di Fulvio Maria Longavita, Presidente della Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei Conti
SOMMARIO: §-1) Premessa. §-2) Il controllo preventivo di legittimità; §-3)Segue: i parametri del controllo; §-4) Segue: il procedimento; §-5) Segue: gli effetti; §-6) I rapporti del controllo preventivo di legittimità e la responsabilità erariale; §-7) La deliberazione della Sezione Centrale del Controllo di Legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato n.8-PREV/2020; §-8) Conclusioni.
§-1) Premessa.
Il presente intervento verte sul controllo preventivo di legittimità sui provvedimenti amministrativi della P.A.(Estratto dell’incontro di studio tenuto il 25 giugno 2021 al Ministero dello Sviluppo Economico) .
La trattazione, per ragioni di tempo, non riuscirà ad affrontare il tema in tutte i sui molteplici aspetti, né potrà approfondire molto i profili presi in considerazione.
L’obiettivo, invero, è quello di affrontare le problematiche del controllo preventivo di legittimità essenzialmente in rapporto ad un caso concreto, che ha riguardato proprio il Ministero dello Sviluppo Economico (Mi.S.E.), così da catturare ancora meglio l’interesse dei partecipanti all’odierno incontro di studio.
Il caso, considerato nella presente analisi, è quello esaminato, vagliato e definito dalla Sezione Centrale del Controllo di Legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato con lòa deliberazione n.8-PREV/2020, del 29 ottobre 18 novembre 2020.
Con tale deliberazione, la predetta Sezione ha ricusato parzialmente il visto e la conseguente registrazione di un provvedimento del Mi.S.E. con il quale era stato approvato un Atto Aggiuntivo (il secondo) modificativo di un Contratto di Programma, per la realizzazione di un investimento di una certa consistenza, con correlative agevolazioni pubbliche.
Il caso si presta ad adeguati approfondimenti sul controllo preventivo di legittimità in sé e nei rapporti con la giurisdizione in materia di responsabilità erariale, in ragione delle sue specifiche caratteristiche:
a) diniego parziale di registrazione;
b) per valutazioni (a caratura pubblica) sull’istituto gius-privatistico della compensazione (ex artt. 1241 e ss. cc), quale Modo di estinzione delle obbligazioni diverse dall’adempimento (ex capo IV, Tit. I del libro IV Delle Obbligazioni);
c) con un bilanciamento di interessi che valorizza primariamente le esigenze prudenziali del controllo, a tutela dell’erario, rispetto a quelle prettamente amministrative, perseguite dal Mi.S.E., nell’espletamento della Sua mission, rivolta allo sviluppo del Paese.
Il fine ultimo della presente analisi è quello di tentare di evidenziare i criteri del cennato bilanciamento di interessi (comunque pubblici) del controllo e dell’amministrazione attiva, che refluiscono nei rapporti con la Corte dei Conti: rapporti che, seppur costantemente improntati a canoni di ausiliarietà per la P.A. [1], a volte possono essere percepiti come un “peso” nella speditezza dell’azione pubblica.
Il tema verrà affrontato, considerando – in termini generali – anche le correlazioni del controllo in discorso con la responsabilità amministrativo-contabile, prima e dopo l’entrata in vigore dell’art. 21 del d.l. 16 luglio 2020, n.76., che – come noto – ha innalzato la soglia di rilevanza della predetta responsabilità, ancorandola al dolo, nella sua forma (strettamente) penalistica della volontà del danno.
§-2) Il controllo preventivo di legittimità
Il controllo preventivo di legittimità, sul piano storico, esprime la prima e più rilevante componente del controllo della magistratura contabile, sin dalla l. 14 agosto 1862, n.800, istitutiva della Corte dei Conti del nuovo Stato Unitario.
Nella visione di Quintino Sella, il controllo preventivo di legittimità avrebbe dovuto essere il principale strumento per “tutelare la pubblica fortuna [e] curare l’osservanza della legge da parte di chi le deve la maggiore rinverza, cioè il Potere esecutivo”[2]
Come ben si comprende anche dal linguaggio, siamo agli albori dello Stato Unitario, che il sistema Fascista contribuì a radicare (quale “risposta” ai vari stati preunitari) mediante un generalizzato accentramento della spesa nei ministeri, e dunque nel Governo centrale, o come ci si esprimeva allora nel “Potere esecutivo”.
I correlati controlli, ovviamente, non potevano non essere anch’essi accentrati in un’unica Magistratura Contabile romana, con caratteristiche di particolare rigore e diffusività: in pratica, essi investivano tutti gli atti di spesa, anche di minore consistenza.
Il controllo preventivo di legittimità, inoltre, in questa sua impostazione d’origine, investiva anche i DD.PP.RR. (ivi compresi quelli che definivano i ricorsi straordinari al Capo dello Stato[3]) e di Governo in senso stretto (adottati a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri), tra cui anche i Decreti Legge e i Decreti Legislativi[4].
La Corte dei Conti, quale organo accentrato del controllo, aveva essenzialmente un potere di “veto” preventivo sull’efficacia dell’atto, il quale non poteva produrre effetto senza il visto (corrispondente ad una positiva valutazione di legittimità complessiva dell’atto stesso) e la conseguente registrazione. A tale tipo di controllo si è poi aggiunto anche quello successivo, sempre di legittimità, sui rendiconti dei funzionari delegati. E ciò, man mano che la spesa pubblica è venuta a decentrarsi dai Ministeri, alle articolazioni periferiche delle Amministrazioni dello Stato.
Al controllo sugli atti, peraltro, si è affiancato – sin dalla costituzione della Corte dei Conti del Regno Unitario – anche il controllo sulla gestione complessiva del bilancio dello Stato, mediante il Giudizio di Parificazione del Rendiconto generale.
La caratteristica saliente di tale tipo di controllo è che esso veniva esercitato nelle “forme” della giurisdizione contenziosa della Corte dei Conti, con la partecipazione del P.M. contabile, ed investiva l’intera gestione del bilancio statale, nelle risultanze del suo rendiconto. Per tal via, esso si affiancava ai (singoli) Giudizi di Conto, che riguardavano invece le gestioni particolari dei singoli Agenti contabili della P.A., ossia di coloro che avevano il “maneggio del danaro pubblico”, ovvero dei beni della P.A. (i c.d. agenti contabili “a danaro” o “a materia”).
Da evidenziare che nel quadro della legge istitutiva della Corte dei Conti, non era ancora venuto a delinearsi il giudizio di responsabilità, in una connotazione tecnico-scientifica ed istituzionale autonoma dal giudizio di conto, unico giudizio — allora — provvisto di un proprio corredo normativo (Cap. V, artt. 33-48 della legge istitutiva n. 800/1862).
È solo con la legge di contabilità del 1869 (l. 22 aprile 1869, n. 5026) che, “nell’ambito del giudizio di conto, si enuclea [il] nuovo istituto processuale [del] giudizio di responsabilità, mediante la previsione che gli ufficiali pubblici stipendiati […] dovranno rispondere dei valori che fossero per loro colpa o negligenza perduti dallo Stato”[5].
In sostanza, nella sua impostazione d’origine, la Corte dei Conti esercitava:
a) una sola forma di controllo, sugli atti, ossia il controllo preventivo di legittimità;
b) una sola forma di controllo giurisdizionale, sulle gestioni, ossia il giudizio di conto sull’operato dei singoli agenti contabili (“a danaro” o “a materia”), nel cui ambito va inquadrato anche il Giudizio di Parificazione, sul rendiconto generale dello Stato[6].
Il controllo sulla condotta dei funzionari, mediante il giudizio di responsabilità amministrativa, al momento della istituzione della Corte dei Conti, non aveva ancora una sua autonomia rispetto alla responsabilità contabile.
§-3) I parametri del controllo preventivo di legittimità.
