La Corte dei conti si pronuncia sul rendiconto generale della Regione Umbria per l’esercizio finanziario 2015
Relazione del Presidente della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per l’Umbria, dott. Salvatore Sfrecola, nel giudizio sul rendiconto generale della Regione Umbria per l’esercizio finanziario 2015 – Perugia, 28 giugno 2016
È questo il terzo anno che la Sezione, convocata nelle forme proprie della giurisdizione contabile, e pertanto con l’intervento del Procuratore regionale rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, è chiamata a pronunciarsi in pubblica udienza sul rendiconto generale della regione (art. 1, comma 5, del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213). Questo adempimento si colloca temporalmente tra l’approvazione del rendiconto generale da parte della Giunta Regionale e l’adozione, da parte della stessa, del disegno di legge rimesso alla decisione del Consiglio Regionale – Assemblea legislativa, cui perviene, insieme alla decisione che accerta la veridicità dei dati, la relazione con la quale la Corte dà conto delle verifiche effettuate in corso di esercizio, delle rilevazioni e degli approfondimenti che riguardano singoli aspetti della gestione, dall’andamento e dai tempi della spesa e dell’entrata, alla gestione del personale, ai contratti, al contenzioso che vede la Regione parte attiva o passiva in giudizi dinanzi ai giudici civili e/o amministrativi.
Questo complesso di rilevazioni offre al Consiglio regionale, nell’esercizio della sua funzione di controllo politico sull’organo di governo della Regione, e alla comunità dei cittadini, elementi di valutazione in ordine all’attuazione di quanto disposto dalle leggi statali e regionali e alla utilizzazione delle risorse provenienti dal prelievo fiscale, cui i contribuenti volentieri si sottopongono in una visione virtuosa del rapporto con le istituzioni, purché neppure un centesimo sia inutiliter dato, in conseguenza di sprechi determinati da errata previsione della spesa o dei suoi effetti sulla vita dei cittadini e delle imprese, considerati i tempi delle prestazioni pubbliche e la loro efficacia sull’economia degli utenti. La legittimità dei provvedimenti adottati dagli uffici amministrativi è infatti fondamentale, ma ugualmente importanti sono i tempi dei decisori pubblici perché il tempo ha un valore economico, costituisce un costo per i cittadini e per le imprese. Sempre avendo presente che sprechi e ritardi spesso sono originati da comportamenti illeciti.
La relazione della Corte dei conti concorre pertanto ad assicurare quel “diritto alla conoscenza” che altra volta ho ricordato come espressione massima della democrazia nella quale per prevenire la malagestio è necessaria trasparenza “totale”.
Conoscenza e trasparenza che, attraverso il potenziamento dei controlli affidati alla Corte dei conti, il Parlamento nazionale ha inteso perseguire allo scopo “di rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” ed “a tutela dell’unità economica della Repubblica”, come ha ricordato la Corte costituzionale nella sentenza n. 39 del 2014.
“Tutela dell’unità economica” significa, in primo luogo, gestione imparziale delle risorse, sicché il giudice delle leggi è tornato a ribadire, con la sentenza n. 107 del 12 maggio di quest’anno, l’esigenza che prima di tutto lo Stato assicuri il “rispetto delle regole di convergenza e di stabilità dei conti pubblici, regole provenienti sia dall’ordinamento comunitario che da quello nazionale”. E se “ai fini del concorso degli enti territoriali al rispetto degli obblighi comunitari della Repubblica ed alla conseguente realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, [lo Stato deve vigilare affinché] il disavanzo di ciascun ente territoriale non […] super[i] determinati limiti, fissati dalle leggi finanziarie e di stabilità che si sono succedute a partire dal 2002 (ex multis sentenza, di questa Corte, n. 36 del 2004)” (sentenza n. 138 del 2013), “nel suo compito di custode della finanza pubblica allargata lo Stato deve tenere comportamenti imparziali e coerenti per evitare che eventuali patologie nella legislazione e nella gestione dei bilanci da parte delle autonomie territoriali possa riverberarsi in senso negativo sugli equilibri complessivi della finanza pubblica”. In proposito, la Corte ha già precisato che il coordinamento degli enti territoriali deve essere improntato a «canoni di ragionevolezza e di imparzialità nei confronti dei soggetti chiamati a concorrere alla dimensione complessiva della manovra [di finanza pubblica]” (sentenza n. 19 del 2015).
In queste parole c’è un richiamo severo allo Stato da parte della Consulta la quale precisa che il “controllo di legittimità delle leggi finanziarie regionali non può non essere improntato alla assoluta imparzialità, trasparenza e coerenza dei comportamenti di fronte ad analoghe patologiche circostanze caratterizzanti i bilanci degli enti stessi. In tale caso, infatti, la tutela degli equilibri finanziari dei singoli enti pubblici di cui all’art. 97, primo comma, Cost. si riverbera direttamente sulla più generale tutela degli equilibri della finanza pubblica allargata, in relazione ai quali la situazione delle singole amministrazioni assume la veste di fattore determinante degli equilibri stessi”.
L’esigenza del rispetto di questi canoni di ragionevolezza e di imparzialità evidenzia il ruolo di questa magistratura, non a caso il primo giudice che ha esteso la propria giurisdizione sull’intero territorio del neoistituito stato nazionale all’indomani del 1861, istituzionalmente posta a presidio della buona finanza, tanto dello Stato quanto degli enti territoriali come conferma il fatto che quello “Stato” cui spetta, secondo le formule della giurisprudenza costituzionale, l’esercizio del controllo non è lo stato amministrazione, il governo, ma l’ordinamento, lo Stato istituzione, in posizione di supremazia rispetto alle altre istituzioni.
