempre, tuttavia, posti in essere da appartenenti alla Pubblica Amministrazione stessa.

Non è questo, tuttavia, il caso che ci occupa, per cui l’impugnata sentenza va annullata senza rinvio limitatamente alla condanna degli imputati Rigotti, Refatti e Bortolotti al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della Agenzia delle Entrate.

 

[9] V. Corte conti SS.RR. n.8-QM/2015.

 

[10] V. ancora Corte conti SS.RR. n.8-QM/2015.

 

[11] V. ancora Corte conti SS.RR. n.8-QM/2015.

 

[12] Per un cenno ai problemi sulla translatio iudcii nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, cfr. C. De Angelis: “Rilevabilità d’ufficio in primo grado del difetto d giurisdizione e translatio iudicii”, in  www.contabilità-pubblica.it 22/11/2013.

 

[13] V., tra le tante, Sez. III Centr. App. n.850/2011 e n. 663/2014; Sez. II Centr. App. n.206/2011; Sez. App. Reg. Siciliana n.57/2015, nonché Sez. Reg. Lombardia n.49/2015, Sez. Campania n.204/2015, Sez. Marche n.8/2015

[14] Si richiama, in senso favorevole all’estensione del danno all’immagine anche al tentativo dei delitti in parola, Sez. I^ Centr. App. sent. n. 641/2014.

[15] V., quanto alla procedura di revisione degli orientamenti delle SS.RR. dopo l’entrata in vigore dell’art. 42, comma 2 (ultimo periodo), della l. n. 69/2009, Corte conti SS.RR. sent. n. 8-QM/2010.

 

[16] V. Sezione Giurisdizionale Umbria sent. n. 2/2013. In senso contrario v. Sezione Giurisdizionale Regionale Friuli Venezia Giulia n. 47/2012.

 

[17] Cfr. A. Bonofiglio : “Il danno all’immagine ed i fatti della Diaz. Breve considerazioni”, in www.contabilita-pubblica.it, 28/3/2013.

 

[18] V. tra le tante Corte conti Sezione Giur. Umbria sent. n. 78/2014 e Sez. III^ Centr. App. n. 426/2012.

 

[19] V. Cass. Civ. SS.UU. Sent. n. 5490/2014

 

[20] V. paragrafo 6 della sent. n.355/2010: “ Deve quindi ritenersi che il legislatore abbia inteso […]circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa”.

 

[21] La giurisprudenza che si è posta il problema, ha osservato che: “nel quadro delineato dalle Sezioni Riunite di questa Corte, la nullità degli atti istruttori e processuali della Procura per mancanza della sentenza irrevocabile di condanna, completa, relativamente al danno all’immagine della P.A., il sistema sanzionatorio generale di nullità introdotto dall’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n.78/2009, correlato al difetto di legittimazione passiva sostanziale del P.M. a svolgere le funzioni requirenti, conseguente alla mancanza di una specifica e concreta notizia di danno, [ex] paragrafo 3.1 della sent. 13-QM/2011 delle SS.RR. (v. Corte conti Sez. Giur. Umbria nn.124-125/2014).

 

[22] V. ancora SS.RR. n. 13-QM/2011, paragrafo 4.

 

[23] V. Corte dei conti Sezione Giur. Lazio n. 1600/2011, confermata dalla Sez. II Centr. app. sent. n. 26/2013, nonchè Sezione Giur. Toscana sent. n. 22/2015.

 

[24] V. SS.RR. n.13-QM/2011.

 

[25] E’ bene ricordare, però, che parte della giurisprudenza ha ritenuto di individuare nella regola della sospensione del decorso della prescrizione “fino alla conclusione del procedimento penale” (ex art. 17, comma 30-ter) una esplicitazione normativa del criterio interpretativo, affermatosi in via minoritaria, nella giurisprudenza della Corte dei conti prima dell’entrata in vigore dell’art. 17, comma 30-ter, del d.l. n.78/2009.

Per tal via, l’art. 17, comma 30-ter, avrebbe valore di norma interpretativa, nella parte in cui fissa la regola della “sospensione della prescrizione fino alla conclusione del procedimento penale” e troverebbe perciò applicazione retroattiva, anche per le fattispecie verificatesi prima del 2009 (v. Corte conti Sez. Giur. Reg. Umbria sent. n. 37/2014).

 

[26] V. Corte conti SS.RR. n.12-QM/2011.

 

[27] In dottrina v. P. Santoro: “Manuale di Contabilità e Finanza Pubblica”, pag. 230 e ss., Rimini 2015.

