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Il Decreto Semplificazioni e il regime transitorio in tema di responsabilità amministrativo-contabile: i chiaro-scuri della riforma*

di Angelo Canale – Procuratore generale della Corte dei conti

Incentrerò il mio intervento non su di una esegesi della norma (l’art. 21 del Decreto Semplificazioni) che, com’è oramai noto, ha modificato – con norme sostanziali e quindi non applicabili ai giudizi in corso – l’elemento soggettivo richiesto per la responsabilità amministrativa, ma sui presupposti e su reali effetti della stessa modifica, su talune sue criticità sotto il profilo del rispetto dei principi costituzionali e infine sul rapporto tra il nuovo regime giuridico introdotto dall’art. 21 e la regolamentazione europea relativa al Recovery Fund.

Considerato il tempo a disposizione, non ho alcuna pretesa di essere esaustivo ma quantomeno di accendere una luce, quella del dubbio, spero del forte dubbio, in chi ha approvato una norma che io ritengo non utile rispetto ai fini che il Legislatore si era prefissato e soprattutto non in linea con la normativa eurounitaria.

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L’art. 21 del Decreto Semplificazioni ha apportato importanti modifiche sostanziali al regime della responsabilità amministrativo-contabile, quella cui soggiace il dirigente che causa un danno patrimoniale all’Erario.

In particolare, sul piano strutturale, in quanto regola modificativa dell’art. 1 della L. 20/1994, con il primo comma dell’art. 21 è stato precisato che ai fini della prova dell’elemento soggettivo del dolo, occorre dimostrare la volontà dell’evento dannoso.

E’ pertanto richiesto, pur non disponendo il PM contabile degli strumenti d’indagine e istruttori del PM penale, un dolo “in chiave penalistica”.

Con il secondo comma è stata introdotta la limitazione della responsabilità amministrativo-contabile, per i fatti commessi dall’entrata in vigore del decreto (17 luglio 2020) e sino al 31 dicembre 2020, ai soli fatti commessi con dolo, nei termini del modificato art. 1 della detta legge 20/1994, salvo quelli cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente per i quali la detta limitazione non è applicabile.

In sintesi, il nuovo regime della responsabilità amministrativa, sino al 31 dicembre 2021, non prevede più il requisito della colpa grave, se non per i danni causati da omissione o inerzia; per i fatti commissivi, attivi, prevede, in via strutturale, come elemento psicologico necessario solo il dolo, ma quello “in chiave penalistica”, ovviamente assai più difficile, per l’attore, da provare.

Come era prevedibile, c’è già chi ritiene che le regole poste dall’art. 21 debbano avere tutte un carattere strutturale. C’è chi lavora per questo obiettivo.

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La previsione dell’art. 21 – che ha oggettivamente attenuato il regime delle responsabilità gravante su amministratori e pubblici funzionari, perché quello era il dichiarato obiettivo, l’effetto voluto – è stata motivata con la necessità, legata anche all’imminente attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, di alleggerire il peso della responsabilità, restringerne il perimetro e contrastare l’inerzia derivante dalla c.d. paura della firma.

Dunque, la premessa da cui si è mosso il Legislatore è che il rischio di incorrere nella responsabilità amministrativa indurrebbe i dirigenti alla c.d. burocrazia difensiva, alla quale si deve la colpa dei ritardi nella realizzazione di piani, progetti, opere.

Tuttavia la “premessa”, opportunamente rilanciata dagli organi di informazione, tanto da assurgere a verità assoluta (nel senso che si dà oramai per scontato che l’azione amministrativa sia bloccata per la paura del processo contabile e della Corte dei conti), non è dimostrata, non è stata oggetto di alcun serio approfondimento, non è stata supportata da alcuna analisi, né da alcun dato, né sono stati forniti esempi, anche ricavabili ex post da un’analisi delle migliaia di sentenze pronunciate dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, tutte accessibili nella banca dati della stessa Corte dei conti.

 In verità, illustri studiosi hanno evidenziato che la “paralisi del fare”, che esiste e certamente va contrastata, è tuttavia ascrivibile in larga misura alla farraginosità delle regole, alla esondazione o ipertrofia normativa, alla tortuosità dei percorsi decisionali, alla impreparazione della dirigenza o almeno di parte di essa, ad una serie di concause che potremmo cumulativamente qualificare come “cattiva amministrazione”.