Le regioni e gli enti locali saranno certamente grati alla Consulta per aver delimitato gli spazi di decisione e le regole dell’agire del Parlamento e del Governo e segnatamente del Ministero dell’economia.
In un’ottica di conoscenza si collocano, altresì, due documenti di questa Corte, la Relazione annuale sulla tipologia della copertura finanziaria delle leggi regionali di spesa e l’analogo referto sull’evoluzione del quadro normativo nazionale e regionale e sulle conseguenti problematiche relative alle Amministrazioni controllate dalla Sezione regionale di controllo per l’Umbria.
Il decreto legge n. 174/2012, all’art. 1, comma 2, stabilisce, infatti, che “Annualmente le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti trasmettono ai consigli regionali una relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali approvate nell’anno precedente e sulle tecniche di quantificazione degli oneri”. La relazione viene inoltre trasmessa “alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell’economia e delle finanze per le determinazioni di competenza” (comma 8).
La normativa estende alle Regioni un tipo di controllo già previsto per la legislazione statale, al fine di dare maggiore effettività al principio della copertura finanziaria (art. 81 della Costituzione), per il quale ogni legge, anche regionale, deve indicare le risorse necessarie a sostenere i nuovi o maggiori oneri che essa comporta, a salvaguardia degli equilibri economico-finanziari.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39 del 2014, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2 e 8, del decreto legge n. 174/2012, con riferimento al nuovo compito assegnato alle Sezioni regionali ha evidenziato che “il controllo introdotto trova fondamento costituzionale e riveste natura collaborativa”. Inoltre è stato precisato che “alla luce della […] giurisprudenza della Corte, l’istituto disciplinato dalla norma […] risulta funzionale da un lato ad ampliare il quadro degli strumenti informativi a disposizione del Consiglio, per consentire […] la formulazione di meglio calibrate valutazioni politiche del massimo organo rappresentativo della Regione, anche nella prospettiva dell’attivazione di processi di ‘autocorrezione’ nell’esercizio delle funzioni legislative e amministrative (sentenza n. 29 del 1995; nonché sentenza n. 179 del 2007), e, dall’altro, a prevenire squilibri di bilancio (tra le tante, sentenze n. 250 del 2013; n. 70 del 2012)”
La Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, a sua volta, con la delibera n. 10 del 20 marzo 2013, ha individuato le prime linee di orientamento per le relazioni sulla tipologia delle coperture finanziarie e sulle tecniche di quantificazione degli oneri delle leggi regionali. In particolare è stato precisato che le Regioni sono tenute ad adeguare i propri ordinamenti ai principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica espressi dalla disciplina di attuazione dell’art. 81 della Costituzione e contenuti, in particolare, nella legge “rinforzata” 24 dicembre 2012 n. 243, contenente norme fondamentali relative alla legge di bilancio e criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito complessivo delle Pubbliche amministrazioni.
La Sezione, in particolare, ha evidenziato che dall’espresso rinvio alle tecniche di copertura finanziaria previste dall’art. 17 per le leggi statali deriva che “le Regioni sono tenute ad uniformare la propria legislazione di spesa non solo ai principi ed alle regole tecniche previsti dall’ordinamento in vigore, ma anche ai principi di diritto che la giurisprudenza costituzionale ha enucleato dalla pluridecennale attuazione del principio di copertura finanziaria sancito dall’art. 81 Cost.”,
Oggi dobbiamo nuovamente rappresentare all’Assemblea legislativa considerazioni sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate dalle leggi regionali e delle tecniche di quantificazione degli oneri (art. 1, commi 2 e 8, del D.L. n. 174/2012), funzione preziosa per chi amministra la cosa pubblica, perché la corretta individuazione dei mezzi con i quali fare fronte alle nuove o maggiori spese evita di appesantire quel debito che da anni grava sulla finanza statale, a dimostrazione che non sempre la copertura delle leggi di spesa, a Roma, ha rispettato i canoni costituzionali.
L’analisi delle leggi adottate dalla Regione continua ad evidenziare, come risulta dalla apposita deliberazione collegiale adottata dalla Sezione, non solo difformità rispetto alla normativa nazionale e regionale di riferimento ma anche lacune ed imprecisioni, che non hanno messo in condizione la Corte di verificare la correttezza della quantificazione degli oneri recati dalle singole leggi e l’individuazione precisa delle modalità di copertura finanziaria.
Ciò, in primo luogo, per effetto delle metodologie adottate nell’adozione dei disegni di legge e nella verifica degli oneri connessi, diverse a seconda dell’organo proponente, come risulta dai rispettivi Regolamenti, del Consiglio e della Giunta. Le relazioni tecniche, infatti, e le relative schede degli elementi finanziari sono spesso generiche, incomplete, lacunose, e prive degli elementi essenziali, o comunque difformi dai modelli normativi di riferimento. Con la conseguenza che dette relazioni sono inidonee a fornire gli elementi necessari per una valutazione organica degli impegni finanziari assunti dalla Regione, specie per gli emendamenti che comportano nuove spese, che non trovano illustrazione nelle relazioni.
Inoltre, per le leggi che assumono l’inesistenza di oneri non risulta dimostrata con certezza la neutralità finanziaria, anche con riferimento agli esercizi futuri (art. 17, comma 7, della legge di contabilità n. 196 del 2009).
