sabato, Aprile 19, 2025
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La prevenzione della corruzione negli Appalti Pubblici

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La prevenzione della corruzione negli Appalti Pubblici*

di Luigi Giampaolino, Presidente Emerito della Corte dei Conti

 

Premessa

Mi sia consentito un riferimento personale.

La motivazione dell’accettazione a tenere questa conversazione è quella di trasmettere la mia esperienza nel settore (Protezione Civile; Lavori pubblici, Ufficio legislativo; Autorità di vigilanza sui contratti pubblici; Presidente della Corte dei Conti) a funzionari che nel settore operano.

La conversazione sarà pertanto svolta in questa veste, pur ripercorrendo e possibilmente coprendo il tema ed il relativo schema che la Scuola mi ha proposto.

E sarà svolta esponendo un testo scritto, affinché, attese le qualità, ancorchèétutte trascorse, con le quali la conversazione vuole essere intrattenuta, le riflessioni, le osservazioni, le enunciazioni in essa svolte siano sorvegliate e così rese ostensive.

 

  1. Corruzione ed appalti pubblici

E’ da più di vent’anni (si potrebbe dire dai primissimi anni ’90, vale a dire dalle prime, acute, manifestazioni, mediatiche e politiche, degli accadimenti giudiziari, che vanno sotto il nome di “Tangentopoli”), che i termini “corruzione” e “appalti pubblici” – esponenziali di due diverse realtà (l’una, vera patologia che affonda le sue radici nel talvolta non retto sentire ed operare degli  uomini; l’altra, un’attività amministrativa ed economica, soprattutto tecnica, della P.A., posta in essere, per la realizzazione di un pubblico interesse) – vengono accomunati: essi quasi si intrecciano, e, nella percezione comune, l’uno, ahimè, richiama l’altro.

Ciò è dovuto, certo, al manifestarsi degli eventi giudiziari e mediatici in un’ampia e continua contestualità, divenuta quasi una delle più eclatanti manifestazioni dell’intreccio, altresì, tra attività mediatica e attività giudiziaria.

Ma, a sommesso avviso di chi vi parla, ciò è dovuto anche a cause economiche, sociali, politiche e ad una non sempre positiva trasformazione della nostra Pubblica Amministrazione.

 

* Lezione tenuta il 12 aprile 2016 presso il Provveditorato alle opere pubbliche per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna, in Roma, via Monzambano, 10, nell’ambito del Corso appalti e contratti di lavori, mit-sna

 

Essa è dovuta, cioè, anche a mutamenti giuridici ed ordinamentali che hanno investito intere branche della P.A. (tra cui, in particolare, quella una volta denominata dei Lavori Pubblici) nonché, ad esempio, lo stesso Ministero del Tesoro, una cui articolazione, tradizionale della materia, ad esempio, il Provveditorato dello Stato, peculiarmente ha assunto le forme di una società per azioni, la CONSIP, replicata, se non frequentemente anticipata, nelle varie, omologhe, strutture regionali.

Le trasformazioni hanno, com’è noto, origini diverse.

Esse vanno – a voler tralasciare le istituzioni scolastiche, depauperate di valide forme di selezione e di professionalità e le istituzioni universitarie proliferate nelle loro componenti ed inflazionate con la loro conseguente svalutazione –  esse vanno, si diceva, dal venir meno di una seria, se non severa, selezione per la provvista del personale, di ogni ordine e grado, della P.A., fino alla stessa cd. privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, estesa anche ai titolari delle funzioni, intese queste in senso tecnico, vale a dire esplicazioni finali e proprie del potere amministrativo, per cui i titolari di esse dovrebbero sempre essere accompagnati dalla rigorosa osservanza del peculiare rapporto di immedesimazione organica.

Rapporto di immedesimazione organica che, giammai, potrebbe sopportare neppure l’ombra dell’impossessamento, ai fini propri, della funzione; appropriazione, che è, invece, la prima e la più insidiosa forma di corruzione.

Ed, infatti, così, ora, alla fine, viene formalmente definita la “corruzione amministrativa”, fattispecie da distinguersi – e distinta in importanti atti amministrativi (cfr Piano Nazionale Anticorruzione) – dalla “corruzione” in senso penalistico.

Ma un’altra delle cause che, progressivamente, hanno portato all’estensione del fenomeno corruttivo nella pubblica amministrazione in genere ed in quella dell’amministrazione del lavori pubblici in particolare, è, sempre a sommesso avviso di chi vi parla, l’attutirsi, specie negli anni decorsi, del principio di legalità nell’attività amministrativa.

Il limite della legge – la quale, com’è noto, è fonte e misura del potere amministrativo  (il potere, cioè, come è altresì noto, incidente su situazioni giuridiche, diritti,  status altrui) – specie dalla metà degli anni ’60, è stato sempre più avvertito come intralcio e fattore di ritardi con i suoi controlli che erano e sono una delle principali strumentazioni per far valere detto limite, mentre si esaltavano altri valori che specialmente si attendono dall’esplicazione dell’attività amministrativa.

Questo attutirsi della percezione del principio di legalità come bene in sé, seppure a favore di altri principi, pur parimenti da perseguire e parimenti costituzionalmente tutelati, e, conseguentemente, l’avversione, quasi di principio, agli strumenti dei controlli o di analoghi rimedi avvertiti soprattutto quali intralci, non poco ha contribuito all’allentamento del senso del rispetto delle regole, con riflessi anche, si deve insistere, sullo stesso spessore professionale e, sia consentito osservarlo, morale dei soggetti operanti.

 

  1. 2. Peraltro, nello stesso periodo, altri mutamenti avvenivano nell’ordinamento che negli stessi sensi influivano nel dar luogo al sorgere di disfunzioni, al loro proliferare ed al loro aggravarsi.

Anzitutto, dal punto di vista organizzativo ed istituzionale, la configurazione sempre più accentuata dell’ordinamento come un ordinamento pluristituzionale, nel quale diversi ed equiordinati soggetti agiscono in esso, emanando norme ed adottando provvedimenti, sempre più numerosi e talvolta collidenti, dando luogo, altresì, ad una iper-regolamentazione, di vario livello, che si ripercuote sulla stessa attività amministrativa sempre più bisognevole di semplificazione e chiarezza.

Da, qui, altresì, il sorgere e l’incrementarsi di una “normativa in deroga”, le cd. ordinanze in deroga, anche al di fuori della materia propria della protezione civile, foriere – come l’esperienza insegna – di gravi disfunzioni amministrative, economiche, di costume.

Ma, per l’aspetto più propriamente amministrativo, anche altri mutamenti influivano non poco sull’alterazione della stessa configurazione della Pubblica amministrazione.

