di Luisa Motolese, Presidente della Sezione Giurisdizionale Marche della Corte dei Conti
L’ equità -dal latino aequitas – viene intesa genericamente come <<la giustizia che applica la legge non rigidamente; la giustizia temperata da umana ed indulgente considerazione dei casi particolari a cui la legge si deve applicare>>[1]. Più in particolare nel diritto internazionale, nei sistemi giuridici di common law ed anche nell’ ordinamento italiano l’equità è la giustizia del caso singolo, quella cioè che prevede da parte del giudice non l’applicazione di una legge vigente ma piuttosto la creazione di una nuova norma applicabile al caso concreto. In senso generalissimo, quindi, il termine è usato come sinonimo di giustizia, non in quanto sistema astratto ma in quanto norma seguita costantemente nel giudicare, nel governare ,nel trattare ognuno secondo i meriti e le colpe , con assoluta imparzialità.
Per comprendere ed interpretare il principio di equità bisogna risalire alle teorie etico-religiose che si sono succedute nel tempo[2].
La concezione più antica è quella che la giustizia ideale è quella che discende dalla volontà divina ed è intrinseca alla natura umana.
Per Irnerio[3]l’equità è il criterio da cui si origina la giustizia, quell’ ordine naturale universale innato in ogni uomo. Irnerio tentò, attraverso la scuola da lui fondata e diretta, di tradurre questa forma di aequitas in norme giuridiche compiute, per transitare così da valore morale a giustizia attiva.
Per il diritto romano l’equità è il fine ultimo della giustizia, l’uguaglianza che si va a realizzare nel processo e quindi eguaglianza delle parti nel processo.
All’ epoca di Giustiniano, l’imperatore – che è anche legislatore- deve ispirarsi a quei principi che sono una sorta di jus naturalis.
Per Aristotele -famoso il libro V della sua critica nicomachea dedicato alla giustizia- l’equità come tutte le altre virtù, non è innata nell’ uomo ma rappresenta un traguardo una conquista. Per Kant è un prodotto della ragione ed anche Raws, un filosofo contemporaneo, riprende la concezione kantiana di giustizia globale come equità individuando gli ostacoli che ne impediscono la realizzazione nelle disuguaglianze determinate dal sistema economico.
Da quanto sopra esposto risulta evidente che di equità si discute sin dall’ antichità con opinioni e risultati diversi, così come si discute del più generale problema della giustizia e dei suoi rapporti con l’equità medesima.
Certo che giustizia ed equità sono concetti inscindibili. Un comportamento non può essere al tempo stesso giusto ed iniquo ovvero equo ma ingiusto[4] .
Privilegiando un approccio di diritto positivo si procede ad evidenziare quelle che sono le funzioni molteplici dell’equità medesima come qualificate dalla dottrina. Si parla a questo proposito di equità interpretativa, correttiva, quantificativa, integrativa e sostitutiva.
L’art.1371 c.c, che chiude il capo IV del libro quarto delle obbligazioni dedicato all’ interpretazione del contratto, dispone che “<<qualora nonostante l’applicazione delle norme contenute in questo capo, il contratto rimanga oscuro, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso.”>>
Numerosi sono anche i casi qualificati dalla dottrina come fattispecie di equità correttiva. L’art.1384, per esempio, stabilisce che se l’obbligazione principale è stata in parte eseguita oppure se << l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo >> la penale può essere diminuita equamente dal giudice.
In materia di appalti non è infrequente che nel corso dell’opera si manifestino difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche od idriche che rendono più onerosa la prestazione dell’appaltatore ed in questi casi l’appaltatore ai sensi dell’art.1664, ultimo comma ha diritto ad un equo compenso a carico del committente.
In altre norme in tema di commissione (artt. 1749 e 1751), di mediazione (art. 1755), di lavoro (artt. 2009, 2110, 2111, 2118, 2120), il legislatore per facilitare il compito a coloro che devono prendere una decisione abbandona la tecnica della regola certa e determinata e si affida all’ equità del giudicante.
