L’esclusione del Primo Presidente della Corte di Cassazione dall’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati è ancora costituzionalmente legittima?
di Fabrizio Giulimondi
Già la sentenza della Corte costituzionale, del 2 febbraio 1971, n. 12[1], si era posta il problema di una corretta composizione della sezione disciplinare del CSM, osservando, al termine del par.4, che: «Nell’esercizio di una delle più delicate competenze del Consiglio, non è assicurata la presenza di tutte le categorie che, in base alla stessa legge, concorre alla formazione del consesso unitario.». Scaturigine di questa adamantina affermazione, è l’inoppugnabile necessità della compresenza di tutte le sensibilità culturali giuridiche in seno all’organo che svolge il compito particolarmente pruriginoso di indagare, decidere e sanzionare i comportamenti disciplinarmente rilevanti dei magistrati[2].
Per affrontare in modo metodologicamente valido il tema propostoci è opportuno intrattenersi prima sull’aspetto relativo al passaggio di funzioni dalla magistratura requirente a quella giudicante e viceversa.
La c.d. riforma Mastella, frutto del combinato disposto delle due leggi 24 ottobre 2006, n. 269 e 30 luglio 2007, n. 111, ha immesso nella intelaiatura dell’ordinamento giudiziario italiano principi e procedure innovativi rispetto alla normativa precedente, modificando sensibilmente, fra l’altro, i d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, 27 gennaio 2006, n. 25 e 30 gennaio 2006, n. 26, attuativi della legge delega 25 luglio 2005, n. 150 (riforma c.d. Castelli)[3].
L’art. 13, c. 3, legge 160/2006, così come sostituito dall’art. 2, c. 4, legge 111/2007, nei primi due periodi recita: «Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, ne’ all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’ articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio Superiore della Magistratura previo parere del consiglio giudiziario.».
Il cennato disposto indica un nuovo percorso di interazione tra la funzione dei giudicanti con quella dei requirenti e riprende, restringendone le maglie, il sistema ordinamentale giudiziario francese in cui il passaggio può avvenire sempre, basta che non si verifichi all’interno del medesimo ufficio giudiziario[4].
In primo luogo, al fine di accedere legittimamente al passaggio, il magistrato deve aver svolto la propria funzione originaria almeno per cinque anni ed aver ottenuto una prima valutazione professionale positiva.
La nuova funzione non può essere esercitata all’interno della stessa regione, se il mutamento afferisce anche la tipologia di settore di esercizio della giurisdizione (dal penale al civile e viceversa).
La procedura di cambiamento vede, altresì, un momento partecipativo ad un corso di approfondimento professionale, oltre l’intervento di natura consultiva del CSM che deve esprimere un parere al riguardo.
Il passaggio da una funzione all’altra non può avvenire più di quattro volte.
Ciò sta a significare che la reversibilità delle funzioni, abolita dalla precedente riforma Castelli, rimane in piedi, seppure con maggiori complicazioni procedurali.
Queste ultime, unitamente all’introduzione di divieti e del tetto massimo di richieste stabilito per legge, in qualche maniera accentuano la differenziazione funzionale fra le due “carriere” magistratuali.
La stessa attività deliberante del CSM conferma questo indirizzo restrittivo[5].
A questo punto è bene porsi alcune domande: questi ostacoli frapposti all’accesso dall’una all’altra carriera quali conseguenze comportano? Tali maggiori farraginosità mantengono inalterato in un unicum il corpo giudiziario? Ovvero alcuni riverberi si possono risentire, specie nelle dinamiche procedurali disciplinari coinvolgenti magistrati?
L’art. 4 legge 24 marzo 1958, n. 195, delinea la composizione della sezione disciplinare del CSM, laddove, mentre il Primo Presidente della Corte di Cassazione è membro di diritto della sezione ma non partecipa in alcun modo alla formazione della volontà di tale organo collegiale, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione è il titolare dell’azione disciplinare obbligatoria e funge da pubblico ministero presso la sezione.
Il Primo Presidente e il Procuratore Generale configurano figure che, al pari del Ministro della giustizia, sono “costituzionalizzate” dall’art. 104, c. 3, Cost, in veste di componenti di diritto del CSM, mentre il Ministro della giustizia (unico membro di Governo citato dai Padri costituenti) ha la titolarità dell’azione facoltativa disciplinare nei confronti dei magistrati (art. 107, c. 2, Cost.).
