Premessa
I recenti scandali corruttivi portati alla ribalta nazionale nella realizzazione di importanti opere infrastrutturali (Mose di Venezia e l’Expo 2015 di Milano) hanno fatto emergere un sistema a rete, diffuso e capillare, capace di coinvolgere personaggi e istituzioni al di sopra di ogni sospetto.
Da più parti e ad alto livello politico si tenta di accreditare la tesi che il problema delle tangenti non sarebbero le regole ma i ladri che vanno individuati e cacciati e allo stesso tempo si intende contrastare il fenomeno rafforzando i poteri della neo istituita Autorità nazionale anticorruzione (art. 1 L. n. 190/2012), ampliandone i poteri
Il Presidente della nuova Autorità, che sostituirà l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, ha riconosciuto[1] che l’azione anticorruzione è difficile perché spesso gli appalti, sul fronte del rispetto formale delle regole, sono perfetti, ma qualcosa si può fare con norme adatte e correggendo la legge sugli appalti che è fatta male.
Due visioni distanti, una politica e l’altra de iure condendo, che dovranno trovare un punto di sintesi, ponendo mano al riordino e alla semplificazione di un assetto normativo che, al di là del formale ossequio agli obblighi comunitari, volendo disciplinare tutto consente fughe ed aggiramenti che minano la certezza del diritto, aumentando, sul piano applicativo, i poteri delle stazioni appaltanti basati su verifiche discrezionali ed interpretazioni di comodo, spesso avallate dai giudici.
L’occasione potrà essere il recepimento della nuova direttiva degli appalti 2004/18/Ce del 26 febbraio 2014 che, oltre all’esigenza di semplificazione, considera necessario chiarire alcuni concetti e nozioni di base onde assicurare la certezza del diritto[2].
Un buona cornice normativa, infatti, seppure non sia di per sé sufficiente ad estirpare la propensione alle pratiche fraudolenti nella gestione delle procedure di gara ed agli scambi tangentizi nella esecuzione degli appalti, costituisce il presupposto essenziale per la lotta alla corruzione tutte le volte che riesce a chiudere i buchi neri entro cui la corruttela trova spazi spesso incontrastati; una buona legge fatta di principi e regole essenziali, chiare, effettive ed efficaci, riesce a prevenire i fenomeni distorsivi più delle sanzioni la cui deterrenza è spesso vanificata dall’occultamento dell’accordo fraudolento.
La nuova legge anticorruzione 6 novembre 2012 n. 190, comunque, ha riequilibrato la strategia rafforzandone l’aspetto preventivo e potenziando la responsabilità (accountability) dei pubblici ufficiali, ma ciò non è sufficiente, poiché occorre operare sulle procedure di base ad evitare che esse stesse offrano spazi e occasioni per attivare pratiche collusive e corruttive[3] .
Nel vigente quadro normativo di degli appalti pubblici costituiscono sicuramente fattori di rischio:
- la complessità delle procedure
- la discrezionalità delle stazioni appaltanti
- l’intermediazione.
Le deroghe, i diritti esclusivi o riservati, per di più, costituiscono elementi discriminatori che affievoliscono la concorrenza creando situazioni di privilegio, ma allo stesso tempo rappresentano fattori di rischio nella misura in cui accrescono lo spazio di discrezionalità del committente nella scelta degli operatori economici affidatari di commesse o servizi pubblici.
In particolare la procedura negoziata consentita dalla normativa derogatoria costituisce un fattore che aumenta il rischio di condotte corrotte e fraudolente; un’analisi a parte meriterebbero i moduli di matrice comunitaria, quali il dialogo competitivo (art. 58 cod.), l’accordo quadro (art. 59 cod.) e il project financing (art. 153 cod.), che, per essere efficaci ed immuni da condizionamenti, presupporrebbero un’amministrazione efficiente e tecnicamente capace di neutralizzare le asimmetrie informative.
1 – Le deroghe
Nel tradizionale assetto contabile dei contratti pubblici le deroghe sono state sempre viste come eccezione alla regola del pubblico incanto ed anche la c.d. licitazione privata (procedura ristretta) era consentita originariamente solo nelle ipotesi previste.
A maggior ragione tutte deroghe generalizzate per interi settori sono state sempre viste come un vulnus al principio di concorrenzialità dell’interesse della stessa amministrazione e nella prassi si sono rivelate spesso terreno fertile per pratiche collusive[4].
Per stare al tema e per meglio comprendere il rapporto tra quadro normativo di base e spazi permeabili alla corruzione appare illuminante e significativo ricordare le origini della vicenda che ha dato luogo alla nascita del Mose, che nella sua ardita concezione è configurabile come un vero e proprio “mostro”, non solo dal punto di vista tecnologico ma anche dal punto di vista giuridico.