I parametri del controllo preventivo di legittimità dell’epoca erano soltanto quelli attinenti alla c.d. legittimità formale. Si aveva riguardo, in pratica, alla pura e semplice violazione di legge, nel suo dato estrinseco.
Accanto alle forme tipizzate di violazione di legge, costituite dalla “incompetenza” (attinente all’ordine della distribuzione del potere amministrativo nell’ambito di una stessa amministrazione, specificamente stabilito dalla legge) e dell’ “eccesso di potere” (attinente alla funzionalizzazione dell’azione pubblica ai fini per i quali il potere pubblico era stato conferito dall’ordinamento), si ponevano tutti gli altri vizi generali (innominati) di legittimità, attinenti ai tempi e ai modi di adozione dell’atto, nonché ai sui ambiti applicativi, anche per i soggettivi che ne erano i destinatari.
I possibili vizi dell’atto quindi, vale ribadirlo, si riducevano – sempre e comunque – alla mera “violazione di legge”.
Lo stesso eccesso di potere, nell’elaborazione evolutiva che ha avuto nella Magistratura Amministrativa (quale vizio “interno” all’atto), dalla Corte dei Conti dell’epoca veniva sindacato solo nella sua forma estrema (estrinseca e formale) dello “straripamento di potere” (détournement de pouvoir), sconfinante con il difetto assoluto di competenza.
Al sistema di controllo preventivo di legittimità sugli atti, come si è detto, si è poi venuto ad affiancare il controllo successivo su rendiconti dei funzionari delegati.
In questa prima fase, il controllo preventivo (e successivo) di legittimità sugli atti (e sui rendiconti) era previsto e disciplinato dalle disposizioni del T.U. della Corte dei Conti, ossia dal R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, che nella sostanza delle cose aveva raccolto (e riproposto) le stesse disposizioni della legge istituiva della Corte medesima.
In quella stessa epoca, la giurisdizione nelle materie della contabilità pubblica e della responsabilità erariale, che nel frattempo aveva assunto una sua autonomia dal giudizio di conto, era esercitata da due Sezioni giurisdizionali soltanto, aventi sede a Roma, alle quali si erano aggiunte con il tempo anche altre Sezioni per la materia pensionistica: una per le pensioni Civili, una per le pensioni Militari e ben cinque per le pensioni di Guerra.
Il sistema così impostato ha retto fino al 1993, allorquando con una serie di reiterati decreti legge, poi convertiti dalle leggi n.19 e n.20 del 19 gennaio 1994, la Corte dei Conti, nelle sue articolazioni di controllo e giurisdizionali, ha subito una profonda trasformazione.
In pratica:
- sono state istituite le Sezioni Giurisdizionali Territoriali con i relativi Uffici di Procura erariale in tutte le regioni, a cui hanno poi fatto seguito analoghe Sezioni Territoriali di Controllo;
- è stata disposta una drastica riduzione degli atti amministrativi da sottoporre al controllo preventivo di legittimità ed al conseguente visto della Magistratura Contabile;
- sono stati delineate nuove forme di controllo, non più sugli atti o sui rendiconti amministrativi dei funzionari delegati, ma “di” gestione e “sulle” gestioni pubbliche, a carattere essenzialmente “collaborativo”.
Nel frattempo, una delle più rilevanti “rivoluzioni” logico-culturali del nostro sistema giuridico pubblico veniva realizzata dalla l. 7 agosto 1990, n.241, che all’art. 1 elevava a rango di “Principi generali dell’attività amministrativa” i “criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza” dell’azione pubblica.
Trattasi, è appena il caso di rilevarlo, di criteri che hanno una loro specifica valenza ermeneutica, non solo in sede giurisdizionale, per la soluzione delle controversie nei “casi dubbi”, per i quali manca una specifica disposizione normativa o si mostri insufficiente l’analogia legis, ma anche in sede di organizzazione e controllo delle azioni pubbliche, ex art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale. E ciò, in un contesto tale da investire non soltanto il sistema italiano, ma anche “ordinamento comunitario” (v. ancora art. 1, della l. n. 241/1990).
Per tal via, l’area principale del c.d. “merito” dell’azione amministrativa, legata all’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione stessa, è assurta a principale componente parametrica della c.d. “legalità sostanziale” dell’azione pubblica, in una visione unitaria e finalistica, rispetto agli obiettivi pubblici perseguiti, da affiancare (se non da contrapporre) alla legittimità c.d. “formale”, basata sul mero rispetto estrinseco della legge.
Le valutazioni di efficacia, efficienza ed economicità dell’agire pubblico, in chiave di legittimità, hanno aperto ad un apprezzamento delle norme sull’organizzazione e sull’azione della P.A. che tenesse conto non solo dei tre fondamentali criteri – letterale, sistematico e teleologico – di interpretazione delle norme, stabiliti dal precitato art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, ma anche del criterio ulteriore, costituito dallo spirito delle norme stesse, quale profilo ermeneutico intrinseco e più recondito della semplice ratio (storica o logica), che pure partecipa all’esegesi della disposizione di volta in volta considerata.
In questa ottica, è abbastanza intuitivo l’emergere di un particolare assetto valoriale, assolutamente rilevante sul piano interpretativo-applicativo delle norme di diritto amministrativo, che ne ricerca il costante allineamento alla dorsale assiologica dei diritti inviolabili dell’uomo (ex art. 2 ed artt. 13 e ss. Cost.), quale fine ultimo del diritto amministrativo, nell’opera di umanizzazione del diritto stesso, anche nella sua componente gius-contabile[7], attinente – quest’ultima – all’area “interna” dei rapporti con i dipendenti pubblici, nelle sfere delle loro responsabilità erariali.
In questa ottica, i bilanci delle pubbliche amministrazioni e il loro sistema di gestione, basato anche sull’adozione dei singoli atti di spesa, con il correlato controllo della Corte dei Conti, nella duplice forma contenziosa e non contenziosa (ex artt. 100, c. 2, e 103, c. 2, Cost.), appaiono lo strumento privilegiato per la realizzazione – in concreto – del principio di uguaglianza sostanziale, ex art. 3, c. 2, Cost. [8]. Il che assume un particolare rilievo soprattutto per quei gangli dell’Amministrazione pubblica, come il Mi.S.E., che compartecipano fattivamente allo sviluppo del Paese, promuovendo e coordinando forme concrete di attuazione della nostra “costituzione economica” (v., nel suo nucleo essenziale, artt. 35-47 Cost.)[9], da indirizzare e coordinare a fini sociali, pur nel rispetto della iniziativa economica privata, mediante “programmi e opportuni controlli” (ex art. 41 Cost.). E ciò anche nell’interesse dei mercati e dei cittadini, in funzione – sempre – dei loro “diritti inviolabili” (ex artt. 2 e 3 Cost.).
§-3) Segue: Il procedimento. Cenni alla registrazione con riserva.
Il procedimento del controllo preventivo di legittimità, seppur ridotto ai soli atti elencati nell’art. 3 della precitata l. n. 20/1994, è rimasto sostanzialmente lo stesso di quello delle origini, anche nei tempi del suo esercizio.
Esso è espletato da un Ufficio ad hoc, al quale è preposto (con funzioni semidirettive) un Consigliere delegato ed un congruo numero di magistrati istruttori.
L’Amministrazione trasmette l’atto all’ufficio della Corte. Il magistrato istruttore, competente secondo l’ordine interno di riparto della funzione di controllo, esamina l’atto e lo propone per l’ammissione a visto al Consigliere delegato, se non rileva illegittimità.
Ricorrendo il conforme avviso del Consigliere delegato, l’atto viene ammesso a visto e alla conseguente registrazione, per essere poi restituito all’Amministrazione che lo ha adottato.
