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Codice di Giustizia Contabile e diritto di accesso agli atti trattati dal PM contabile

gius2Codice di Giustizia Contabile e diritto di accesso agli atti trattati dal PM contabile per valutare la sussistenza di responsabilità amministrativa; brevi correlazioni con altri argomenti disciplinati nel Codice.

di Alessandro Sperandeo, Sostituto Procuratore Generale della Corte dei conti

 

Il D.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (c.d. Codice di Giustizia Contabile d’ora innanzi Codice) regola l’accesso ai documenti valutati dal PM della Corte dei conti nella fase preprocessuale soprattutto all’art. 71 rubricato “Accesso al fascicolo istruttorio”.

Esaminando le norme contenute nell’art. 71, prima di ogni altra cosa, si nota l’equiparazione quod ostentionem tra atti ottenuti d’iniziativa dal PM e atti che convergono nel fascicolo su compulsione dell’invitato a dedurre, tramite intermediazione del Requirente.

Dalla formulazione, emerge che entrambi i tipi di documenti, una volta acquisiti al fascicolo istruttorio, diventano oggetto di ostensione a favore del soggetto che riceve l’“invito a dedurre” e cioè l’“invitato a fornire deduzioni” (di seguito rispettivamente invito e invitato).

A vantaggio di tutti gli invitati, se la fattispecie si caratterizza in termini plurisoggettivi.

Nessuna indicazione normativa esplicita compare con riguardo all’accesso sperimentabile da altri soggetti comunque coinvolti negli accertamenti preprocessuali.

Ad esempio, rispetto al soggetto sulle prime ritenuto coautore ma non invitato, siccome in seguito discolpato per mancanza dei presupposti della responsabilità, e, in particolare, per assenza di nesso causale tra condotta ed evento (art. 83 comma 3).

L’assenza di specifica normativa comporta, come di regola, la risoluzione del caso concreto alla luce della generale disciplina posta dal Codice sulla protezione dei dati personali, di cui al D.lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice privacy) e s.m.i., e l’esegesi intervenuta in materia.

Dall’applicazione della disciplina generale deriva innanzitutto che il PM contabile durante l’attività preprocessuale deve:

  • trattare tutti i documenti che confluiscono nel fascicolo istruttorio con modalità di gestione tali da evitare nocumento alla privatezza di ogni soggetto coinvolto negli accertamenti, e non solo di quello che assume la formale veste di invitato;
  • rispettare il vincolo di segretezza, se sussistente.

E’ da ritenere che l’art. 71 abbia dedicato tenue attenzione ai concetti di riservatezza e di controinteressato, sul presupposto che l’accesso a documenti pubblici, contenenti dati personali, è connaturato alla nozione di privatezza, con la conseguenza che resta assoggettato ai principi di Sistema che ne tutelano l’effettiva consistenza.

Mentre, per quanto riguarda il vincolo di segretezza proprio di alcuni atti, il Codice ha disciplinato, nell’art. 58, comma 1°, quello di natura investigativa.

Nondimeno, al concetto di riservatezza rinviano l’art. 57 rubricato “Riservatezza della fase istruttoria” e la parte finale del comma 1 dell’art. 52 che recita “Le generalità del pubblico dipendente denunziante sono tenute riservate”.

Si osserva in proposito che l’enunciato del comma 1 dell’art. 57 “le attività d’indagine del PM…sono riservate fino alla notificazione dell’invito” sembra diretto ad escludere chiunque non coinvolto nell’attività di accertamento dalla conoscenza dei pertinenti atti d’indagine in ossequio ad evidenti profili di segretezza, e non di riservatezza dei soli dati personali contenuti negli atti; intenzione confermata dal comma 2 che impone il decreto motivato a ragione di segretezza,quando è necessario per la prosecuzione delle indagini….la visione di singoli atti o parti di essi” da parte di soggetti riceventi deleghe ex art. 56 Codice.

Un riferimento al legittimo bilanciamento tra pubblicità dei giudizi (e delle singole fasi) e diritto alla privatezza è contenuto anche all’art. 6, comma 3.

Ulteriore precetto è nell’art. 69, comma 4, che impone la comunicazione dell’archiviazione solo all’invitato, svelatosi (a conclusione della fase preprocessuale finale, volta alla valutazione degli elementi che spiegano l’eventuale vocatio in ius) non perseguibile per mancanza manifesta dei presupposti della responsabilità amministrativa.

Il citato comma 4 dispone a carico del PM un automatismo giuridico di natura ristoratoria, diretto a tranquillizzare il soggetto che ha visto affievolire il diritto di privatezza per doverosa attività di accertamento implicante il maneggio di dati personali.

La norma trova ratio nel modello dell’atto lecito dannoso, che si verifica quando rilevano più diritti o interessi inconciliabili, ma entrambi ritenuti degni di tutela dall’Ordinamento, che, di conseguenza, consente, da un lato l’atto, e dall’altro il riscatto dell’interesse scalfito.

Tanto premesso in generale, uno sguardo d’insieme comporta una prima conclusione.

Così come avveniva prima dell’entrata in vigore del Codice, con l’emissione della citazione a giudizio si transita nella fase processuale vera e propria; quindi la conoscenza degli atti conformanti la domanda giudiziale deve avvenire presso la Sezione giudicante, e può concernere solo i documenti posti a comprova e allegati all’atto introduttivo del giudizio.

Resta da chiarire se nella disciplina posta dal Codice, siano rinvenibili indizi che permettano di riconoscere al convenuto il diritto di accedere ad atti confluiti nel fascicolo istruttorio ma non utilizzati dal PM per supportare la domanda ai sensi dell’ art. 86, comma 2, lett. f).

L’argomento diventa impegnativo nella considerazione che tra gli atti non sottoposti a valutazione giudiziale possono esservene anche taluni ritenuti, a torto o a ragione, significativi di fatti, oggettivi o soggettivi, a discolpa del convenuto, ai sensi dell’art. 55, comma 1.

Plurimi sono gli argomenti da prendere in considerazione per dare una risposta esauriente.

Le mosse vanno prese dalla pacifica constatazione che in qualunque attività contenziosa, le parti in conflitto perseguono delle precise strategie comportamentali e procedimentali, espressione di scelte consapevoli, in prospettiva capaci di realizzare una situazione a sé favorevole e sfavorevole all’altra parte.

Lo schema trova maggiore attuazione quando l’attività contenziosa è di natura processuale o preprocessuale, perchè può terminare sub iudice; oltre a tutto, in tale contingenza, la facoltà di scegliere un comportamento piuttosto che un altro diventa, in presenza di soggetto dotato di ius postulandi, espressione di discrezionalità tecnica.

Infine, qualora il contenzioso comprende interessi primari della collettività, il Sistema impianta la dialettica sulla presenza di una parte pubblica che non fa valere interessi particolari, ma agisce esclusivamente a tutela dell’interesse generale all’osservanza della Legge: persegue, come si vuol dire, fini di giustizia cercando la verità del fatto.

Il quadro tratteggiato ricorre in entrambe le fasi che scompongono il Giudizio di responsabilità erariale, dove sono inevitabilmente contrapposte due differenti strategie cognitive quella del Requirente contabile e quella del presunto autore dell’illecito erariale.

Premesso che le parti devono impostare le rispettive strategie in ossequio delle regole che strutturano le due fasi, resta il fatto che l’attività preprocessuale del PM è per Legge diretta a raccogliere elementi che accreditano o smentiscono la ricorrenza di responsabilità amministrativa, quindi deve necessariamente mettere il presunto responsabile in condizione di difendersi pienamente.

A tale scopo di garanzia assolve l’invito, che, perciò, è di obbligatoria emissione per il PM.

Oltre a ciò, considerato il contenuto dei commi 1 e 2 dell’art. 67, l’invito assolve funzione di economia processuale; infatti, dall’immediata acquisizione del maggior numero di elementi conoscitivi può scaturire l’archiviazione della vicenda piuttosto che la citazione a giudizio.

Tuttavia, l’invitato può decidere di non partecipare alla fase preprocessuale, scegliendo, di posticipare la sua difesa nel successivo eventuale processo; la detta strategia difensiva è del tutto legittima, anche se di fatto vanifica la ratio legis rivolta ad evitare che finiscano sub iudice avvenimenti non sussumibili nella categoria giuridica della responsabilità erariale.

Con la particolarità che, una volta instaurato il giudizio, il convenuto, può lamentare l’insufficienza della fase preprocessuale e, di conseguenza, prendere iniziative dirette a difendersi dal processo e non a difendersi nel processo.