Per l’esecuzione delle opere necessarie ai fini della conservazione dell’equilibrio idro-geologico della laguna di Venezia e dell’abbattimento delle acque alte nei centri storici, il Ministero dei lavori pubblici venne autorizzato, con apposita legge (5 agosto 1975, n. 404) a bandire un appalto-concorso, con la partecipazione anche di imprese o ditte straniere nonché consorzi o associazioni di imprese nazionali o straniere, in deroga alle vigenti disposizioni che disciplinavano lo svolgimento dei concorsi di progettazione e di appalto delle opere di conto dello Stato anche per quanto concerne la definizione dell’oggetto, le modalità, gli obblighi e le procedure di espletamento.
Espletata la procedura e dopo che il Consiglio superiore del lavori pubblici si era espresso con riserve e prescrizioni sullo studio di fattibilità e progetto di massima (nel frattempo acquisito dal Ministero dei Lavori pubblici su espressa autorizzazione legislativa) un gruppo di imprese che avevano partecipato all’appalto concorso, dopo aver costituito il consorzio Venezia nuova, avevano chiesto l’affidamento in concessione a norma della legge 14 agosto 1929 d n. 1137, delle opere di realizzazione previste dal progetto do massima, stipulando apposita convenzione con il Magistrato delle acque per la realizzazione dell’intero programma di interventi necessari alla conservazione dell’equilibrio idrogeologico della laguna.
Il provvedimento approvativo della convenzione, però, non ottenne il visto e la registrazione della competente Delegazione regionale della Corte dei Conti[5], per l’assorbente motivo che, non essendo configurabile, secondo la vigente legge n. 584/1977, un tertium genus di concessione, diversa dalla concessione di sola costruzione, ove non comprensiva dell’esercizio delle opere realizzate, l’aggiudicazione doveva avvenire con procedure concorrenziali e non a trattativa privata in assenza dei presupposti giustificativi di urgenza o di speciali ragioni tecniche.
L’arresto della magistratura contabile venne superato con una specifica norma derogatoria (art. 3, comma 3, L. 29 novembre 1984, n. 798) che autorizzò Il Ministero dei lavori pubblici a procedere mediante ricorso ad una concessione da accordarsi in forma unitaria a trattativa privata, anche in deroga alle disposizioni vigenti, a società, imprese di costruzione, anche cooperative, o loro consorzi, ritenute idonee dal punto di vista imprenditoriale e tecnico-scientifico, nonché a procedere mediante ricorso a concessione anche per gli altri interventi previsti, sentito, in relazione alle connesse convenzioni, l’apposito Comitato(ne); la formula concessoria non destò molta meraviglia poiché si adattava al modulo della concessione di committenza, all’epoca in auge[6] ma appariva del tutto evidente che l’indeterminatezza dell’oggetto e l’ampiezza dei poteri conferiti al concessionario (dalla progettazione di massima fino al collaudo) consentivano di configurare l’affidamento come una sorta di contratto a “regia invertita” con pagamento a piè di lista nel quale la direzione passava di fatto al concessionario ma l’intero rischio economico restava in capo al concedente[7].
La deroga originaria è sopravvissuta ai successivi interventi normativi, riuscendo a scansare sia la costituzione di un’apposita società a partecipazione pubblica[8] che l’abrogazione della figura del concessionario unico[9], con la conseguenza che il concessionario ha potuto continuare a beneficiare di una discrezionalità decisionale amplissima sulle caratteristiche progettuali, sui prezzi e sulle modalità di scelta e selezione degli esecutori materiali, esautorando di fatto le competenze dell’autorità concedente e con notevole vantaggio economico per il prezzo aggiuntivo dell’intermediazione[10].
Nemmeno l’inserimento del progetto Mose nella legge obiettivo (art. 16, comma 4, d.lg. n. 190 del 2002) riuscì a permeare la specialità delle pregresse procedure derogatorie con le nuove regole concorrenziali[11]; in concreto la convenzione madre originale ha continuato ad operare anche per gli interventi successivi allargati all’intera laguna in virtù del principio di unitarietà postulante un esecutore unico[12], perpetrando una situazione di monopolio che ancora perdura[13], dopo il compromesso raggiunto (marzo 2002) con la Commissione U.E. per superare l’avviata procedura di infrazione.
Sono questi gli antecedenti fattuali che hanno consentito al Consorzio di intessere una fitta rete di compliance e di scambi di favori leciti o illeciti, fino a quando è caduto il muro di omertà che proteggeva le tangenti o regalie di un sistema a tutto campo, capace di condizionare le scelte programmatiche, i finanziamenti, le tecniche di progettazione, le procedure di affidamento, la distribuzione dei contratti, le varianti extracontrattuali, l’esecuzione dei lavori e la relativa fatturazione in bianco e nero.
Sintomatica è altresì la vicenda di Expo Milano 2015 alla quale si sta tentando di porre rimedio in extremis per la parte ancora da realizzare[14].