(Io aggiungo anche la riduzione dei controlli preventivi; e con riferimento ai cantieri bloccati anche le lacune progettuali e le criticità delle analisi di fattibilità)

Ma, si è detto, i vari tentativi tesi alla semplificazione normativa sono falliti, per cui limitare il “rischio” della responsabilità amministrativo-contabile per contrastare la c.d paura della firma è apparsa non la migliore soluzione, ma quella più facilmente praticabile: in questo ragionamento manca però un elemento di assoluto rilievo, e cioè l’analisi delle ricadute della più facile soluzione scelta sull’azione amministrativa, il suo riflesso sull’allentamento del principio di legalità e sulla conseguente alimentazione dei fenomeni corruttivi, per questi ultimi nella intelligente definizione che anni fa l’ANAC diede della nozione di fatto corruttivo: nozione che è «più ampia dello specifico reato di corruzione e del complesso dei reati contro la pubblica amministrazione» e coincide con la “mala amministrazione ”, intesa come assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di determinazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche) devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari.

Ecco, nessuno si è chiesto quale ricaduta o quale concorrente ricaduta avrebbe il nuovo regime della responsabilità.

Neppure noi, magistrati del Pubblico Ministero contabile, ma certamente uniti in questo ai colleghi di qualsiasi funzione svolta dalla Corte dei conti, ce lo siamo chiesto: non ce lo siamo chiesto perchè già lo sappiamo. E lo sappiamo perché, come ha recentemente ricordato il Presidente Draghi, siamo “i guardiani autorevoli dei conti pubblici” e siamo, per cultura ed esperienze, ben consapevoli delle dinamiche della spesa pubblica e dei suoi profili patologici.

Quando si abbassa l’effettività del principio di legalità, quando si delimita al di sotto di una certa soglia il perimetro delle responsabilità, quando la “fuga della firma” in realtà è la “fuga dai controlli”, si innesca il processo di formazione non di buone prassi ma della “mala amministrazione”, nel significato datole dall’ANAC. Facciamo solo un pensiero a quello che sta emergendo in questi giorni a proposito degli acquisti di mascherine e altra prodotti medicali….

Gli stessi vagheggiati “benefici” (l’avvio di piani, progetti, opere, lo sblocco dei cantieri) sono solo meramente supposti, come in realtà era supposto il loro “blocco” a causa della “paura della firma” derivante dal timore della responsabilità amministrativa.

Come ho detto, nessuno ha illustrato casi concreti, nessuno è entrato nel dettaglio. E pensare che centinaia di cantieri siano bloccati, tutti o solo una parte, per la paura della responsabilità amministrativa è una cosa che proprio non esiste. Noi non abbiamo il potere giuridico di sequestrare o bloccare cantieri.

Permettetemi di fornire qualche dato: sono stati circa 2000 i giudizi di responsabilità promossi nel biennio 2019/2020; l’analisi della tipologia delle fattispecie dedotte in questi duemila giudizi di responsabilità ci consegna un quadro dove spiccano: fattispecie direttamente connesse alla commissione di reati (267 nel 2019, 203 nel 2020), frodi comunitarie (un centinaio), numerosi casi di assenteismo, i casi dei furbetti del cartellino, mancate entrate tributarie, mancata riscossione di canoni, percezione di emolumenti non dovuti, indebiti conferimenti di incarichi e di consulenze, danni derivanti da attività sanitarie, indebita percezione o indebito impiego di contributi pubblici, indebita corresponsione di premi, indennità, trattamenti accessori, omesso recupero di crediti, ritardati o mancati accertamenti, danni di varia natura al patrimonio pubblico, assunzioni illegittime, falsi invalidi, etc.

Ebbene, in apparenza nulla, fin qui, che si possa ricondurre alle supposte cause della “paura della firma”, né le fattispecie ricordate sembrano riguardare piani, progetti, programmi, opere pubbliche, cantieri bloccati.

Ma è su queste fattispecie, dove spesso si combinano elementi dolosi e colposi, o più spesso si rinviene solo colpa grave, cioè grave e inescusabile trascuratezza dei doveri minimi richiesti, che andrà soprattutto ad impattare il nuovo regime della responsabilità amministrativa.

È vero che nel 2019 ci sono state anche 14 citazioni legate alla realizzazione di opere pubbliche e 17 citazioni connesse ad attività contrattuali e che nel 2020, a causa della riduzione delle attività a causa del Covid, le stesse citazioni sono state complessivamente 15: ma si converrà che questi numeri -in rapporto alle stazioni appaltanti, che pare siano oltre 30mila – non sembrano tali, ammesso che in astratto queste ultime fattispecie possano riferirsi a piani, progetti, programmi, opere, da aver determinato una così diffusa, paralizzante “paura” o gli effetti della c.d. burocrazia difensiva.