Stando così le cose, eventuali mutamenti di strategia sono ammessi solo se non presentano profili diretti a pregiudicare scorrettamente metodo e criteri seguiti da controparte per esercitare legittimamente ed opportunamente lo ius postulandi; e più in generale, non realizzano un abusivo utilizzo di strumenti volti a garantire il contraddittorio.

Considerato che il Codice assegna all’invitato la facoltà di farsi assistere dal Difensore sin dai primi accertamenti (art. 67, comma 4) e il diritto di visionare e di estrarre copia di tutti documenti inseriti nel fascicolo (art. 71 comma 1), non sussiste, di regola, motivo per riconoscergli in via interpretativa il diritto, o la facoltà, di accedere a tutto il fascicolo preprocessuale, quando prima, durante lo spatium deliberandi concesso al PM tra invito e citazione, in attuazione di una precisa strategia ha deciso di non accedere ai pertinenti atti.

A maggior ragione la possibilità di accedere agli atti non considerati e valutati ai fini dell’invito, è da escludere quando nel detto documento è chiaramente segnalata la presenza del diritto di ostensione e l’invitato ha deciso consapevolmente di non esercitarlo.

Quindi, non è utilizzabile il criterio del melius re perpensa basato sulla soggettiva modifica della metodica difensionale dell’incolpato; la richiesta di accesso ad atti non posti a supporto dell’invito non può trovare accoglimento perché può frustrare la strategia seguita dal PM, rivelandosi manifestazione di abuso del modello imposto dall’Ordinamento affinchè la giustizia contabile si concretizzi in un esito corrispondente alla verità storica dei fatti rapportata al quadro normativo.

All’indiscutibile convincimento della Giurisprudenza (anche Costituzionale) che il PM contabile ha nel processo natura di parte pubblica segue l’inevitabile conclusione che allo stesso devono essere riconosciuti tutti i poteri connessi allo ius postulandi, anche quello di fissare il thema decidendum alla luce della discrezionalità tecnica che gli compete.

Invero, dispone l’art. 94, comma 1: “Fermo restando a carico delle parti l’onere di fornire le prove che siano nella loro disponibilità concernenti i fatti posti a fondamento…”.

Certamente non fa venire meno la discrezionalità tecnica che connota naturalmente l’attività del Requirente la declamazione contenuta all’art. 55, comma 1, del Codice: “Il PM compie ogni attività utile per l’acquisizione degli elementi necessari all’esercizio dell’azione erariale e svolge, altresì, accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona individuata quale presunto responsabile”.

La disposizione riproduce quanto riportato nell’art. 358 del c.p.p.; di conseguenza l’accertamento su fatti e circostanze a favore del presunto responsabile ha, come stabilito dalla Corte Costituzionale, valore di onere e non di obbligo.

Il PM contabile non e tenuto a svolgere accertamenti favorevoli al presunto responsabile dell’illecito; ciò non toglie che durante la fase preprocessuale, accanto a circostanze assolutamente non pertinenti, possano emergere elementi a discolpa dell’invitato, come possono emergere, altresì, ulteriori accadimenti, oggettivamente e soggettivamente, diversi ma forieri di danno erariale.

E’ la stessa dinamica del giudizio per responsabilità amministrativa a pretendere che il PM concentri le indagini ante causam solo su elementi, oggettivi e soggettivi, forieri di responsabilità, escludendo atti o fatti che non hanno nessuna attinenza con la fattispecie concreta; mentre è necessario l’intervento di decreto ai sensi e per gli effetti dell’art. 54 del Codice, se affiora effettiva notitia damni da trattare in ulteriore e diversa istruttoria.

Così come è connaturato alla stessa dialettica processuale, l’onere del PM di indicare in citazione situazioni, oggettive o soggettive emerse durante la fase preprocessuale, a favore del convenuto, in modo da consentire al Giudice di valutare la vicenda sotto ogni profilo.

Impegno comportamentale da sempre presente nell’Ordinamento della giustizia contabile, regolarmente adempiuto dagli Uffici di procura.

In finale, è escluso che dopo la citazione il convenuto possa accedere ad atti non considerati dal PM per conformare e comprovare il thema decidendum che qualifica l’invito e successivamente è replicato, con maggiore rigore, nella domanda.

Fermo restando il potere del Giudice di ordinare alle parti (quindi anche al PM) di produrre gli atti e i documenti che ritiene necessari alla decisione ai sensi dell’art.94, comma 1°, del Codice, qualora dall’esame della vicenda sottoposta alla sua valutazione risulti l’assenza di atti, non allegati perché non ritenuti pertinenti ma, in verità incidenti sulle modalità con cui si rende giustizia nel processo per responsabilità erariale.

Dalle precedenti osservazioni emerge, insomma, che il convenuto non ha diritto ad accedere ad atti preprocessuali non indicati quali elementi di prova che supportano la domanda e assenti nell’elenco dei documenti offerti in comunicazione, essendo, tuttavia, titolare del diritto di segnalare al Giudice che la prima fase preprocessuale definita con invito non coincide, per causa petendi e petitum, con il contenuto della successiva vocatio ovvero che quest’ultima non ha tenuto in considerazione fatti rilevanti e, conseguentemente, richiedere ordinanza volta all’acquisizione dei documenti in ipotesi rimuoventi o riducenti la responsabilità non considerati dal PM.

Ricade sul Giudice l’indagine rivolta ad accertare se le parti si sono comportate con correttezza, con eventuale applicazione della norma contenuta nell’art. 30 del Codice.

Norma che potrebbe rivelarsi insufficiente qualora emergano azioni o eccezioni costituenti manifesto abuso dei mezzi preprocessuali e processuali.

A fronte di tale prima conclusione, resta confermato che, in subiecta materia, la concreta caratterizzazione dell’accesso può causare qualche esitazione interpretativa se si trascura la fondamentale ragione che ha indotto il Legislatore del 1990 ad introdurlo nell’Ordinamento.

Ratio che ha sicuramente avuto presente il Legislatore del Codice, lì dove si è astenuto dal dare indicazioni specifiche considerata la elementarità delle norme di Sistema applicabili.

In proposito è noto che, la Legge è intervenuta per bilanciare interessi contrapposti: la necessità di trasparenza a garanzia d’imparzialità dell’agere pubblico con il diritto di riservatezza e con l’esigenza di buon andamento della PA; esigenza quest’ultima da preservare da richieste pretestuose, defatiganti e introduttive di subdole forme di controllo.

Al momento, è assolutamente prevalente la Giurisprudenza secondo cui qualunque pretesa di ostensione di atti confluenti in procedimento contenzioso nel quale vi è contraddittorio delle parti, qualunque sia la natura dell’Autorità che “tratta” i documenti richiesti, va sempre sottoposta, preliminarmente, e a prescindere dalla successiva attività diretta a tutelare la privatezza, a verifica dell’utilità in chiave difensiva della documentazione richiesta.

Tale archetipo risuona nell’art. 71 del Codice, comma 3, che recita: “Il destinatario dell’invito a dedurre ha il diritto di accedere ai documenti ritenuti rilevanti per difendersi e detenuti dalle PP.AA.” e successivo comma 5 che dispone “il destinatario dell’invito a dedurre può chiedere al PM che provveda ……… motivando in ordine alla rilevanza dei documenti specificamente individuati per la sua difesa”.

Di poi, da quanto disposto dal citato comma 5°, a proposito di rimedi contro la mancata ostensione per inerzia della PA, emerge il vero peso che assume la motivazione posta a base della richiesta di accesso a fini di difesa, sia quella formulata direttamente alla PA, e da quest’ultima non adempiuta, sia quella presentata direttamente al PM contabile; in entrambi i casi la motivazione soggiace a penetrante valutazione del Magistrato requirente.

Salvo il caso di richiesta di accesso illegale, perché, a titolo esemplificativo, del tutto sganciata dallo specifico interesse difensivo vantato ovvero esibente profili di obiettiva pretestuosità, è escluso che, allo stato della vigente conformazione pretoria dell’istituto, il PM possa negare tout court l’accesso.

In presenza di richiesta, il PM contabile deve iniziare un sub-procedimento da concludere con decreto motivato, sia che l’accesso venga consentito sia che venga negato.

Nel caso di richiesta di accesso diretta alla PA e rimasta inadempiuta, l’intervento del Magistrato requirente imposto dal Codice (comma 5 art. 71), integra ipotesi di surrogazione giudiziale nell’esercizio dell’azione amministrativa, affine a quello disposto dagli artt. 116 ss. del D.lgs. 104/ 2010 (c.d. Codice della giustizia amministrativa).

Con la tipicità che il GA dispone la sostituzione dell’Amministrazione renitente con Organo di altra Amministrazione, mentre il PM contabile si sostituisce direttamente.