2 – La complessità delle procedure
Secondo il rapporto della Commissione U.E. sulla corruzione in Italia presentato il 3 febbraio 2013, gli italiani percepiscono la corruzione come un fenomeno diffuso negli appalti pubblici; ritenendo le seguenti pratiche particolarmente diffuse nelle gare d’appalto pubbliche: capitolati su misura per favorire determinate imprese (52%); abuso delle procedure negoziate (50%); conflitto di interesse nella valutazione delle offerte (54%); offerte concordate (45%); criteri di selezione o di valutazione poco chiari (55%); partecipazione degli offerenti nella stesura del capitolato (52%); abuso della motivazione d’urgenza per evitare gare competitive (53%); modifica dei termini contrattuali (38%) dopo la stipula del contratto[15].
Il quadro delineato tiene evidentemente conto dei comportamenti anomali e/o illeciti nelle fasi più rilevanti, senza tuttavia spiegare perché ciò sia possibile.
E’ opinione abbastanza diffusa che la causa prima che agevola pratiche distorsive è la iper regolamentazione di base[16] che, al di là delle buone intenzioni garantistiche, complica le procedure rallentandone l’iter e rende incerta e problematica la corretta ed uniforme applicazione; ogni regola specie se di carattere formale, può essere letta in modo più o meno favorevole agli interessati e l’interpretazione può giocare un ruolo diverso e non obiettivo per i concorrenti privilegiati.
Il codice dei contratti pubblici, in base alla legge di delegazione (art. 25 L. n. 62/2005) avrebbe dovuto coordinare le disposizioni vigenti e semplificare le procedure di affidamento (non costituenti applicazione delle direttive comunitarie), al fine di favorire il contenimento dei tempi a la massima flessibilità degli strumenti giuridici.
Il testo che è venuto fuori, invece, ha due difetti di base: 1) conserva l’impronta mediativa dei vari interessi in gioco, che era una caratteristica della legge quadro dei lavori pubblici; 2) allunga i tempi delle procedure di aggiudicazione generalizzando istituti in uso per gli enti locali, ed esasperando le cadenze delle fasi procedimentali.
Si è in sostanza privilegiato il modulo amministrativo rispetto al modello contabilistico, essendo stato scisso il momento dell’aggiudicazione (atto solenne che chiude la gara) in un atto plurifasico (aggiudicazione provvisoria, aggiudicazione definitiva ed aggiudicazione efficace), cui segue la stipula del contratto e la relativa approvazione, secondo gli ordinamento delle singole amministrazioni.
Il procedimento di gara che nell’ordinamento contabile statale si svolge(va) in tre o quattro fasi (aggiudicazione, contratto, approvazione, controllo), richiede ora (art. 11 cod.), per lo meno sette o otto fasi necessarie (monitoraggio a sorteggio, aggiudicazione provvisoria, definitiva ed efficace, verifica requisiti, contratto, approvazione, controllo), oltre quelle eventuali a seconda del criterio di aggiudicazione (valutazione offerta economica più vantaggiosa, e verifica anomalia), ovvero una nuova aggiudicazione (in caso verifica negativa dei requisiti dell’aggiudicatario), nonché la sospensione obbligatoria della stipula del contratto e quella eventuale in caso di presentazione di ricorso..
Seppure è vero che alcuni rallentamenti (c. d. stand still ordinario e processuale) sono di matrice comunitaria, non è chi non intuisca che ogni passaggio di fase, che sia caratterizzato da discrezionalità decisionale o valutativa, possa costituire occasione perché l’esito favorevole sia oggetto di scambio occulto; si pensi soprattutto al passaggio dall’aggiudicazione provvisoria a quella definitiva ed ancor di più alla verifica postuma dei requisiti perché l’aggiudicazione diventi efficace; si dà il caso che la verifica dei requisiti potrebbe non essere limitata quelli di capacità economica-finanziarie e tecnico-organizzativa (art. 48) ed estendersi, con piene discrezionalità, a quelli di carattere generale, non solo in sede di approvazione (come sarebbe naturale) ma anche in sede di autotutela, stante la confusione e l’improprietà di linguaggio[17] che la stessa giurisprudenza è solita avallare, laddove riconosce indifferentemente una potestà (quasi illimitata) di annullamento o di revoca anche di fasi provvisorie c.d. interinali, a prescindere dal rilievo formale o sostanziale dei vizi soggettivi e da eventuali misure interdittive sopravvenute.
A ciò aggiungasi l’uso anomalo e l’abuso delle commissioni di gara, che vanamente il legislatore aveva tentato di circoscrivere alla sola ipotesi di esperimento di gara con il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa.