L’art. 107, c. 2, Cost., e l’ultima parte dell’art. 105 Cost, effettuano un esplicito richiamo al procedimento disciplinare nei riguardi dei magistrati, mettendo così in evidenza la dignità costituzionale di tale procedura, proprio per lo status ricoperto dai soggetti coinvolti, a cui viene dedicata la sezione prima del titolo IV della parte II della Carta costituzionale.
Nonostante il rilievo di primaria importanza nell’ordine giudiziario, il Primo Presidente della Corte di Cassazione non ricopre una posizione del collega Procuratore Generale in seno alla sezione disciplinare del CSM. Può risultare una anomalia del sistema la sua mancata partecipazione al processo formativo delle determinazioni adottate dalla sezione disciplinare. Sfuggono le ragioni che non hanno condotto il legislatore ad assegnare anche al Primo Presidente la titolarità del promovimento (obbligatorio o facoltativo) dell’azione disciplinare. Se entrambi partecipassero pleno iure all’attività giurisdizionale della sezione in parola vi sarebbe sine dubio un quid pluris di garanzia per il magistrato incolpato.
Le statistiche possono essere di supporto al corretto sviluppo del ragionamento.
Al 31 dicembre 2014[6] i magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari sono 2.108 requirenti e 6.305 giudicanti, che rappresentano rispettivamente il 25% e il 75% del totale. I tassi specifici di incolpazione risultano sensibilmente più alti per i magistrati giudicanti: nel 2014 la percentuale dei requirenti complessivamente sottoposti ad azione disciplinare è del 27%, del totale degli incolpati, contrariamente ai giudicanti che sono il 73%. (il 76% nel 2013). Prendendo in considerazione, nel medesimo arco temporale, le azioni promosse solamente dal Procuratore Generale (n. 128 su un totale di n.193, valore che include anche quelle poste in essere dal Ministro della giustizia), si nota agevolmente che dei 135 magistrati incolpati[7], il 30% risultano essere requirenti (n. 40), mentre il 70% sono giudicanti (n. 95)[8].
A queste rilevazioni statistiche affianchiamo una disamina sulla sezione disciplinare del CSM.
La sezione disciplinare non è altro dal CSM ma è l’organo in cui, nella specifica materia disciplinare, il CSM si identifica, in quanto a quest’ultimo l’art. 105 Cost. attribuisce competenze de qua. In secondo luogo v’è da sottolineare che, attesa l’identità fisica dei componenti della sezione disciplinare con quelli facenti parte del plenum, sul piano oggettivo viene a determinarsi un intreccio inestricabile fra l’attività istruttoria e decisionale di ordine squisitamente amministrativo posta in essere dalle commissioni e dal plenum, e l’opera realizzata in ambito giurisdizionale-disciplinare dalla sezione de qua.
Questa inscindibile connessione è impossibile che renda immuni da “parzialità” e “pre-giudizi” soggetti che, eletti nello stesso tempo nel CSM e – alcuni di loro – designati come componenti (di diritto o su scelta) nella sezione disciplinare, esercitano contestualmente l’una e l’altra competenza, quella amministrativo-gestionale e quella disciplinare-giurisdizionale, condizionando reciprocamente l’una e l’altra attività, l’una e l’altra istruttoria, l’una e l’altra decisione[9].
All’interno di questo guazzabuglio di attribuzioni la figura del Procuratore Generale non facilita l’opera dell’interprete.
Egli è – come poc’anzi riportato – titolare dell’azione disciplinare dotata dei caratteri della obbligatorietà (a differenza della natura facoltativa della azione promossa dal Ministro della giustizia), pubblico ministero presso la sezione disciplinare, membro di diritto del CSM e, di non poco momento, a capo della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, giudice di impugnazione nelle vestigia di sezioni unite civili, avverso le decisioni adottate dal plenum.
A questo punto è opportuno, se non necessario, aggiungere un ulteriore tassello.
Alla luce delle riforme riportate nell’incipit di questo scritto potrebbe sorgere il sospetto di opacità nel porre come unico dominus del procedimento disciplinare il Procuratore Generale accantonando la figura del Primo Presidente della Corte di Cassazione. L’assetto ordinamentale sorto dal combinato disposto delle riforme Castelli e Mastella mette in luce la stravaganza del solitario promovimento della azione disciplinare da parte del Procuratore Generale.