Poiché il tempo è un bene della vita risarcibile, se leso ingiustamente, che beneficia di tutela Costituzionale quando sussistono persone sub iudice (art. 111, comma 2), il Codice avrebbe ben potuto prevedere sanzioni amministrative pecuniarie irrogabili dalla Corte dei conti a carico del dipendente pubblico che, pur legalmente obbligato, non “tratta” la richiesta di accesso, costringendo il Requirente ad un aggravio di procedimento, senz’altro contrario al generale principio di economicità dei mezzi giuridici.

Ciò anche, in continuità sistematica con la potestà affidata al GA dal 2° comma dell’art 26 del D.lgs. 104/2010, e considerato che nella circostanza l’inerzia danneggia solo l’immagine dell’Amministrazione a cui appartiene il trasgressore, e non il richiedente l’accesso che vede comunque soddisfatto il suo diritto.

Del resto, una sanzione pecuniaria amministrativa a carico di pubblico dipendente inerte non avrebbe costituito novità nemmeno per lo stesso Codice, visto che l’art. 60, comma 5, la commina ai soggetti informati su fatti dannosi per l’erario che immotivatamente non aderiscono alla convocazione del PM.

Sotto altro aspetto si rileva che l’art. 71, comma 4°, prevede l’intervento surrogatorio del PM per inadempimento della PA sia nel caso di accesso tipico sia in ipotesi di accesso civico ai sensi e per gli effetti del D.lgs. 33/2013 con le integrazioni apportate dal D.lgs. 97/2016.

L’art. 5 del cit. D.lgs. 33/2013 ha introdotto un nuovo tipo di accesso, c.d. civico, stabilendo che chiunque, anche privo di un interesse differenziato, ha diritto a prendere visione di documenti che la PA si astiene dal pubblicare in violazione di un preciso obbligo legale di pubblicazione; con la conseguenza afflittiva disposta dal successivo art. 46 che ricollega all’inadempimento dell’obbligo l’eventuale responsabilità per danno all’immagine della PA.

Ne segue che l’intervento surrogatorio ex comma 3 dell’art. 71 del Codice impone al PM contabile l’apertura, tramite decreto, di ulteriore istruttoria per accertare se la mancata pubblicazione sul sito istituzionale dell’Ente ha perfezionato o meno tutti i presupposti di sussistenza del danno all’immagine alla PA.

Tuttavia, la laconicità con cui è congeniato il precetto del citato art. 46 del D.lgs. 33/2013 sul danno all’immagine, lascia presagire un’ardua applicazione concreta della norma.

Allora, si sarebbe rivelato a favore di Sistema l’inserimento nel Codice di una specifica disciplina in proposito, illustrativa di responsabilità amministrativa tipica, affidata alla cognizione del Giudice contabile, comprendente tutti i casi in cui il Requirente è costretto ad assumere iniziative per controbilanciare condotte che, per grave negligenza o per dolo, hanno l’effetto di ostacolare le indagini dirette all’accertamento della verità.

D’altra parte, quella appena segnalata costituisce una delle occasione in cui il Codice poteva disporre, ma non ha ritenuto di farlo, precise contromisure contro prospettabili condotte che ostacolano colpevolmente la doverosa attività del PM contabile.

Più in generale, si osserva che il Codice non ha introdotto rimedi esperibili contro l’utilizzo distorto di strumenti specificamente diretti ad assicurare come più probabile un esito giusto e più improbabile un esito ingiusto dell’attività giurisdizionale, non valorizzando il recente orientamento giurisprudenziale diretto a stigmatizzare l’abuso del diritto.

Tornando sull’argomento d’interesse, si nota che il Codice non disciplina i rapporti tra accesso e fatti di ordinario accadimento nella fase preprocessuale come, il sopraggiungere di archiviazione in assenza d’invito/i e la esclusione da accertamenti più penetranti per alcuni presunti autori dell’illecito, siccome assolutamente estranei ai fatti e perciò non invitati, mentre altri soggetti coinvolti negli stessi fatti vengono invitati per chiarimenti.

Ugualmente il Codice non specifica se il soggetto che segnala il presunto danno erariale ha diritto o meno di conoscere le conseguenze della denuncia.

Premesso che l’assenza di peculiare disciplina è da ricollegare alla manifesta presenza nell’Ordinamento di parecchia regolamentazione, legale e pretoria, riguardante casi simili, resta il fatto, sopra segnalato ma su cui è bene ritornare, che, in ipotesi, molteplici circostanze emergenti, direttamente o indirettamente, dal fascicolo preprocessuale, possono essere escluse dal thema decidendum che caratterizza l’invito prima e la citazione a giudizio dopo, qualora l’espulsione avvenga legittimamente e opportunamente: cioè a dire in conformità al contenuto che le caratterizza e alla strategia processuale adottata da parte pubblica.

D’altronde, il Codice circoscrive la discrezionalità tecnica del Magistrato requirente solo all’art. 67, comma 7, che dispone: “Successivamente all’invito a dedurre, il PM non può svolgere attività istruttorie, salva la necessità di compiere accertamenti sugli ulteriori elementi di fatto emersi a seguito delle controdeduzioni”.

Non si rinvengono norme che obbligano il PM a riversare in citazione tutti i documenti confluiti nella fase istruttoria, anche quelli estranei al thema decidendum fissato nell’invito.

Dunque, si osserva che il Codice, anche sotto tale aspetto, non ha scalfito affatto il generale ius postulandi di parte pubblica, ma ha solo inteso rendere giuridicamente obbligatorio il percorso procedimentale, di regola, seguito dal PM, consistente nel raccogliere elementi probatori sino all’invito; ferma restando la possibilità di compiere ulteriori accertamenti in punto di fatto per replicare a controdeduzioni che presentano sopravvenienze inerenti.

In pratica la disciplina ha recepito la prevalente Giurisprudenza contabile che ha stigmatizzato la mutatio libelli, tra invito e citazione, individuata quando si avanza una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum differente e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima.

E’ agevolmente prevedibile che, le situazioni sopra indicate, siccome in ipotesi accessibili, possono appesantire il giudizio per responsabilità erariale complessivamente considerato.

Infatti, in presenza di indicazioni codicistiche implicite, poichè sottintendono la normale applicazione delle regole valide nella generalità dei casi, sarà compito dell’Interprete individuare le situazioni legittimanti, e in che misura, l’ostensione degli atti contenuti nel fascicolo istruttorio che non giungono alla fase processuale, dunque al vaglio del Giudice.

Tutto questo però, laddove i riferimenti che compaiono nel Codice alla esigenza che il PM contabile valuti l’ammissibilità della richiesta di ostensione alla luce del requisito della necessità difensiva in senso stretto, hanno natura esplicita.

Iniziando dall’ultima situazione segnalata, si individuano nel Sistema indizi da cui ricavare che il decreto di archiviazione del PM deve essere comunicato anche al soggetto pubblico che, scorgendo l’attuazione di danno erariale, inoltra, in adempimento di obbligo legale, denuncia damni contenente formale richiesta di essere avvisato in caso di archiviazione dell’indagine, per valutare la possibilità di opporsi o meno alla stessa.

A sostegno dell’esegesi stanno le norme del c.p.p. che regolamentano vicenda simile, consentendo, al legittimato a chiedere conto dell’archiviazione, di fare opposizione entro i 10 gg. successivi alla ricezione del relativo atto del Requirente penale (art. 410 c.p.p.).

Legittimazione all’opposizione e contenuto della stessa sono stabiliti dallo stesso c.p.p. e chiariti dalla Giurisprudenza; in breve, è inammissibile l’atto proveniente da soggetto non definibile persona offesa dal reato e inoltre l’atto che non indica l’oggetto dell’ulteriore investigazione da effettuare e gli elementi di prova da acquisire a cura del PM penale.

In linea di principio, non ricorrono ostacoli all’estensione della indicata regolamentazione anche alla fase preprocessuale in esame; considerato anche, come assai probabile, che in giudizi particolarmente significativi, per la qualità degli invitati o la quantità del danno, la PA danneggiata chieda conto al PM dell’archiviazione e, poi, insoddisfatta del risultato, prenda iniziative dirette a fare emergere altrimenti la sussistenza di responsabilità.

Questa la prospettiva, il PM contabile è tenuto a valutare con massima attenzione la comunicazione di presunta notizia damni contenente richiesta “di essere avvisati di un’eventuale archiviazione” o locuzioni di analogo contenuto strumentale.

In presenza della richiesta, il Requirente della Corte dei conti, qualora venga avanzata opposizione legittima, deve riesaminare l’affare, in ipotesi dannoso per le casse pubbliche, precedentemente archiviato, facendo applicazione del rimedio indicato all’art. 70 del Codice.

