di Salvatore Sfrecola
Si respirava un clima a tratti surreale ieri mattina nell’aula delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, nel grande palazzo di viale Mazzini, sede centrale della magistratura contabile, nel corso della cerimonia per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2024. Perché i presenti, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, i ministri Giorgetti, Nordio, Bernini, Schillaci e le altre personalità intervenute, tra cui il Presidente del Consiglio nazionale forense, Francesco Greco, ascoltavano il Presidente della Corte, Guido Carlino, ed il Procuratore Generale, Pio Silvestri, parlare del ruolo della magistratura “dei conti”, garante della legalità ed economicità dell’azione amministrativa, nello stesso tempo nel quale le Commissioni Bilancio e Affari costituzionali della Camera discutevano un emendamento al decreto “Milleproroghe” per escludere che possano rispondere per danno erariale coloro che lo abbiano provocato con “colpa grave”. L’iniziativa è di Fratelli d’Italia ma la stessa norma, che manda salvi disonesti e incapaci, responsabili di un aggravio dei bilanci pubblici con spese inutili (due esempi per tutti, l’acquisto delle mascherine farlocche e dei banchi a rotelle inutilizzate) l’avevano voluta i governi Conte e Draghi. Il che significa che è “la politica”, senza distinzioni di destra e sinistra, che trascura i diritti dei cittadini-contribuenti. Perché il denaro pubblico speso inutilmente proviene dalle tasche di chi regolarmente paga tasse e imposte. In misura talmente alta che il Presidente del Consiglio qualche mese fa, con espressione che ha destato scalpore, l’ha definita “pizzo di Stato”.
Le cose stanno in questi termini, senza ipocrisie. Perché nessuno può giustificare la riduzione delle garanzie per il cittadino in ragione di un presunto “timore della firma” che nessuno mai aveva evocato nei 162 anni di vita della Corte dei conti dello Stato unitario, nella convinzione che la responsabilità che veniva evocata nelle aule della Giustizia contabile fossero addebitabili, a volte, a negligenza o imprudenza o imperizia ma più spesso ad inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, espressione di una notoria incapacità del legislatore, ormai da decenni, di scrivere norme funzionali all’esigenza, in buon italiano. E pertanto benevolmente considerata dai giudici per escludere la condanna o per ridurrre l’addebito.
Che poi ci siano esigenze di messa a punto di alcuni aspetti del controllo e della giurisdizione contabile, che possano meglio consentire il perseguimento degli obiettivi di garanzia ieri evocati nella relazione del Presidente della Corte e negli interventi del Procuratore generale e del Presidente del Consiglio nazionale forense lo sanno tutti coloro che conoscono i problemi delle amministrazioni pubbliche, operatori e, a vario titolo, studiosi. Che di proposte ragionevoli e praticabili ne hanno fatte molte. Ma queste disponibilità non sono state finora raccolte da Governo e Parlamento che, così, si assumono grosse responsabilità politiche nei confronti dei cittadini i quali vogliono fortemente che “chi sbaglia paghi”.