Il proliferare della forma giuridica privatistica, vale a dire, del modulo societario, configurato e concesso, com’è noto, nel diritto privato, per affrontare il rischio dell’intrapresa imprenditoriale ed utilizzato, invece, nel campo pubblicistico, oltre che per l’uso del modulo organizzatorio, per il regime privatistico del quale il soggetto, ancorchè proprietario e gestore di pubbliche risorse, veniva ad usufruire, sfuggendo, di conseguenza, alle cautele e ai rigori della contabilità pubblica.

Il ritirarsi, infine, delle pubbliche amministrazioni, in quanto tali, da interi settori, proprio in questo campo dei lavori, servizi e forniture, attraverso l’istituto della concessione ampliata nei suoi oggetti e nella sua stessa configurazione, per giungere al ricorso di figure di appalti nelle quali la stessa progettazione dell’opera era rimessa per molta parte al privato, con un arretramento delle pubbliche amministrazioni nelle fasi della progettazione e realizzazione dell’opera.

Arretramento che non poco, in seguito, ha influito sull’indebolimento della preparazione professionale, soprattutto tecnica, degli apparati preposti a questa attività.

 

  1. 3. Orbene, allorché gli anzidetti fenomeni di gravissime disfunzioni e gravi illeciti si appalesarono nella loro più preoccupante portata, la reazione dell’ordinamento fu, sia dal punto di vista giuridico, sia dal punto di vista mediatico, soprattutto penalistica.

In verità, non mancò chi, già allora (siamo negli anni ’60 – ’80) rilevò che le gravi e patologiche disfunzioni che si manifestavano, dovevano, invece, trovare il loro rimedio in una “ricostruzione” della Pubblica Amministrazione come di un “ordinamento in sé concluso”, un ordinamento che trovasse, nel suo interno, i suoi rimedi, valorizzando e rivedendo la sua organizzazione, ridando vigore ai suoi controlli, ripristinando cautele e valori che potevano essere il più valido antidoto ai mali che si manifestavano.

Peraltro, in quello stesso periodo, la stessa dottrina penalistica, interessandosi dei reati contro la P.A. dava di questi una lettura che molto li attualizzava rispetto alla loro originaria configurazione, arricchendoli, nel loro oggetto, dei sopravvenuti (rispetto alla loro antica scrittura) valori costituzionali, dei quali, divenivano efficaci e penetranti strumenti di tutela.

L’abuso di diritto, l’interesse privato in atti di ufficio, il peculato, lo stesso delitto di corruzione, mentre si ampliavano nel loro oggetto, attraverso una lettura anche estensiva dei loro elementi, registravano, altresì, anche ad opera della giurisprudenza, una diffusione della loro applicazione, di cui si ha prova nei repertori, sin dagli anni ’70.

Sta di fatto che, con la legge 26 aprile 1990 n. 86 (i cui lavori, peraltro, iniziavano proprio alla fine degli anni ’80) si ebbe una riforma dei reati contro la P.A., d’impostazione e di contenuti esclusivamente penalistici nei cui riguardi, però, vi fu chi già allora lamentò, nell’approccio della riforma, un mancato apporto degli studi di diritto amministrativo.

 

  1. 4. Si rilevò, infatti, una sostanziale assenza del mondo amministrativo nei lavori per la riforma dei reati contro la P.A., ed, in particolare, il mancato ricorso, ai fini di una loro più moderna ed efficace valenza, ai principi che, già costituzionalmente previsti, tanti nuovi significati assumevano, già allora, nell’organizzazione e nelle attività amministrative: il principio dell’imparzialità, nutrito, da una perspicua dottrina (Allegretti ([1])), di contenuto sociale; il principio di legalità, di cui si avvertiva la necessità che fosse corroborato dai principi dell’efficienza e dell’effettività; il principio del “buon andamento”, cui veniva attribuita portata ed efficacia giuridica, al di là della scienza o della tecnica dell’amministrazione. ([2])

Al contrario, la riforma dei reati contro la Pubblica Amministrazione si limitò ad un aggiustamento di figure già note (il c.d. delitto di malversazione a carico dello Stato; la estensione della punibilità anche agli incaricati di pubblici settori; l’allora nuova disciplina della concussione, ecc.).

 

  1. 5. Diverso fu, invece, l’approccio allorché si dovette affrontare un’altra evenienza di gravi scandali, riguardanti la materia degli appalti pubblici e che fu catalogata sotto il nome di “Tangentopoli”.

Quella volta, infatti, si scelse (L. 11 febbraio 1994, n.109) di individuare il rimedio, più che nell’esercizio dell’azione penale, in una riforma organizzativa e funzionale del settore con l’obiettivo di ridare vigore e dignità, in questo ambito, all’amministrazione, ricostituendo quelle istanze e quelle misure che l’avrebbero resa capace di trovare, al suo interno, rimedi e sanzioni alle sue disfunzioni (come era detto nella relazione al disegno di legge che poi diede luogo alla legge Merloni).

Si volle, cioè, realizzare “una riabilitazione della struttura amministrativa preposta all’esecuzione dei lavori pubblici, seguendo, peraltro, le indicazioni che da tempo erano state formulate anche a livello parlamentare” (Rapporto Giannini, Sui problemi dell’amministrazione pubblica, 1979).

Ed, allo scopo, si ritenne opportuno valorizzare, “a mezzo di apposita Autorità, la funzione di imparzialità della pubblica amministrazione insieme alle attività di vigilanza, di ispezione, e di verifica”. Con ciò, peraltro, anticipando la sollecitazione della Commissione della Comunità europea che, nel successivo libro verde sui lavori pubblici (Comunicazione adottata dalla Commissione il 27 novembre 1996, su proposta del Commissario M. Monti – punto 3.44), invitava tutti gli Stati della Comunità, alla istituzione, nell’ambito dei rispettivi ordinamenti, di autorità indipendenti in materia di lavori pubblici.

Si riteneva, infatti, che il modello prescelto permettesse di controllare efficacemente le procedure di affidamento e di esecuzione dei lavori, al di fuori delle ingerenze politico-amministrative, che, invece, un apparato ministeriale di tipo tradizionale inevitabilmente implicava.

Fu questa un’applicazione della teoria dell’ “ordinamento in sé concluso”: il proliferare, nella pratica giudiziaria, dei delitti contro la P.A. era ritenuta anche la conseguenza del venir meno della pubblica amministrazione come di un ordinamento in sé concluso che aveva, anzitutto, in se stesso, come di è detto, gli accorgimenti ed i rimedi per prevenire devianze ed ovviare a disfunzioni ([3]).

L’autotutela, l’attività di controllo, gli istituti della giustizia amministrativa, anche prima dell’attività giudiziaria, erano – e sono – tutte misure di garanzia poste per la salvaguardia degli interessi pubblici ai quali la pubblica amministrazione sovrintende affinché l’azione di questa sia sempre conforme alla legge e sia rimosso ogni atto non conforme alla legge o non in sintonia con il suo scopo.