Nella relazione sono indicati casi specifici, i dubbi e le perplessità.
L’invito ad adeguare la normativa ai più recenti interventi legislativi che regolano la materia, in particolare alla legge n. 196/2009, conformandosi ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale e ai dettami contenuti nella delibera della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti (n. 10 del 20 marzo 2013) va dunque reiterato. Così che l’Assemblea legislativa possa esprimere le proprie valutazioni “anche nella prospettiva dell’attivazione di processi di ‘autocorrezione’ nell’esercizio delle funzioni legislative e amministrative” (Corte Costituzionale, sentenza n. 39 del 2014).
Il referto sull’evoluzione del quadro normativo nazionale e regionale e sulle conseguenti problematiche relative alle Amministrazioni controllate dalla Sezione regionale di controllo per l’Umbria (art. 11 bis, comma 2 del Regolamento della Corte dei conti), ha dato luogo ad una indagine su un campione di Enti Locali, costituito dai Comuni umbri con una popolazione superiore ai quindicimila abitanti (Assisi, Bastia Umbra, Castiglione del Lago, Città di Castello, Corciano, Foligno, Gualdo Tadino, Gubbio, Marsciano, Narni, Orvieto, Spoleto, Todi e Umbertide).
Alla data del 6 giungo 2016 hanno risposto all’istruttoria soltanto i Comuni di Bastia Umbra, Città di Castello, Corciano e Gubbio, nonché la Regione dell’Umbria, pari al 25% circa degli Enti interpellati. In particolare, l’Assemblea legislativa non ha segnalato alcuna particolare criticità nell’applicazione delle norme indicate.
La scarsa risposta all’indagine effettuata, tuttavia, potrebbe già essere interpretata non come espressione di disinteresse nei confronti del quadro normativo implementato dal nostro Legislatore, quanto, piuttosto, come conseguenza di un ulteriore adempimento da svolgere, in coda rispetto a quelli sicuramente più urgenti, quali, tanto per menzionarne alcuni, la programmazione di bilancio, la chiusura dei rendiconti, le procedure di riaccertamento dei residui, sia ordinarie che straordinarie, la predisposizione dei piani di riorganizzazione delle società partecipate e le procedure anticorruzione e trasparenza.
In particolare, l’istruttoria della Sezione di Controllo è stata incentrata, con riferimento alla legislazione statale e regionale, sulle normative concernenti la riduzione della spesa pubblica, l’indebitamento, il patto di stabilità interno per il triennio 2014-2016, le spese per il personale, le imposte comunali, l’indebitamento e i bilanci.
La quasi totalità degli Enti ha lamentato una cronica carenza di personale in uno alle sempre maggiori incombenze che rendono difficoltosa la puntuale applicazione delle norme. I Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti sono caratterizzati da una organizzazione di tipo semplice e con risorse appena sufficienti a garantire l’erogazione dei servizi a cui sono deputate. L’evoluzione del quadro normativo, già a partire dagli anni ’90, ha avuto un impatto importante sugli Enti di questa dimensione, i quali si sono dovuti adeguare ad un modello organizzativo disegnato per strutture medie o grandi senza tener conto delle peculiari esigenze delle amministrazioni di piccole dimensioni. La normativa degli ultimi due anni ha poi inciso maggiormente sull’organizzazione e sulla gestione dei servizi con conseguenze spesso negative.
Gli Enti segnalano le problematiche attinenti l’applicazione del patto di stabilità in uno con la riduzione costante delle risorse finanziarie senza un vero progetto di autonomia tributaria che possa permettere una programmazione annuale e triennale sulla base di entrate certe e soprattutto conosciute all’inizio dell’esercizio finanziario e non alla fine dell’anno, come avviene da diversi anni.
I Comuni di piccole dimensioni versano nella impossibilità di governare ragionevolmente i flussi di cassa così come richiesto dal patto di stabilità ed hanno manifestato la preoccupazione per il conseguimento degli obiettivi fissati dal patto stesso, unitamente all’impossibilità di ricorrere all’indebitamento, all’esiguità delle entrate da oneri concessori ed all’inesistenza di entrate da alienazione di beni immobili non utilizzabili per esigenze istituzionali (gare deserte).
Sul fronte organizzativo si lamentano nuovi e sempre maggiori adempimenti burocratici richiesti agli uffici comunali che, in assenza di una effettiva semplificazione dell’organizzazione e delle procedure, finiscono con l’appesantire di molto l’attività amministrativa ordinaria. Il riferimento è, in particolare, ai molteplici adempimenti previsti dalla legge anticorruzione che comportano difficoltà anche a causa di una diffusa incertezza in ordine alla portata applicativa della normativa, ed, altresì, all’organizzazione ed al funzionamento della centrale unica di committenza, al registro delle fatture soggette ad Iva, alla realizzazione del piano di riorganizzazione delle società partecipate ed alla loro eventuale dismissione.
Le difficoltà interpretative, che secondo alcuni Comuni non vengono chiarite dalle circolari, dai pareri e dalle interpretazioni giurisprudenziali, spesso contraddittorie, riguardano anche altre norme di immediata applicazione per gli EE.LL., come le sopravvenute disposizioni in ordine ai pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili in conto capitale o all’utilizzo delle economie derivanti da rinegoziazione dei mutui.