Qualora, invece, l’atto presenta dei vizi di legittimità, il magistrato istruttore li contesta all’Amministrazione che ha adottato l’atto, mediante un apposito foglio [o nota] di rilievo e fissa un termine (non superiore a 30 gg.), entro cui far pervenire i necessari chiarimenti e/o gli ulteriori elementi (integrativi) di giudizio.
Se i chiarimenti sono ritenuti soddisfacenti, l’atto riprende e prosegue il corso già decritto, con la conseguente ammissione a visto e registrazione. Diversamente (ossia, in caso di persistenza dei dubbi di legittimità sull’atto da parte dell’Ufficio di controllo o di anche uno soltanto dei magistrati che lo hanno esaminati, Istruttore o Consigliere delegato), la decisione sulla sua ammissibilità a visto è rimessa alla Sezione Centrale di controllo di legittimità sugli atti di Governo e delle Amministrazioni dello Stato, nella composizione collegiale semplice o nel suo plenum dell’Adunanza Generale, a seconda della latitudine e profondità della rilevanza della questione da definire[10].
Relativamente ai tempi del procedimento di controllo, è da dire che prima della l. n. 20/1994, non era stato stabilito alcun termine, e ciò – oggettivamente – ha creato talvolta anche qualche criticità. Simili inconvenienti, oltre che ragioni di maggior semplificazione e snellezza dell’azione amministrativa, hanno comportato l’introduzione di un termine per la conclusione del procedimento del controllo, scaduto inutilmente il quale l’atto deve ritenersi ammesso ugualmente a visto.
Il termine, fissato in un primo momento dall’art. 3, c. 2, dell’appena citata l. n. 20/1994 in trenta giorni, al netto dei tempi di risposta dell’Amministrazione agli eventuali rilievi della Magistratura contabile, è stato poi fissato in 60 gg. dalla l. 24 novembre 2000, n.340, ivi comprendendo anche l’eventuale deferimento all’organo collegiale della Sezione di controllo.
Vale precisare che l’esito dell’esame collegiale della Sezione di controllo va comunicato subito all’Amministrazione interessata, “nelle 24 ore successive alla fine dell’adunanza”, mentre la relativa deliberazione “va pubblicata entro 30 gg.” (ex art. 27, c. 2, della precitata l. n. 340/2000).
Il procedimento di controllo appena descritto è quello ordinario.
Occorre ora fare un breve cenno all’ “Ammissione a visto con riserva”, non potendo approfondire l’argomento per ragioni di tempo [11].
Il procedimento speciale della Registrazione con riserva si innesta su quello ordinario, descritto poc’anzi, e lo prosegue, come forma del tutto eccezionale, davanti alle Sezioni Riunite della Corte dei Conti.
Trattasi di un procedimento che, dal lato dell’Amministrazione, impegna il Governo nella sua composizione collegiale, in quanto presuppone una deliberazione del Consiglio dei Ministri che chiede appunto alla Corte dei Conti di registrare con riserva l’atto che non ha superato il vaglio ordinario del controllo, ex art. 25 del r.d. n.1214/1934.
Nell’ammissione a visto con riserva, in sostanza, l’atto resta illegittimo, nelle valutazioni della Magistratura contabile, ma viene ugualmente ammesso a visto ed alla conseguente registrazione, dacché il Governo, mediante la predetta deliberazione, ne “ordina” la registrazione, assumendosene la responsabilità (politica) davanti al Parlamento.
In questa ottica, la Corte dei Conti comunica gli atti registrati con riserva “direttamente agli uffici di presidenza del Senato e della Camera dei Deputati”, ex art. 26 del r.d. n.1214/1934.
Le Sezioni Riunite devono comunque negare il visto con riserva, dando luogo al c.d. rifiuto assoluto di registrazione, nei casi previsti dall’art. 25, c. 2, del r.d. n.1214/1934, ossia nei casi di: a) spese eccedenti lo stanziamento, ovvero imputabili ai residui e non alla competenza e viceversa, ovvero ancora imputabili ad un capitolo diverso da quello indicato nell’atto soggetto a controllo; b) nomine e promozioni di personale, disposte oltre i limiti di organico; c) accreditamenti a funzionari delegati per importi eccedenti i limiti di legge.
§-4) Segue: gli effetti del controllo.
Quanto agli effetti, il controllo preventivo di legittimità non partecipa alla struttura dell’atto, ma si inserisce nella sua c.d. fase integrativa di efficacia.
In pratica, l’atto assoggettato al controllo preventivo di legittimità è in sé perfetto, ma non produce ancora i suoi effetti, fintanto che non sia stato ammesso a visto ed alla conseguente registrazione della Corte dei Conti.
Peraltro, le ragioni di snellimento dell’azione amministrativa, che hanno portato a fissare stringenti limiti temporali per l’esercizio del controllo in discorso, comportano – come anticipato – che gli atti soggetti al controllo “divengono in ogni caso esecutivi trascorsi 60 gg. dalla loro ricezione, senza che sia intervenuta una pronuncia della Sezione del controllo”, ex art. 27, c. 1, della l. n. 340/2000.
Fino all’esito positivo del controllo, pertanto, l’atto non può produrre effetti, in quanto sottoposto ad una sorta di condicio iuris di efficacia[12]. Ottenuto il visto, gli effetti dell’atto retroagisco alla data della sua adozione: si producono cioè con effetto ex tunc.
Prima dell’ammissione a visto, dunque, l’atto non può essere portato ad esecuzione e qualora fosse comunque eseguito, il controllo stesso diventerebbe del tutto inutile, per cui la Corte dovrebbe concludere il procedimento con una pronuncia di “non luogo a provvedere” e chi ha eseguito l’atto se ne assume ogni responsabilità, disciplinare ed erariale.
Insomma, in casi del genere, così come per le ipotesi di diniego di registrazione, l’atto amministrativo non vale come valido titolo giuridico di impegno di spesa. La spesa stessa, invero, può essere sostenuta soltanto ricorrendo all’istituto giuscontabile del riconoscimento di debito[13].
Tale istituto, è appena il caso di accennarlo, comporta che il relativo provvedimento deve essere comunicato oltre che agli uffici di controllo, anche a quelli della Procura della Corte dei Conti presso la Sezione Giurisdizionale territorialmente competente, per l’accertamento di eventuali responsabilità erariali, ex art. 23, c. 5, della l. n. 289/2002 (legge finanziaria 2003).
Il “visto” e la “registrazione”, come condizione di efficacia dell’atto soggetto a controllo, proprio perché integra gli effetti dell’atto e non ha una sua sfera autonoma di espressione giuridico-amministrativa di tipo “costitutiva” dell’atto stesso, non può essere autonomamente impugnato.
Né, del resto, l’esito positivo del controllo crea vincoli di giudicato.
L’atto ammesso a visto ed alla conseguente registrazione, infatti, resta liberamente valutabile sia dalle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti, sia dai giudici degli altri plessi giurisdizionali.
L’esito positivo del controllo preventivo di legittimità può avere un solo profilo di “interferenza” con la responsabilità erariale, e quindi con la giurisdizione della Corte dei Conti che tale forma di responsabilità è chiamata ad accertare, limitatamente alla sussistenza della colpa grave in chi ha eseguito l’atto ammesso a visto e alla conseguente registrazione.
La questione investe un aspetto delicato dei rapporti tra le funzioni di controllo e giurisdizionali della Magistratura contabile e verrà diffusamente trattato nel paragrafo seguente. Qui è sufficiente considerare che le eventuali esimenti di responsabilità, per carenza di colpa grave, si raccordano agli esiti positivi del controllo che siano stati espressi con l’ammissione a visto e alla conseguente registrazione, ma non anche a quelli che si verificano per mera consunzione del potere di controllo, per inutile decorso del termine di 60 gg., ex art. 27 della l. n. 340/2000.