Per verità la generalizzazione è in parte dovuta alla presa di posizione della Corte di giustizia comunitaria[18] che aveva ritenuto incompatibile la previsione a sistema del criterio del prezzo più basso che avrebbe privato l’amministrazione della possibilità di prendere in considerazione le caratteristiche di ciascun appalto con la scelta del criterio più idoneo; fatto sta che la possibilità (da indicare nel bando) di presentare offerte migliorative per ogni tipo di appalto (art. 76 cod.) consente di alterare il progetto a base di gara ed aprire una corsia preferenziale per l’impresa prescelta, a giudizio quasi insindacabile della commissione di gara; per di più non è certo il ruolo della commissione giudicatrice di gara, spesso impropriamente definita tale e confusa con il seggio di gara, la cui attività di giudizio non è ancora chiaro se si traduca in una proposta[19], alla stregua del superato appalto concorso, oppure in un’aggiudicazione provvisoria.
Secondo l’analisi economica[20] il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a parte l’aggravio dei costi di gara, pur presentando in astratto garanzie migliori di fronte ai rischi di collusione (tra imprese) e di completamento dell’opera, presenta notevoli limiti in relazione al rischio di corruzione[21].
Aggiungasi che la cautela di trasparenza di aprire in tempi differenti l’offerta economica e quella tecnica-progettuale e di contenerli in plichi separato, si rivela effimera in presenza di offerte tecnicamente complesse, ma facilmente identificabili da parte di componenti non assolutamente indipendenti e già contattati (e corrotti) dagli operatori interessati.
La complessità della procedura, per di più configurata come procedimento amministrativo, ne sconta la tempistica e gli eventuali arresti processuali, rimanendo in caldo per tutto il tempo necessario alla definizione della controversia (di annullamento e risarcitoria) e perciò permeabile ad intese anomale con la stazione appaltante (che può sempre intervenire in autotutela o accettare transazioni) e ad accomodamenti tra le imprese litiganti con rinuncia al ricorso.
L’impronta settoriale del codice aggiunge poi un’ulteriore incertezza interpretativa all’applicabilità di alcune clausole agli appalti diversi da quelli di lavori, non tanto per i contratti oltre soglia ma per quelli nazionali ed in particolare per le procedure informali per le quali non è mai certo fino a che punto e con quali modalità siano applicabile i principi del codice.
L’ipertrofia legislativa e l’eccessivo dettaglio genera un enorme contenzioso che si aggrava a causa della lentezza del sistema giudiziario e che negli appalti di importo elevato supera il 50%.
L’ultima parola spetta evidentemente ai giudici ma la flessibilità delle linee interpretative non garantisce l’assoluta certezza che l’esito del giudizio sia immune da interferenze esterne e molto spesso il formalismo legalitario può risultare deviante.
Aggiungasi che la segmentazione procedimentale ed il “gioiello normativo di un’aggiudicazione a tre punte (per usare un terminologia calcistica), impone molto spesso di doppiare i ricorsi, in quanto una giurisprudenza arroccata[22] ha stabilito che l’accertato vizio dell’aggiudicazione provvisoria non ha effetto caducante dei successivi atti, nonostante l’aggiudicazione provvisoria precluda ai concorrenti non aggiudicatari il conseguimento del bene della vita[23].
3 – La discrezionalità amministrativa e tecnico-valutativa
Al ruolo determinate della discrezionalità nell’aprire spazi di accesso alla corruzione si è già fatto cenno.
La distorsione corruttiva si può realizzare in ogni momento in cui c’è qualcosa da decidere, apprezzare, certificare; a partire dalla decisione programmatica di spesa che può artatamente indirizzare le risorse finanziarie verso obiettivi protetti, alla determinazione a contrattare, al bando di gara[24], per finire alla scelta del momento in cui dare il via libera alla liquidazione degli stati di avanzamento ed ai relativi pagamenti[25], senza ovviamente trascurare il rischio intrinseco nel momento in cui si procede alla scelta della offerta più vantaggiosa o all’accettazione delle giustificazioni della presunta anomalia, che sono subprocedimenti caratterizzati da un elevato grado di discrezionalità tecnica.
La discrezionalità amministrativa è immanente in tutti i momenti decisionali della procedura di gara a partire dalla definizione del programma, degli elementi essenziali del contratto, dei criteri di selezione[26], fino alla indicazione delle specifiche tecniche e dei requisiti di prequalificazione; alla discrezionalità amministrativa in senso proprio, quale scelta di fini e di mezzi, segue e si combina la c.d discrezionalità tecnica basata su valutazioni e giudizi, comunque selettivi di contrastanti interessi.
Il vero problema dei contratti pubblici, infatti, è proprio la difficoltà di tracciare una precisa linea di demarcazione tra autonomia contrattuale e discrezionalità amministrativa[27], poiché è estremamente arduo considerare come fatto unitario un fenomeno negoziale complesso che pur nascendo da un momento pubblicistico (scelta amministrativa) è destinato ad operare come modulo privatistico una volta concluso il contratto; quando, però, l’autonomia contrattuale si combina con poteri discrezionali, alla posizione di pariteticità delle parti si sovrappone un principio di autorità che si proietta nella fase esecutiva alterandone l’equilibrio (potere direzionale, responsabile procedimento, jus variandi, potere revisionale, risoluzione d’ufficio).