L’indebolimento, e, talvolta, addirittura, l’alterarsi dell’efficacia di queste misure avevano fatto venir meno taluni validissimi argini dell’azione amministrativa che, in tal modo, sospinta anche da nuove esigenze, impellenti sollecitazioni, notevoli pressioni e nuovi “costumi”, aveva trasbordato per più versi e sembrava non conoscere limiti o limitazioni che non fossero quelli, peraltro, incongrui e non di certo duttili, posti dalle norme penali e che presuppongono, più che la disfunzione amministrativa, la sua più grave anomalia e la devianza, più grave, della condotta umana, nelle forme soprattutto del dolo.

Pertanto uno dei primi rimedi per riportare l’azione amministrativa alle sue rette funzioni veniva indicato proprio in questo ripristino dei controlli e delle altre misure di garanzia. Nell’apprestamento, cioè, di rimedi particolarmente all’interno dei pubblici apparati.

Si costruì così, rifacendosi ad esperienze già conosciute nel nostro ordinamento (si pensi al credito), un ordinamento sezionale per gli appalti pubblici.

 

  1. Intanto, il nostro ordinamento conosceva un’altra esperienza, quella del D.lgs. 8 giugno 2001, n.231 che introdusse nella legislazione italiana la responsabilità “amministrativa” delle persone giuridiche, molto modellata, però, per l’aspetto comminatorio delle sanzioni, sul paradigma della fattispecie penale.

Com’è noto, per ricordare l’origine storica di questa legge, è necessario tornare alla seconda metà degli anni ’70, quando scoppiò lo scandalo delle tangenti Lockheed e, a seguito di quello scandalo, fu introdotto, negli Stati Uniti, il Foreign Corrupt Practices Act.

Gli Stati Uniti si impegnarono in una battaglia internazionale che sfociò nella Convenzione Ocse del 1997 nella quale, in primo luogo, si definì illegale la corruzione internazionale, e, in secondo luogo, si stabilì che gli Stati membri dell’Ocse avrebbero dovuto prevedere la responsabilità penale di quelle aziende che avessero commesso atti corruttivi:  da qui la nascita del D.lgs. 231/01.

Al di là degli aspetti tecnici, la svolta consistè nell’innovazione che lo Stato chiedeva, esso, alle imprese stesse di fare attività di polizia interna e di dotarsi di strumenti di verifica, di prevenzione e disciplinari.

E’ per questo che, negli ultimi tempi, per i fenomeni corruttivi nel settore pubblico si è invocata una “231”, come è stato anche qui metaforicamente detto, per la Pubblica Amministrazione.

Ed invero, la l. 190 del 2012 – con le sue figure organizzatorie (il “Responsabile della prevenzione della corruzione”), i suoi piani, le sue responsabilità e le sue sanzioni – non poco richiama l’intelaiatura della legge n. 231 dell’8 giugno 2001.

 

  1. 7. Va invero ricordato che già in campo sovranazionale erano intervenuti vari ed importanti atti che, seppure non esplicitamente, ma in questi sensi si orientavano.

Vi era stata la convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale furono coinvolti funzionari della Comunità Europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e la convenzione O.C.S.E. sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, stipulata a Parigi il 17 dicembre 1997, ratificata, in Italia, con legge 29 settembre 2000, n. 300; la convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla assemblea generale dell’O.N.U. il 21 ottobre 2003, con risoluzione n. 58/a e recepita in Italia con legge  3 agosto 2009  n.116; la convenzione penale sulla corruzione, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1999 e ratificata con legge 28 giugno 2012 n. 110; sempre sulla corruzione, convenzioni entrambe ratificate in Italia con l. 28 giugno 2012, n.110.

Trattasi di documenti sovranazionali, esorbitanti dallo stesso ambito comunitario e coinvolgenti, quindi, altri Paesi estranei alla comunità, molto promossi e sollecitati in ambito O.C.S.E., sino alla risoluzione sulla repressione di pratiche corruttive adottata dall’O.N.U. nel 2003 ([4]), dando la prova dell’alta valenza economica del fenomeno corruttivo e della percezione di un’esigenza di carattere internazionale.

Trattasi di pattuizioni alle quali ha preso parte il nostro Paese, donde le leggi di ratifica in seguito approvate e di cui si è fatto cenno.

Da qui una disciplina nuova e variegata, di cui il nostro ordinamento ha dovuto farsi carico, provvedendo a modifiche varie ([5]) e con riferimento alle quali, anche formalmente, prese le mosse il provvedimento legislativo che si è poi concluso con la legge n. 190 del 2012.

 

  1. 8. L’atto introduttivo del procedimento parlamentare (A.S. n. 2156, XVI legislatura) che ha portato alla legge n. 190 del 2012, infatti, faceva espresso riferimento, nel suo incipit, alla convenzione O.N.U., adottata dall’assemblea il 31 ottobre 2003.

In particolare, già l’atto introduttivo del procedimento legislativo si richiamava all’art. 5 della detta Convenzione (ratificata, come si è detto, con legge 3 agosto 2009, n. 116) a norma del quale ciascun Stato, parte della Convenzione, doveva elaborare, applicare e perseguire, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, politiche di prevenzione della corruzione efficaci e coordinate che favorissero la partecipazione della società e rispecchiassero i principi dello stato di diritto, di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, d’integrità, di trasparenza e di responsabilità.

Ed è dall’art. 6 della stessa Convenzione che prende le mosse il testo legislativo nella sua definitiva stesura cha ha assunto, quindi, la veste della legge 6 novembre 2012, n. 190.

Le misure adottate da questo provvedimento anticorruzione, al di fuori di quelle di natura propriamente penalistica, possono essere così catalogate:

1) misure ordinamentali; 2) misure amministrative, sia con riferimento agli organi, sia con riferimento alle attività; 3) misure riguardanti i soggetti che agiscono nell’ambito dell’Amministrazione, a parte talune norme riguardanti specifici settori (appalti pubblici).

 

  1. 9. Le prime – le misure ordinamentali – si sostanziano nella creazione dell’Autorità prevista dalla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione e dalla Convenzione penale sulla corruzione fatta a Strasburgo.

Si definisce questa una misura “ordinamentale” dal momento che essa sembra fuoriuscire dall’ordinamento della pubblica amministrazione intesa in senso stretto.

Le modifiche introdotte con la normativa della seconda metà dell’anno 2013 (d.l. 31 agosto 2013, n 101, convertito con la legge 30 ottobre 2013, n. 125) hanno fatto venir meno, a livello normativo, ogni dubbio nonché le diffuse perplessità che si erano espresse a proposito delle norme esistenti nella legge n. 190 e sulla situazione normativa ed organizzativa venutasi a creare dopo questa legge ([6]).

