Care Colleghe e cari Colleghi,
Il tema della colpa grave e della limitazione della responsabilità erariale risarcitoria al dolo, che ritorna a cadenze ritmate sempre più frequenti ed ossessive anche in concomitanza della festa della Repubblica, esprime una conoscenza parziale e sicuramente non adeguata della cointestazione delle funzioni contenziose (giurisdizione) e non (controllo) della Corte dei conti nelle materie della contabilità pubblica, nella visione costituzionale del loro esercizio integrato.
Non è più possibile (e credo che tutti noi ne siamo ormai pienamente consapevoli) pensare alla giurisdizione erariale risarcitoria senza il controllo e viceversa, nella sostanziale funzionalizzazione delle relative attività alla salvaguardia degli equilibri di bilancio, quale principale misura della Repubblica per assicurare i “diritti inviolabili” dei cittadini e, dunque, “il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica economica e sociale del Paese”.
Cosi intimamente connesse, per il tramite della Procura contabile, controllo e giurisdizione disancorano la responsabilità erariale risarcitoria dai ristretti limiti e dagli angusti spazi culturali nei quali è stata storicamente collocata, come risposta (re-spondēre) alla perdita del danaro o di altro bene della P.A., modellata sullo schema generale della responsabilità civile.
Ogni danno erariale determina un vulnus al Bilancio, ed è perciò un danno da ripianare secondo le regole proprie della contabilità pubblica, ispirate alla “clausola generale” dell’equilibrio (ex art. 81, 97 e 119 Cost.), che permea di sé tutto il sistema, senza irragionevoli deroghe, stante la stretta correlazione dell’equilibrio stesso ai “diritti fondamentali” dei cittadini.
Nessuno ha mai dubitato, sul piano della tecnica della normazione, che ogni “illecito” vada sanzionato secondo canoni di proporzionalità e quindi di intrinseca razionalità, che tengano conto, quanto all’elemento soggettivo, anche del valore assiologico-costituzionale del “bene giuridico” da salvaguardare.
In questo senso, nessuno ha mai discusso dell’evidente razionalità di escludere ogni responsabilità per la sottrazione colposa di un bene, così come nessuno ha mai discusso dell’altrettanto palese razionalità di punire l’omicidio anche solo colposo, stante il diverso valore che rivestono le “cose” e la “vita” delle persone.
Se, dunque, il valore del bene incide sullo statuto della responsabilità, anche sotto il profilo psicologico-normativo del suo elemento soggettivo, allora non si comprende perché mai l’amministratore o il pubblico funzionario che sperpera le pubbliche risorse, debba rispondere dei danni al Bilancio soltanto per dolo, trascurando ogni altra sua condotta, pure gravemente colposa, scriteriata, tenuta in spregio ad ogni benché minima regola di prudenza e correttezza, ivi comprendendo la “paura della firma”.
Il divario che provoca la responsabilità erariale limitata al dolo tra le regole dell’equilibrio di Bilancio e la salvaguardia dei “diritti fondamentali, mina alle basi l’effettività della tutela di tali diritti, affidata alla Magistratura contabile nel suo complesso (ex artt. 24 e 113 Cost.), ed è intrinsecamente irrazionale, perché scuote dalle fondamenta l’impegno dei “cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche” ad agire per la “ricostruzione” dell’Italia post coronavirus con “disciplina ed onore”, al quale anche l’Europa guarda con estremo interesse.
D’altro canto, come pure ci ha recentemente ricordato il collega Palazzo: “Può ritenersi ormai acquisito il principio dell’ordinamento, desumibile anche dalla collocazione dell’art. 3 del d.l. 543/96, conv. con mod. in l. 639/96, secondo cui l’imputazione della responsabilità [amministrativa] ha come limite minimo quella della colpa grave (prevista, in via generale, insieme all’imputazione per dolo) […]”
“Non è conforme ai principi dell’ordinamento, quale configurato nell’attuale sistema normativo, attenuare ulteriormente, in via generale, i casi di responsabilità per colpa grave […]” (cfr. Corte Cost., sent. n. 340 del 2001).
Un caro saluto a tutti.
Fulvo Maria Longavita