Ciò significa che fino a quando l’appalto pubblico (ed in particolare quello di lavori), sarà configurato come un contratto a conduzione pubblicistica e come un contratto a cost plus che assicura la copertura dei maggiori oneri e non sarà ricondotto alla configurazione naturale di obbligazione di risultato, ovvero con prezzo a corpo e con formula chiavi in mano, vi sarà sempre il rischio di un pactum sceleris per varianti di comodo, accordi bonari sulle riserve, stati di avanzamento gonfiati e collaudi di facciata.
Né gli intoppi ed i ritardi c sono sempre addebitabili alla c.d. c.d. burocrazia, poiché in Italia uno spoil system strisciante e mascherato (temporaneità e precarietà degli incarichi) vanifica la distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli gestionali[28], contribuendo all’asservimento della dirigenza alla politica.
In una riflessione, probabilmente ancora valida in una economia di mercato concorrenziale, avevamo provocatoriamente indicato la via della privatizzazione dell’appalto pubblico denunciando come l’anomalia genetica della pervasiva ingerenza-conduzione pubblica fosse diventata, con l’avanzare della tecnologia multidisciplinare, un elemento deviante dell’equilibrio contrattuale, capace di alterare il fattore di rischio ed il gioco della responsabilità con negativi riflessi sul risultato economico[29]
E’ essenziale tornare alla vecchia regola di contabilità (art. 12) richiedente che i contratti abbiano “termini e durata certi” , senza “oneri continuativi”, onde salvaguardare il rischio finanziario del committente, piuttosto che gli interessi dei concorrenti, per i quali la definizione dell’oggetto rimane comunque baluardo di trasparenza e non discriminazione[30]; senza un obbligo di risultato predefinito, una negoziazione aperta, in bianco o sine die, si realizza il paradossale teorema del moltiplicatore nello smaltimento dei rifiuti: merce senza valore che meno si smaltisce e più profitti produce, che, applicato agli appalti, significa che meno il risultato è definito (in tempi, modalità e costi) più i profitti si moltiplicano.
L’ordinamento vigente, invece, consente procedure nelle quali sono enormi gli spazio di discrezionalità della definizione e negoziazione per fasi successive dell’oggetto del contratto, essendo possibile avviare la procedura di gara sulla base di un progetto preliminare e persino di uno semplice studio di fattibilità.
La nuova direttiva sugli appalti innanzi menzionata si preoccupa di considerare (n. 126) che la tracciabilità e la trasparenza del processo decisionale nelle procedure di appalto è essenziale per garantire procedure leali nonché combattere efficacemente la corruzione e le frodi[31].
In particolare gli Stati sono sollecitati (art. 24) ad adottare misure adeguate per prevenire, individuare e porre rimedio in modo efficace a conflitti di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento, ricordando che il concetto di conflitti di interesse copre almeno i casi in cui il personale di un’amministrazione aggiudicatrice o di un prestatore di servizi che per conto dell’amministrazione aggiudicatrice interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti o può influenzare il risultato di tale procedura ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto[32].
4 – L’intermediazione
L’ultimo fattore di rischio non tanto della corruzione quanto della collusione è l’intermediazione che è fenomeno diffuso, spesso sottovalutato, ma assecondato dalla direttive comunitarie, persino in conflitto con la normativa nazionale antimafia.
Il subappalto, l’avvalimento, le associazioni temporanee, i consorzi, la cooptazione e l’aggregazione, sebbene finalizzati alla collaborazione tra imprese per stimolare lo sviluppo e la specializzazione e ad agevolare le piccole e medie imprese per evitare posizioni dominanti di oligopolio, possono rappresentare un freno alla effettiva concorrenza ed essere manipolate a vantaggio dell’impresa dominante che elimina i potenziali concorrenti assicurando loro una porzione dell’appalto ma spesso a condizioni economiche non integrali.
Il subappalto, pur essendo una facoltà dell’appaltatore, resta soggetto all’autorizzazione espressa o tacita della stazione appaltante, i cui tempi costituiscono uno dei principali punti di criticità della disciplina[33]; l’effetto combinato tra subappalto ed avvalimento, peraltro, potrebbe spingere un operatore a cercare di «comprare», tramite uno scambio corruttivo requisiti di un’altra impresa o, più semplicemente, operare come subappaltatrice (art. 49, comma 10, cod.).
La stessa fenomenologia può realizzarsi nelle forme dei contratti di committenza integrata e nel general contractor[34] nonché negli accordi quadro e conferenze di servizi decisorie, in cui sia rilevante la partecipazione dell’operatore privato[35].
