La Corte di cassazione conferma la giurisdizione della Corte dei conti in tema di danno erariale da illecita utilizzazione degli stanziamenti per spese di rappresentanza dei Consiglieri regionali
Corte di cassazione -Sezioni unite civili
Ord. 21 aprile 2015, n. 8077, Pres.Rovelli – Est.Bernabai
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 6 settembre 2013 il Pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti del Friuli Venezia Giulia conveniva dinanzi a tale ufficio giudiziario il sig. Bruno M., consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia, appartenente al gruppo politico “Popolo della Libertà”, per ottenerne la condanna al pagamento, in favore della regione, della somma di euro 6.177,40 a titolo di rimborso di contributi erogati a carico del bilancio consiliare, ex art. 3 della legge regionale 5 novembre 1973, n. 54, a fronte di spese di rappresentanza rimaste non documentate.
Prima dell’udienza, fissata per il giorno 12 giugno 2014, il M. proponeva regolamento preventivo di giurisdizione, deducendo il difetto assoluto di giurisdizione per insindacabilità, da parte della Corte dei conti, delle modalità di rendiconto delle spese autorizzate dall’Ufficio di Presidenza, stante la prerogativa costituzionale di autonomia del Consiglio regionale sancita dall’art. 16 della legge costituzionale 1/1963, approvativa dello statuto della regione: che, in analogia con l’art. 122, quarto comma, della Costituzione, stabilisce che i consiglieri regionali non possono essere perseguiti per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
La Procura generale contabile resisteva con controricorso.
Il P.G. presso la Corte di cassazione concludeva per il rigetto del ricorso.
All’udienza del 24 febbraio 2015 la causa passava in decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
L’eccezione di difetto assoluto di giurisdizione, dedotta col presente ricorso, è infondata.
Al riguardo, giova richiamare il consolidato orientamento della Corte costituzionale in ordine alla diversità di posizione dei Consigli regionali e delle Camere: orientamento, secondo cui il livello di autonomia assicurato dall’art. 122 Cost. alle funzioni consiliari è altro e minore rispetto alle prerogative che contraddistinguono il potere di indirizzo politico generale spettante al Parlamento (Corte cost., 22 gennaio 1970, n. 6; 26 giugno 1970, n. 110; 26 febbraio 1981, n. 35; 10 luglio 1981, n. 129; 29 marzo 1989, n. 171; 2 giugno 1994, n. 209; 16 giugno 1995, n. 245).
L’analogia tra le attribuzioni delle assemblee regionali e di quelle parlamentari non significa, infatti, identità; e non toglie che le prime si svolgano a livello di autonomia, anche se costituzionalmente garantita, e le seconde, invece, a livello di sovranità. Ne consegue che le deroghe alla giurisdizione – sempre di stretta interpretazione – sono ammissibili soltanto nei confronti di organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato e perciò situate ai vertici dell’ordinamento, in posizione apicale di assoluta indipendenza e di reciproca parità (Corte cost., 22 gennaio 1970, n. 110).
In particolare, l’art. 122, quarto comma, Cost. stabilisce che “i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”: configurando, in tal modo, un’immunità limitata ad atti tipici, posti in essere in occasione di dichiarazioni e votazioni strumentali all’esercizio dell’attività legislativa e politica, in nessun modo estensibile alla responsabilità civile, penale ed amministrativa dipendente da uso illegittimo di denaro pubblico.
È vero che la funzione di autorganizzazione interna dei Consigli regionali partecipa delle guarentigie apprestate dall’art. 122, comma 4, Cost. – non emendato dalla riforma del titolo quinto della parte seconda della Costituzione (legge costituzionale 3/2001) – a tutela dell’esercizio delle funzioni primarie (legislativa, di indirizzo politico e di controllo) delle quali l’organo di rappresentanza è investito, al fine di preservarle dall’interferenza di altri poteri (Cass., sez. un., 14 maggio 2001, n. 200); e che di tale funzione costituiscono espressione gli atti che riguardano direttamente l’organizzazione degli uffici e dei servizi (sia per quanto concerne l’articolazione delle strutture e della fornitura dei mezzi necessari, sia per quanto concerne il personale) e le modalità di svolgimento dell’attività dell’Assemblea. Ma nulla del genere è dato ravvisare nell’utilizzazione dei contributi finanziari in questione, che non incidono sull’organizzazione interna degli uffici, né attengono, in via immediata e diretta, alla disciplina delle modalità di svolgimento dei lavori dell’Assemblea.
Pure rilevante, in subiecta materia, è il principio di tendenziale generalità della giurisdizione della Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica, ex art. 103, comma 2, Cost., salvo deroghe espresse con apposite disposizioni legislative (Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 641): giurisdizione, dotata di tendenziale vis expansiva sia nei giudizi di conto, che in quelli di responsabilità per maneggio del pubblico denaro (Corte cost., 30 luglio 1984, n. 241). In quest’ultimo ambito, l’esenzione dalla giurisdizione costituirebbe, in ultima analisi, un’eccezione non consentita, perché priva di fondamento in norme costituzionali o di attuazione statutaria, anche alla luce della ricordata inassimilabilità delle assemblee elettive regionali alle assemblee parlamentari (Corte cost., 25 luglio 2001, n. 292): senza alcun vulnus, peraltro, all’autonomia organizzativa e contabile dei consigli regionali, dal momento che il giudizio di conto non impinge nelle prerogative di insindacabilità dei voti [e] delle opinioni espresse dai componenti – affatto estranee alla fattispecie in esame – e che l’azione del Pubblico ministero presso la Corte dei conti è attribuita nell’interesse oggettivo dell’ordinamento.
Sotto altro profilo, è da escludere la natura privata del gruppo consiliare, pure allegata dal ricorrente per escludere la giurisdizione della Corte dei conti.
A prescindere dall’intrinseca contraddittorietà della tesi in esame con quella, sopra esaminata, dell’insindacabilità dell’azione dei consiglieri, ancorata ad una norma di rango costituzionale, per sua natura riferibile solo ad istituzioni di diritto pubblico, si osserva che non vi può esser dubbio sul fatto che le risorse erogate ai gruppi consiliari abbiano natura pubblica e vincolo di impiego, secondo finalità tassative fissate dalla legge; onde, il loro maneggio costituisce presupposto giuridico sufficiente per l’insorgenza dell’obbligo della resa del conto in capo ai presidenti dei gruppi consiliari ed ai componenti dei consigli regionali.
Al riguardo si osserva, in tesi generale, come tra il beneficiario del contributo e lo Stato-amministrazione si instauri, a questa stregua, un rapporto di servizio analogo a quello di un amministratore pubblico: come tale, soggetto alla giurisdizione della Corte dei conti. Il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è, infatti, spostato dalla qualità del soggetto – che può ben essere un privato, o un ente pubblico non economico – alla natura del danno e degli scopi perseguiti cosicché, ove il privato, cui siano erogati fondi pubblici, per sue scelte li distolga da questi ultimi, con sviamento dalle finalità di legge, si cagiona un danno erariale, anche sotto il mero profilo di sottrarre risorse pubbliche ad obbiettivi alternativi; e di tale danno deve rispondere davanti al giudice contabile (Cass., sez. un., 9 maggio 2011, n. 10062).
Il ricorso è dunque infondato e va respinto, con la conseguente dichiarazione della giurisdizione della Corte dei conti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione della Corte dei conti.
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