Quanto all’attuazione del progetto di digitalizzazione della pubblica amministrazione, di cui si riconosce l’indubbia utilità, si richiede una sempre più elevata specializzazione tecnica degli operatori e l’ammodernamento informatico delle reti e delle attrezzature degli Enti locali che, depauperati nella loro autonomia organizzativa e finanziaria, si trovano a percorrere un cammino tutto in salita nella direzione del necessario adeguamento.
In definitiva, soprattutto i piccoli Comuni si lamentano del fatto che garantire ai cittadini servizi adeguati e di qualità risulta un compito sempre più arduo e difficoltoso che richiede un impegno costante ed un rischio elevatissimo, con risultati pesantemente condizionati dalle carenze finanziarie e dalla mancanza di chiarezza normativa.
Oltre agli adempimenti ordinari, in questo periodo è stata riscontrata anche la forte difficoltà interpretativa ed attuativa del D. Lgs. n. 118/2011 e s.m.i., che impone agli Enti la rivisitazione di tutti i propri residui attivi e passivi, per comprendere la portata di quelli che devono essere definitivamente cancellati, quelli che vanno reimputati agli esercizi seguenti, mediante la costituzione del Fondo Pluriennale Vincolato e quelli che devono essere svalutati, andando a costituire il Fondo Crediti di Dubbia Esigibilità.
Nel tradizionale spirito di collaborazione, ben prima che fosse legislativamente così qualificato, il controllo della Corte dei conti affianca nei loro compiti amministratori e funzionari, da ultimo attraverso una funzione consultiva che i numeri dicono essere gradita dagli enti locali dell’Umbria.
Il rendiconto generale della Regione è stato approvato il 21 giugno (con atto n. 697), in ritardo rispetto alla previsione normativa che colloca tale adempimento al 30 di aprile. Su di esso si è espresso il Collegio dei revisori dei conti che ha fornito nella stessa data il proprio parere, documento, come s’intende, essenziale, che concorre ab interno alle valutazioni di competenza di questa Sezione la quale, tuttavia, si è avvalsa di un “preconsuntivo” messo a disposizione, sia pure in ritardo, che ha consentito taluni riscontri anche direttamente, mediante accesso alle banche dati della Regione attuato nel corso dell’esercizio finanziario, dopo le sollecitazioni delle quali si è dato atto negli anni precedenti, anche con riferimento alla specifica normativa, la legge europea (art. 30, comma 3, della legge 30 ottobre 2014, n. 161).
Sul punto desidero dare atto agli Uffici della Regione di aver assicurato una costante collaborazione ai funzionari della Sezione in sede di approfondimento dei dati del rendiconto.
Tuttavia devo rilevare che il tempo che residua dopo l’approvazione del rendiconto da parte della Giunta in vista del termine del 31 luglio, stabilito per l’approvazione, da parte del Consiglio regionale, del disegno di legge che fa proprio il rendiconto è assolutamente insufficiente, tanto per rilevare i dati quanto, soprattutto, per valutarne gli effetti che esigono approfondimenti e confronti, anche con le osservazioni, sempre puntuali, del Collegio dei revisori dei conti (pervenute il 21 giugno) che stimolano ulteriori analisi che in alcuni casi è stato possibile solamente avviare. La Sezione si riserva di farne oggetto di ulteriori pronunce.
In questo ambito in cui maturano le analisi sulla gestione finanziaria la legge (art. 1, comma 6, del decreto legge n. 174/2012, convertito dalla legge n. 213/2012) assegna un ruolo importante alla relazione del Presidente della Regione “sullo stato di attuazione del programma di governo e sull’amministrazione regionale”, che lo scorso anno fu approvata tempestivamente, anche con il dichiarato intento di fornire al Consiglio regionale, “ma anche ai cittadini, alle imprese ed al mondo scientifico” uno strumento utile per “interpretare correttamente l’attuazione delle diverse politiche” regionali. Al 21 giugno non era ancora disponibile. Nelle controdeduzioni se ne preannuncia la presentazione nel corso del mese.
Quanto alla relazione sul sistema dei controlli interni e sui controlli effettuati nell’anno 2015 si deve ancora una volta segnalare che questo documento continua a presentarsi come una descrizione meramente formale del sistema come definito dagli atti normativi e regolamentari adottati dalla Regione, in attuazione delle vigenti disposizioni statali. Al vertice politico dell’Amministrazione regionale si richiede, invece, di dare conto di come i controlli hanno in concreto operato, come prevede l’apposito questionario dove sono formulate domande specifiche, come l’indicazione delle criticità eventualmente individuate e delle misure correttive e/o integrative adottate per il loro superamento.
Il 20 giugno, in sede di audizione sulla bozza di relazione, che attua il contraddittorio di rito, alla presenza del Procuratore regionale, è stato rappresentato dalla Regione l’intento di meglio formulare, a decorrere dall’esercizio 2016, quel documento. Ne prendiamo volentieri atto. Ugualmente prendiamo atto del fatto che la Regione attesta di aver messo in campo nel corso del 2015 azioni in materia di controlli sulle attività delle Aziende Sanitarie con riferimento alla qualità e appropriatezza delle prestazioni sanitarie rese; al rispetto degli indirizzi stabiliti dalla programmazione regionale; al monitoraggio sulla definizione e sul rispetto delle linee guida per la stipula degli accordi contrattuali; alle modalità di svolgimento dell’attività libero-professionale, anche con l’obiettivo di ridurre le liste di attesa; alla conformità e congruità su bilanci, dotazione organica, atti di programmazione delle Aziende Sanitarie; al monitoraggio delle azioni intraprese dalle Aziende sanitarie a seguito dei rilievi/suggerimenti dei Collegi Sindacali.