§-5) I rapporti tra le funzioni di controllo e giurisdizionali della Corte dei Conti. In particolare i rapporti del controllo preventivo di legittimità con la responsabilità erariale, ex l’art. 17, comma 30-quater del d.l. n. 78/2009, convertito dalla l. n. 102/2009 e s.m.i.
Sin dalla legge istitutiva della Corte dei Conti dello Stato Unitario, l’esercizio delle due principali funzioni della Magistratura contabile (controllo e giurisdizione) si è normativamente ispirato a canoni di separazione e, si direbbe, di reciproca indifferenza.
L’art. 15 della legge istitutiva, infatti, esprimeva chiaramente il principio di separazione tra controllo e giurisdizione, prevedendo che: “La responsabilità dei ministri non viene mai meno in qualsiasi caso per effetto della registrazione e del visto della Corte”.
Il principio della “separazione” delle funzioni di controllo e delle funzioni giurisdizionali della Magistratura contabile è stato ribadito dalle norme del ‘ventennio’, mediante la riformulazione nell’art. 27 del R.d. 12 luglio 1934 n. 1214 (T.U. delle leggi sull’ordinamento della Corte dei Conti) della regola della indifferenza della responsabilità erariale “dei Ministri” alla “registrazione [ed al] visto della Corte”, con parole del tutto identiche a quelle del precitato art. 15 della l. n. 800/1862.
Del resto, anche nella (allora) nuova “Legge di contabilità” (R.d. 18 novembre 1923, n. 2440), era stato puntualizzato che: “La responsabilità dei funzionari […] non cessa[va] per effetto della registrazione o l’applicazione del visto da parte della Corte dei Conti sugli atti d’impegno e sui titoli di spesa” (v. art. 81, comma 2).
È evidente che lo “spirito” di separazione al quale si era informato il sistema normativo post unitario della contabilità pubblica, e di riflesso l’assetto operativo della Corte dei Conti, fino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, non era affatto “garantista”, teso com’era a dare rilevanza alla responsabilità erariale anche dopo (e nonostante) la “registrazione [ed il] visto della Corte dei Conti”, in una potenziale persistenza della responsabilità stessa non del tutto spiegabile, almeno per i profili esaminati dagli uffici di controllo.
La regola è passata nell’ordinamento repubblicano ed ha continuato ad operare in esso con un diverso “spirito”, compatibile con i valori della Costituzione del ’48 e segnatamente con quelli del “diritto di difesa” degli amministratori e dipendenti pubblici (ex art. 24 Cost.).
In questa nuova visione, il principio di separazione dell’esercizio delle funzioni della Corte dei Conti è venuto a consolidarsi come limite alla possibilità di attingere dall’attività del controllo elementi (e soprattutto prove) per il giudizio di responsabilità erariale, in coerenza con l’autonoma e separata previsione costituzionale della Corte dei Conti nell’art. 100 (tra “Gli organi ausiliari”[14]), per le funzioni di controllo, e nell’art. 103 (nella “Magistratura”), per le funzioni giurisdizionali[15].
Il nuovo assetto operativo, peraltro, è entrato progressivamente in crisi, man mano che il processo di integrazione europea è andato affermandosi, al punto di richiedere anche modifiche normative di rango costituzionale (v. l. cost. 20 aprile 2012, n. 1).
Nel reale assetto operativo della Corte dei Conti, comunque, l’antica regola dell’esercizio separato delle funzioni di controllo rispetto a quelle giurisdizionali non è stata mai pienamente realizzata. Gli organi di controllo, infatti, hanno sempre segnalato al p.m. contabile i fatti produttivi di (possibili) danni erariali, ed il p.m. contabile, dal canto suo, ha evitato di attivare pretese erariali per danni rapportabili ad atti o provvedimenti che avevano superato il vaglio degli organi di controllo della Corte medesima, nell’evidente — seppur normativamente inespressa — unità formativa, finalistica ed etico-culturale della Magistratura contabile.
L’impianto delineato dalle disposizioni degli anni ’30-40 non ha subito rilevanti modifiche, relativamente ai rapporti tra controllo e giurisdizione, neanche con la riforma degli anni ’90 (ex leggi nn. 19-20 del 1994 e s.m.i.). Alla formale attestazione di principio della separazione dell’esercizio delle due funzioni, infatti, è continuato a corrispondere una intrinseca, sostanziale esigenza di un loro coordinamento, per il corretto, equilibrato esplicarsi del ruolo della Corte nel suo complesso.
Il principio di separazione, nella sostanziale divaricazione tra astratta previsione normativa e reale portata applicativa, peraltro, ha avuto riflessi anche sull’esercizio della funzione consultiva della Corte.
Limitata, dapprima, ai soli pareri resi dalle Sezioni riunite in sede di emanazione dei regolamenti e dei modelli di contabilità (ex art. 13 del r.d. n. 1214/1934 ed art. 1 del R.d.l. 9 febbraio 1939, n. 273), la funzione consultiva della Corte dei Conti è stata notevolmente ampliata dall’art. 7, comma 8, della l. 3 giugno 2003, 131 (c.d. legge “La Loggia”).
Nel quadro articolato e complesso delle reciproche, frequenti implicazioni ed intersecazioni delle due funzioni a confronto (controllo e consultiva, da un lato, e giurisdizione, dall’altro), è parso che i tempi fossero maturi per giungere ad una chiara esplicitazione normativa dei rapporti concretamente affermatisi tra le cennate funzioni, nell’ambito della Magistratura contabile. Di qui la delega dell’art. 20, comma 2, lett. p), della l. 7 agosto 2015, n. 124, nella quale è stata chiaramente espressa la necessità di: “ disciplinare esplicitamente le connessioni tra risultanze ed esiti accertativi raggiunti in sede di controllo e documentazione ed elementi probatori producibili in giudizio, assicurando altresì il rispetto del principio secondo cui i pareri resi dalla Corte dei Conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli enti locali nel rispetto dei presupposti generali per il rilascio dei medesimi, siano idoneamente considerati, nell’ambito di un eventuale procedimento per responsabilità amministrativa, anche in sede istruttoria, ai fini della valutazione dell’effettiva sussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità e del nesso di causalità”.
Il codice di giustizia contabile, approvato con d.lgs. 26 agosto 2016, n.174, ha regolato questi aspetti con alcune disposizioni, concernenti – da un lato – l’ “onere” dei magistrati del controllo di segnalare alle “competenti procure regionali i fatti dai quali possono derivare responsabilità erariali che emergano nell’esercizio delle loro funzioni” (v. art. 52, c. 4, c.g.c.) e – dall’altro lato – il dovere di considerare i pareri delle Sezioni di controllo in sede istruttoria di responsabilità erariale, per possibili archiviazioni (v. art. 69, c. 2, c.g.c., ovvero in sede decisoria, per eventuali assoluzioni (ex art. 95, c. 4, cg.c.). Esula dalla presente analisi la trattazione dei menzionati aspetti[16], mentre vi rientrano appieno i rapporti tra il controllo preventivo di legittimità e l’accertamento della responsabilità erariale, nella regolamentazione che essi hanno ricevuto ben prima dell’entrata in vigore del codice di giustizia contabile, con l’art. art. 17, c. 30-quater, del d.l. n. 78/2009 (convertito dalla l. n. 102/2009), che ha affermato l’esonero da responsabilità per gli atti ammessi a visto nell’esercizio del predetto controllo.
L’appena citato art. 17, c. 30-quater, ha ribaltato il canone storico della “indifferenza” della responsabilità erariale alla registrazione degli atti amministrativi. Le relative disposizioni, tecnicamente, ancorano la carenza di responsabilità alla mancanza di colpa grave. Esse attribuiscono all’esito positivo del controllo preventivo di legittimità il valore di prova legale della carenza della colpa stessa, “[allor]quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del [medesimo] controllo”.