All’inverso, è innegabile visto quanto disposto dal Codice, la vigenza della regola generale secondo cui l’accesso non spetta a chi non detiene comprovate esigenze difensive: nessun diritto all’ostensione vanta chi dapprima sottoposto a blandi accertamenti, siccome apparentemente coautore del fatto illecito, viene estromesso senza essere invitato.

Costui, in osservanza della più scrupolosa trasparenza dell’agere pubblico, al massimo può ottenere mera comunicazione sul tipo di quella prevista all’art 110 bis disp. att. c.p.p.: alla richiesta di notizie il PM può restituire comunicazione mera della sussistenza di una vertenza in cui la posizione del richiedente è rimasta indenne da accertamenti approfonditi, siccome obiettivamente estranea alla specifica fattispecie dannosa.

La comunicazione soggiace ad un insuperabile limite contenutistico: non deve contenere alcun riferimento a luoghi o persone coinvolti negli accertamenti, men che mai dati personali.

Tirando le prime somme, si può ritenere in via interpretativa sussistente il diritto ad accedere agli atti preprocessuali in capo al soggetto, che, per obbligo di Legge, denuncia il danno con segnalazione contenente espressa richiesta di conoscere gli esiti delle indagini, siccome danneggiato dall’illecito erariale.

Invece, è sicuramente privo di legittimazione all’accesso e del diritto di chiedere informazioni il soggetto sfiorato dagli accertamenti preprocessuali, tant’è che non è stato invitato e, di conseguenza, escluso da più approfonditi riscontri, in particolar modo ex art. 83 comma 3, con posizione depennata ma non formalmente archiviata.

Infine, nessun diritto all’ostensione o all’informazione riconosce il Codice, ai soggetti (singoli e associati, rappresentativi dei più svariati interessi pubblici o privati) che denunciano fatti forieri di danno erariale d’iniziativa, e cioè in assenza di specifico obbligo od onere legale.

La conclusione non è influenzata dal concreto epilogo che caratterizza gli accertamenti ante causam: il soggetto lambito dagli accertamenti ma non invitato e il denunciante spontaneo di presunto danno erariale non hanno diritto di conoscere gli atti della fase preprocessuale sia che quest’ultima evolva in invito a carico di terzi sia che si concluda con archiviazione.

Al più, il denunciante spontaneo d’illecito erariale può ottenere, parimenti al soggetto rimasto coinvolto in superficiali accertamenti iniziali non terminati in invito, mera comunicazione che la vertenza è stata definita con archiviazione ovvero con citazione.

Anche in tale circostanza la comunicazione non può contenere dati personali ovvero informazioni che permettano, anche indirettamente, di individuare oggetti e soggetti sottoposti ad accertamenti volti all’affermazione di responsabilità amministrativa.

E’ il caso di ribadire che entrambe le categorie soggettive non vantano un diritto all’accesso ricollegato alla necessità di difendersi in ambito contenzioso e neppure, allo stato della Legislazione, un diritto alla semplice informazione; specularmente il Requirente contabile non ha obbligo di rispondere all’istanza.

La mera comunicazione, qualora intervenga, non soggiace ad obbligo di motivazione e viene resa per conseguire una trasparenza delle attività poste in essere dalla Procura della Corte dei conti maggiore di quella imposta dall’Ordinamento, anche a seguito dell’arrivo del Codice.

Del resto, il fornire informazioni anche a chi non ha diritto di riceverne, nei limiti del possibile e secondo le circostanze del caso, corrisponde, come da tradizione consolidata presso il Requirente contabile, alla precisa scelta di privilegiare, su di ogni altra, l’esigenza di assicurare in misura rinforzata il prestigio, l’indipendenza e la trasparenza della funzione giudiziaria espletata dalla Corte dei conti.

In base ai principi generali in punto di legittimazione all’accesso e della specificità propria della fase preprocessuale, che inevitabilmente vede una accusa in fieri e accertamenti di natura provvisoria, va chiarita la posizione dell’invitato che venuto, comunque, a conoscenza di supposti pregressi accertamenti svolti dalla Procura su vicende, oggettivamente e soggettivamente, sovrapponibili, chiede l’ostensione dei relativi atti.

Escludere aprioristicamente il diritto di accesso facendo leva sulla formulazione letterale della rubrica dell’art. 71 (Accesso al fascicolo istruttorio) e del contenuto impresso allo stesso articolo dal Legislatore, è soluzione che può dare luogo a contrasti alla luce della lettura del complesso normativo e pretorio disciplinante la materia, dal quale si evince che l’unica limitazione soggettiva al diritto di accesso consiste nel fatto che il richiedente è legittimato solo se vanta un interesse diretto, concreto e attuale all’accesso, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso

E’ certo che la detta qualificazione positiva dell’interesse ricorre in capo all’ invitato il quale ha diritto a compiere la più completa attività difensiva per discolparsi; perciò in linea di principio è da soddisfare la relativa istanza di accesso.

Tuttavia, a contrastare richieste meramente esplorative, dilatorie o peggio abusive, viene in soccorso la disciplina generale posta agli artt. 3 e 4 del D.P.R. 352/92 secondo cui sotto l’aspetto oggettivo l’istanza di accesso è ammissibile solo se è compilata completa di:

  • Generalità del richiedente ovvero titolo di legittimazione in caso di rappresentanza;
  • Indicazione degli estremi specifici del preesistente documento oggetto della richiesta, ovvero di concreti elementi che ne consentano l’individuazione;
  • Motivazione posta a base della richiesta completa di indicazione dell’effettiva utilità che viene dall’acquisizione dell’atto richiesto.

Inoltre, in capitolo assume rilevanza la prescrizione presuntiva contenuta all’art. 2961 c.c.: I cancellieri, gli arbitri, gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori legali sono esonerati dal rendere conto degli incartamenti relativi alle liti dopo tre anni da che queste sono state decise o sono altrimenti terminate.

L’influenza della norma sull’argomento deriva dal fatto che il Codice non è intervenuto sull’atavica questione della natura da assegnare all’azione intestata al PM della Corte dei conti.

L’assenza depone univocamente nel senso che il Legislatore assume per certo che l’azione erariale conserva intatte le caratteristiche individuate dalla consolidata Giurisprudenza antecedente al Codice; di conseguenza l’azione del PM contabile è pubblica e obbligatoria e, inoltre, esprime un modo di agire in giudizio equivalente a quello della parte convenuta.

Per gli effetti, il PM contabile agisce in qualità di parte (i.e. attore) perciò non è obbligato, come gli Avvocati ex art. 3 L. n. 27/1997, a rendere conto di richieste di accesso per archiviazioni intervenute oltre i 3 anni dalla proposizione dell’istanza.

Comunque, resta insuperabile, anche in tale fattispecie come in ogni altra relativa all’accesso a documenti pubblici, la vigenza del generale principio di riservatezza graduata dei dati personali, con maggiore cautela riguardo ai dati sensibili.

Di conseguenza, anche l’invitato richiedente accesso c.d. “di verifica”, perché volto a controllare l’esito di anteriori situazioni asseritamente sovrapponibili, e non soltanto analoghe o simili, non può fruire di accesso pieno ma di mera comunicazione.

Il contenuto di quest’ultima è molto circoscritto limitandosi a riferire se agli atti è presente archiviazione, e il motivo per cui è intervenuta, ovvero se c’è stata citazione a giudizio, dando sufficienti riferimenti per individuare la stessa presso la Sezione giudicante competente ad accogliere richieste d’informazione maggiormente dettagliate.

L’esegesi delineata tutela con equilibrio il diritto dell’invitato, a difendersi con ogni mezzo permesso, e il diritto di riservatezza di soggetti già sottoposti ad accertamenti della Procura precedentemente definiti.

Soggetti definibili atecnicamente controinteressati all’accesso altrui.

Invero, il disposto dell’art. 57,1°comma, non può essere inteso in senso restrittivo, ritenendo che la riservatezza da salvaguardare sia solo quella dei soggetti destinatari di invito a dedurre successivamente alla notifica dello stesso.

Non c’è dubbio che l’azione pubblica deve tutelare la riservatezza e i dati personali di tutti i soggetti destinatari della propria attività, con adozione di cautele contestualizzate e graduate soggettivamente.

In ogni caso, considerato il quadro ordinamentale, volto ad osservare con sempre maggiore attenzione tutta l’azione pubblica, non è inverosimile ipotizzare futuri indirizzi diretti ad assoggettare l’attività del PM contabile ad accesso, anche da parte di soggetti in atto sforniti di legittimazione; in prospettiva è auspicabile un’archiviazione resa nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 69, comma 3 ss, e dall’art. 5 del Codice, seguendo, di massima, l’indirizzo espresso dalla Cassazione in punto di atto di archiviazione abnorme in materia penale.