Le rilevazioni statistiche precedentemente riportate fanno sorgere il dubbio brechtiano che sussista una maggiore esposizione disciplinare per i giudici a dispetto dei pubblici ministeri.
Per giungere a meta, però, è doveroso transitare attraverso l’analisi della legislazione transalpina[10].
La legge costituzionale francese 27 luglio 1993, n. 93-952[11], istituisce due formazioni distinte del Consiglio Superiore della Magistratura, una per i magistrati giudicanti (magistrats du siége) ed una per i magistrati del pubblico ministero (magistrats du parquet). La prima ha poteri di nomina e disciplinari sui giudici, mentre la seconda possiede funzioni consultive su nomine e illeciti disciplinari dei pubblici ministeri.
Per sgomberare il terreno da insorgenti dubbi su un eventuale collegamento fra duplicità strutturale del CSM e separazione delle carriere, è bene subito precisare, come ritiene Mario Pisani[12], che :«La creazione di due sezioni non ha nulla a che vedere con la separazione delle carriere»[13].
A differenza della composizione del CSM in cui prevale la presenza dei laici, in sede disciplinare sussiste un perfetto equilibrio fra quest’ultimi ed i togati, in linea con il rapporto del 2010 della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto[14] [15].
Questa modulazione in due sezioni è stata ripresa in Italia dal tentativo di riforma costituzionale del secondo Governo Berlusconi (2001-2006)[16] che ha concepito una Corte di disciplina della magistratura giudicante e requirente (art.105 bis) composta da una sezione per i giudici e da una sezione per i pubblici ministeri[17]:ecco che è stata portata “fuori” dal CSM la funzione disciplinare.
Tale soluzione già era stata partorita dalla Commissione Bicamerale nel 1997 presieduta da Massimo D’Alema[18] che prevedeva l’attribuzione di questa funzione ad un organo ad hoc: (art.122) «Spettano alla Corte di giustizia della magistratura i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei giudici ordinari ed amministrativi e dei magistrati del pubblico ministero».
Lo spirito innovativo della abortita riforma, invero, cercava di fornire una risposta ad una criticità che continua ad essere celata nei dibattiti seminariali.
Le normative approvate sotto l’egida dei Ministri delle giustizia Castelli e Mastella palesano chiaramente la volontà di determinare un discrimine – nella unicità del corpo magistratuale – fra la funzione requirente e quella decidente.
Gli stessi testi delle proposte legislative di iniziativa parlamentare presentate nelle ultime legislature[19], molto diversi fra loro per impostazione e contenuti, hanno prevalentemente in comune la volontà del legislatore di differenziare in modo più marcato possibile ruolo, funzioni e competenze dell’apparato magistratuale giudicante da quello inquirente e requirente.
Precipitato logico giuridico della suddetta spinta normativa e politica non può che sostanziarsi nella necessità che i giudici non siano sottoposti unicamente alla azione propulsiva in sede disciplinare del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, organo monocratico di “vertice” della struttura inquirente e requirente.
Mentre i magistrati del pubblico ministero hanno una sorta di rappresentante e di garante nella procedura disciplinare dal suo inizio alla sua conclusione, i giudici ne sono completamente sprovvisti visto che il Primo Presidente della Corte di Cassazione è sì membro di diritto del CSM e della sua sezione disciplinare, ma risulta privo di qualsiasi potere, attribuzione o competenza.
A partire dalla sopra citata sentenza della Corte Costituzionale n. 12/1971 è fuori questione la natura giurisdizionale del procedimento disciplinare in parola.
La previsione di un “giudice terzo ed imparziale” così come sancito dall’art. 111, c., 2, Cost, pertanto, deve essere applicata anche in questa sede. Su questa linea di pensiero anche la dottrina che, con il Satta[20], riflette così: «L’essenza del giudizio, per cui si possa dire che se esso manca non ci sia giudizio … questo elemento sia individuabile, e sia uno solo: che il giudizio sia reso da un terzo.».
Seppur il soggetto che promuove l’incolpazione del magistrato non rientri in questi specifici confini, è altrettanto vero che l’azione promossa sempre e soltanto dal Procuratore Generale può destare più di un sospetto sulla “terzietà ed imparzialità” dell’organo di accusa nei confronti dei pubblici ministeri destinatari dell’atto di incolpazione. L’appartenenza allo stesso munus e ad un unico idem sentire può ridurre la terzietà e l’imparzialità del Procuratore Generale nel suo delicato compito di pubblico ministero presso la sezione disciplinare del CSM: le cennate rilevazioni statistiche disseminano a tale riguardo più di una perplessità.