In proposito la Sezione ha avviato accertamenti diretti a verificare in quale misura siasi provveduto alla razionalizzazione anche territoriale delle strutture sanitarie e delle attrezzature impiegate, in considerazione dell’andamento delle prestazioni richieste, in particolare nel settore della chirurgia specialistica, in aree ospedaliere ravvicinate.
È un tema importante in relazione all’incremento della spesa, che esige l’individuazione di ogni possibile area di risparmio perché sia assicurata la più ampia ed efficiente fruizioni di servizi alla salute in modo da assicurare tempestivamente le cure necessarie, un valore di civiltà a misura delle esigenze del cittadino. Le Aziende sanitarie, infatti, devono guardare ai conti al fine di riuscire a perseguire l’equilibrio economico-finanziario ma nel rispetto del diritto fondamentale alla salute fornendo servizi di elevata qualità in termini di equità di accesso.
Nell’esercizio del controllo la Corte si è uniformata alle tecniche di controllo tradizionali ed a quelle più recenti adottate in sede internazionale dalle Istituzioni Superiori di Controllo sulle Finanze Pubbliche, periodicamente messe a punto dall’Organizzazione Internazionale nella quale esse si riconoscono (INTOSAI, International Organization of Supreme Audit Institutions), per assicurare rigore finanziario nella gestione delle misure di contrasto alla crisi economica, avendo presenti esigenze di crescita equilibrata in funzione di sviluppo e di recupero dell’occupazione. Per cui la finalizzazione delle verifiche e dei riscontri ad accertare se effettivamente siano stati perseguiti gli obiettivi di efficienza e di economicità indicati nelle leggi e nelle direttive amministrative. In particolare in una fase storica nella quale alle regioni si chiede di concorrere al generale equilibrio dei conti pubblici ed a mantenere, con risorse ridotte, i livelli dei servizi essenziali al cittadino, in particolare di quelli sanitari, laddove nell’assistenza ai deboli ed ai bisognosi si misura il grado di civiltà di un popolo.
Fin dal momento del loro impianto, le istruttorie condotte sulla gestione del bilancio sono state, pertanto, orientate a fornire un quadro ricognitivo che comprende sia i profili contabili e finanziari, essenziali per la parificazione del Rendiconto, sia gli indicatori di risultato delle missioni e dei programmi assegnati alla Regione, nonché a verificare lo stato di attuazione delle misure di razionalizzazione degli assetti organizzativi, di semplificazione normativa e procedimentale e di quelle ispirate alla lotta alla corruzione e alla promozione della trasparenza, oggetto di un recente, importante intervento normativo (la legge n. 69 del 27 maggio 2015) che ha accentuato il profilo preventivo del contrasto alla corruzione in un contesto integrato di prevenzione e repressione. Contesto nel quale la Corte dei conti ha uno specifico ruolo quale organo di controllo, mentre opportunamente il legislatore che pur prevede riparazione pecuniaria e pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito, fa salvo in ogni caso il diritto erariale all’eventuale risarcimento del danno, così riconoscendo che il danno prodotto dall’illecito può essere, e di fatto è frequentemente, assai maggiore del semplice prodotto del reato perché scarica su lavori e forniture gli effetti di indebiti guadagni.
Ciò premesso, l’impressione generale che si trae dall’esame del rendiconto generale è che la considerevole attività posta in essere dalla Regione nel corso del 2015 ed i risultati conseguiti, malgrado la difficile situazione finanziaria, nei vari campi di competenza – da quello della efficienza della P.A. alle politiche sociali, per la tutela della salute, per la competitività del sistema economico produttivo, per il capitale umano e per lo sviluppo del territorio e delle infrastrutture – si collocano prevalentemente sulla linea dell’attuazione e della implementazione di politiche e programmi già definiti in passato. Con ciò mostrando tutta la difficoltà di realizzare in concreto quella “sintesi virtuosa di continuità e di innovazione” che è stata posta come elemento caratterizzante del DAP 2014-2016.
Il processo di riorganizzazione dell’Amministrazione regionale individuato dalla Giunta appare ispirato ad un significativo ridimensionamento dell’assetto complessivo delle posizioni dirigenziali e di quelle organizzative nell’ambito di un percorso che, tuttavia, richiede ulteriori, necessari e più incisivi interventi.
La Corte non si nasconde la difficoltà che incontra l’Amministrazione nell’incidere su situazioni persistenti nel tempo, ma è evidente che i numeri al 31 dicembre 2015 non risultano significativamente ridotti rispetto a dello scorso anno, come si legge nella relazione scritta.
Anche per l’Assemblea legislativa valgono le stesse considerazioni in ordine al numero delle posizioni organizzative particolarmente elevato.
Il ricorso agli incarichi esterni è tradizionalmente un tema critico e spesso criticato in sede politica e di mass media. Nella disciplina legislativa l’incarico conferito ad un estraneo alla Pubblica Amministrazione deve conseguire ad un’esigenza straordinaria, non perseguibile con personale della stessa o di altre amministrazioni pubbliche, comprese le università e le altre istituzioni scientifiche presenti sul territorio.
Non è, all’evidenza, solamente un problema di contenimento dei costi. L’esigenza di non mortificare le professionalità presenti nell’amministrazione, come invita a fare l’art. 97 della Costituzione, che richiama il buon andamento come regola fondamentale nell’utilizzazione delle risorse pubbliche deve essere il faro che deve guidare l’azione amministrativa. Anche nel caso di incarichi caratterizzati da un rapporto fiduciario, laddove l’esercizio di una ragionevole discrezionalità non esime da una considerazione dei requisiti professionali la cui mancanza, tra l’altro, determina situazioni di disagio dagli effetti negativi nell’ambito delle strutture dell’Amministrazione.