Del resto, l’art. 65 del Codice dispone espressamente “La omessa o apparente motivazione dei provvedimenti istruttori del PM……costituiscono causa di nullità dell’atto istruttorio e delle operazioni conseguenti”.

Con la conseguenza, di facile avveramento, che l’archiviazione, la cui natura è di provvedimento istruttorio, a favore di soggetto inizialmente ritenuto corresponsabile, solo apparentemente motivata, una volta chiesta e ottenuta ai sensi del Codice dall’invitato, può costituire strumento per vanificare del tutto il successivo eventuale giudizio.

Concludendo in punto di rapporto tra diritto di accesso agli atti preprocessuali e potestà di archiviazione del Requirente, si ritiene conforme alla ratio di fondo del Codice, diretta a ottimizzare il principio del contraddittorio con le regole di massima efficacia ed efficienza dell’azione di responsabilità amministrativa, una redazione delle archiviazioni articolata, in punto di mancata ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto, a seconda delle specifiche circostanze quantitative, qualitative, temporali e ambientali in cui avviene l’archiviazione.

Il nesso tra diritto di accesso agli atti preprocessuali e archiviazione del PM contabile difetta in via assoluta nella c.d. pre-archiviazione prevista all’art. 54 del Codice, già nota alla prassi precedente.

La pre-archiviazione, attuabile solo dal Capo della Procura, non ha natura di provvedimento istruttorio preprocessuale ma ha la stessa attitudine riconosciuta dalla Cassazione, tramite esegesi estensiva dell’art. 411 c.p.p., alla c.d. “auto-archiviazione” del PM penale.

Per gli effetti la Corte di Cassazione afferma univocamente che: “Non è impugnabile il provvedimento con il quale il PM……disponga direttamente la trasmissione in archivio (cd.“cestinazione”) di una denuncia iscritta a modello 45 tra gli atti non costituenti notizia di reato, non avendo tale provvedimento natura giurisdizionale”.

Il criterio va esteso alla comunicazione di “notizia di non danno erariale”, siccome dall’attività intellettiva pressoché istantanea del Responsabile della Procura emerge che l’assoluta infondatezza della notitia damni non lascia spazio ad impulsi investigativi volti a chiarire la quaestio facti.

In tali ipotesi, nessun diritto anche di semplice informazione può essere sodisfatto, considerato che in percentuale assolutamente prevalente si tratta di comunicazioni dirette ad introdurre forme di controllo sull’attività amministrativa non permesse, anche dopo l’introduzione del Codice, al Requirente contabile.

D’altro canto, la diversità tra pre-archiviazione del Capo dell’Ufficio e formale archiviazione disposta dallo stesso ovvero dagli altri Magistrati di Procura affiora dal raffronto tra quanto disposto in capitolo di “immediata archiviazione” dal citato art.54 rubricato “Apertura del procedimento istruttorio” e l’art. 69 del Codice rubricato “Archiviazione”.

Emerge de plano che l’archiviazione è vero e proprio provvedimento preprocessuale che segue ad accertamenti in punto di fatto, condotti anche solo sui documenti allegati alla comunicazione di verosimile notizia damni; mentre l’“archiviazione immediata” si basa solo su accertamenti in punto di diritto che dimostrano ictu oculi l’impossibilità di qualificare giuridicamente il fatto rappresentato come notitia damni.

Per gli effetti, nel caso di pre-archiviazione la mancata apertura formale di fascicolo istruttorio, prevista dall’art. 54 del Codice, rende inapplicabile il successivo art. 70 che è destinato ad operare immancabilmente solo nel caso di formale archiviazione intervenuta ai sensi del precedente art. 69.

La pre-archiviazione, riguardando una “notizia di non danno erariale”, è incapace di produrre effetti giuridici; dunque non può essere assolutamente utilizzata da alcuno per supportare in via probatoria le pretese giuridiche derivanti da contenzioso incardinato a seguito di successiva ricezione di effettiva notitia damni.

Continuando, si osserva che il Codice non ha preso in considerazione altra vicenda di frequente riscontro.

Il riferimento va alle notizie di danno erariale, verosimili nella ricostruzione materiale dei fatti dannosi e apparentemente fondate in diritto, che dopo meticolose indagini si rivelano dirette ad ostacolare gestioni pubbliche virtuose, aventi il solo torto di voler perseguire l’interesse generale in osservanza della Legge.

In tali occasioni la indubbia sussistenza di nocumento al corretto e celere funzionamento della giustizia amministrata dalla Corte dei conti e all’immagine della PA in asserita gestione anomala, poteva essere disciplinata dal Codice, mediante introduzione di specifica ipotesi di responsabilità tipica e sanzionatoria a carico del soggetto che impegna la Procura contabile con indagini che sa inutili e superflue.

Nocumento erariale tanto più addossabile al responsabile quanto maggiore è la sua visibilità, rappresentatività o professionalità nell’assetto ordinamentale.

Ritornando alle principali norme in materia di accesso (cfr. artt. 52 comma 1, 57 e 71 Codice), si rileva che le stesse si incastrano in un Sistema di massima tutela della privatezza, sottospecie segretezza e riservatezza, nonché della figura del c.d. “whistleblower”.

Si osserva innanzitutto che, mentre la trasgressione del diritto di privatezza può comportare sanzioni penali, civili e disciplinari a carico del soggetto responsabile della violazione, la regolamentazione del c.d. “whistleblower”, è ancora in fase di assestamento, persistendo dubbi in punto di disciplina sostanziale, anche sotto l’aspetto delle conseguenze da riconnettere all’inadempimento dell’obbligo di tutela.

Il fenomeno delle segnalazioni delle irregolarità (cd. whistleblower, letteralmente “soffiatore di fischietto”) è stato normato dall’art. 1, comma 51, della L. 190/2012, mediante inserimento nel T.U. dei rapporti di lavoro nella PA (D.lgs. n. 165/2001) dell’art. 54 bis, ed è volto a tutelare il dipendente che segnala anomalie nel settore in cui presta attività lavorativa.

La Legge dispone la protezione sia da eventuali atti vessatori provenienti dalla PA di appartenenza sia da interferenze indebite di terzi interessati a conoscere il contenuto della segnalazione di irregolarità, verosimilmente per iniziare attività emulativa.

In via preventiva, la protezione passa, e non può essere altrimenti, dall’occultamento di ogni informazione che permetta l’individuazione del dipendente pubblico segnalante da parte di terzi interessati a contrastarlo illecitamente.

Viene perciò in rilievo la tutela della riservatezza del segnalante nella misura ricavabile dalla connessione tra il comma 2 dell’art. 54 bis del D.Lgs. n. 165/2001 che dispone “Nell’ambito del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l’identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato” e l’appendice disposta dal successivo comma 4 “La denuncia è sottratta all’accesso previsto dagli artt. 22 ss della L. n. 241 del 1990 s.m.i.”.

In disparte che l’attività del PM contabile non è assimilabile a quella della PA, alla lettera si rileva che il citato comma 4° sembra sottrarre all’accesso (secondo la definizione data dall’art. 22, comma 1, lett. a) L. 241/1990 s.m.i.) la segnalazione del “whistleblower”.

Tuttavia, l’argomento sistematico e teologico bocciano tale interpretazione.

Più semplicemente, la normativa permette l’accesso alla denuncia soltanto a favore del soggetto incolpato in sede disciplinare; ma la eventuale visione e successiva acquisizione può avvenire solo dopo occultamento dell’identità del segnalante, salvo consenso di quest’ultimo all’accesso pieno ovvero ricorrenza dell’eccezione prevista nel citato 2°comma art. 54 bis.

Escluso categoricamente l’accesso di terzi privi della natura di incolpato.

In adesione a tale interpretazione, è legittima l’operazione diretta a rendere non visibili le generalità complete del denunciante in adempimento di quanto sancito dall’art. 52, comma 1, del Codice, in modo tale che il richiedente l’accesso, coincidente soltanto con l’invitato, venga in possesso di copia della denuncia damni emendata dalle generalità del denunciante.

Resta parecchio improbabile l’ipotesi di richiedente l’accesso che, non soddisfatto di ricevere una notizia damni che omette le generalità del denunciante, richieda espressamente e motivatamente di conoscere gli specifici dati anagrafici mancanti.

Però, è innegabile che, nei fatti, la sola omissione delle generalità anagrafiche non è spesso misura sufficiente per tutelare il “whistleblower”.

L’omissione può essere insufficiente nel caso di segnalazioni di abusi forieri di danno erariale redatte da organi tenuti per Legge a informare il PM contabile, che contengono riferimenti a circostanze conoscibili solo dagli stessi che, perciò, ne permettono l’agevole individuazione a prescindere dalle generalità anagrafiche.

