dell’Avv. Paola Maria Zerman
(Fonte: Quotidiano Enti Locali & PA)
Il rispetto delle regole non è fine a se stesso, ma funzionale all’interesse per la cui tutela sono state poste. Ed è principio di buona amministrazione ritenere irrilevante un inadempimento formale, ove ne risultasse pregiudicato l’interesse pubblico tutelato. A questo criterio sostanziale di applicazione delle norme (chi non ricorda il brocardo summum ius, summa iniuria?) si richiama da ultimo il Consiglio di Stato con la sentenza n. 709 del 10 febbraio 2015, in tema di procedimento amministrativo, nella specie di violazione della normativa in materia di Conferenza di servizi.
La questione di fondo
La controversia trae origine da un forte contrasto tra Regione Molise e Ministero dei Beni culturali in relazione al rilascio di un’autorizzazione per la costruzione di un impianto fotovoltaico. La Soprintendenza aveva espresso il suo dissenso perché l’impianto fotovoltaico, di notevole ampiezza, avrebbe alterato le connotazioni del paesaggio caratterizzato da tracce di un insediamento romano ben presenti e visibili sul territorio. Ma la Regione aveva disatteso il parere negativo del Ministero perché espresso in modo irrituale, e cioè senza la partecipazione di un suo rappresentante – come richiesto dalla legge – e tramite semplice invio del parere lo stesso giorno di svolgimento della Conferenza di servizi, senza nemmeno chiedere il rinvio ad altra data per impossibilità a partecipare (come prescritto dall’articolo 14ter, comma 2, della legge 241/1990).
La necessità di concludere il procedimento senza ulteriori differimenti, in considerazione della paventata azione risarcitoria da parte della Società privata, imponevano la chiusura dei lavori della conferenza dei servizi, alla cui disciplina l’Amministrazione statale coinvolta non si era adeguata.
La disciplina della Conferenza di servizi
Come è noto, la Conferenza di servizi, è stato prevista e regolata in via generale dalla legge sul procedimento amministrativo (legge 241/1990), come modalità di semplificazione e coordinamento di una pluralità di interessi pubblici coinvolti in un determinato procedimento. La semplificazione è ottenuta dall’esame ‘contestuale’ dei diversi interessi pubblici, sì che la determinazione finale all’esito della conferenza “sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti”. Queste ultime partecipano alla Conferenza attraverso un unico rappresentante “legittimato, dall’organo competente, ad esprimere in modo vincolante la volontà dell’amministrazione” (articolo 14 ter, comma 6, legge 241/1990). L’originario articolo 14 – che disciplina la Conferenza di servizi – è stato a più riprese modificato (con l’introduzione del 14-bis, 14- ter, 14-quater, 14 quinquies) stante la inguaribile difficoltà, tutta italiana, di trovare una serena e fattiva composizione dei diversi punti di vista. Sono state dunque procedimentalizzate fin nei particolari le modalità di convocazione della Conferenza e la manifestazione del dissenso, che, in caso di insanabile contrasto in materia ambientale e paesaggistica-territoriale nonché di tutela della salute o della pubblica incolumità, può sfociare nella remissione della questione alla delibazione del Consiglio dei Ministri, la cui decisione costituisce atto di “alta amministrazione” (articolo 14 quater, legge 241/1990).
Tale procedura non era stata però seguita nel caso di specie perché la Regione aveva ritenuto il parere espresso dalla Soprintendenza “tamquam non esset” come se non fosse stato mai pronunciato, e quindi equivalente al silenzio-assenso regolato dall’articolo 14 ter, comma 7, in forza del quale “Si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute e della pubblica incolumità, alla tutela paesaggistico-territoriale e alla tutela ambientale, esclusi i provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA, il cui rappresentante, all’esito dei lavori della conferenza, non abbia espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata”.
Il principio di leale collaborazione è alla base del funzionamento della Conferenza di servizi
Nell’esaminare le modalità di svolgimento dei fatti, il Consiglio di Stato ha rilevato che la questione investiva, prima ancora che le regole di corretto funzionamento delle Conferenze di servizi, l’ampiezza e l’incidenza del principio di leale collaborazione tra Amministrazioni pubbliche in funzione degli interessi perseguiti. Infatti, al di là delle astratte affermazioni giuridiche, dall’esame del carteggio intercorso tra i due soggetti pubblici coinvolti, emergeva una “difficoltà di coordinamento, per le frequenti riunioni convocate dalla Regione, senza concentrazione delle stesse, quanto meno, in un solo giorno della settimana”. L’esigenza di leale collaborazione suggeriva che la Regione Molise, preso atto del parere negativo sebbene espresso al di fuori degli schemi procedimentali, e “tenuto conto delle difficoltà operative già in precedenza comunicate dall’Amministrazione centrale” provvedesse con urgenza ad aggiornare la Conferenza di servizi, in modo da acquisire e valutare il parere stesso, con successivo eventuale coinvolgimento, al riguardo, della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La conoscenza, ‘comunque avvenuta’, di ragioni ostative di tipo storico-ambientale imponeva dunque, afferma il Consiglio di Stato, la formalizzazione del dissenso da parte della Soprintendenza. Un reale confronto dialettico doveva anzi ritenersi doveroso, non potendo un’Amministrazione pubblica considerare inesistente il parere negativo – di per sé vincolante – emesso da altra Amministrazione, né potendo equipararsi la mancata partecipazione – nella sede propria della Conferenza di servizi – di un rappresentante qualificato dell’Amministrazione dissenziente, legittimato ad esprimerne la volontà, alla fattispecie del silenzio assenso. I profili di leale collaborazione – valutabili anche ai fini dell’accertamento di responsabilità e retribuzione di risultato – richiedono in conclusione che sia dimostrabile l’impegno delle Amministrazioni, chiamate ad esprimere il proprio parere, per concordare e rispettare un calendario di possibili presenze alle Conferenze di servizi; le Amministrazioni procedenti, a loro volta – ove comunque messe in grado di conoscere valutazioni negative di altre Amministrazioni competenti, circa l’incidenza delle opere da autorizzare sui valori protetti del territorio – non possono considerare dette valutazioni ‘tamquam non essent’, solo perché non ritualmente espresse, tralasciando di provvedere ad una nuova convocazione, con l’urgenza necessaria per contemperare l’esigenza economica del privato e quella pubblica della tutela del patrimonio archeologico-ambientale del territorio.