Com’è agevole desumere dal tenore letterale della norma, l’esimente soggettiva si collega ad un “fatto dannoso” che tragga origine dall’atto registrato.
La carenza della colpa grave, dunque, insiste su una condotta dannosa successiva all’adozione dell’atto, posta in essere dopo la sua registrazione, che fa affidamento proprio sull’ammissione a visto dell’atto stesso, sotto il profilo della sua legittimità, attestata dall’esito favorevole del controllo della Corte dei Conti.
Esaminando gli atti che l’art. 3 della l. n. 20/1994 prevede siano sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti è possibile individuarne e distinguerne alcuni che sono privi di capacità lesiva intrinseca, come gli “atti normativi a rilevanza esterna” e quelli “generali attuativi di norme comunitarie” (ex lettera c), ed altri invece che di per se stessi (self-executing) possono ledere il patrimonio pubblico e/o i beni-valori della contabilità pubblica presidiati da sanzioni pecuniarie, come gli “atti e contratti concernenti studi e consulenze” (ex lettera f-ter).
L’esonero da responsabilità per “carenza di colpa grave” ha un suo concreto spazio operativo soltanto per i fatti che danno attuazione agli atti non immediatamente lesivi dei beni-valori della contabilità o del patrimonio pubblico, ai quali la registrazione della Corte dei Conti conferisce efficacia, così da ingenerare un errore scusabile sulla legittimità dell’atto stesso in chi lo ha eseguito. È proprio nella scusabilità di un simile errore che, tecnicamente, si individua l’efficacia esimente dell’ammissione a visto e, dunque, la mancanza della colpa stessa.
Per gli atti “auto-esecutivi”, immediatamente lesivi del patrimonio pubblico o dei beni-valori della contabilità pubblica, invece, la registrazione della Corte non incide in alcun modo sulla colpa di chi li ha adottati, atteso che l’attività di “emanazione” degli atti in discorso si è conclusa ben prima della loro ammissione a visto e perciò non ne è stata influenzata in alcun modo.
In coerenza con una interpretazione letterale delle disposizioni dell’art. 17, comma 30-quater, si dovrebbe dunque sostenere che per gli atti “auto-esecutivi” (self-executing) non valga l’esimente soggettiva della carenza della colpa grave, che si lega alla registrazione della Corte dei Conti.
Se però, allargando l’ambito interpretativo, si dovesse considerare lo ‘spirito’ della norma nel suo complesso, allora si potrebbe anche sostenere che la registrazione degli atti in discorso fa ugualmente venire meno la responsabilità di chi li ha adottati, ma per un profilo diverso dalla carenza della colpa grave, magari legato alla valenza causale dell’ammissione a visto, quale “condizione di efficacia” di tali atti (ex art. 41, comma 2, c.p.), ovvero al valore sanante dell’illegittimità degli atti stessi.
Il valore legale della presunzione di assenza della colpa grave che si lega all’ammissione a visto, dovrebbe comunque restare circoscritta alle sole fattispecie nelle quali è materialmente ipotizzabile la rilevanza dell’errore scusabile, ingenerato dall’ammissione a visto medesimo, nel senso dianzi indicato. Per gli altri casi, invece, l’ammissione a visto avrebbe il più limitato valore di una presunzione “semplice” di carenza di responsabilità (ex art. 2727 cc), superabile (se del caso, anche solo parzialmente) con gli altri mezzi di prova in atti.
Analogamente, la norma parrebbe non ricomprendere nell’esimente da “ammissione a visto” gli illeciti contabili a base sanzionatoria, data l’assenza in essi del danno.
L’art. 17, c. 30-quater, infatti, espressamente correla la carenza della colpa grave agli illeciti da “fatto dannoso” e, quindi, agli illeciti a base risarcitoria soltanto.
Una interpretazione coerente con lo ‘spirito’ e la ‘ratio’ della norma, tuttavia, induce a ritenere che l’esimente in discorso si applichi anche agli illeciti a base sanzionatoria. E ciò, sia con riferimento agli atti “auto-esecutivi”, per i quali l’esimente rileva — come anticipato — sotto il profilo della legittimità dell’atto e/o della limitazione del nesso di causalità, sia con riferimento agli atti non “auto-esecutivi” (generali, normativi, di programmazione, ecc.), per i quali essa può emergere nella sua vera portata soggettiva di esonero dalla colpa grave. Anche nell’illecito contabile sanzionato con misure pecuniarie, infatti, rileva l’elemento psicologico, nell’entità fissata di volta in volta dalle disposizioni che ne delineano il precetto, secondo il principio di tipicità che caratterizza tale illecito, ex art. 23 Cost. [17].
Ad ogni buon conto, la registrazione della Corte esonera da responsabilità “limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”, come espressamente stabilito dall’art. 17, comma 30-quater più volte citato.
La norma ha operato una puntualizzazione opportuna, sul piano della chiarezza, ma superflua sul piano logico, essendo del tutto ovvio che i profili per i quali opera l’esimente non possono essere che quelli “presi in considerazione nell’esercizio del controllo”.
È da precisare però, per quanto detto al precedente § 3), che i “profili” da considerare nel controllo preventivo di legittimità non sono soltanto quelli estrinseci, della “legittimità formale”, alla stregua dei quali il controllo stesso è stato storicamente esercitato. Essi ricomprendono ormai anche gli aspetti della “legittimità sostanziale”, correlati alla “efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa” (ex art. 1 della l. n. 241/1990)[18] , ai quali si aggiungono quelli della “legalità finanziaria”[19], coessenziali all’agire pubblico, costituiti dalla salvaguardia degli equilibri di bilancio e della sostenibilità del debito, oltre che della destinazione dei mutui alle sole spese di investimento (ex artt. 8l, 97 e 119 Cost.).
Il riscontro della corrispondenza dell’atto ai cennati parametri di legittimità (formale e sostanziale), peraltro, opera diversamente, a seconda della natura dell’atto da esaminare.
Relativamente agli atti “auto-esecutivi” ed immediatamente lesivi dei beni-valori della contabilità pubblica e/o del patrimonio pubblico, l’esimente dell’ammissione a visto per i “profili presi in considerazione”, in quanto strettamente connessi agli effetti “tipici” dell’atto esaminato, impone il loro immediato, completo esame, in corrispondenza all’altrettanto immediata efficacia degli atti stessi. Simili atti offrono margini di “riserva di controllo” e di ulteriori valutazioni molto ristretti, così che la loro ammissione a visto — sul piano generale — pone una presunzione (semplice) di esonero da responsabilità in maniera pressoché automatica.
Per gli atti che, invece, necessitano di una successiva condotta attuativa e per i quali è anche difficile coglierne subito tutte le possibili implicazioni future, ben possono essere indicati i profili specifici di ammissione a visto, limitando ad essi soltanto la positiva valutazione del controllo e la relativa presunzione (legale) di carenza di colpa.
Nello spirito di chiarezza e collaborazione istituzionale che si pone a base delle relazioni di controllo della Corte dei Conti potrebbero essere valorizzate, a tal fine, i tradizionali “rilievi a vuoto”, o forme equivalenti, che consentono di rendere ostensive le ragioni di ammissione a visto di atti non perfettamente aderenti agli indicati parametri di legittimità al momento del controllo, ma suscettibili di rientrarvi al verificarsi di situazioni prevedibilmente prossime, affidate nella loro concreta verifica alle responsabili determinazioni dell’Amministrazione.
In particolare, per gli atti generali e/o di durata, come quelli di “programmazione” (ex lettera c) dell’art. 3, comma 1, della l. n. 20/1994, o che impartiscono “direttive generali per l’indirizzo e per lo svolgimento dell’azione amministrativa” (ex lettera b) del precitato art. 3, comma 1), la delimitazione dei profili considerati per l’ammissione a visto, da parte dell’ufficio di controllo, aiuta a comprendere meglio gli effetti esimenti del positivo esercizio delle relative funzioni.