Detto ciò, dipende dalla esatta contestualizzazione del fatto l’occultamento o meno delle generalità del soggetto gravato dall’ “obbligo di denuncia di danno” ai sensi dell’art. 52 Codice, anche considerato che a stretto rigore logico-giuridico la sussistenza dell’obbligo sembra escludere esigenze di riservatezza; a maggior ragione dipende dalla situazione ambientale in cui si è verificato l’illecito erariale la possibilità di emendare la denuncia anche da ogni altro riferimento idoneo a far individuare il denunciante legale a rischio.

Sicuramente diversa è la situazione del dipendente pubblico (anche apicale) che denuncia fatti forieri di danno erariale senza essere gravato da obbligo di servizio.

Riguardo a quest’ultimo l’occultamento dei dati anagrafici è cautela minima a cui deve accompagnarsi ogni accorgimento volto ad ottenere la piena salvaguardia del bene oggetto di tutela: il diritto di privatezza del denunciante.

La tutela legale assicurata al “whistleblower” e le norme contenute negli artt. 46 ss del Codice privacy, fanno ritenere che in caso di denuncia damni spontanea proveniente da dipendente pubblico a rischio di ritorsioni, è da considerare, alla luce delle effettive circostanze del caso concreto, la possibilità di consentire l’accesso allo specifico atto solo previo occultamento di tutti gli elementi che possono agevolare l’identificazione del denunciante; operazione da effettuare in conformità alle tecniche di “anonimizzazione” indicate dal competente organo consultivo indipendente dell’UE per la protezione dei dati personali e della sfera privata.

A maggior ragione, l’eliminazione dei dati anagrafici, e di ogni altra circostanza che può agevolare l’identificazione, deve avvenire a favore del cittadino non dipendente pubblico, ovvero dipendente di PA diversa da quella dove ipoteticamente si verificano le irregolarità, che, per senso civico o anche per spirito emulativo, informa il PM contabile con segnalazione che, siccome qualificata dai pertinenti attributi legali, assurge a notizia damni e perciò diviene conoscibile dall’invitato.

Tanto, a prescindere dalla lettera dell’art. 54 bis del D.lgs. n.165/2001 che sembra rivolto al solo pubblico dipendente della specifica PA a gestione presuntivamente irregolare, con grave violazione degli artt. 3 e 2 della Carta costituzionale.

Salvo a non volere ritenere la denuncia del tutto sottratta all’accesso previsto dagli artt. 22 ss. L. 241/1990 e s.m.i., anche in pregiudizio del “diritto alla difesa”, come sembrerebbe disporre, in totale contrapposizione con il restante Sistema normativo e pretorio, il comma 4°dello stesso art. 54 bis.

Per quanto riguarda l’obbligo di segretezza, il Codice prende in considerazione solo quello di natura investigativa.

Con il risultato che, la segretezza diversamente strumentale deve essere, volta per volta, individuata, valutata e tutelata dal singolo PM in ossequio alla normativa di riferimento.

Con riguardo al segreto investigativo, si rileva che in passato lo stesso raramente poteva essere violato dal PM contabile, vista la prassi prevalente presso il Requirente penale di non rispondere alle richieste di acquisizione di documentazione se non intervenuta la richiesta di rinvio a giudizio e cioè in una fase in cui è superato il momento della segretezza.

Mentre nei casi in cui la Procura penale trasmetteva informazioni ancora sottoposte a segreto istruttorio, la eventuale responsabilità per violazione delle pertinenti norme di comportamento poteva ricadere, a seguito d’indagini, anche sul massimo responsabile della fase preprocessuale del giudizio per responsabilità amministrativa.

Ad evitare che diventi accessibile ciò che, invece, deve rimanere segreto nell’interesse delle indagini penali, è indirizzato il comma 3 dell’art. 57 del Codice e, particolarmente, il rinvio contenuto nello stesso articolo al precetto stabilito all’art. 58, comma 1.

A lettura complessiva, affiora disciplina conforme a quella pregressa scandita dalla prassi: il PM contabile può richiedere al PM penale l’invio degli atti pertinenti al fascicolo in trattazione; a sua volta quest’ultimo può respingere la richiesta opponendo il segreto investigativo (con decreto motivato ex comma 2 dell’art. 117 c.p.p.).

Particolarmente accorta deve essere, perciò, la condotta del Magistrato requirente contabile qualora il PM ordinario, in osservanza del più ampio livello di sinergia tra i diversi plessi giurisdizionali, trasmette atti d’indagine ancora in regime di segretezza.

In tale contesto si inserisce l’unica ipotesi di differimento alla visione e all’estrazione di copia di atti preprocessuali prevista dal Codice al citato comma 3, a necessaria salvaguardia del segreto investigativo.

Di tale potestà il PM deve fare uso misurato, siccome comporta in automatico l’interruzione del termine per presentare deduzioni a seguito d’invito.

Il termine inizia nuovamente a decorrere dal perfezionarsi della notificazione dell’atto con cui il PM contabile revoca il decreto di differimento, e ciò può avvenire solo successivamente al rilascio del pertinente nulla osta della Procura penale.

Considerato che le oggettive lungaggini caratterizzanti il processo penale producono inevitabili effetti anche nella fase preprocessuale del giudizio contabile, il Legislatore ha previsto la possibilità per il PM contabile di rinunciare all’utilizzo, ai fini dell’invito, degli atti dell’indagine preliminare penale.

La valutazione di inutilizzabilità -che non è rivedibile, salvo che ne faccia richiesta la parte interessata- esclude l’interruzione del termine per presentare deduzioni e categoricamente non permette l’accesso agli atti dell’indagine preliminare penale già confluiti nel fascicolo del PM contabile.

Anche in questo caso il Codice ha salvaguardato la discrezionalità tecnica del Requirente.

Infatti quest’ultimo, stando alla formulazione della norma, resta il dominus esclusivo in punto di utilizzabilità degli atti dell’indagine preliminare penale ai fini dell’invito.

Le richieste dell’invitato dirette a conformare l’invito ricevuto sulla base di atti presenti in indagini penali devono essere necessariamente valutate dal PM, dovendo terminare comunque in decreto motivato sia nel caso in cui si ritiene di ammettere i documenti sia nel caso in cui si ritenga di farne a meno reputando sufficienti le prove raccolte.

Si ravvede la necessità del decreto perché non mancano i casi in cui richieste del tipo descritto giungono al vaglio del PM, nello spatium deliberandi tra invito e citazione, allo scopo di agganciare strumentalmente la durata del processo contabile a quella del processo penale, visto che l’utilizzazione della prova comporta l’automatica interruzione del termine per la presentazione delle deduzioni ai sensi dell’articolo 67 del Codice.

Concludendo, la regolamentazione conferma indirettamente, anche sotto tale aspetto, la persistenza di concreti margini di scelta in capo al PM contabile nel pianificare la strategia preprocessuale da adottare per arrivare all’eventuale citazione a giudizio.

L’abilità della parte pubblica in fase preprocessuale sta nel cogliere gli aspetti essenziali del thema probandum da porre a supporto dell’invito, e da reiterare nell’eventuale citazione, ponendosi il problema sia dell’ammissibilità e della rilevanza delle doglianze prospettabili da controparte sia del rispetto di tempi di durata ragionevoli per ultimare gli accertamenti ante causam.

Venendo ad altro argomento correlato, è indubbio che assume rilievo quello della tutela della riservatezza del controinteressato in senso tecnico all’accesso, perché la disciplina codicistica in capitolo di fattispecie plurisoggettiva, dove il danno erariale è imputabile a diversi soggetti e non solo ad uno, può essere intrepretata a discapito de principi del “giusto processo”

Dubbi esegetici percepibili anzitutto da chi si astiene dal collocare la disciplina nella dimensione sottintesa dal Codice, che vede un quadro legale consolidato nel ritenere che di regola l’accesso è consentito con modalità non lesive della riservatezza.

La norma principale di riferimento, contenuta all’art. 67, comma 1, del Codice dispone: “……il PM notifica al presunto responsabile …atto di invito a dedurre……fissando un termine non inferiore a 45 giorni…entro il quale il presunto responsabile può esaminare tutte le fonti di prova indicate a base della contestazione formulata e depositare le proprie deduzioni……”.

Con applicazione pura e semplice della stessa si perviene alla conclusione che qualunque invitato può accedere agli atti forniti dagli altri invitati nella massima misura a discapito di interessi della persona costituzionalmente garantiti.

Ciò non pare giuridicamente plausibile.