L’autore richiama tra le fattispecie di danno all’immagine “tipizzate” anche l’art. 46 del d.lgs. n. 33/2013, in materia di “trasparenza”; nonché in materia di false attestazioni, l’art. 10, comma 3, del d.l. n. 78/20110 e s.m.i. e l’art. 1, comma 12, della l. n. 190/2012, per culpa in vigilando del responsabile anticorruzione.

 

 

[28] V. Corte conti Sez. Giur. Trento n. 112/2012.

 

[29] V. Corte dei conti Sez. Giur. Molise sent. n. 73/2013.

 

[30] V. tra le tante, quanto alla ipotizabilità del danno all’immagine di cui all’art 1, comma 69, del d.lgs. n.150/2009 indipendentemente da una sentenza penale di condanna, Sez. Lazio Ord. n. 424/2009; Sez. Veneto sent. n.673/2009 e Sez. Valle D’Aosta sent. n. 2/2014.

 

[31] V. tra le tante Sez. Giur. Lombardia sent. n. 384/2012, Sez. Giur. Reg. Toscana sent. n.299/2013 e Id. sent. n.101/2014.

 

[32] V. L. D’Angelo : “Assenteismo fraudolento e danno all’immagine”, in Altalex, 2 maggio 2012.

[33] V. Corte conti Sez. III^ Centr. App., sent. n. 384/2012.

 

[34] Con la menzionata sentenza n. 384/2012, la Sezione Terza Centrale di Appello ha anche sottolineato che:

  1. “le questioni pregiudiziali, prese in considerazione dall’art. 279 cpc, sono solo quelle idonee, ove decise in un certo senso, a definire il giudizio”;
  2. “la chiave di lettura del medesimo art. 279 cpc […] è costituita proprio dall’espressione definisce il giudizio, che compare sia al n°2 del comma 2 del precitato art. 279 e sia al successivo n°4”;
  3. “l’interpretazione letterale e sistematica del ripetuto art. 279 cpc obbliga ad una lettura congiunta (e speculare) dei riferiti n°2 e n°4 così che la natura di sentenza non definitiva va riservata ai soli provvedimenti giudiziali che esprimono decisioni (profilo estrinseco del carattere decisorio del provvedimento) su questioni astrattamente idonee a definire il giudizio (profilo intrinseco del carattere decisorio del provvedimento stesso)”;
  4. “il baricentro del discrimine tra sentenze non definite e provvedimenti giudiziali di altro genere (istruttorio, ordinatorio, ecc.) si sposta dalla natura decisoria del provvedimento giudiziale in sé, all’idoneità [della questione] di volta in volta esaminate, a definire il giudizio”;
  5. con specifico riferimento alle decisioni di “rito”, che più possono ingenerare dubbi sul loro carattere di “sentenza non definitiva”, il giudice “deve porsi la domanda se la questione decisa sia astrattamente idonea o meno a definire il giudizio, riservando la qualifica di sentenze non definitiva, agli effetti che ne occupa, alle sole pronunce rese sulle prime, ossia sulle questioni che hanno attitudine a definire il giudizio”.

 

[35] V. Sezione Terza Centr. App. sent. n. 482/2012.

 

[36] V., tra le più recenti, Sez. Giur. Reg. Umbria n. 81/2015.

[38] V. Cass.Pen. Sez.II , sent. n. 4605/2014, richiamata da SS.RR. n. 8-QM/2015.

Si ricorda, inoltre, che la giurisprudenza ha anche escluso che le disposizioni dell’art. 1, comma 62 della l. n.190/2012 potessero legittimare la configurabilità del danno all’immagine per ireati dichiarati estinti per prescrizione (v. Sezione III Centr. App. Sent. n. 364/2013).

 

[39] V. Corte conti II^ Giur. Centr. App. n. 489/2013, nonché Sez. Giur. Reg. Lombardia n. 304/2013 e Sez. Giur. Reg. Siciliana sent. n. 317/2014.

 

[40] V. in termini Corte conti SS.RR. sent. n. 10-QM/2013, paragrafo 24).

 

[41] V. Corte conti Sez. Giur. Reg. Umbria n. 2/2013.

 

[42] V. ancora Sez. Umbria sent. n. 2/2013.

 

[43] V. Sez. I^ centr. App. sent. n. 641/2014.

* Il testo dell’art. 1, comma 1, lettera c) del d.l. n. 103/2009, convertito in l. n. 141/2009 è il seguente:

Art. 1, comma 1 : Al decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, sono apportate le seguenti modificazioni”:

 

Omissis

 

“c) all’articolo 17:

1) i primi tre periodi del comma 30-ter sono sostituiti dai seguenti: «Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale.»

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