Il contraente generale[36], sebbene soggetto ad un autonomo sistema di qualificazione (art. 186), potendo affidare tutti i lavori a terzi appaltatori (art. 176, comma 7, cod.) potrebbe, al limite, non essere un soggetto costruttore, sicché viene maggiormente in evidenza la sua funzione di procacciatore della commessa unitaria e dispensiere degli appalti (di diritto privato), alle condizioni da lui stesso stabilite, salvo la verifica del soggetto aggiudicatore sul regolare adempimento degli obblighi contrattuali verso i propri affidatari[37]; quello che differenzia l’affidamento a contraente generale rispetto alla superata concessione di committenza e che in certo qual modo dovrebbe attenuare il rischio di corruzione nella fase di esecuzione è (art. 163, lett. g, cod.) la natura di prevalente obbligazione di risultato; affinché ciò si realizzi, però, occorrerebbe che l’oggetto del contratto sia ben definito nella sua globalità sin dall’origine; nel caso infatti che la gara non sia indetta sulla base di un progetto definitivo e sia consentito incrementare i budget iniziale, il contraente diventa il dominus della commessa e tenterà di propiziarsi i consensi necessari affinché l’opera proceda alle condizioni progettuali e finanziarie da lui stesso proposte, senza nemmeno assumere il rischio di esercizio che caratterizza la concessione.Non va poi trascurato il fenomeno delle società di comodo che fungono da soggetti interposti a copertura di complicità in attività legali[38], non senza tener presente che la concentrazione di imprese non sempre assicura una concorrenza equa ed effettiva[39].
Per quanto riguarda l’intermediazione d’affari, svolta non con carattere di professionalità da persone fisiche, la recente legge ha inteso stroncare il fenomeno introducendo (art. 346 bis c.p.) il reato di “traffico di influenze illecite”, ai sensi del quale si prevede la punibilità di chiunque, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio; il delitto richiede lo sfruttamento di relazioni esistenti con un pubblico funzionario, con ciò escludendo la possibilità di ricondurvi i casi nei quali la capacità del mediatore di influire sul soggetto pubblico sia solo apparente.
Pelino Santoro
[1] Intervista di Repubblica a Raffaele Cantone, 8 giugno 2014
[2] Il Parlamento europeo ha osservato (Com. 20 giugno 2011/2048) che le direttive sono troppo dettagliate e sono diventate sempre più tecniche e complesse, aumentando al contempo in misura notevole il rischio giuridico per le amministrazioni aggiudicatrici e i fornitori di non riuscire a rispettare tali regole, auspicando norme chiare e semplici, la riduzione del grado di dettaglio e un maggiore ricorso ai principi generali di trasparenza, pari trattamento e non discriminazione;
[3] Il D.L. 24 giugno 2014 n. 90 prevede: l’assorbimento dei poteri dell’AVC ( art. 19) il conferimento di poteri sanzionatori, l’attribuzione di poteri ispettivi, la trasmissione all’ANC delle varianti in corso d’opera e la creazione di una unità speciale per le verifiche preventive de di legittimità degli appalti di Expo 2015.
[4] Valga per tutte la normativa sulla protezione civile estesa ai grandi eventi (L. n.. 225/1992), tanto che si è dovuto rimediare prevedendo l’assoggettamento al controllo preventivo dei provvedimenti commissariali di protezione civile (art. 2, comma 2 sexies, D.L. n. 225/2010 conv. L. n. 10/2011).
[5] C. Conti, Sez. contr. 15 luglio 1983 n. 1370, in Foro amm.. 1985, 304.
[6] Cons. St., Sez. III, 15 aprile 1986 n. 582, in Riv. trim. app. 1989 788, con commento di CANCRINI, La concessione di committenza e la legge n. 584.
[7] SANTORO, I contratti pubblici, Rimini 1997, 251.
[8] D.lg. 13 gennaio 1994, n. 62
[9] Art. 6-bis. D.L. 29 marzo 1995, n. 96/1995 conv. L., n. 20671995 che ha fatto salvi gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base delle disposizione abrogata.
[10] Relazione Corte dei conti, Sez. contr., 20 febbraio 2009 n. 2 (rel. Mezzera), in www.corteconti.it; Sez. contr. gestione 12 novembre 1997 n. 137 (rel. Silvestri), in Riv. C. Conti 2007, 6, 189 e 22 aprile 1998 n. 31 (rel. Silvestri), ivi 2008, 2, 29; era seguito il criterio che il regime generale dei compensi del concessionario (fissato al 10%) non fosse applicabile alle concessioni regolate da leggi speciali (Sez. contr. prev. 18 febbraio 1991 n. 16, ivi 1991, 2, 15); le spese generali hanno superato nel complesso il 40% dei lavori.
[11] TAR Venezia, Sez. I, 26 luglio 2004 n. 248, in Riv. giur. edil. 2005, 200.