La definizione legale e tecnica del concetto di controinteressati è all’art. 22, comma 1, lett. C della L. 241 s.m.i. che individua la categoria in “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”.

Sui rapporti tra il richiedente l’accesso e i “controinteressati in senso tecnico”, il GA e il Garante privacy sono arrivati a conclusioni ormai consolidate che non possono non trovare applicazione anche nella fase preprocessuale del giudizio per responsabilità amministrativa.

Ovviamente, l’esigenza di recepire e applicare la pertinente disciplina normativa e pretoria deve essere armonizzata con le peculiarità che caratterizzano l’azione del PM contabile e il contraddittorio preprocessuale, ferma restando la natura di parte pubblica del Magistrato con funzioni requirenti della Corte dei conti.

Il diritto vivente è pacifico nel ritenere che il titolare di un trattamento dati non può subire menomazione al suo diritto all’autodeterminazione informativa, con la conseguenza che le informazioni che lo riguardano possono essere acquisite ed utilizzate da terzi solo dopo consenso dell’interessato ai sensi art. 23 ss Codice privacy.

Salve le ipotesi in cui lo stesso Codice privacy o altre disposizioni normative permettono l’accesso previa acquisizione del consenso dell’interessato tramite procedure semplificate che individuano la sussistenza di consenso tacito/presunto.

Si ritiene che le istanze di accesso in fase preprocessuale devono essere valutate alla luce dei meccanismi presuntivi già consolidati in altri settori per assicurare il massimo di estensione ai “diritti della difesa”.

Ciò, per evitare eccessi di protezione che avrebbero il solo effetto di congestionare ulteriormente la fase preprocessuale, ovvero di annichilire nell’indifferenziazione la tutela di interessi effettivamente meritevoli, con inevitabile alimentazione di contenzioso giudiziario aggiuntivo.

Nel Sistema coesistono due ipotesi fondamentali di consenso presunto/tacito all’accesso:

  • Quella prevista all’art 3 D.P.R. n. 184/2006 che dispone: “la PA cui é indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati……è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento……I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi, di cui all’articolo 7, comma 2. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la PA provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione”.
  • Quella ricavabile dalle norme che tutelano nell’ambito del processo amministrativo, regolato dal D.lgs. n.104/2010, il controinteressato in senso tecnico a garanzia del “giusto processo” e dell’effettivo contraddittorio.

Un accostamento puro e semplice alla normativa valida nel processo innanzi al GA non è prospettabile, siccome si verrebbero a dilatare discutibilmente i tempi della fase preprocessuale, con riflessi non compatibili con il termine ordinariamente stabilito per la citazione dall’art. 67, comma 5, del Codice.

Si deve osservare però che, in caso di controinteressati pretermessi il GA dispone l’integrazione del contraddittorio ponendo l’onere a carico del soggetto che ha patito il diniego di accesso agli atti amministrativi e che perciò chiede l’intervento del Giudice.

Reputando tale principio di portata generale e visto che il PM non è organo della PA, ma Magistrato requirente, ne deriva l’applicazione nella fase preprocessuale in esame.

Del resto, la cogenza dell’opposizione all’accesso da parte del controinteressato è ammessa dallo stesso Codice (art. 71, comma 4) in punto di richiesta di accesso difensivo proposto dritto alla PA e non al PM contabile; e non si vede per quale motivo la tutela della riservatezza debba essere azzerata in ipotesi di accesso presentato senza intermediari alla Procura erariale.

Ne segue che eventuali richieste di accesso che intervengono nella fase preprocessuale di fattispecie di danno erariale accollabile ad un solo responsabile, in assenza di controinteressati in senso tecnico, sono di più facile risoluzione.

L’ammissibilità dell’istanza dipende dalla effettiva sussistenza dei presupposti legali e pretori che legittimano l’esercizio del diritto, con applicazione dei correttivi di cui sopra si è detto sia a tutela del denunciante e di terzi scrutati nella fase iniziale degli accertamenti ma non invitati sia per consentire all’invitato di approntare una difesa approfondita e completa.

In caso di più invitati e di conseguenza di diversi controinteressati all’ostensione dei propri dati ad invitato nello stesso procedimento che ne fa richiesta, è necessario integrare la regola che vige innanzi al GA con il correttivo desumibile dalla disciplina posta all’art. 3 DPR n. 184/2006.

A tal proposito le situazioni realmente prospettabili sono due:

  • Quella in cui l’ invitato chiede di accedere senza rendere edotti gli altri invitati della sua intenzione: in tal caso l’interessato è ammesso ad ottenere copia di tutti gli atti preprocessuali salvo quelli provenienti dai controinteressati; nello stesso decreto di parziale accoglimento dell’istanza, il PM, visto il principio di lealtà processuale, rappresenta che per accedere anche agli atti dei controinteressati è necessario dare comunicazione agli stessi che si è esercitato il diritto di accesso avvertendo questi ultimi che hanno 5 gg. di tempo per opporsi.

Giorni 5, e non 10 come previsti dalla normativa generale, considerata la natura assimilante della dimidiazione dei termini imposta dal comma 4 dell’art. 71 del Codice.

In mancanza di opposizione nei termini il consenso è presunto; sull’eventuale opposizione decide il Magistrato titolare della fase a cui è giunto il processo;

  • Quella in cui l’invitato chiede di accedere con istanza comunicata ai controinteressati parimenti destinatari di invito a dedurre: in tal caso l’interessato è ammesso ad ottenere copia di tutti gli atti preprocessuali nessuno escluso allo spirare del 5° giorno senza opposizioni.

In ogni caso, il meccanismo tiene se l’invitato, richiedente l’accesso anche agli atti riferibili ad altri presunti coautori del danno erariale parimenti invitati, comprova al PM contabile l’avvenuta comunicazione dell’istanza di accesso a tutti i controinteressati, che coincidono con i soggetti destinatari dell’invito a dedurre.

L’acquisizione del consenso tacito/presunto, per mancanza di opposizioni nei termini da parte del controinteressato, non dovrebbe comportare complicazioni; iniziative del singolo invitato dirette a contestare l’acquisizione di atti che lo riguardano, da parte di altro invitato che ne fa richiesta, sono da valutare in applicazione dell’orientamento pretorio prevalente in capitolo di validità dell’assenso tacito da parte della persona che può validamente disporre del diritto.

Ma soprattutto, sono da apprezzare con riferimento ai consolidati orientamenti espressi dal GA e dal Garante sulla protezione dei dati personali nelle occasioni in cui sono stati chiamati a determinare la portata da assegnare all’opposizione all’accesso considerata la ratio che sorregge nel complesso il D.lgs. giugno 2003, n. 196 s.m.i. e leggi correlate.

Il settore dove in misura più alta si sono verificati contenziosi di analoga natura è stato quello dei procedimenti disciplinari iniziati dall’ordine professionale a carico dell’iscritto; perciò è in tale direzione che conviene volgere l’attenzione.

Nel settore è ferma l’opinione che riconosce in astratto tendenziale prevalenza al diritto di difesa sul diritto alla riservatezza.

E’ di tale importanza l’accesso in discussione che viene autonomamente definito “accesso difensivo” ai sensi dell’art. 24, comma 7, L. 241/1990 s.m.i.

A tale tipo si rifà la formulazione letterale del citato art. 67, comma 1, del Codice.

L’Orientamento di gran lunga maggioritario afferma l’impossibilità di negare al soggetto coinvolto in procedimento disciplinare (mutatis mutandis procedimento diretto a ricercare l’effettiva sussistenza di danno erariale) il diritto di accesso all’intero fascicolo disciplinare (leggasi nello specifico fascicolo preprocessuale) quando ciò si renda necessario per la realizzazione di un interesse costituzionalmente protetto, qual è quello dell’accusato di un illecito alla acquisizione di ogni mezzo di prova a suo favore in analogia a quanto stabilito a proposito di processo penale nel “nuovo” art. 111, comma 3, Cost.

Il che si giustifica nell’ottica di una interpretazione evolutiva della disciplina che regge qualunque procedimento accusatorio, compresa, quindi, la fase preprocessuale in esame, alla luce del principio costituzionale dell’inviolabilità del diritto di difesa (art. 24, comma 2, Cost.); principio cui è riconosciuta forza espansiva, quale criterio guida nell’interpretazione di ogni disciplina che vede un soggetto imputato come autore di un fatto illecito.

Tuttavia, la regola della prevalenza del diritto di difesa su quello di riservatezza vale in astratto; nel concreto non viene mai meno la necessità di effettuare una valutazione “caso per caso”, con ripudio di acritica applicazione della detta regola, tenendo nella dovuta considerazione gli interessi contrapposti nonchè l’adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo.