In proposito, si era parlato di “continuità e discontinuità”; di un assetto bicefalo; di criticità di un tale assetto, mentre, sulla natura dell’organo derivante dalle norme della legge n. 190, furono allora, formulate considerazioni critiche e nettamente negative ([7]).

La nuova formulazione della composizione dell’Autorità, il suo procedimento di nomina, la qualità ed i requisiti dei componenti non sembrano, ora, prestare il fianco a fondati dubbi sulla natura di questo organo alla stregua dell’attuale stadio delle nostre acquisizioni di dottrina e di giurisprudenza.

Anzi, oggi, se un problema si pone, è se non vi sia una esondazione ed una sovraesposizione di detta Autorità e, per più di un aspetto, un’alterazione di profili istituzionali – talvolta, costituzionalmente garantiti – anche di altre istituzioni e l’estendersi, oltre misura, di compiti, tra loro diversi, sino ad attingere al sistema delle fonti, con una partecipazione dai profili e dai contenuti non sempre ben delineati.

La stessa allocazione di tutta la materia, – i contratti pubblici – sostanzialmente economica e che nella visione più generale dell’ordinamento si colloca o nella vasta area del mercato (donde la vigenza, per essa, dell’ordinamento comunitario) o dell’uso di risorse pubbliche (donde l’attinenza alla materia della contabilità pubblica) – sotto l’egida di un’Autorità conformata per la lotta alla corruzione sembra fornire quella identificazione tra le due diverse realtà (la corruzione, gli appalti pubblici) di cui, in apertura, si è detto, e che, in via di principio, va rifiutata.

E’ noto che il termine “Autorità” ha finito per avere, nel nostro linguaggio e nel nostro ordinamento giuridico, più significati: autorità come ufficio, autorità come soggetto indipendente per la regolazione di un mercato, autorità come ufficio complesso (si pensi alle autorità portuali), autorità di vigilanza.

Nel caso di specie, alla stregua delle previsioni internazionali, l’Autorità assume il significato di organo indipendente che estende le sue funzioni in vari settori riguardanti anche più poteri e che sovraintende, quindi, alle amministrazioni.

Il suo obbligo di referto al Parlamento sull’attività di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione e sull’efficacia delle disposizioni vigenti in materia, potrebbero deporre, peraltro, per farla sussumere nella più alta figura, come è stato talvolta detto per le altre Autorità, di organo indiretto del Parlamento.

Ed invero, quel che può affermarsi è che un particolare pubblico interesse, assurto quindi a un vero valore dell’ordinamento, è stato enucleato e sottoposto ad una disciplina speciale ordinamentale e, ad esso, il Parlamento stesso presta particolare attenzione a mezzo di una struttura appositamente creata dall’esecutivo cui concorre, in maniera determinante, esso stesso Parlamento (“il previo parere favorevole delle commissioni parlamentari competenti) espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti.

In proposito, si potrebbe richiamare la dottrina costituzionale della funzione di “garanzia” del Parlamento ([8]).

 

  1. 10. Le ulteriori misure – quelle amministrative – possono distinguersi in tre specie: quelle ricadenti sull’organizzazione dell’amministrazione; quelle riguardanti la configurazione dell’attività dell’amministrazione; quelle riguardanti i soggetti della pubblica amministrazione.

Attengono alla prima specie (misure ricadenti sull’organizzazione dell’amministrazione) i nuovi poteri già conferiti al Dipartimento della Funzione Pubblica ed ora trasferiti all’ANAC che assume, nel disegno legislativo, la posizione di Organo di coordinamento dell’attuazione delle strategie di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione elaborate a livello nazionale e internazionale, nonché di promozione e definizione di norme e metodologie comuni per la prevenzione della corruzione, sino a definire, questa nuova struttura, per tutte le pubbliche amministrazioni, i criteri che assicurano la rotazione dei dirigenti di settori particolarmente soggetti a rischio di corruzione e misure che evitino la sovrapposizione di funzioni e cumuli di incarichi in capo a dirigenti pubblici anche esterni.

Tutti questi poteri – e la relativa posizione istituzionale – come si è detto, devono, oggi, essere intesi tutti come formalmente e sostanzialmente trasferiti all’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Attengono a questo stesso aspetto dell’organizzazione, la previsione di un “Responsabile della prevenzione della corruzione” che costituisce una nuova figura centrale di tutto il nuovo assetto amministrativo in questo settore.

Tale Responsabile è individuato, in ogni pubblica amministrazione, dall’organo di indirizzo politico, di norma, tra i dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio.

Negli enti locali, invece, è individuato, di norma, nel segretario comunale, salva diversa e motivata determinazione. Il Responsabile propone all’organo di indirizzo politico il piano triennale di prevenzione della corruzione e definisce procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione.

Mette conto, a questo punto, ricordare le delibere dell’autorità riguardanti la nomina del responsabile della prevenzione della corruzione sia con riguardo al soggetto competente alla nomina sia ai requisiti di questo soggetto ([9]).

 

  1. 11. Attiene invece alla configurazione dell’attività dell’amministrazione la previsione del “Piano Nazionale Anticorruzione”.

Tale Piano viene approvato dall’A.N.A.C., al termine di un procedimento complesso che vede coinvolti, a vario titolo, il Dipartimento della Funzione Pubblica, l’ANAC e le pubbliche amministrazioni centrali.

Nell’originaria formulazione legislativa era previsto che, in pratica, le pubbliche amministrazioni centrali definivano e trasmettevano al Dipartimento delle funzione pubblica un piano di prevenzione della corruzione nel proprio ambito, piano che forniva una valutazione del diverso livello di esposizione dei propri uffici al rischio di corruzione e indicava gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio. Tale piano triennale di prevenzione della corruzione era adottato dall’organo di vertice politico su proposta del responsabile della prevenzione della corruzione.

Per gli enti locali, il Prefetto forniva, su richiesta, il necessario supporto tecnico e informativo, anche al fine di assicurare che i piani siano formulati e adottati nel rispetto delle linee guida contenute nel Piano nazionale approvato dalla Commissione.

Un tale originario disegno è stato modificato a seguito del sopravvenire, nell’ordinamento, dell’Autorità Nazionale dell’Anticorruzione nella sua più marcata ed innovativa configurazione.

La Pianificazione per la prevenzione rimane, comunque, una pianificazione bipartita.

Vi sono, infatti due differenti piani:

  • Il Piano Nazionale Anticorruzione, predisposto dal Dipartimento Funzione Pubblica (ora, quindi, Ministro per la Pubblica Amministrazione) ed è approvato dall’Autorità.
  • Il Piano di Prevenzione della Corruzione elaborato dalle singole amministrazioni (da elaborarsi entro il 31 marzo 203, secondo il cd. “decreto Sviluppo”, art. 34 bis, 18 ottobre 2012, n. 179).