I costi (€ 1.641.585,48 contro € 1.475.307,00 del 2014, – + 11%) e metodi di assegnazione degli incarichi sono illustrati nella relazione nella quale si rappresenta l’opportuna di una riflessione che conduca ad un intervento legislativo idoneo a rendere le norme regionali coerenti con l’orientamento della Corte Costituzionale di cui alla sentenza n. 252 del 30 luglio 2009.
L’approvazione del bilancio di previsione è intervenuta in ritardo rispetto al termine previsto dall’art. 75 dello Statuto, con conseguente ricorso all’esercizio provvisorio (autorizzato con legge regionale 19 dicembre 2014, n. 27).
Le previsioni definitive di entrata mostrano un aumento della parte corrente (+ 111 milioni di euro) e della parte in conto capitale (+ 76 milioni di euro).
Relativamente alla spesa, le previsioni definitive evidenziano una contrazione della parte corrente (- 49 milioni di euro) e degli altri titoli (spese di investimento – 71 milioni di euro e spese per rimborso di mutui e prestiti – 1 milione di euro).
Anche per l’esercizio 2015 l’equilibrio di competenza è stato raggiunto mediante l’iscrizione in entrata di somme derivanti dalla precedente gestione a titolo di avanzo di amministrazione, somme interamente destinate a coprire economie di spesa suscettibili di reiscrizione nel nuovo esercizio poiché realizzate su autorizzazioni di spesa già finanziate con entrate a destinazione vincolata, che non hanno, pertanto, comportato alcun accrescimento della capacità di spesa dell’Amministrazione.
Relativamente ai risultati complessivi della gestione finanziaria, il saldo contabile della gestione di competenza evidenzia un dato positivo pari a 64 milioni di euro, in netto miglioramento rispetto al risultato negativo dell’esercizio 2014 (- 140 milioni di euro).
Positivo anche il risultato della gestione dei residui, pari a 136 milioni di euro, che, unitamente al fondo di cassa iniziale (74 milioni di euro), determina un avanzo di amministrazione pari a 274 milioni di euro, pur in flessione rispetto all’esercizio 2014 (358 milioni di euro).
Anche il saldo di cassa al netto delle contabilità speciali al 31 dicembre è positivo (110 milioni di euro) e in miglioramento rispetto al 2014 (saldo negativo di 242 milioni di euro), per effetto del saldo positivo di cassa della gestione residui (395 milioni di euro) che assorbe quello negativo tra le riscossioni e i pagamenti in conto competenza (- 285 milioni di euro). Nel complesso tale andamento risente del miglioramento della capacità di riscossione (68% nel 2015 contro 56% nel 2014) a fronte di una sostanziale stabilità della capacità di pagamento (67% nel 2015 e nel 2014).
Relativamente all’analisi dei risultati a consuntivo, la gestione di parte capitale presenta un modesto tasso di realizzazione degli interventi programmati, peraltro in peggioramento rispetto al 2014, con accertamenti ed impegni inferiori alle relative previsioni, rispettivamente dell’80% e del 82%.
L’analisi della gestione dei residui evidenzia un tasso di riscossione dei residui attivi del 33%, in riduzione (39% nel 2014).
Anche la gestione dei residui passivi evidenzia un peggioramento del tasso di smaltimento complessivo (31% nel 2015 contro 39% del 2014), in particolare per la spesa corrente, un andamento consolidato nel tempo e già più volte segnalato da questa Corte.
Per quanto attiene all’indebitamento la consistenza al 31 dicembre 2015, come risulta dai dati del conto del patrimonio, è pari ad 487 milioni di euro, (540 nel 2014) ed è riferita per 397 milioni di euro a mutui e prestiti a carico della Regione e per 90 milioni di euro a quelli con oneri a carico dello Stato.
Tra i debiti di finanziamento sono inoltre ricompresi i debiti per anticipazioni di liquidità dallo Stato, attivate dalla Regione per la ricapitalizzazione degli enti del Servizio sanitario regionale in relazione agli ammortamenti non sterilizzati antecedenti l’applicazione del decreto legislativo n. 118/2011 (debito residuo al 31.12.2015 pari a 28,4 milioni di euro).
Relativamente alla contabilizzazione di tali anticipazioni la Regione nel corso del 2015, in attuazione della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 7, del decreto legge n. 179/2015, ha costituito il Fondo anticipazioni di liquidità mediante accantonamento di una quota del proprio risultato di amministrazione.
Per effetto di tale operazione la Regione ha conseguito un maggiore disavanzo al 1° gennaio 2015 di 29 milioni di euro da ripianare secondo le modalità indicate dalla normativa a decorrere dall’anno 2016.
Il limite di indebitamento risulta rispettato.
Relativamente agli strumenti finanziari derivati in essere, anche nel 2015, la Regione ha sostenuto un differenziale netto negativo, pari a 1,5 milioni di euro (- 1,6 milioni di euro nel 2014).
La gestione delle entrate evidenzia una contrazione della capacità di accertamento complessiva pari, nel 2015, all’84% (91% nel 2014) e un lieve aumento della capacità di riscossione pari, nel 2015, al 74% (73% nel 2014).
Per la gestione delle spese la capacità di impegno diminuisce, passando dall’81% del 2014 al 76% del 2015, in controtendenza rispetto all’esercizio precedente.