Le eventuali questioni che dovessero insorgere in sede giurisdizionale sulla esatta delimitazione dei “profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”, ai quali ancorare gli effetti dell’ammissione a visto, andranno risolte con l’acquisizione degli atti del controllo medesimo, quali mezzi istruttori prevalenti, se non esclusivi dello specifico aspetto in contestazione. Trattasi di acquisizione che può essere disposta anche su iniziativa del giudice, qualora gli atti del controllo non fossero stati allegati dalla parte che vi ha interesse, per carenza della loro (materiale) disponibilità.
L’art. 17, comma 30-quater del d.l. n. 78/2009 e s.m.i., invero, non stabilisce alcun onere di allegazione di parte, a differenza dell’art. 95, c. 4, c.g.c. che sembra ancorare la valutabilità dei pareri della Corte dei Conti alla loro produzione in giudizio.
È da chiarire che la parte che può avere interesse alla produzione degli atti del controllo non è necessariamente il convenuto, che ovviamente si avvale dell’esito positivo del controllo stesso. Anche la Procura, infatti, può vantare un interesse analogo, soprattutto nei casi di esito negativo del controllo con esecuzione del provvedimento non ammesso a visto . Ipotesi del genere, anzi, potrebbero anche aggravare la posizione del convenuto, per gli aspetti della maggiore consistenza dell’elemento psicologico, ovviamente sempre nei limiti dei “profili presi in considerazione nell’esercizio controllo” [20]
§-7) La deliberazione della Sezione Centrale del Controllo di Legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato n.8-PREV/2020
Nel descritto contesto, attinente alle caratteristiche generali del controllo preventivo di legittimità, va collocata – ora – l’analisi dei tratti salienti della deliberazione della Sezione Centrale del Controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato n. 8-PREV/2020.
La deliberazione, come anticipato sub precedente §1), ha riguardato il decreto di approvazione del secondo atto aggiuntivo di un Contratto di Programma, stipulato dal MiSE con un Consorzio di Imprese, per la realizzazione di investimenti di una certa consistenza, e si è risolta nella non ammissione a visto del provvedimento stesso, nella parte in cui aveva stabilito di differire ad un momento successivo alla sua data naturale la compensazione legale, ex art. 1243 cc, delle reciproche partite debitorie-creditorie, correlata a quella della loro coeva maturazione.
In altri termini, la deliberazione in riferimento non ha ammesso a visto il provvedimento del MiSE laddove (terzo comma dell’articolo unico dell’atto aggiuntivo) aveva stabilito di non ripetere subito, con il secondo atto di erogazione del contributo pubblico (costituente una voce di credito per il Consorzio) l’indebito maturato sul primo atto di erogazione (costituente una voce di credito per il Mi.S.E.) e di attendere il terzo atto di erogazione del contributo, in deroga al precitato art. 1243 c.c. .
Senza entrare nel merito (e nei dettagli) della deliberazione, i punti di maggiore interesse della stessa, nell’impostazione della presente analisi, vanno individuati nel fatto che:
- per la parte ammessa a visto, essa ha espresso una positiva valutazione di legittimità del provvedimento sottoposto a controllo, così assicurando l’esonero da eventuali forme di responsabilità amministrativo-contabili legate alla sua adozione e/o esecuzione;
- per la parte non ammessa a visto, ha ugualmente espresso una valutazione che esclude in radice eventuali iniziative di responsabilità erariali, avendo posto le condizioni per recuperare subito l’indebito maturato sul primo atto di erogazione del contributo, senza attendere il terzo atto di erogazione, così escludendo ogni danno da mancato recupero.
Tale ultima considerazione, è bene incidentalmente precisarlo, vale soltanto nella misura in cui il secondo atto di erogazione non fosse stato ancora disposto alla data della deliberazione di controllo in rassegna o, se disposto, non fosse passato molto tempo tra la data della deliberazione stessa e quella delle iniziative di recupero delle somme indebitamente erogate.
Nella parte del provvedimento ammessa a visto, quindi, la deliberazione della Sezione di Controllo si pone come causa esimente da responsabilità per carenza della colpa grave e/o del nesso di causalità, nei termini indicati nel precedente § 6).
Nella parte non ammessa a visto, invece, la deliberazione in discorso incide sulla eventuale azione di responsabilità erariale, in quanto esclude in radice la verificabilità di un possibile danno da mancato recupero dell’indebito, sempreché – si ripete – la erogazione della seconda tranche del contributo pubbliconon fosse stata già disposta o non fosse passato molto tempo tra la data della deliberazione di controllo e le iniziative di recupero.
Senonché, e con ciò si passa al profilo del bilanciamento degli interessi pubblici implicati del procedimento di controllo esitato dalla deliberazione in rassegna, dal conteso generale della deliberazione stessa emerge anche il rischio di un possibile, eventuale danno ulteriore, diverso e maggiore da quello da mancato recupero dell’indebita erogazione del contributo, connesso alla mancata realizzazione del programma di investimento nel suo complesso.
Il Mi.S.E., infatti, aveva insistito nella richiesta di registrazione del provvedimento, facendo presente che “il recupero immediato del credito vantato dal Ministero [stesso] nei confronti della beneficiaria [avrebbe] verosimilmente privata quest’ultima delle risorse necessarie al corretto completamento del programma di investimento, determinando il rischio della revoca, totale o parziale, degli ingenti contributi già versati dall’erario in favore dell’impresa, con ogni conseguenziale effetto in ordine alla vanificazione dell’intervento pubblico di sostegno” (v. pag. 7 della deliberazione).
In sostanza, il Mi.S.E. avrebbe voluto evitare di procedere al recupero immediato dell’indebito, per non rischiare – mediante un ammanco di cassa al Consorzio – di vanificare l’intero investimento, oggetto del Contratto di Programma,
Come si vede, nel procedimento di controllo in trattazione sono confluiti e si sono fronteggiati due interessi da bilanciare, entrambi pubblici, aventi anche una loro consistenza economico-finanziaria, con possibili rischi di danno, in ipotesi di mancata realizzazione di uno di essi:
– da un lato, l’interesse pubblico al recupero immediato dell’indebito, così da evitare, mediante iniziative tardive, che si potesse realizzare – in concreto – il rischio dell’impossibilità del recupero stesso;
– dall’altro lato, l’interesse pubblico al buon esito del programma di investimento, che avrebbe potuto risentire negativamente dall’immediata restituzione dell’indebito, ricevuto con il primo atto di erogazione, ancora ripetibile con il successivo terzo atto di erogazione del contributo stesso.
I magistrati contabili hanno ritenuto che fosse prevalente il primo dei due interessi pubblici, così mettendo al riparo i funzionari del Mi.S.E. da eventuali danni da tardivo recupero dell’indebita erogazione di contributo.
La deliberazione in commento, seppur di riflesso, ha però creato condizioni di esonero da responsabilità anche per eventuali danni da mancata realizzazione del programma di investimento per ammanco di disponibilità finanziarie, legato alla menzionata ripetizione di indebito.
Come si è detto, infatti, entrambi i cennati interessi pubblici (al recupero dell’indebito e alla realizzazione dell’investimento) sono entrati nell’area di valutazione della Sezione di controllo e hanno costituito, perciò, “profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”, coperti – come tali – dall’esimente della carenza della colpa grave, ex art. 17, c. 30-quater del d.l. n.78/2009, convertito dalla l. n.79/2009.
Va da sé che le riferite considerazioni presuppongono che l’indebita erogazione di quella parte del contributo oggetto di recupero non fosse frutto di una condotta dolosa.