Come è stato ricordato ([10]), i Piani per la Prevenzione della Corruzione – stranamente denominati, l’uno (quello Nazionale) Piano Anticorruzione, l’altro, quello delle singole amministrazioni, Piano per la Prevenzione della corruzione – appartengono al novero degli strumenti di “Fire Alarm”.

In essi vengono enucleate le attività più esposte al rischio di corruzione (il cd. Risk-Based Approach) e monitorate da esperti preposti alle varie attività.

Ma, contemporaneamente, è prevista una pianificazione di interventi che dovrebbe scoraggiare azioni di corruttela e far emergere, come è stato notato, ipotesi ulteriori di disfunzioni patologiche.

La “differentia specifica” tra programma – già previsto dalla legge n. 150 del 2009 (legge Brunetta) e i piani anticorruzione di cui alla legge 190 del 2012 – risiede nel differente grado di ampiezza delle previsioni e nel loro contenuto.

Il programma della l. n. 150/2009 subordinava l’integrità dei funzionari alla trasparenza intesa come “accessibilità totale”, instaurando un legame strettamente funzionale tra la disciplina della trasparenza e la lotta alla corruzione e alla legalità.

Il piano della l. 190/2012, al contrario, è volto direttamente alla prevenzione del rischio di corruttela e solo indirettamente garantisce la trasparenza della performance amministrativa.

Inoltre, il piano triennale di prevenzione della corruzione –vale a dire quello adottato al secondo livello, il livello decentrato – sulla base delle indicazioni contenute nel P.N.A. (Piano Nazionale Anticorruzione) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi specifici della corruzione e, conseguentemente, indica gli interventi organizzativi volti a prevenirli.

L’articolazione tra Piano Nazionale e Piano Triennale a livello locale mira a garantire, nel rispetto delle autonomie nelle loro varie articolazioni, la coerenza complessiva del sistema a livello nazionale.

In ogni caso, i piani vengono definiti dal responsabile del procedimento ed essi devono essere coordinati con il Piano Nazionale Anticorruzione predisposto dall’ANAC, a sua volta predisposto secondo linee di indirizzo adottate da un comitato interministeriale istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

I contenuti del piano sono indicati dalla legge: essi devono fornire una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione ed indicare gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio.

In proposito, l’interprete – ed ancor più l’esecutore – non può non rifarsi ad una ricostruzione sistematica della disciplina contenuta nella legge sull’anticorruzione.

Vengono, pertanto, in rilievo tutte quelle attività che la legge particolarmente prende in considerazione, specie ai fini degli altri presidi della buona amministrazione come le attività che la legge, al comma 16, considera ai fini della trasparenza: a) le autorizzazioni; b) le attività di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi; c) le attività di concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché di attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; i concorsi e le prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.

Le materie, in verità, realmente sembrano riecheggiare quelle già da tempo individuate come le macro-aree nelle quali viene ritenuto più diffuso il pericolo della corruzione: a) la spesa dell’amministrazione pubblica per beni e servizi; b) le prestazioni e i servizi offerti dall’amministrazione; c) l’esercizio dei pubblici poteri, specie se discrezionali.

Per la prevenzione della corruzione, la legge non considera settori dell’amministrazione, più esposti rispetto ad altri, al pericolo del male che si vuol prevenire, come, invece, fa per l’attività mafiosa.

Certo è che la sanità, l’urbanistica, le attività degli enti pubblici rivestiti di una veste privatistica (le società in mano pubblica, ad esempio), avrebbero forse meritato, ai fini dei Piani Anticorruzione, qualche esplicita menzione, anche ai fini della prevenzione della corruzione ed essere quindi contemplati nei piani.

 

  1. 12. Sempre al modo di essere dell’attività della pubblica amministrazione attiene l’elevazione del principio di trasparenza dell’attività amministrativa a livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione: si può dire che, in tal modo, l’attività amministrativa compia un sostanziale salto di qualità.

La conoscibilità degli atti e dei documenti amministrativi costituisce, infatti, il fondamento della democrazia amministrativa degli Stati moderni, contrapponendosi a tutto ciò che si occulta per favorire interessi personali e di gruppo, configurandosi come esigenza di chiarezza, di comprensibilità, di non equivocità della pubblica Amministrazione e del suo agire, anche al fine di garantire l’affidamento dei cittadini nonché l’imparzialità, il buon andamento e la legalità dell’azione amministrativa.

Un’amministrazione che, a mezzo della trasparenza, diviene, come è stato detto, “una casa di vetro”.

La trasparenza, inoltre, non coincide con la pubblicità ma costituisce un quid pluris sia rispetto alla pubblicità che allo stesso diritto di accesso, imponendo all’amministrazione il dovere di agire correttamente, al di là delle mere prescrizioni formali della norma, nella consapevolezza che la democrazia ha bisogno di un’esplicitazione comprensibile del potere, del quale, come si è detto, fonte e misura è la legge.

Così configurata, la trasparenza è funzionale ad un controllo diffuso di legittimità dell’azione amministrativa ed essa è uno dei principali strumenti per la lotta alla corruzione.

Essa, per di più, consentendo un controllo diffuso, può assurgere anche a possibile rimedio all’affievolirsi, verificatosi specie negli ultimi decorsi anni e di cui innanzi si è detto, dei controlli di legittimità, con un effetto sistemico sull’ordinamento.

Effetto che si rivela, altresì, un modo per rafforzare la democrazia nell’ottica di una sempre più necessaria democrazia partecipativa.

Quel che va posto in evidenza, è che, all’obbligo della trasparenza, la legge n. 90/2012, nella sua originaria stesura, dedicava norme che operavano, in verità, una scelta di campo che, a giudizio di molti, si appalesava limitativa dal momento che, in essa, sembrava essere stata concentrata una sola delle opzioni che l’esperienza degli altri Paesi, specie di matrice anglosassone, presentava per una configurazione di una “open public administration”.

Quest’ultima opzione è, invece, quella adottata ora dal provvedimento legislativo che è in fase di elaborazione (esso, dopo il parere del Consiglio di Stato, è al parere delle Commissioni parlamentari) a seguito della delega contenuta nella legge n. 124/2014, cd. legge Madia.

Si è ora, infatti, ritenuto che la scelta a favore di una trasparenza totale sia la scelta più appropriata, come avviene nei paesi europei ed anglosassoni, dove vige il F.O.I.A. , il “Freedom of information Act”  ([11])

Comunque, le disposizioni prevedono che la trasparenza dell’attività amministrativa è assicurata mediante la pubblicazione, sui siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio e di protezione dei dati personali.

Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche devono anche essere pubblicati i relativi bilanci ed i conti consuntivi, nonché, sulla base di uno schema tipo redatto dall’ANAC, l’asta e i criteri di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini.