Aggiungo per completezza statistica, che mediamente su 100 istruttorie solo 3 o 4 diventano giudizi di responsabilità; e solo il 60% di questi giudizi si conclude con una sentenza definitiva di condanna.

Le tantissime archiviazioni nella fase istruttoria, le tante assoluzioni all’esito del processo danno conto – e sottolineano in ciò la professionalità di PM e Giudici – anche di una particolare attenzione alle difficoltà operative che affronta il dirigente, alla considerazione della poca chiarezza normativa nella quale opera il funzionario, alla scarsità dei mezzi a disposizione, sino alla valutazione dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata (specifica esimente prevista dalla legge 20/1994).

Si dice che il processo di per sé sia una condanna, ma ciò non può risolversi nel non fare il processo quando ne sussistano le ragioni. Deve però trattarsi di un “giusto”, rapido ed equilibrato processo.

Il dubbio è forse che si guardi, ancora oggi, all’istruttoria e al giudizio di responsabilità secondo vecchi stereotipi, del tutto superati: chi ha questi timori ignora, e purtroppo lo ignorano ancora in tanti, che dall’ottobre 2016 è entrato in vigore il primo Codice di giustizia contabile, che ha previsto regole certe e, per quanto interessa in questo ragionamento, ampie e inedite tutele difensive sin dalla fase istruttoria, riti abbreviati, etc. Un “giusto processo”, preceduto da una istruttoria che, nella chiara volontà del Legislatore delegato del 2016, non poteva e non può mai tradursi in una anticipata condanna. Un’istruttoria, tra l’altro, che, come detto, non prevede la possibilità di bloccare lavori o sequestrare cantieri.

Certo, di più si può fare per migliorare il regime della responsabilità, ad esempio in tema di spese legali, prevedendo il rimborso – nella misura corretta e congrua – anche per quelle sostenute a seguito di invito a dedurre, e quindi in una fase che solo eventualmente precede il processo; ovvero si può intervenire sulle condizioni, già abbastanza vantaggiose, dei riti abbreviati (quelli hanno introdotto misure alternative al processo, attraverso il pagamento immediato di una somma inferiore alla pretesa risarcitoria).

Insomma, il contesto normativo, le fattispecie dedotte in giudizio, i numeri – non quelli vagheggiati o semplicemente non forniti– ci dicono che le cause della “paura della firma”, della fuga dalle responsabilità vanno ricercate altrove, e non nella responsabilità amministrativa, che è posta a tutela della corretta gestione delle pubbliche risorse.

Questo per quanto riguarda le premesse che avrebbero motivato la disposizione in esame.

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Ora, il profilo costituzionale.

È noto che la limitazione (generalizzata, perché limitazioni specifiche già esistevano per lo svolgimento di attività a rischio) della responsabilità amministrativa al dolo o colpa grave, fu introdotta con le riforme degli anni ‘90.

Soprattutto con questa ultima regola ma anche con il carattere personale della responsabilità, con la connessa intrasmissibilità agli eredi, salvo i casi di illecito arricchimento, etc. la responsabilità amministrativa si allontanava dalla tradizionale matrice civilistica, cioè dalla comune responsabilità risarcitoria – che per circa un secolo ne aveva permeato sia i profili sostanziali che quelli processuali – e assumeva una nuova conformazione, come riconobbero le Sezioni riunite della stessa Corte dei Conti all’indomani della riforma del 1994 e come precisò la Corte costituzionale allorquando si pronunciò sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giudicanti della Corte, ancora legate al precedente assetto sostanziale.

Si denunciava, tra l’altro, la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, perché si riteneva da parte dei giudici rimettenti che la nuova responsabilità, distaccandosi da quella civile, avesse determinato una ingiustificata disparità di trattamento a favore dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti.

Non era l’unico profilo di incostituzionalità dedotto, ma indubbiamente era quello più suggestivo. Era stata denunciata anche la violazione degli artt. 24, 81, 97, 103 della Costituzione.

Vale allora la pena di ricordare alcuni passaggi della sentenza della Corte costituzionale numero 371 del 1998, di grande e attuale interesse alla luce della riforma introdotta con l’articolo 21 del Decreto Semplificazioni.

Osservava la Corte costituzionale che, nel processo di nuova conformazione della responsabilità amministrativa deve essere valutata positivamente la limitazione della responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, poiché essa risponde all’intento “di predisporre nei confronti dei dipendenti e degli amministratori pubblici un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzia nello svolgimento dell’attività amministrativa”.

Sottolineava la Corte, che “nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano l’istituto qui in esame, la disposizione in questione risponde alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo.

Un “punto di equilibrio”, affermava la Corte costituzionale.