Il riconoscimento della figura del Primo Presidente come titolare dell’azione disciplinare potrebbe incarnare, invero, in modo più vitale il principio sotteso all’art.111,c.2, Cost.
Il Primo Presidente potrebbe promuovere (obbligatoriamente) l’azione disciplinare nei confronti dei pubblici ministeri, mentre il Procuratore Generale potrebbe promuovere obbligatoriamente l’azione disciplinare nei confronti degli appartenenti alla magistratura giudicante.
Ha fondamento l’eccezione basata sull’evenienza che il Primo Presidente sarebbe coinvolto in caso di impugnazione del provvedimento disciplinare innanzi le sezioni unite civili della Cassazione[21], ma è pur vero che un’opzione eventuale non dovrebbe essere dirimente ed ostativa della “certezza di giustizia” che si otterrebbe con il suo pieno inserimento nell’”organo di accusa”.
In alternativa, parimenti de iure condendo, anche un’azione disciplinare congiunta dal “duo” Primo Presidente-Procuratore Generale diretta indistintamente a giudici e pubblici ministeri potrebbe solleticare le smanie riformatrici del legislatore al fine di rafforzare le tutele di entrambe le “braccia” del corpo magistratuale.
[1] Corte cost., sent. 2-2-1971, n.12, in www.juriswiki.it/provvedimenti/sentenza-corte-costituzionale-12-1971-it, in virtù della quale è stato dischiarato incostituzionale, per violazione dell’art.104 Cost. l’allora vigente meccanismo di composizione della sezione disciplinare come previsto dagli art. 1 e 2 legge 18-12-1967, n.1198.
[2] Sulla compatibilità costituzionale della sezione disciplinare del CSM con l’art.102 Cost. v. Corte cost, sent. 1-3-1995, n. 71, in www.giurcost.org/decisioni.
[3] Per una ottima visuale d’insieme delle variegate riforme (o tentativi di esse) v. G. di Federico (cur.), Ordinamento Giudiziario. Uffici giudiziari, CSM e governo della magistratura, Padova, Cedam, 2012; C. Guarnieri, P. Pederzoli, La magistratura nelle democrazie contemporanee, Roma-Bari, Laterza, 2002; C. Guarnieri, La giustizia in Italia, Bologna, Il Mulino, 2011; F. Contini, La qualità della giustizia: dal conflitto al dialogo, in D. Cavallini (cur.), Argomenti di ordinamento giudiziario, Bologna, Bup, 2014; S. Zan, Il sistema organizzativo della giustizia civile in Italia: caratteristiche e prospettive, in Quaderni di Giustizia e organizzazione, Comiug, 1; G. di Federico, Il pubblico ministero: indipendenza, responsabilità, carriera separata da quella del giudice, in G. Di Federico (cur.), Manuale di Ordinamento Giudiziario, Padova, Cedam, 2004, pp. 415-452; Id, I diritti della difesa nella fase delle indagini, in G. Di Federico, M. Sapignoli, I diritti della difesa nel processo penale e la riforma della giustizia, Le esperienze di 1265 avvocati penalisti, Padova, Cedam, 2014, pp. 21-78.
[4] Per una circostanziata panoramica sui rapporti fra ordinamento giudiziario italiano e quello francese v. M. Volpi, La composizione tra ordinamento giudiziario francese e italiano: analogie e differenze, in A. Cervati, M. Volpi (cur.), Magistratura e Consiglio superiore in Francia e in Italia, Torino, Giappichelli, 2010.
[5] Cfr. Consiglio Superiore della Magistratura, La riforma dell’ordinamento giudiziario, prime delibere di attuazione, Roma, 31-1-2013, pp.61s,550 s.
[6] Fonte CSM al 31-12-2014, v. G. Ciani, Intervento del Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, inaugurazione anno giudiziario, 2015, p.160, in www.cortedicassazione.it.
[7] Alcune azioni disciplinari interessano più magistrati.
[8] Per una panoramica completa ed accurata, completa di dati statistici disaggregati secondo molteplici parametri, v. G. Ciani, cit., pp. 109-132.
