venerdì, Novembre 22, 2024
HomeNewsEcco come la trasparenza può salvare l’Italia dal declino

Ecco come la trasparenza può salvare l’Italia dal declino

lente

Ecco come la trasparenza può salvare l’Italia dal declino
di Franco Massi, Consigliere della Corte dei conti

La crisi che ha investito il nostro Paese, nata “finanziaria”, diventata “economica” ed ormai evoluta (o involuta) in “sociale”, rischia di determinare sempre più – tra le altre cose – una disaffezione generalizzata dei cittadini e delle imprese verso lo Stato e le sue Istituzioni.

Da diverso tempo è maturata (non solo all’Estero… e ben prima di Expo, del Mose, ecc.) l’impressione che una parte “non irrilevante” degli italiani sia sostanzialmente restìa ad alcune regole di convivenza sociale o, quanto meno, ben impegnata a cercare ogni possibile via d’uscita (anche illecita) per non ottemperare a tali regole; nel frattempo le Istituzioni preposte alla vigilanza sulla corretta osservanza delle regole, che costituiscono il c.d. “sistema dei controlli” (Magistrature, Forze di Polizia, ANAC, Agenzie fiscali, Ispettorati vari, ecc.), faticano sempre più a svolgere il loro lavoro, falcidiate anch’esse dalle sempre più rigide disposizioni sul blocco delle assunzioni e sulla riduzione degli organici (talvolta afflitte anche da pochi isolati fenomeni interni di “patologia”, che non ne scalfiscono di certo l’efficienza operativa ma che incidono molto, pur immotivatamente, sulla loro immagine pubblica). In questo contesto non proprio ottimale i fenomeni corruttivi tendono ad espandersi in ragione geometrica, come sembra indicarci quella sorta di fil rouge che collega l’inchiesta “mani pulite” del 1992 a quelle dei nostri giorni.
Appare, allora, improcrastinabile – oltre ad investire massicciamente nella scuola e nella formazione in genere, per innestare nel tessuto sociale italiano tanta “cultura” ma anche tanto “senso dello Stato” – che a tali Istituzioni sia assicurato il supporto di tutti i cittadini onesti, con un vero e proprio “controllo sociale diffuso” sulle finanze pubbliche: tutte le risorse provenienti dalla c.d. “fiscalità generale” (in altre parole: dalle tasche dei cittadini e delle imprese) devono poter essere monitorate nel loro impiego, in qualsiasi momento, da qualunque contribuente onesto (ci riferiamo ai bilanci dello Stato, delle Regioni e dei Comuni; delle AA.SS.LL., delle Università e delle Camere di commercio; dell’INPS e dell’INAIL; e quando parliamo di “bilancio dello Stato” abbiamo in mente l’insieme dei bilanci interni dei vari Organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, delle Autorità amministrative indipendenti, dei Ministeri e di tutti gli Enti pubblici, economici o non, ad essi collegati dal punto di vista finanziario).
Le “forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” sono ben conosciute dal nostro ordinamento giuridico: il decreto legislativo n. 33 del 2013 le richiama esplicitamente all’articolo 1, comma 1 (in sede di definizione legislativa del “Principio generale della trasparenza”), ma già nel dicembre del lontano 1991, in sede di “Legge finanziaria per il 1992”, era stato previsto che “… le amministrazioni dello Stato, le regioni, comprese le regioni a statuto speciale, e le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali e gli altri enti pubblici sono tenuti ad istituire, entro il 31 marzo 1992, l’albo dei soggetti, ivi comprese le persone fisiche, cui siano stati erogati in ogni esercizio finanziario contributi, sovvenzioni, crediti, sussidi e benefici di natura economica a carico dei rispettivi bilanci. Gli albi sono aggiornati annualmente e … possono essere consultati da ogni cittadino. Le amministrazioni pubbliche preposte alla tenuta degli albi e la Presidenza del Consiglio dei ministri ne assicurano la massima facilità di accesso e pubblicità.” (art. 22 della legge n. 412 del 1991), con una formulazione fedelmente ripresa nel 2000 da un regolamento governativo (il d.P.R. n. 118) che alle medesime disposizioni ha aggiunto l’ulteriore prescrizione “I soggetti preposti alla tenuta dell’albo provvedono all’informatizzazione dello stesso, consentendone l’accesso gratuito, anche per via telematica”.
I tempi sembrano ormai maturi per trasporre tali sacrosanti “principi generali” sul piano concreto dell’azione, fornendo ai destinatari delle norme (cioè i cittadini italiani) strumenti operativi per poter esercitare nei fatti il relativo diritto.
Occorre, dunque, che qualunque cittadino “onesto” possa accedere – previo accertamento della regolarità della propria posizione fiscale – ai vari sistemi informativi che gestiscono i bilanci citati (in prospettiva dovrebbe bastare collegarsi al solo sistema della Ragioneria generale dello Stato, punto di concentramento di tutti i bilanci pubblici italiani), per poter interrogare qualsiasi “codice fiscale” o qualsiasi “partita IVA” esistente in Italia e sapere, immediatamente, quanti soldi ha ricevuto – ed a quale titolo, cioè per quali ragioni – il parlamentare Tizio o il grand commis Caio o il lobbista Sempronio o il professionista Mevio, piuttosto che la società Alfa (magari collegata al membro del Governo X) o la fondazione Beta (magari collegata al partito politico Y) o la cooperativa Gamma (magari collegata al sindacato Z). Già da qualche anno è pienamente operativo in Italia un sistema informativo che consente tutto questo per quanto concerne il solo bilancio dello Stato (si chiama “SICOGE” ed è stato istituito da un regolamento governativo del 1994): basterebbe estenderlo (obbligatoriamente) ai bilanci di tutti gli Enti pubblici, territoriali e non, consentendone l’accesso via web a tutti i cittadini, previa loro registrazione (per ovvii motivi di sicurezza) mediante il numero di codice fiscale abbinato ad un ulteriore codice (di regolarità fiscale) rilasciato dall’Agenzia delle Entrate.
La spesa per i necessari adeguamenti tecnologici sarebbe davvero irrisoria rispetto ai vantaggi (economici e non) che ne deriverebbero all’intero sistema-Paese: ogni contribuente onesto riacquisterebbe fiducia (anzi: “Fiducia”) nella pubblica amministrazione (anzi: “Pubblica Amministrazione”), sapendo di poter conoscere in ogni momento che fine fanno i propri soldi, senza misteri o mistificazioni, mentre i tanti, troppi, “furbetti del quartierino” saprebbero che ogni mossa azzardata potrebbe procurare loro, nella migliore delle ipotesi, una “esposizione al pubblico ludibrio” da parte di chiunque, nella peggiore una segnalazione precisa e dettagliata agli organi inquirenti preposti, magari corredata da altre informazioni a conoscenza dei “vicini di casa”.
Quanta corruzione si “auto-estinguerebbe” d’incanto?
Non solo: ogni riforma economico-sociale imposta dal c.d. “secondo popolo” (per usare un’espressione tanto cara al Prof. Giuseppe De Rita) sarebbe più facilmente accettata dal c.d. “primo popolo”, ormai consapevole di un nuovo strumento (il web, sempre più “pubblico”) capace di fornire informazioni “non mediate” che rendano conto dei sacrifici sopportati.
Per alcuni si tratta di un “fastidio inutile”, per altri di una “fantastica utopia”, in alcune parti del mondo (civile) si chiama semplicemente “Trasparenza”: si può fare e, se ci crediamo, ci salverà!

 

[printfriendly]

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

ARTICOLI RECENTI