Ricorrendo l’ipotesi del dolo, infatti, coloro che hanno dato luogo all’indebita erogazione potrebbero rispondere anche del danno da mancata realizzazione dell’investimento, oggetto del Contratto di Programma al quale si riferisce l’atto aggiuntivo esaminato dalla Sezione di Controllo, sussistendone anche le condizioni ulteriori, insieme al dolo, secondo l’antico principio: “qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu”.
§-8) Conclusioni.
Volendo trarre delle conclusioni da questa breve relazione sul controllo preventivo di legittimità, mi pare di poter dire che l’evoluzione del Controllo stesso, così come tratteggiata nelle pagini precedenti, ha raggiunto un punto di “largo” e “stabile” equilibrio tra le esigenze della verifica degli atti (propria dell’area del controllo, ex art. 100, c. 2, Cost.) e delle condotte (propria dell’area della giurisdizione nella materia della responsabilità erariale, ex art. 103, c.2, Cost.), con l’entrata in vigore dell’art. 17, c. 30-quater, del d.l. 78/2009 e s.m.i.,.
In realtà, il sistema dell’esclusione della colpa grave per “i profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”, seppur limitato (nella sua previsione normativa) al solo controllo preventivo di legittimità, esprime una triplice esigenza, intrinseca del sistema: logica, giuridica e di giustizia, che permea di sé tutti i rapporti tra le Amministrazioni pubbliche e la Corte dei Conti.
Il superamento del vecchio, anacronistico sistema, basato sulla “indifferenza” della giurisdizione da responsabilità erariale dal controllo, effettivamente riequilibra e pone su un piano di adeguata considerazione sia le esigenze di garanzia dei funzionari pubblici, per gli atti ammessi a controllo, sia le esigenze generali di speditezza e celerità dell’azione pubblica, e sia infine le esigenze di responsabilità, legate a condotte dolose, o comunque non rispettose degli orientamenti specifici della Magistratura contabile, sui provvedimenti esaminati.
E’ peraltro evidente che, nel sistema sopra descritto, gli eventuali contrasti tra le valutazioni degli interessi pubblici coinvolti nel procedimento di controllo, operate dalla Magistratura contabile, ed il bilanciamento dei medesimi interessi operati dall’Amministrazione, possono trovare composizione nella dialettica istituzionale – improntata a canoni di leale collaborazione – o se si preferisce nel “contraddittorio” tra la Corte e l’Amministrazione, fino a possibili interventi del Governo, non solo con l’istituto della Registrazione con Riserva, ma anche con atti generali (anche di normazione), che ricalibrino e/o rendano ancora più ostensivi gli interessi pubblici perseguiti ed il quomodo della loro realizzazione.
Sul livello di “largo equilibrio” appena descritto si è, tuttavia, recentemente inserito un elemento normativo di perturbazione (di “instabilità”), che non può non destare preoccupazione, per le negative ricadute che può avere nell’assetto complessivo dell’ordinamento e nelle esigenze dei cittadini, in relazione anche al rischio della possibile esposizione a forme degenerative di esercizio delle pubbliche funzioni (in spirito di potere, più che di servizio[21]), nella soddisfazioni dei diritti fondamentali dei cittadini medesimi, mediante la fruizione dei Livelli essenziali delle Prestazioni (c.d. LEP), rilevanti anche ai fini dell’Unità Economica oltre che Giuridica del Paese, ex artt. 2, 3, c.2, e 120, c. 2, Cost.
Il riferimento è alle disposizioni dell’art. 21 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla l. 11 settembre 2020, n. 120.
L’articolo 21 appena citato prevede che:
“1. All’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso.».
2. Limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.
Le riferite disposizioni, sono destinate ad operare anche oltre la data edittale del 31 dicembre 2021.
Il pacchetto di riforme della P.A., finalizzate alla semplificazione burocratica e alla riduzione di costi e tempi attualmente gravanti su imprese e cittadini, il PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza), infatti, prevede anche la proroga dell’operatività della norma sul dolo, di cui all’art. 21 del d.l. 76/2020, fino al 30 giugno 2023. Tale proroga è stata recentemente recepita dall’art. 51, c. 1, lett. h) del d.l. 31 maggio 2021, n.77.
Le ricadute che le norme del riferito art. 21 hanno sulle regole del controllo preventivo di legittimità sono del tutto evidenti. Ancorare la responsabilità erariale commissiva al dolo penale, significa svuotare dal di dentro l’art. 17, c. 30-quater, del d.l. n. 78/2009, privandolo del suo valore fondamentale di escludere la colpa grave per tutti “i profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”.
Una volta stabilito che la responsabilità erariale commissiva è solo per dolo, non ha nessun senso sottoporre a controllo preventivo di legittimità il provvedimento amministrativo, per escludere la colpa grave di chi ha adottato o ha eseguito il provvedimento stesso.
In concreto, ciò comporta:
- una riduzione dell’utilità marginale del bilanciamento degli interessi (comunque pubblici) che refluiscono nel procedimento di controllo, mediante la valutazione della Magistratura contabile in “contraddittorio” con la P.A., titolare del provvedimento sottoposto a controllo;
- un ampliamento applicativo del punto di rilevanza ermeneutico penalistico – da parte della Magistratura contabile – nella ricostruzione dell’azione pubblica, nel suo complesso e nei singoli atti, circa le dinamiche di realizzazione degli interessi pubblici affidati alla cura degli uffici amministrativi, in sé e nel loro combinarsi con gli altri uffici della stessa o di altra Amministrazione;
- un maggior intervento del Giudice Penale, nell’area della responsabilità amministrativa.
In siffatto contesto è evidente il rischio che la riconsiderazione in chiave penalistica della responsabilità amministrativo-contabile conduca a forme di “paralisi” dell’azione pubblica ancora più ampie e profonde di quelle che l’art. 21 del d.l. n.76/2020 intendeva allontanare, stante l’inevitabile sistematico intervento del Giudice Penale, oltre che della Corte dei Conti, sui medesimi fatti produttivi di danno.
Tanto, senza poi considerare le possibili battute di arresto al processo di elevazione della leale collaborazione tra la Magistratura erariale e la P.A., improntato a canoni sempre più affinati di sensibilità istituzionale, che ha trovato nel controllo preventivo di legittimità il suo campo di naturale emersione.
[1] V. testualmente l’intestazione della Sezione III (Gli organi ausiliari) del Tit. III (Il Governo) della Parte II della Carta costituzionale (Ordinamento della Repubblica).
[2] V. discorso di Quintino Sella in Celebrazione del primo centenario della Corte dei Conti nell’Unità d’Italia, Milano 1963, 42.
[3] L’assoggettabilità a controllo preventivo di legittimità anche dei Decreti del Presidente della Repubblica che definivano i ricorsi straordinari al Capo dello Stato ha creato anche qualche tensione “culturale” tra la Corte dei Conti ed il Consiglio di Stato, chiamato -come noto – ad esprimere il proprio parere nel procedimento di definizione del predetto ricorso, stante anche il diverso punto di rilevanza ermeneutico che caratterizzava le pronunce della magistratura contabile, rispetto a quella amministrativa.
[4] Il controllo sugli atti legislativi del Governo è venuto meno con la l. 23 agosto 1988, n. 400. Tale esclusione è stata considerata legittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 406/1989).
[5] Cfr. S. SFRECOLA, Il giudice dei Conti e della responsabilità dalla storia all’attualità, in Scritti per i 150 anni della Corte dei Conti 1862-2012, Roma 2013.
[6] V. Sezione Regionale di Controllo per la Campania n.217-PARI/2019.
[7] Sulla “umanizzazione” della contabilità pubblica, cfr. M. Bergo: Il coordinamento della Finanza Pubblica e Autonomia Territoriale. Tra armonizzazione e Accountability, Napoli 2018, pagg. 195 e ss. .