Dalla stessa legge sono poi espressamente indicati alcuni procedimenti per i quali, in modo particolare, si prevede che debbano essere assicurati i livelli essenziali di questo peculiare “diritto civile e sociale”, quale, dalla legge, è qualificata la trasparenza.

Tali procedimenti sono quelli che, per interpretazione sistematica, si sono richiamati anche per la prevenzione all’anticorruzione: le autorizzazioni e le concessioni; la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi; la concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.

 

  1. 13. I commi 35 e 36 della legge 190, prevedevano, inoltre, ad incremento del disegno di prevenzione della corruzione, l’emanazione di un decreto legislativo per la disciplina della pubblicità, della trasparenza, della diffusione della informazione.

È stato così emanato il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 definito un vero “Codice della trasparenza” ([12]) e la cui esposizione e commento richiederebbero una trattazione a sé.

Basterà qui rammentare – rimandando alle pregevoli trattazioni, puntuali ed approfondite, già avutesi in materia ([13]) – che la disciplina contenuta nel decreto legislativo fissa i limiti della trasparenza (art. 4) e disciplina l’accesso civico (art 5) – l’altro istituto che, insieme con la pubblicità (art 3 e segg.), realizza il bene della trasparenza nella nostra pubblica amministrazione (“la via italiana alla trasparenza amministrativa” ([14]) ) anche con riguardo alla qualità dell’informazione e all’accesso alle informazioni pubblicate nei siti.

La legge prevede, poi, il piano triennale per la trasparenza e l’integrità, il cui contenuto ed i relativi obblighi ed adempimenti procedurali sono dettagliatamente previsti.

Sono quindi disciplinati gli obblighi di pubblicazione concernenti l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione nonché l’uso delle risorse e taluni obblighi posti anche a carico della rappresentanza eletta, e, quindi, gli adempimenti previsti in alcuni settori particolari: prestazione di servizi, contratti ed opere pubbliche; atti di governo del territorio ed informazioni ambientali; servizio sanitario nazionale; interventi straordinari e di urgenza.

L’ampia disciplina – di cui ci si augura altresì l’effettività – si chiude, quindi, con norme riguardanti, la vigilanza, le sanzioni, la tutela.

 

  1. 14. Rientrano, infine, tra le misure riguardanti i soggetti della pubblica amministrazione anche le norme che attengono alla trasparenza nell’attribuzione delle posizioni dirigenziali.

In tal senso, al fine di garantire l’esercizio imparziale delle funzioni amministrative e di rafforzare la separazione tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi, è previsto che, le amministrazioni pubbliche e le aziende e le società partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici, comunichino al Dipartimento della funzione pubblica, i dati utili (compresi i titoli e i curricula dei soggetti) a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione.

I dati forniti confluiscono nella relazione annuale al Parlamento.

Sono previste, inoltre, tra le suddette misure, gli obblighi di astensione in caso di conflitti di interesse previsti per il responsabile del procedimento e per i titolari di uffici competenti ad adottare pareri, valutazioni tecniche e provvedimenti finali.

Vanno, ancora, annoverate le incompatibilità previste per il conferimento di incarichi a dipendenti pubblici.

Con regolamenti emanati dal Ministro per la p.a. e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, vengono individuati gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

Per gli incarichi ammessi previa autorizzazione, invece, l’amministrazione è tenuta a verificare la presenza, anche potenziale, di conflitto di interessi. La stessa verifica dovrà essere effettuata nei confronti dei consulenti esterni di cui l’amministrazione dovesse servirsi.

Ulteriori disposizioni in ordine alle misure riguardanti i soggetti della pubblica amministrazione attengono alla non conferibilità e incompatibilità di incarichi dirigenziali.

E’ prevista, al riguardo, la delega al Governo di emanare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, decreti legislativi che modifichino l’attuale disciplina in tema di incarichi dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice, da conferire a soggetti interni o esterni alle p.a., che comportino funzioni di amministrazione e gestione, nonché a modificare la disciplina vigente in materia di incompatibilità tra i detti incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con le funzioni pubbliche svolte. I Decreti dovranno in ogni caso prevedere la non conferibilità di incarichi dirigenziali a determinati soggetti e stabilire le incompatibilità tra questi incarichi e lo svolgimento di altre attività, retribuite e non, presso enti di diritto privato sottoposti a regolazione, a controllo o finanziati da parte dell’amministrazione che ha conferito l’incarico o lo svolgimento in proprio di attività professionali o infine con l’esercizio di cariche negli organi di indirizzo politico.

Ed è sul fondamento di questa delega che è stato emanato il d.lgs 8 aprile 2013 n. 39, attualmente vigente e che a tante problematiche, anche penalistiche, ha dato luogo.

E’ previsto, quindi, un Codice di comportamento dei dipendenti della pubblica amministrazione da emanarsi con deliberazione del Consiglio dei Ministri e da approvarsi con Decreto del Presidente della Repubblica.

A tanto si è provveduto con d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (Regolamento recante codice di comportamento di dipendenti pubblici).

Questo contiene un insieme di obblighi e doveri di carattere giuridico ed etico che il pubblico dipendente è tenuto ad osservare per non incorrere in responsabilità disciplinare o, – qualora ricorra altresì la violazione di leggi, regolamenti, doveri o obblighi – in responsabilità civile, amministrativa e contabile.

La finalità del codice di comportamento è quella di assicurare, da parte dei dipendenti pubblici, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e più in generale cura del pubblico interesse, ponendo altresì il divieto di accettare o richiedere qualunque forma di regalia o compenso in connessione con l’espletamento delle pubbliche funzioni, fatti salvi regali d’uso di modico valore ed entro i limiti delle normali relazioni di cortesia.

Ulteriori misure attengono all’incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive a seguito di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi.

Il Governo in proposito fu delegato ad adottare un decreto legislativo che, ferme restando le disposizioni del codice penale in materia di interdizione dai pubblici uffici, disciplinasse come testo unico l’incandidabilità alla carica di membro di parlamento europeo, di deputato e senatore della Repubblica, alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e il divieto di ricoprire le cariche di presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte di unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali, presidente e componente degli organi esecutivi di comunità montane.

Ed in attuazione di questa previsione è stato emanato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235.

Si inquadrano in queste misure soggettive anche le norme in tema di collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili e degli avvocati e procuratori dello Stato. Tali disposizioni in realtà esulano dal campo proprio della lotta alla corruzione essendo rivolte a eliminare possibili disfunzioni delle amministrazioni e collocandosi nel concetto più ampio di una buona amministrazione.

Da ultimo vanno segnalate le norme che intervengono sulla vexata materia dei lavori pubblici, evidenziando così, ancora una volta, che si tratta di materia tanto sensibile a questa patologia.

 

  1. 15. Come si vede, un complesso ed articolato disegno organizzativo e procedimentale è stato posto in essere per attuare una lotta di prevenzione alla corruzione, sino a coinvolgere peculiari situazioni giuridiche di soggetti comunque investiti di pubbliche funzioni.