Altra fattispecie importante è la cd. equità quantificativa.
L’art. 1226 c.c. stabilisce che, in tema di inadempimento delle obbligazioni, se il danno non può essere determinato nel suo preciso ammontare è liquidato dal giudice con valutazione equitativa.
L’art. 2056 dopo aver stabilito i criteri di calcolo del danno emergente nella responsabilità extracontrattuale da atto illecito, nel comma secondo stabilisce che il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
Vi è poi la equità integrativa (art. 1374 c.c.) dove l’equità assume valore di fonte dell’obbligazione negoziale che va oltre quella voluta dalle parti.
Anche il codice di procedura civile conosce la dicotomia diritto ed equità configurando due ipotesi di equità sostitutiva. L’art. 113, comma secondo, c.p.c stabilisce che il giudice di pace per controversie di modico valore e per i contratti standard o di massa ex art.1342 c.c. decide secondo equità.
L’art. 114 c.c. dispone a sua volta che il giudice decide secondo equità quando le parti gli abbiano fatto concorde richiesta sempre che si tratti di diritti disponibili. Le sentenze pronunciate secondo equità sono inappellabili salva la possibilità di ricorso in Cassazione in caso di mancanza di motivazione od altri casi di analoga gravità. Merita una particolare attenzione l’art. 822 c.p.c. in materia di arbitrato disponendo che la controversia possa essere decisa dagli arbitri secondo equità.
E’ particolarmente applicata quando le parti appartengono a Stati diversi e quindi per tutta una serie di motivazioni quali la debolezza economica delle parti medesime, una troppo rigida interpretazione di norme che possa compromettere una proficua collaborazione d’affari che determinano l’attribuzione agli arbitri del potere di decidere pro bono et ex aequo in qualità di friendly composer ovvero amiables compositeur[5].
Quanto al giudice contabile l’ambito applicativo proprio è quello delineato dal 1226 c.c. La norma rinvia direttamente al 2056 ai fini del danno come danno emergente e lucro cessante come criteri per determinare la somma, mentre non definisce l’espressione valutazione equitativa del danno.
Forse in questo caso sarebbe più appropriato parlare di equità integrativa posto che il giudice contabile è chiamato ad integrare la fattispecie il cui pregiudizio è già dimostrato e dall’ altro che è difficoltoso se non impossibile determinare l’ammontare con precisione. Rappresenta quindi questo un procedimento teso a colmare le lacune nella determinazione dell’equivalente pecuniario.
Dall’esame delle sentenze in materia di responsabilità amministrativa può agevolmente rilevarsi come il giudicante liquida con chiarezza e sinteticità la quantificazione limitandosi a determinare equitativamente la somma contestata con formule di questo tipo: << ritiene il Collegio che la somma contestata possa essere alla stregua dei principi sopra menzionati- ridotta e quantificata in €… tenuto conto dell’esperienza di servizio complessivamente maturata dal convenuto, dei precedenti di servizio , del ruolo e della funzione svolti….>> ovvero ancora … << Circa la quantificazione del danno il Collegio rileva che la Procura ha effettuato una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., prendendo in considerazione, al riguardo, tutte le somme di denaro indebitamente percepite dai due convenuti (al fine di annullare i debiti di imposta analiticamente indicati nelle diverse “vicende” riportate nella relazione della Guardia di Finanza), così come risultanti dal procedimento penale per un ammontare complessivo pari ad euro …In proposito, questo Collegio in considerazione: della qualità di funzionario dell’Agenzia delle Entrate dei convenuti all’epoca dei fatti contestati, delle modalità con cui si è estrinsecato il comportamento posto in essere dai convenuti, del comportamento socialmente riprovevole di questi; della ripetitività degli episodi corruttivi; del notevole impatto negativo sullo stato d’animo e sui sentimenti sia dell’Amministrazione di appartenenza, sia dell’opinione pubblica; della notevole risonanza sugli organi di stampa, ritiene di poter aderire alla quantificazione del danno all’immagine proposta dal Requirente, stabilendo quindi lo stesso in complessivi euro …>>
Sia il requirente che il giudicante ricorrono alla valutazione equitativa sempre relativamente e solo per la quantificazione, sia nei casi -molto numerosi- di danno patrimoniale che di danno all’immagine (almeno fino alla novella del 2012) sia che si verta in tema di colpa grave che di dolo.[6]
Il nuovo codice di giustizia contabile d.lgs n. 174/2016 fa una menzione importante riguardo l’equità lì dove stabilisce all’art. 95, primo comma, che <<< nel decidere sulla causa il giudice pronuncia secondo diritto e, quando la legge lo consente, secondo equità e pone a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite>>>.