[9] Non si può procedere ad un frazionamento delle funzioni composite del plesso CSM-sezione disciplinare come si evince chiaramente da Corte cost., sent. 24-6-2002, n.270, 22-7-2003, n.262, 22-6-1976, n.145, 8-6-1981, n.100, tutte reperibili in www.giurcost.org. L’interesse a sanzionare gli illeciti disciplinari fa capo all’intero CSM – e non solo alla sezione disciplinare – trova conferma nel disposto dell’ art.14, c. 4, d.lgs 2-2-2006, n.109, secondo cui il CSM ha «l’obbligo di comunicare al Ministro della giustizia e al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare.»; v. anche Corte cost., sent. 16-11-2000, n.497 e 22-6-2002, n.289, entrambe in www.giurcost.org.
[10] In tema di ordinamento giudiziario e Consiglio della Magistratura francese v. G. Lacoste, La legge costituzionale del 27 luglio 2008 e la riforma del Consiglio superiore della magistratura in Francia, in Magistratura e Consiglio superiore in Francia e in Italia, cit.; L. Montanari, T.S. Renoux, Il ruolo del Consiglio superiore della magistratura in Francia alla luce della riforma costituzionale del 2008, in questa Rivista, 2010, IV, 1624 ss; amplius v. dossier Camera dei Deputati, AA.VV, Aspetti dell’ordinamento giudiziario, esercizio dell’azione penale e responsabilità dei magistrati in Francia, Germania, Regno unito e Spagna, 22/2011.
[11] Cfr. S. Benvenuti, Il Consiglio Superiore della Magistratura francese: una comparazione con l’esperienza italiana, Milano, Giuffrè, 2011, pp.177 ss.
[12] M. Pisani, Riforma epocale?, in Diritto penale contemporaneo, 1/2011, 53; v. anche L. Montanari, T.S. Renoux, Il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura in Francia alla luce della riforma costituzionale del 2008, cit.
[13] Sensibilmente differente è l’ordinamento giudiziario germanico ove non esiste un organismo analogo al CSM e si applica con radicalità il principio di separazione delle carriere nell’ottica della sottoposizione piena (e non attenuata come in Francia) del pubblico ministero alle scelte politiche e amministrative del Ministero di grazia e giustizia: cfr. D. Schefold, Potere giurisdizionale e posizione del giudice in Germania, in S. Gambino (cur.), La magistratura nello Stato costituzionale, Teoria ed esperienze a confronto, Milano, Giuffrè, 2004.
[14] Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, Rapporto Commissione di Venezia, III, Aspetti specifici dell’indipendenza dei giudici, 17,18-12-2010, in www.venice.coe.int: tale organismo, meglio noto come Commissione di Venezia, nel 2010 ha elaborato un rapporto sull’indipendenza dei giudici nel quale si afferma il principio per cui all’interno dei Consigli di Giustizia i giudici, eletti da loro pari, dovrebbero costituire la maggioranza.
[15] In subiecta materia cfr. M.Volpi, L’indipendenza della magistratura nei documenti del Consiglio d’Europa e della rete europea dei Consigli di giustizia, in questa rivista, 2010, IV, 1754 ss.
[16] Legge costituzionale concernente “Modifiche alla Parte II della Costituzione” votato a maggioranza assoluta dal Parlamento e pubblicato in G.U. 18-11-2005, n. 269, non approvato dal referendum costituzionale tenutosi il 25,26-6-2006.
[17]In merito a tale riforma per una panoramica sulle posizioni pro e contro v. E. Dolcini (cur.), Riforma costituzionale della giustizia o “normalizzazione” della magistratura, in Diritto Penale Contemporaneo, 1/2011.
[18] Legge costituzionale 24-1-1997, n.1 (“Istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali”), in G.U. 28-1-1997, n.22.
[19] Per un elenco completo dei d.d.l. presentati dalla XIII legislatura ad oggi v. www.senato.it/ric2012/testiddl/ordinamentogiudiziario.
[20] S. Satta, Il Mistero del processo, in Id, Soliloqui e colloqui di un giurista, Cedam, Padova, 1968, p.15.
[21] Cfr. G. Castiglia, Profili di dubbia costituzionalità del procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, in Studium iuris, 7-8/2010; v. anche Corte Cost., sent. 12/1971, cit.
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Il Primo presidente della cassazione che non ha poteri sull’azione disciplinare dei magistrati,pero’ all’apertura dell’anno giudiziario 2017 si e’ appellato al senso di responsabilita’ dei magistrati e ha detto che non sono utili le sanzioni disciplinari verso gli stessi facendo intendere un potere Suo in tal senso….che significa?