Infatti, a corredo di questo disegno organizzativo e procedimentale, il nostro ordinamento presenta ora un corpus normativo, costituito dal d.lgs 31 dicembre 2012, n. 235; dal d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33; dal d.lgs 8 aprile 2013, n.39; dal D.P.R. 16 aprile 2013 n. 32, che, integrando il d.lgs 30 marzo 2001, n. 165, delinea un reticolo di obblighi e doveri, limiti e limitazioni specie riguardanti le incompatibilità, le inconferibilità, le incandidabilità e le ineligibilità, che danno luogo ad un vero ordinamento giuridico dei doveri e degli obblighi morali che vengono positivamente a configurarsi in capo ai “cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche”, i quali, come è noto, ai  sensi dell’art. 54 Cost., “hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”; “prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.

Ed invero, il corpus normativo innanzi richiamato, nella sua completezza, ed adeguatamente ricostruito, può ritenersi un’organica attuazione della disposizione costituzionale di cui all’art. 54 della Costituzione.

Le norme, devono essere calate nella realtà delle Pubbliche Amministrazioni esistenti nel nostro variegato sistema pluristituzionale e nel complesso delle situazioni soggettive sussistenti.

Deve iniziare quella fase di realizzazione del disegno legislativo che appare sempre una delle fasi più difficili e delicate.

Anzitutto, per la complessità del nostro sistema, dove diverse sono le competenze e i poteri, taluni anche costituzionalmente tutelati, e, quindi, per le resistenze che si potrebbero incontrare, specie in presenza di situazioni consolidate.

Sembra, però, che una più avvertita coscienza morale e civile possa essere presente tra i cittadini, mentre le stesse Pubbliche Amministrazioni avvertono l’esigenza di un loro adeguamento ed un loro ritorno ad antichi valori.

A tanto, peraltro, sono di forte richiamo anche la situazione economica e l’attenzione del contesto europeo, dal momento che entrambe queste contingenze non possono non invitarci a riflessioni, se non a ripensamenti.

Certo è che, con la legislazione da ultimo emanata, taluni valori sono in modo speciale considerati dall’ordinamento.

Guardando in filigrana la legge n. 190 del 2012 ed il corpus normativo che vi ha fatto seguito, i valori che vengono in evidenza sono quelli dell’onestà del funzionario e di chiunque altro eserciti pubbliche funzioni; della imperatività della corretta spendita del pubblico danaro; della trasparenza dell’amministrazione, sicché questa sia “una casa di vetro” nella quale ognuno, vedendo e specchiandosi, la controlli e ne segua l’azione.

Il valore, infine, dell’imparzialità del pubblico funzionario, imparzialità intesa nel suo senso più alto, come attuazione del pubblico interesse che non subisca l’interferenza di altri interessi.

Se questi valori saranno attuati, le devianze saranno evitate e l’economia tutta, e, soprattutto, il vivere civile ne trarranno benefici.

Una strumentazione giuridica a tal fine è stata prevista: sta all’esecutore porla in essere ed attuarla e preservare gli intrinseci valori che ne sono a fondamento.

 

  1. Ma la recrudescenza di gravi, ripetuti, nuovi scandali che, questa volta, presentavano, per di più, gli stessi protagonisti degli scandali già sorti vent’anni prima, ha comportato la necessità di nuovi, ancor più incisivi, interventi nella materia.

E’ necessario, pertanto, ricordare il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, recante: «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari.» che, nel suo corpo, reca un Titolo III intitolato “misure urgenti per la incentivazione della trasparenza e correttezza delle procedure nei lavori pubblici”.

Questo titolo contiene un capo I intitolato “Misure di controllo preventivo” e consistente in un’unica norma, la quale, sostanzialmente, per l’efficacia del controllo antimafia nelle attività imprenditoriali in taluni settori, rivelatisi particolarmente soggetti ad infiltrazioni mafiose, prevede l’istituzione di un elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetto a tentativo di infiltrazione mafiosa, la cd. White List, già sperimentata sin dai lavori per la ricostruzione post-terremoto in Abruzzo, e, poi, per i lavori dell’EXPO 2015, e per i lavori edilizi del piano straordinario carceri, sino alla disciplina di carattere generale di cui al decreto-legge 13 maggio 2011, n.70 convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n.106, art. 4, comma 13.

La legge prevedeva, poi, all’art. 30, un’unità operativa speciale per EXPO 2015, attribuendo, al Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, in posizione e funzione quindi monocratica, una serie di compiti che la norma definiva di “alta sorveglianza e garanzia della correttezza e trasparenza” delle procedure connesse alla realizzazione delle opere dell’Expo 2015 e, a tal fine, prevedeva che esso si avvalesse di un’apposita unità operativa speciale.

L’esegeta potrebbe trattenersi non poco su queste due funzioni “alta sorveglianza” e “garanzia della correttezza e della trasparenza”, funzioni già non ignote ad altri uffici e ad altre istituzioni, e, quindi, sulle loro interferenze ovvero sulle loro differenze.

In particolare, i compiti ed i poteri attribuiti al presidente dell’A.N.A.C. consistono nella verifica, in via preventiva, della legittimità degli atti relativi all’affidamento ed all’esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, con particolare riguardo al rispetto delle norme in materia di trasparenza; la verifica, in via preventiva, per la parte di competenza, del corretto adempimento, da parte della Soc. EXPO 2015 e delle altre stazioni appaltanti, degli accordi in materia di legalità sottoscritti con la Prefettura di Milano; poteri ispettivi di accesso alle banche dati già attribuiti all’ A.V.C.P. ; possibilità di partecipare alle riunioni della sezione specializzata del Comitato di Coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere presieduta dal Prefetto di Milano.

 

  1. Dopo una norma (art. 31) che, integrando quella della legge anticorruzione, facoltatizza il dipendente pubblico che segnala illeciti ad inoltrare denuncia, oltre che all’Autorità giudiziaria e alla Core dei Conti, anche all’Autorità nazionale anticorruzione, la legge, all’art. 32, disciplina la “gestione delle imprese per la prevenzione della corruzione”, e, a tal fine, contiene nuove norme per la gestione di imprese aggiudicatarie di appalti pubblici indagate per specifici delitti contro la P.A. in relazione alle attività nelle quali si registrino rilevanti anomalie o comunque situazioni sistematiche di condotte illecite.

Trattasi di una delle norme più incisive e penetranti in tema di lotta alla corruzione nei pubblici appalti.

Essa, infatti, prevede che il Presidente dell’A.N.A.C., in presenza di fatti gravi ed accertati, può proporre, in via alternativa, al Prefetto competente, di intimare all’impresa la rinnovazione degli organi sociali rimuovendo il soggetto (o i soggetti) coinvolti nei presunti illeciti e, ove l’impresa non si adegui nei termini stabiliti, di provvedere alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto oggetto del procedimento penale; ovvero, di provvedere direttamente alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto oggetto del procedimento penale.