Il concetto è importante: significa, in altri termini, che interventi legislativi che allontanino la prospettiva della responsabilità, elevando oltre una certa misura la soglia della imputabilità, alterano inevitabilmente la equilibrata ripartizione del rischio, facendolo gravare in larga misura o pressoché esclusivamente sull’apparato pubblico – diciamo pure sulla fiscalità generale – senza concretizzare quegli effetti di deterrenza e quella ragione di stimolo che si accompagnano alla prospettiva della responsabilità.

A mio avviso, il nuovo regime della responsabilità, sono certo in buona fede e ispirato dalla volontà di velocizzare la ripresa, ha fatto venir meno il punto di equilibrio saggiamente indicato dalla Corte costituzionale, al di qua o al di là del quale probabilmente si porrebbe anche un problema di costituzionalità, almeno con riferimento all’art. 97 della Costituzione, che invece, relativamente alla limitazione della responsabilità al solo dolo o colpa grave, era stato escluso proprio con le argomentazioni sopra richiamate.

In ipotesi, avuto riguardo alle ragioni che hanno motivato il nuovo regime della responsabilità, si è visto quanto incoerenti e prive di dati di fatto, forse si porrebbe anche un problema di irragionevolezza e arbitrarietà della scelta normativa.

Del resto, secondo la sentenza Corte costituzionale n. 411 del 1988, il Legislatore è arbitro di stabilire non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilità, ma anche quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilità sia da ascriversi, ma deve comunque osservare il limite della ragionevolezza e della non arbitrarietà.

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Ed ora, l’ultimo profilo, quello afferente ai rapporti tra il nuovo regime della responsabilità introdotto dal più volte citato art. 21 e la regolamentazione europea relativa al Recovery Fund.

Il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2021/241 del 12 febbraio 2021, “che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza” (il c.d. Recovery Fund”) dedica molta attenzione al controllo sulla corretta gestione dei fondi .

Il complesso normativo che disciplina il dispositivo trova, ai sensi dell’art. 8 del Regolamento 241 del 2021, le sue regole generali nel Regolamento finanziario e nel Regolamento 2092 del 2020. 

In tale contesto, e per quanto attiene specificamente alla tutela degli interessi finanziari della UE, i principi normativi impongono il rispetto, tra l’altro: 

– del corretto funzionamento delle autorità preposte al controllo, alla sorveglianza e all’audit finanziari, nonché il corretto funzionamento di sistemi efficaci e trasparenti di gestione e responsabilità finanziarie (art. 4, comma 2, lett. b), Reg. n. 2092 del 2020); 

– dell’effettivo controllo giurisdizionale, da parte di organi giurisdizionali indipendenti, delle azioni od omissioni compiute dalle autorità (art. 4, comma 2, lett. d), Reg. n. 2092 del 2020); 

– del recupero dei fondi indebitamente versati (art. 4, comma 2, lett. f), Reg. n. 2092 del 2020). 

Particolare attenzione, a livello eurounitario, è data a tale ultimo profilo, ossia al recupero dei fondi. 

A tal fine, il Regolamento n. 241 del 2021 all’art. 8 fa espresso rinvio alla normativa generale del Regolamento finanziario, che prevede la responsabilità degli agenti finanziari, che sono tenuti “a risarcire il danno alle condizioni dello statuto” (art. 92 Reg. finanziario UE); il riferimento è allo Statuto dei funzionari UE, che prevede all’art. 22 che “Il funzionario può essere tenuto a risarcire, in tutto o in parte, il danno subito dall’Unione per colpa personale grave da lui commessa nell’esercizio o in occasione dell’esercizio delle sue funzioni”. 

A sua volta, l’art. 22, primo comma, del Regolamento 241 – che è fonte primaria del diritto – espressamente stabilisce:

  1. Nell’attuare il dispositivo gli Stati membri, in qualità di beneficiari o mutuatari di fondi a titolo dello stesso, adottano tutte le opportune misure per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione e per garantire che l’utilizzo dei fondi in relazione alle misure sostenute dal dispositivo sia conforme al diritto dell’Unione e nazionale applicabile, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l’individuazione e la rettifica delle frodi, dei casi di corruzione e dei conflitti di interessi. A tal fine, gli Stati membri prevedono un sistema di controllo interno efficace ed efficiente nonché provvedono al recupero degli importi erroneamente versati o utilizzati in modo non corretto. Gli Stati membri possono fare affidamento sui loro normali sistemi nazionali di gestione del bilancio.