[8] Sia consentito, in proposito, il riferimento a F.M. Longavita, I nuovi connotati della funzione di controllo, in “Atti Giornata di Studi -La Corte dei Conti al servizio della Comunità: riflessioni e prospettive a 25 anni dall’adozione delle leggi 19 e 20 del 1994”. Roma, 14 novembre 2019 – Aula SS.RR.
[9] V. in proposito, tra gli altri, anche per la distinzione tra “Costituzione economica” e “Costituzione finanziaria”, F. Saitta “Costituzione finanziaria” ed effettività dei diritti sociali nel passaggio dallo «stato fiscale» allo «stato debitore», in Rivista AIC n.1/2017.
[10] V. art. 3 del Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei Conti, ex deliberazione n.14-DEL/2000 e s.m.i. .
[11] Per eventuali approfondimenti, v. A. Baldanza: Le Funzioni di Controllo della Corte dei Conti, in La Nuova Corte dei Conti: Responsabilità, pensioni e controlli, a cura di V. Tenore, Milano 2018, nonché S.A. Dorigo: Il Controllo preventivo di legittimità su atti. Estensione, parametri ed esiti, in La Corte dei Conti: responsabilità, contabilità, controllo”, a cura di A. Canale, D. Centrone, F. Freni, M. Smiroldo, Milano 2019.
[12] Cfr. A.M. Sandulli: Il procedimento amministrativo, Milano 1959.
[13] Cfr. V. Quintaliani: Il riconoscimento di debito a seguito di esecuzione dei contratti di cui all’art. 3 c.1 lett. F) bis e ter della l. n.20/1994 in caso di rifiuto del visto di legittimità da parte della Corte dei Conti.
[14] La natura “ausiliaria” del controllo della Corte dei Conti ha subito una progressiva evoluzione, coerente con le modifiche degli equilibri istituzionali e le sensibilità maturate nella società civile dal 1948 ad oggi.
Da una iniziale (pre)valenza semantica del termine, quasi a voler indicare un ruolo “subordinato” o “servente” della Corte dei Conti, si è giunti al valore “servente” in senso istituzionale, con la precisazione che: “in ogni ordinamento, basato sulla divisione delle funzioni entro un ambito che deve pur sempre ricondursi ad unità, ogni funzione è servente alle altre, allo scopo comune del buon funzionamento dell’insieme”. In questa ottica, si è puntualizzato, “la Corte dei Conti è ausiliaria in senso assai ampio, [in quanto esercita] funzioni di controllo puntuale, di riscontro generale e certificazione di legittimità e di efficienza, di valutazione della situazione finanziaria e patrimoniale delle pubbliche amministrazioni, [nonché] di azione nel giudizio di responsabilità […] fino all’ormai non più recente riconoscimento dell’iniziativa nel giudizio di legittimità costituzionale, nei casi in cui la questione di costituzionalità sia funzionale all’espletamento dei suoi compiti di controllo” (cfr. G. Zagrebelsky, “Scritti per i 150 anni della Corte dei Conti 1862-2012”), Roma 2013, già citati.
[15] Si riporta, in proposito, il testo del paragrafo 11.4 della sent. n.29/1995 della Corte Cost.: “Nondimeno, la titolarità congiunta nella stessa Corte dei conti della giurisdizione (ai sensi dell’art. 103, secondo comma, della Costituzione) e del controllo successivo sulla gestione, corredato dei poteri di acquisizione delle notizie e di ispezione prima indicati, pone delicati problemi di regolamentazione dei confini, non solo sotto il profilo dell’organizzazione interna dell’organo (in quanto postula una rigorosa separazione fra le sezioni giurisdizionali e quelle adibite al predetto controllo), ma anche sotto il profilo dell’utilizzazione delle notizie o dei dati acquisiti attraverso l’esercizio dei poteri inerenti al controllo sulla gestione. Più precisamente, è incontestabile che il titolare dell’azione di responsabilità possa promuovere quest’ultima sulla base di una notizia o di un dato acquisito attraverso l’esercizio dei ricordati poteri istruttori inerenti al controllo sulla gestione, poiché, una volta che abbia avuto comunque conoscenza di un’ipotesi di danno, non può esimersi, ove ne ricorrano tutti i presupposti, dall’attivare l’azione di responsabilità. Ma i rapporti tra attività giurisdizionale e controllo sulla gestione debbono arrestarsi a questo punto, poiché si vanificherebbero illegittimamente gli inviolabili «diritti della difesa», garantiti a tutti i cittadini in ogni giudizio dall’art. 24 della Costituzione, ove le notizie o i dati acquisiti ai sensi delle disposizioni contestate potessero essere utilizzati anche in sede processuale (acquisizioni che, allo stato, devono avvenire nell’ambito della procedura prevista dall’art. 5 della legge n. 19 del 1994)”.
[16] Per possibili approfondimenti, sia consentito il riferimento a F.M. Longavita: I rapporti tra funzioni Giurisdizionali e funzioni di Controllo, in Il nuovo processo davanti alla Corte dei Conti, a cura di A. Canale, F. Freni. M. Smiroldo, Milano 2017
[17] Sia consentito un rinvio a F.M. LONGAVITA: La responsabilità erariale sanzionatoria a salvaguardia dei beni-valori che si pongono alla base della contabilità pubblica. Collegamento del suo esercizio con l’attività di controllo, in www.contabilità-pubblica.it, 17/2/2014.
[18] Si richiamano in proposito Cass., Sez. un., n. 6820/2017 e Sez. Contr. Umbria delib. n. 93-PAR/2016.
[19] Cfr. G. RIVOSECCHI, Il ricorso incidentale in sede di controllo della Corte dei Conti, intervento al seminario di aggiornamento presso la Corte Costituzionale, 16 marzo 2017.
[20] Una ipotesi particolare, che merita attenzione, è quella del c.d. “atto esaurito”.
Gli “atti esauriti” sono gli atti amministrativi soggetti a controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti che, tuttavia, vengono presentati per l’esame del competente Ufficio di controllo quando hanno ormai prodotto i loro effetti.
L’intrinseca natura del controllo preventivo di legittimità impone che simili atti, proprio per il carattere preventivo del controllo stesso, condizionante i relativi effetti, siano restituiti senza registrazione. In tal senso, del resto, è l’orientamento tradizionale degli organi di controllo della Corte dei Conti (v. tra le tante Sez. contr. Lombardia nn. 438 e 442/2007).
Non sono però mancate pronunce — anche autorevoli — di segno opposto (v. Sez. centr. legittimità delib. n. 10/2009 e Sez. contr. Marche delib. n. 7/2007).
Al presente, si assiste ad una ripresa dell’orientamento più rigoroso (v. Sez. contr. Piemonte delib. n. 111/2014 e n. 92/2015), da ritenere sicuramente più armonico con il sistema giuscontabile nel suo complesso, in relazione alle caratteristiche proprie del controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti ed agli effetti dell’ammissione a visto sulla responsabilità erariale, ex art. 17, comma 30-quater, del d.l. n. 78/2009 e s.m.i.
[21] Si ricorda che nell’art. 54 Cost., che chiude la parte prima della Carta fondamentale della nostra Repubblica, con la elencazione dei “diritti inviolabili dell’Uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”(ex art. 2, c.1, Cost.) si distingue nettamente il dovere dei cittadini comuni di “osservare la Costituzione e le leggi” dal dovere dei “cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche […] di adempierle con disciplina ed onore”.
Ora, com’è stato annotato dalla Magistratura contabile, “se la nozione di «disciplina», che figura in tale disposizione, rinvia all’insieme dei precetti e norme di azione che trovano applicazione nei confronti di chi è investito di un munus publicum, quella di «onore» reclama una condotta improntata ai valori essenziali dell’etica pubblica e della morale individuale, costituendo la precondizione giuridica essenziale (costituzionalmente rilevante) per il giusto adempimento delle funzioni stesse” (cfr. Sez. II Centr. App., sent. n. 95/2021.