[12] C. Conti, Sez. contr., 20 ottobre 1988 n 2008, in Foro amm.. 1989, 2522.
[13] Nella citata relazione della Corte dei conti può leggersi: Il mantenimento del monopolio da parte del Consorzio risulta ancora più significativo per il fatto che, in base allo statuto del consorzio, ampia discrezionalità –seppure temperata dall’approvazione del Magistrato alle acque- è attribuita al consorzio stesso nell’ammettere nuovi soggetti al proprio interno e, quindi, nel decidere l’attribuzione dei lavori.
[14] Con apposito D.L convertito nella legge n. 46/2007, D.L n. 46/2007 L’Ente, affidatario è stato autorizzato a derogare, nel rispetto dei principi desumibili dalle disposizioni comunitarie, alle norme della contabilità generale dello Stato ed a quelle del codice dei contratti.
[15] Secondo il medesimo rapporto il settore delle infrastrutture è quello in cui la corruzione degli appalti pubblici risulta più diffusa; dato che le risorse in gioco sono cospicue, il rischio di corruzione e infiltrazioni criminali è particolarmente elevato. Anche il rischio di collusione è peraltro elevato dal momento che solo pochi prestatori sono in grado di fornire le opere, le forniture e i servizi interessati. Secondo studi empirici, in Italia la corruzione risulta particolarmente lucrativa nella fase successiva all’aggiudicazione, soprattutto in sede di controlli della qualità o di completamento dei contratti di opere/forniture/servizi71.
[16] Il codice degli appalti .D.lg n. 163/2006, in sette anni di vita, è stato modificato a tutto il 2013 già 45 volte, poiché non ha la struttura né lo spessore di un vero codice, essendo nato con la matrice di un testo unico che ha assemblato le esistenti norme primarie, quelle regolamentari e persino quelle di capitolato, estese forzatamente dal ceppo originario dei lavori pubblici a tutta la platea dei contratti pubblici (servizi e forniture) rientranti nell’area delle direttive comunitarie.
Nel rapporto della speciale commissione sulla corruzione presentato nel 2012 si legge: in relazione all’iper regolamentazione del settore degli appalti è emersa la necessità che si arrivi ad un sufficiente grado di certezza normativa, quale precondizione per prevenire inefficienze e malcostume; tale certezza agevolerebbe l’individuazione del disvalore della condotta con effetti evidenti sulla prevenzione del fenomeno corruttivo.
[17] SANTORO P ed E., Nuovo manuale dei contratti pubblici, Santarcangelo 2012, 685.
[18] CGE 7 ottobre 2004 C-25 47/02, in Foro amm.. C.d.S. 2004, 2404.
[19] Cons. St., Sez. V, 7 novembre 2006 n. 6543, in Foro amm.. C.d.S. 2006, 3060 e19 giugno 2009 n. 4068, ivi 2009, 1507.
[20] Banca d’Italia, Quaderni. n. 83/2010.
[21] L’Autorità della concorrenza, pur dando atto che la scelta tra i due criteri risulta attribuita alla discrezionalità dell’amministrazione, ha da tempo rilevato (parere n. 285/2003) che un criterio di aggiudicazione basato sul prezzo, in quanto parametro oggettivo e trasparente, favorisce un più pieno e corretto svolgimento del processo competitivo ed appare tendenzialmente più adeguato, in una prospettiva di promozione della concorrenza, quando le caratteristiche qualitative del bene o del servizio posto a gara, più appropriate alla cura dell’interesse pubblico da soddisfare con la commessa, possono essere agevolmente individuate e definite, nella fissazione delle specifiche tecniche, senza che ciò induca, implicitamente o esplicitamente, una discriminazione tra i fornitori concorrenti.
[22] Per tutte, Cons. St., A.P., 31 luglio 2012 n. 31,in Foro amm.. C.d.S. 2012, 1816; SANTORO P., L’aggiudicazione definitiva ad effetto differenziato e le aporie del codice dei contratti pubblici., in questa Rivista n. 12/2012; id., L’aggiudicazione provvisoria: potenzialità lesiva ed immediatezza di tutela tra finzione e realtà, in Riv. trim. app. 2009, 684; F. SAITTA, Gare pubbliche e doppie impugnative: facoltative e non: un quadro giurisprudenziale non sempre coerente, in Foro amm.. C.d.S. 2012, 3164.
[23] Cons. St., A.P., 31 luglio 2012 n. 31, cit.
[24] Nel citato rapporto sulla corruzione del 2012 si evidenzia come l’elaborazione dei bandi di gara pilotato o su misura possa essere il frutto di patti corruttivi, in quanto nell‘individuare alcuni requisiti piuttosto che altri può aprire o chiudere la partecipazione alle gare a determinate imprese.