Per quanto riguarda le spese per rappresentanza, convegni, mostre e pubblicità si ribadisce che la diposizione (lett. f) della D.G.R. n. 138 del 22 febbraio 2011), tuttora in vigore, con la quale sono stati individuati i presupposti per l’ammissibilità delle spese per mostre e convegni non appare sempre in linea con gli orientamenti giurisprudenziali in materia, ormai consolidati.
In particolare, come già evidenziato nella relazione concernente il precedente esercizio finanziario, considerato lo stretto legame con i fini istituzionali dell’Ente e l’idoneità a mantenere o ad accrescere il ruolo dell’Ente stesso nel contesto sociale e i requisiti che una spesa deve presentare per poter essere qualificata “di rappresentanza”, la legittimità consegue ad una rigorosa giustificazione e documentazione, con indicazione, caso per caso, dell’interesse istituzionale perseguito.
Riguardo alla spesa sostenuta si rileva che la stessa continua ad attestarsi su livelli eccessivamente superiori a quelli stabiliti dal legislatore.
Quanto alla spesa per il personale pur in assenza delle certificazioni riferite al rispetto dei limiti normativamente fissati, nella Relazione della Giunta al Rendiconto è attestato il rispetto di quanto disposto dall’art. 1, comma 557, della legge n. 296/2006.
È stata avviata, e proseguirà nei prossimi mesi, una ricognizione del contenzioso in essere dinanzi alla giurisdizione ordinaria ed amministrativa che, fatti salvi specifici approfondimenti delle singole vertenze, che non è stato possibile condurre per l’incompletezza dei dati trasmessi, potrebbe denunciare una inadeguata tutela degli interessi regionali o una insufficiente attenzione per i diritti dei cittadini e delle imprese.
Va ricordato, in proposito, che il cittadino, in virtù del Trattato di Nizza, è titolare di un diritto alla “buona amministrazione”, che per la verità dovrebbe essere in ogni caso proprio dell’esercizio di pubbliche funzioni di interesse della comunità in virtù del più volte richiamato articolo 97 della Costituzione.
Il Servizio Sanitario Regionale assorbe oltre la metà dell’intero bilancio regionale con impegni che rappresentano il 76% di quelli assunti complessivamente nel 2015.
Per la spesa di beni e servizi si rileva che la percentuale degli acquisti centralizzati nel 2015 è rimasta sostanzialmente invariata, passando dal 49% circa del 2014 al 51% del 2015 (261 milioni di euro su un totale di 508 milioni di euro).
Inoltre, i verbali dei Collegi sindacali delle Aziende, segnalano il ricorrente, reiterato utilizzo di proroghe contrattuali e scarsa tempestività nel rinnovo delle convenzioni, con conseguente adozione di atti in sanatoria o ricorso a procedure di urgenza. Comportamenti che destano preoccupazione, spesso determinano sprechi, in ogni caso attuano condotte sospette di compiacenze, che producono contenzioso e costituiscono nelle determinazioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione indice di fattori di rischio.
In materia di spesa per incarichi e consulenze, in particolare con riguardo alle misure adottate e ai risultati conseguiti nell’anno 2015 per il contenimento della stessa, le informazioni trasmesse dalla Regione risultano generiche e soprattutto non in linea con quanto comunicato dalle singole Aziende del S.S.R. nell’ambito delle istruttorie condotte dalla Sezione sulla base delle relazioni-questionari dei Collegi sindacali sul bilancio d’esercizio 2014 (art. 1, comma 170, della legge n. 266 del 23 dicembre 2005).
A tale proposito si rinvia a quanto segnalato nelle pronunce adottate dalla Sezione nell’ambito di dette verifiche.
Per la spesa farmaceutica territoriale i dati desunti dalle relazioni-questionario dei Collegi sindacali delle aziende sanitarie (trasmesse alla Sezione ai sensi dell’art. 1, comma 170, della legge n. 266/2005) e dalla ulteriore documentazione acquisita in sede istruttoria, evidenziano, per entrambe le aziende sanitarie, un lieve superamento per il 2014 dell’obiettivo fissato dalla Regione (circa dell’1%).
Anche per la spesa farmaceutica ospedaliera, i dati trasmessi dai Collegi sindacali evidenziano per le due aziende sanitarie il superamento del limite (+ 7% Ausl Umbria 1, + 138% Ausl Umbria 2). I dati sono estratti dal rapporto sul coordinamento della finanza pubblica non disponibili, per il 2015, per singola regione.
I dati sul patrimonio delle aziende sono stati trasmessi solo il 10 giugno in tempi non utili per l’analisi.
Anche per quanto riguarda il contenzioso per alcune aziende è stato necessario richiedere ulteriori informazioni e/o dati aggregati secondo le richieste formulate, pervenuti solo da pochi giorni.
I tempi non hanno quindi consentito analisi approfondite. Nella relazione si fa rinvio all’esame della regolarità contabile per il bilancio 2015 delle aziende.
Il conto economico della Regione evidenzia un risultato negativo di € 225 milioni di euro (in peggioramento rispetto all’esercizio precedente) influenzato sia dall’area della gestione finanziaria sia dall’area della gestione straordinaria per effetto dell’incremento delle insussistenze dell’attivo generate dall’eliminazione dei residui attivi in applicazione del principio contabile della competenza finanziaria potenziata.
Di conseguenza il netto patrimoniale espone un pari decremento.