Sembrerebbe trattarsi di una fattispecie di equità c.d.decisoria ma a ben vedere quest’ ultima appare più una dichiarazione di principio che una potestà reale. Il ricorso a tale forma equitativa è possibile solo se la legge attribuisce in maniera specifica tale potere (come il caso dell’art. 113 c.c. già visto quando si verte su controversie di modico valore ovvero sono le parti a richiederlo e si verta su diritti disponibili). L’ambito applicativo giuscontabile dovrebbe pertanto non essere mutato – riservato alla determinazione del danno- tanto più che tutta la materia pensionistica e l’azione di danno erariale sono materie che si sottraggono alla disponibilità delle parti.[7]
Quando la legge o le parti decidono di attribuire al giudicante il potere di decidere secondo equità è perché si affidano alla esperienza, all’equilibrio, alla sensibilità, alla capacità di interpretare i fatti economici e politici con virtus et prudentia della persona prescelta.
Ovviamente anche nel giudizio d’ equità ci possono essere controindicazioni che inducono a preferire il giudizio secondo diritto. Per questi motivi alcuni autori ritengono che il diritto nonostante le diverse tesi della dottrina e le diverse correnti giurisprudenziali, assicura comunque un grado di oggettività, di prevedibilità e di certezza comunque maggiore rispetto all’ equità qualunque sia l’accezione che le si voglia attribuire[8].
Altra corrente di pensiero, e che scrive aderisce pienamente a tale punto di vista, ritiene invece che l’equità per il suo essere un principio strettamente legato all’idea di giustizia dovrebbe porsi alla radice della legge , contribuire a darle l’anima e costituire la necessaria giustificazione morale.
Già in sé il precetto legale deve contenere il fondamento equitativo ed è questo che l’interprete deve saper ricercare e stabilire in quale misura la particolarità del caso e le varie istanze equitative debbano influenzare il giudice chiamato ad applicare il diritto.
Il diritto non è un esercizio mentale astratto ma si confronta con la realtà storica dei fatti. Ma l’ansia di giustizia del caso concreto non va mai rimossa perché resta essenziale alla professionalità del giudice -quale sia la funzione ed il grado – se vuole evitare di trasformarsi in un arido burocrate della legge[9].
[1]Vocabolario Treccani on line, voce Equità
[2] Wikipedia on line, voce Equità
[3] Filosofo greco del IV secolo d.c.
[4] Così Renato Rordorf nella lectio l’equità oltre la legge?, tenuta in occasione della Milanesiana il 28 giugno 2019 alla Biblioteca Braidense -Sala Maria Teresa -in collaborazione con il Corriere della Sera e Pinacoteca di Brera.
[5] Così Giovanni Iudica nella lectio Equità oltre il diritto? in occasione della Milanesiana in data 28 giugno 2019 cit.
[6] V. Colpa grave ed equità nel giudizio di responsabilità innanzi alla corte dei Conti. Cedam -Padova -2002. L’ autrice affronta un tema classico della responsabilità riguardante l’aspetto psicologico dell’illecito .
[7] L’ art.38 comma 2 dello Statuto della Corte Internazionale di giustizia prevede che la Corte possa emettere un giudizio di equità se lo accettano entrambe le parti di causa ma dal 2007 non è mai avvenuto
[8] Così Iudica nella lectio citata.
[9] Così Rordorf nella lectio citata