[25] G. COLOMBO, Il sistema degli appalti, Milano 1995, 180, si dà come dato di fatto che la manipolazione è dovuta alla discrezionalità alla manipolazione (pag. 41) e si allude all’alea dovuta alla discrezionalità dei pagamenti (pag. 82).
[26] La scelta tra i criteri di aggiudicazione, come pure dei criteri più adeguati per l’individuazione della offerta economicamente più vantaggiosa, sono frutto di una valutazione discrezionale non sindacabile se non per evidente irrazionalità o travisamento dei presupposti di fatto in base ai quali è più congruo un criterio piuttosto che l’altro (Cons. St., Sez. III, 14 gennaio 2013 n. 148, in Foro amm.. C.d.S. 2013, 114.e 15 aprile 2013 n. 2032, ivi 2013, 909)
[27] La discrezionalità della determinazione a contrattare riguarda soprattutto il quomodo della procedura, mentre la gran parte del potere discrezionale viene esercitato generalmente a monte, nella decisione pubblica di spesa , con riferimento all’an, al quantum, all’ubi ed al quando: P. ed E. SANTORO, Nuovo manuale dei contratti pubblici, cit. 115 e 416.
[28] C. cost. 23 marzo 2005 n. 104, in Foro amm. C.d.S. 2017, 775 e 20 maggio 2008 n. 161, in Foro it. 2008, I, 3463
[29] SANTORO, Privatizzazioni terzo livello, strumenti giuridici e mezzi finanziari per l’esecuzione di opere pubbliche, in Dir. econ. 1995, 1, 182
[30] CGE 14 ottobre 2004 C-340/02 / (punto 34), in Riv. C. conti 2004, 5, 275 e 7 dicembre2000 C-324/98 (punto 61), in Giur. it. 2000, 825.
[31] La stessa direttiva (art. 26) considera irregolari e perciò da escludere dalla gara le offerte in relazione alle quali vi sono prove di corruzione o collusione, ed annovera tra i motivi di esclusione (art. 57) la condanna definiva per corruzione; la legge anticorruzione n. 190/2012 ha imposto (art. 1, comma 32) a tutte le stazioni appaltanti la pubblicazione sul proprio sito web dei dati essenziali di tutti gli affidamenti di contratti pubblici ed il contemporaneo invio all’AVC, la quale ha l’obbligo di trasmettere alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso la pubblicazione.
[32] In attuazione dell’art. 1, comma 44 della legge anticorruzione è stato adottato (D:P:R: n- 62/2013) il nuovo codice di comportamento dei dipendenti pubblici.
[33] Dalla relazione al progetto di legge sulla corruzione.
[34] SANTORO P. ed E., Nuovo manuale dei contratti pubblici cit. 212, P. SANTORO, Commesse pubbliche ed intermediazione in Riv. C. Conti 1995, 2, 285.
[35] E’ il modello seguito per la TAV la cui realizzazione non è rimasta immune da episodi corruttivi.
[36] L’affidamento a contraente generale è accreditato tra gli appalti pubblici quale contratto di far eseguire con qualsiasi mezzo.
[37] Art. 176, comma 9, codice contratti, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 72, L. n. 147/2013.
[38] Nel libro verde sugli appalti – Com. 15 del 27 gennaio 2011, si annunciava (punto 5.2) lo studio di ulteriori rimedi idonei a combattere la corruzione ed il favoritismo, ivi comprese la manipolazione del bando di gara ed il ricorso a società di copertura/interposte per coprire le attività illegali del funzionario corrotto e la lotta contro l’ingerenza delle criminalità organizzata, nonché la necessità aumento delle garanzie procedurali per contrastare prassi commerciali scorrette a livello UE per migliorare lo standard comune europeo di protezione nei confronti di tali prassi, aumentare l’equità complessiva delle procedure e rendere le procedure di appalto meno vulnerabili alle frodi e alla corruzione (punto 5).
[39] Nel citato libro verde (punto 3.2) la Commissione suggerisce misure legislative a favore delle PMI per ampliare considerevolmente la base potenziale dei fornitori, con effetti positivi di maggiore concorrenza per gli appalti pubblici e come contrappeso agli operatori dominanti, nonché di bandire appalti intelligenti miranti a massimizzare la concorrenza in mercati caratterizzati da oligopolio o da strutture dominanti anticoncorrenziali; sarebbe necessario in primo luogo che i committenti conoscano la struttura dei mercati, adeguando le proprie strategie di appalto (articolazione degli appalti e scelte procedurali). Ad esempio, le amministrazioni aggiudicatrici, evitando di bandire appalti che possano essere eseguiti soltanto da uno o pochi operatori di mercato, perché non si farebbe che consolidare le strutture oligopolistiche rendendo quasi impossibili nuovi accessi al mercato.
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se non vengono abrogati i due articoli 83 e 53 del codice degli appalti sentiremo parlare di illegalità
e corruzione per almeno altri 50 anni !!!!