Riguardo alla rappresentazione della consistenza patrimoniale la Regione si è in parte adeguata alle indicazioni formulate dal Collegio dei revisori nella Relazione al Rendiconto generale 2014 provvedendo a depurare le valutazioni degli immobili delle rivalutazioni Istat.
Tra i crediti si segnalano in particolare i Crediti v/Società partecipate per € 13 milioni di euro riferiti al residuo dell’anticipazione erogata alla società Umbria TPL e Mobilità S.p.A. nel corso del 2013 per 17 milioni di euro, crediti peraltro invariati rispetto alla situazione al 31.12.2014 atteso che nel corso dell’anno la Regione, per effetto delle numerose moratorie concesse, non ha incassato alcuna delle quote di rimborso previste per il 2015, né quelle residue del 2014.
Nella Relazione della Giunta al Rendiconto 2015 (come peraltro in quella riferita ai precedenti esercizi) non è fatta alcuna menzione di tale anticipazione e della connessa restituzione, con conseguente mancanza di chiarezza e trasparenza nei confronti dei destinatari del Rendiconto, in particolare dell’Assemblea legislativa-Consiglio regionale.
Sul punto inoltre il Collegio dei revisori, con verbale n. 10 del 20 giugno 2016, ha sollevato ulteriori problematiche che ritiene meritevoli di approfondimento anche in merito ai rapporti credito/debito con la società in relazione al mancato ricorso all’art. 1241.
Relativamente alla gestione del patrimonio immobiliare le locazioni passive costano 654 mila euro, in riduzione rispetto ai precedenti esercizi per effetto, in particolare, della cessazione della locazione del fabbricato “Palazzo Fioroni” (nel corso del 2014) e del fabbricato “Palazzo Gazzoli” di Terni (nel corso del 2015).
I canoni attivi (per affitti e concessioni) sono pari a € 650 mila euro, in riduzione rispetto ai precedenti esercizi (2014 € 770 mila euro). Resta comunque non valutabile la congruità dei canoni indicati con le caratteristiche dei relativi immobili. Per gli immobili oggetto di concessione a titolo gratuito, i dati tramessi non evidenziano né i concessionari, né, nella maggior parte dei casi, la motivazione della concessione.
Inoltre, nel corso del 2015 sono intervenute modifiche nella classificazione e/o utilizzazione dei beni per i quali la documentazione trasmessa non consente di appurare le motivazioni (ad esempio, nel 2015 risultano n. 18 immobili del patrimonio indisponibile “Utilizzati senza titolo” per i quali l’Ente dichiara che sono “in corso azioni volte al rientro in possesso del bene” che nel 2014 erano stati dichiarati come “occupati senza titolo”; oppure immobili classificati nel 2014 a patrimonio indisponibile, oggetto di occupazione abusiva, che nel 2015 sono stati classificati a patrimonio disponibile e “Utilizzati senza titolo”).
Riguardo agli immobili non utilizzati di cui agli allegati D, E, F, G, I al Programma di Politica Patrimoniale 2014-2016, non è stata fornita nessuna informazione sullo stato di attuazione degli interventi previsti per gli stessi.
Immobili utilizzati senza titolo od oggetto di occupazione abusiva alimentano un contenzioso del quale sono state fornite insufficienti informazioni.
Relativamente alle partecipazioni si osserva che non stono stati trasmessi i bilanci delle società e delle aziende al 31 dicembre 2015 e che pertanto le valutazioni sono riferite ai bilanci 2014.
Con riferimento, in particolare, alla partecipazione nella società UMBRIA T.P.L. e MOBILITA’ S.p.A., l’assenza dei documenti di bilancio riferiti a tale esercizio, non consente di esprimere alcuna valutazione sullo stato attuale della situazione finanziaria della società.
In ordine al modello di governance adottato dalla Regione, né dalla richiamata Relazione del Presidente della Giunta, né dai documenti presentati in fase istruttoria emergono notizie specifiche in ordine all’effettiva implementazione delle descritte procedure e all’esito delle stesse. Peraltro, anche le informazioni sugli organismi partecipati contenute nella Relazione della Giunta allegata al Rendiconto non sono idonee ad offrire un’adeguata prospettazione degli effetti che la gestione degli stessi produce sulle finanze regionali, facendo supporre che la stessa Amministrazione non ne abbia piena cognizione. Si riafferma la necessità che la Regione si attivi per garantire il funzionamento, in concreto, dei sistemi di governance e di monitoraggio che la stessa riferisce di aver attuato.
Relativamente agli enti dipendenti si osserva che anche per l’esercizio 2015 risultano sostanzialmente disattese le disposizioni contenute nell’art. 52, comma 4, della legge regionale n. 13/2000, poiché sono stati allegati i rendiconti al 31 dicembre 2014 e non quelli al 31 dicembre 2015, che avrebbero dovuto essere approvati entro il 30 aprile 2016 e comunque antecedentemente alla presentazione del Rendiconto da parte della Giunta, anche al fine di consentire la valutazione dell’impatto della gestione di tali Enti sul rendiconto stesso.
In via generale, come già segnalato per i precedenti esercizi, si osserva che sarebbe opportuno completare il Conto Economico, il Prospetto di conciliazione ed il Conto del Patrimonio, con la redazione di una specifica “nota integrativa”, nella quale dare conto in maniera chiara e analitica di quanto esposto nei richiamati documenti, atteso che le informazioni contenute nella richiamata Relazione della Giunta non sono comunque sufficienti a fornire una completa e chiara rappresentazione dei fenomeni.
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