Infatti, la normativa di riferimento [a seguito delle modifiche introdotte tra il 2001 e il 2005 (art. 22 L. n. 45/01, art. 176, comma 1, D.lgs. n. 196/03 e art. 16 L. n. 15/05)] specifica con chiarezza come non bastano esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti in cui sia “strettamente indispensabile” la conoscenza di documenti, in tassativa osservanza del bilanciamento degli interessi contrapposti prescritto dagli attuali artt. 59 e 60 Codice privacy.

Concludendo il PM contabile alla ricezione di istanza di accesso dell’invitato in fattispecie di danno erariale imputabile a molteplici responsabili deve consentire l’esercizio del diritto dopo avere valutato la ricorrenza del consenso degli altri controinteressati, rimanendo sufficiente all’uopo la presunzione legale stabilita dal Sistema per ipotesi analoghe al ricorrere dei presupposti di fatto e di diritto individuati dagli Esegeti che si sono occupati della materia.

Reputandosi il quadro descritto quello maggiormente fedele al più recente sviluppo assunto dalla Legislazione e dalla Giurisprudenza in capitolo di diritto d’accesso, è verosimile che in caso di numero significativo di invitati si possono verificare lungaggini connesse all’esercizio dell’actio ad exhibendum; allungamento dei tempi che, considerata l’inammissibilità della citazione intempestiva disposta dall’art. 67, comma 5, del Codice, deve essere neutralizzato, con tempismo dall’attore pubblico utilizzando il rimedio previsto all’art. 68 del Codice.

Una postilla finale, connessa all’opinione appena espressa, va dedicata all’art. 71, comma 2, che dispone: “La visione dei documenti è consentita, ove possibile, al momento della presentazione della domanda”; si rileva che la funzionalità complessiva del Sistema esclude al ricorrere di illecito plurisoggettivo la “visione… al momento della presentazione della domanda”, a meno di non volere dotare l’invitato di conoscenze riservate, segrete o riguardanti la figura del “whistleblower”, a scapito dell’esteso quadro normativo che tutela la privatezza intesa come interesse a che non siano resi conoscibili dati segreti e interesse a che dati personali non siano divulgati da parte di chi ne è legittimamente a conoscenza.

A conclusione si deve rimarcare come la disciplina sull’accesso agli atti trattati dal PM contabile ha contenuto trasversale rispetto a diversi altri istituti e concetti, implicitamente o esplicitamente, presenti nel Codice, al fine di dare alla fase preprocessuale un assetto pragmatico e omogeneo con la disciplina processuale e procedimentale introdotta, dall’art. 1 L. Costituzionale n. 2 del 1999, nell’art. 111, comma 3, della Carta.

La regolamentazione giuridica dell’accesso effettuata dal Codice si rivela diretta a perfezionare il Sistema ponendo a disposizione del soggetto presunto autore di danno erariale un ulteriore strumento volto ad assicurare un iter preprocessuale improntato alle regole Costituzionali del “giusto processo”, attesa la natura di parte pubblica del PM, e non alle meno intense norme Costituzionali sul giusto procedimento (artt. 3 e 97 Cost.) che dominano l’attività amministrativa.

Tuttavia, insegna la Giurisprudenza che degli strumenti dedicati alla salvaguardia dei parametri del “giusto processo”, indicati dall’art. 111, comma 3, si può fare anche uso distorto per “difendersi dal processo e non sul processo”.

E’ innegabile che i criteri che sovrintendono il “giusto processo” (contraddittorio tra parte pubblica e parte privata; condizione di parità delle parti; Magistrato terzo e imparziale; ragionevole durata della fase; esigenza che il Magistrato si esprima con provvedimenti motivati) sono stati attratti nel Codice anche con riguardo alla fase preprocessuale, in ossequio al favorevole orientamento espresso in proposito dalla pregressa Giurisprudenza contabile.

E’ noto altresì che l’indirizzo ha trovato sostegno presso le Procure contabili che da un bel pò conformano, al massimo grado, le indagini al principio del contraddittorio; e con tutto questo si è potuto assistere, in taluni casi, ad atteggiamenti processuali del convenuto, nel minimo, tendenti ad allungare indebitamente i tempi del processo nel suo insieme, in violazione del principio di lealtà processuale.

Poichè i contenuti, espliciti ed impliciti, del Codice in punto di accesso, e istituti connessi, per quanto abbastanza chiari si prestano a letture non conformi agli indirizzi di Sistema, sarà compito degli Interpreti, dei Magistrati requirenti e maggiormente dei Giudicanti, reagire ad eventuali richieste obiettivamente preordinate a ledere i principi del “giusto processo” ovvero costituenti manifestamente abuso del diritto.

Pur non essendo questa la sede più appropriata per affrontare compiutamente la tematica relativa a fondamento, contenuto e natura delle moderne codificazioni, va riconosciuto che il D.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 ha in modo corretto focalizzato e successivamente centrato l’obiettivo di più urgente risoluzione: quello di “dettare una disciplina attualizzata e moderna per la tutela delle ragioni dell’erario senza tuttavia perdere di vista le fondamentali esigenze difensive del presunto responsabile”.

Le persistenti, pur autorevoli, opinioni volte a riprendere lo sforzo del Legislatore diretto a sistemare con razionalità la fase preprocessuale, per altro, nella maggior parte dei casi, recependo strumenti già consolidati presso la Corte dei conti, non sono condivisibili, nella misura in cui si limitano a disapprovare senza però suggerire alternative esegetiche rispondenti ai principi regolatori del “giusto processo”.

Le interpretazioni sopra fornite in punto di ostensione degli atti preprocessuali del PM permettono di ritenere che “le ragioni di ordine formale e sostanziale sottese alla necessità di pervenire ad una codificazione” sono state rispettate dal Legislatore con riguardo al diritto di accesso.

Dal punto di vista formale, la codificazione non ha preso volutamente in considerazione alcuni concetti attinenti all’accesso sul presupposto che restano applicabili le norme generali di settore in applicazione della presunzione di continuità della Legge, della coerenza della disciplina giuridica e, in particolare, del Legislatore non ridondante.

Sul piano sostanziale, il Codice ha normato solo alcuni aspetti dell’accesso agli atti trattati dal PM per arricchire apertis verbis la fase preprocessuale con uno strumento rispondente alla nuova struttura assunta dalla fase, in applicazione dei precetti Costituzionali del “giusto processo” e del “buon andamento della PA” (artt. 111, 24 e 97 della Carta).

Del resto, la previsione di mezzi di tutela nuovi e il recepimento di meccanismi già conosciuti alla Corte dei conti (come l’accesso) sono maturati a favore sia dell’attore che del convenuto valorizzando l’apporto, non solo dei Magistrati ma, anche degli Avvocati, che hanno allestito, non di rado, strategie processuali (e relativi atti) costituzionalmente orientati, idonei a tenere la giustizia contabile sempre attenta sul caso specifico e corrispondente alle esigenze di salvaguardia dei beni e del patrimonio pubblico.

La locuzione presente nell’introduzione generale delle relazione al Codice “tutte le norme che appaiono come tautologiche affermazioni di principi generali, assurgono doverosamente al rango di cornice garantistica dello svolgimento della…attività preprocessuale….”, rafforza l’idea che la disciplina codicistica dell’accesso si sia limitata a stabilire principi generali, rinviando per l’applicazione concreta dell’istituto ai consolidati orientamenti delle Autorità, che nell’ultimo decennio, hanno interpretato la specifica normativa di settore.

Ora, che di svariati istituti previsti dal Codice, incluso l’accesso, le parti possono fare abuso non è una novità; tutto dipende dalla sensibilità giuridica con cui si approccia il contenzioso.

La pretesa di sconfiggere l’abuso mediante normativa meticolosa ovvero sottoponendo a limiti innaturali la discrezionalità del Magistrato è inverosimile.

Così riassunti i termini della questione, si osserva che il Codice in taluni casi, come per l’accesso, ha ritenuto di sacrificare l’aspirazione a formule tassative e a minuziose scissioni concettuali sul condivisibile presupposto che il giudizio per responsabilità amministrativa si svolge in un quadro complessivo ispirato a lealtà e probità.

Poiché la realtà dei fatti non è sempre coincidente, spetta all’Interprete valutare le concrete situazioni che vengono in esame tenendo conto delle peculiarità del caso.

In finale, e facile osservare che, come sempre, ricade nell’attività di concretizzazione giudiziaria, attuabile da ogni soggetto che interviene nella dialettica del processo erariale, reagire ai casi in cui una parte non fa corretto esercizio dei diritti e delle facoltà spettanti, con distorsione delle situazione giuridiche astrattamente garantite dall’Ordinamento per realizzare, con significativi margini di certezza, il modello del “giusto processo”.

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