Nel contesto delle articolate motivazioni e nelle prescrizioni del Regolamento 241, il Legislatore europeo si è pertanto soffermato sul controllo e sul fatto che l’attuazione del dispositivo – anche con il rinvio dinamico previsto dall’art. 8 del medesimo Regolamento – debba essere in linea con il principio della sana gestione finanziaria, che comprende la prevenzione e il perseguimento efficaci della frode, ivi compresa la frode fiscale, l’evasione fiscale e il conflitto di interessi. E’ altresì previsto che gli interessi finanziari dell’Unione siano, da ciascun Paese, tutelati efficacemente.

È importante evidenziare quanto emerge dalle motivazioni e dalle prescrizioni del Regolamento 241 sul rapporto tra l’attività di controllo e le azioni dirette all’immediata e puntuale azione repressiva, non solo di carattere penale, ma diretta anche all’effettivo recupero delle somme di cui si riscontrino profili di frode.

Il rinvio all’art. 22 dello Statuto dei funzionari U.E., che espressamente richiama la colpa grave per il risarcimento del danno è poi di particolare rilievo, in quanto, oltre all’azione recuperatoria, pare prevedere anche la risarcibilità dei danni arrecati con colpa grave: è ovvio, con riferimento aigli interventi finanziati con fondi europei del Recovery Fund.

E dunque, l’Europa, in estrema sintesi, ci fornisce i mezzi finanziari per la ripresa, ma esige, giustamente, una sana gestione finanziaria ed efficaci azioni di contrasto, non solo di carattere penale ma anche recuperatorie, nei casi di impiego illecito dei fondi del Recovery Fund, nonchè risarcitorie nei termini di cui all’art. 22 dello Statuto funzionari UE, che entra nel quadro normativo che regola l’attuazione del Recovery Fund per effetto del già menzionato art. 8 del Reg. 241-

Queste ultime azioni, quella recuperatoria e quella risarcitoria, chiamano in causa innegabilmente la “giustizia contabile ”, che deve poter contare, con specifico riferimento alle misure da attuale con il Recovery Fund, su tutti gli strumenti giuridici necessari per adempiere agli obblighi posti dal Regolamento a carico dello Stato italiano.

Quanto alle frodi, l’azione al loro contrasto non è estranea all’attività e alle esperienze del Pubblico Ministero contabile.

È ciò che senza clamori, ma seriamente, facciamo da anni.

Devo infatti ribadire che sul fronte del contrasto alle frodi, comunitarie e non, le procure regionali sono da tempo particolarmente attive, come dimostrano i dati – numero delle sentenze (1173 nel decennio trascorso), importi delle condanne (oltre 1,1 mld di euro, nel medesimo periodo) – forniti in occasione della recente inaugurazione del corrente anno giudiziario.

La Procura generale, in collegamento e sinergia con omologhi organi di tutti i paesi europei, è partner oramai storico di OLAF – l’ufficio europeo antifrode – e ha già avviato contatti con finalità operative con EPPO, la Procura europea antifrode.

Vale rammentare, per ultimo, che, ai sensi dell’art. 325 del Trattato UE, i Paesi membri sono tenuti a proteggere gli interessi finanziari dell’Unione con i medesimi strumenti con i quali proteggono i propri interessi finanziari: e dunque l’abbassamento del livello di protezione dei nostri interessi finanziari (restringendo il perimetro delle responsabilità amministrativo-contabili, ammesso che ciò sia possibile alla luce della stessa normativa europea) determina anche, di riflesso, l’abbassamento del livello di protezione degli interessi finanziari dell’Unione, e ciò per l’appunto mi sembra in contrasto con le prescrizioni del Regolamento 241/2021.

Non si giustifica allora, a maggior ragione, la recente attenuazione del regime della responsabilità, che a me pare contrastare con il quadro normativo eurounitario, che fa da cornice all’attuazione del c.d. dispositivo.

In tale quadro, torno a ribadire, si fa espresso riferimento, come detto, sia alle finalità recuperatorie, sia a quelle risarcitorie, essendo per queste ultime richiesto, ai sensi dell’art. 22 Statuto funzionari UE, l’elemento soggettivo della colpa grave (escluso dall’art. 21 del decreto Semplificazioni).

Concludendo, tutti i magistrati della Corte dei conti e nello specifico tutti i pubblici ministeri contabili non sono solo “guardiani autorevoli dei conti pubblici” italiani, ma sono, direi nello stesso tempo, con riguardo al dispositivo per la ripresa e la resilienza che ha un rilievo strategico per il Paese e con riferimento alle regole di controllo cui lo Stato italiano è tenuto per effetto della normativa eurounitaria, anche i “guardiani autorevoli” delle finanze comunitarie.


* Lectio magistralis tenuta alla Luiss il 25 marzo 2021

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