Trattasi di una misura amministrativa perché irrogata da un autorità amministrativa, il Prefetto, nell’esercizio di un potere suo proprio e su proposta del Presidente dell’ A.N.A.C, in posizione e funzione monocratica, stando alla lettura della legge.

Trattasi di misura amministrativa di notevole valenza dal momento che penetra nel tessuto, o, per meglio dire, nell’ organismo stesso dell’impresa, incidendo sulla sua autonomia e sulla sua soggettività.

E ciò non solo quando l’autorità giudiziaria proceda per i gravi delitti (concussione, corruzione, peculato, traffico d’influenza illecita, turbata libertà del procedimento di scelta del consulente) nella legge prevista, ma anche allorché si è in presenza di “rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un’impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture”.

Si è in presenza di una formulazione – come fu già rilevato in sede parlamentare (Cfr. Seduta della I comm. Affari Costituzionali del 3 luglio 2014) – che contiene termini o formule, quali:  “rilevanti situazioni anomale e “comunque” sintomatiche di “condotte illecite” o “eventi criminali” (terminologia, quest’ultima, invero, che non ci è noto se prima conosciuta nel nostro ordinamento, anche penale), che potrebbero far dubitare della loro conformità al principio della tassatività, corollario del principio di legalità particolarmente significativo e cogente nel caso in esame perché riguardante, qui, l’esercizio del potere amministrativo, il più discrezionale, in senso tecnico, dei poteri, con ricadute, nella specie, di gravi effetti afflittivi.

Ed invero, già oggi, la Corte europea dei diritti dell’uomo, andando oltre la mera qualificazione formale di misura penale od amministrativa e guardando al contenuto sostanzialmente punitivo ed intrinsecamente afflittivo di una misura, ritiene necessaria la trasposizione delle garanzie della “materia penale”, espresse dagli artt. 6 e 7 della Convenzione, agli illeciti amministrativi.

E quanto pregiudizievoli siano per le imprese le misure previste dall’art. 32 è appena il caso di notare.

È stato da altri già evidenziata l’estrema delicatezza di una norma che irrompe nel diritto societario con un intervento straordinario di commissariamento che limita i diritti dei titolari di impresa, degli azionisti e degli amministratori in assenza di una condanna definitiva; e che l’espressione “limitatamente alla completa esecuzione del contratto” – riferito proprio all’ipotesi di commissariamento delle aziende, – non sembra doversi intendere come un limite di intervento solo alla parte di azienda coinvolta nell’appalto (il “ramo” di azienda coinvolto), ma piuttosto come un limite temporale (cioè finché l’appalto in questione non venga portato a conclusione).

Peraltro, all’interno dell’impresa, l’intervento previsto dall’art. 32, nelle altre sue articolazioni, risulta quanto mai ampio, arrivando (comma 3) alla gestione temporanea da parte di amministratori nominati dal prefetto (che avranno «tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione dell’impresa») e alla sospensione dei «poteri di disposizione e gestione dei titolari di impresa».

Nel caso di società, sono sospesi anche i poteri dell’assemblea degli azionisti.

Si aggiunga che gli amministratori esterni rispondono delle «eventuali diseconomie dei risultati solo nei casi di dolo e colpa grave» (comma 4) e che l’utile di impresa derivante dalla conclusione dei contratti di appalto «è accantonato in apposito fondo» (comma 7).

Peraltro, in ordine a questa disciplina dell’art. 32, va segnalata la peculiarità del procedimento per cui, al Prefetto è rimessa la valutazione – e, quindi, la responsabilità – delle condizioni rappresentate nella proposta del Presidente dell’Autorità per l’esercizio di un così rilevante potere: ”il Prefetto valutata la gravità dei fatti oggetto dell’indagine” che è formula che, se da un lato, rafforza l’entità della fattispecie, dall’altro, non per questo, ne fa venir meno la indeterminatezza.

In proposito sia consentito un ricordo che, adesso, può definirsi ormai storico.

Come è noto, la materia delle sanzioni amministrative – che tanto appassionò la dottrina amministrativistica all’inizio del secolo scorso per le problematiche che essa poneva in quanto realizzazione indiretta dell’interesse pubblico che si voleva perseguire – fu dal guardasigilli Rocco trasferita nel codice penale, nel libro III, per assicurare ad esse quelle maggiori garanzie che la disciplina penalistica offriva per l’individuo rispetto alla discrezionalità dell’uso del potere amministrativo al di fuori di un processo.

Ora, invece, sembra che si vogliano spostare alcune misure di forte efficacia afflittiva e repressiva dal settore penale al settore amministrativo.

 

  1. Deve però notarsi come sin dalle prime applicazioni della norma, lodevolmente si è affermato che la notizia di un illecito consentì di avanzare la richiesta del provvedimento cautelare solo quando essa abbia assunto una consistenza oggettiva e cioè un suo “spessore” probatorio.

È necessario – è stato detto – che devono sussistere “fatti gravi ed accertati” anche ai sensi dell’art. 19, comma 5.

Sono necessari e sufficienti, quindi, elementi che si traducano nella valutazione probabilistica del fatto di illecita aggiudicazione di un appalto; questi elementi –che sono stati paragonati ai gravi indizi di colpevolezza di cui agli art. 273 e ss c.p.p. – possono essere acquisiti o attraverso l’esercizio dei poteri ispettivi e di vigilanza, previsti sia nella legge n. 190 del 2012 (cd. legge anticorruzione) che nel d.lgs 163 del/2006 (del codice dei contratti) o, come nella maggioranza dei casi accade, provenire dagli accertamenti dell’autorità giudiziaria penale.

In questa prospettiva potranno costituire una base probatoria sufficiente – è stato affermato – quegli elementi posti a sostegno di un’ordinanza cautelare o di un decreto che dispone il giudizio, elementi che potranno essere oggetto comunque di valutazione autonoma in sede di richiesta ex art. 32 del d.l. n. 90/2014.

Un secondo elemento che si deve considerare è quello collegato alla graduazione di gravità del fatto che abilita il Prefetto ad optare per una o l’altra delle due misure.

È stato osservato che questo elemento non viene espressamente richiamato nel primo comma dell’art. 32 in esame – che si occupa della richiesta del Presidente dell’ANAC – ma di esso si fa cenno nel secondo comma riferito specificamente ai criteri che devono guidare la scelta del prefetto ma di cui non può non tener conto – si è affermato –  il Presidente dell’ANAC nella sua richiesta.

E’ un requisito, è stato detto, che, proprio per avere in sé una notevole connotazione valutativa, è difficile poter individuare con precisione in astratto; “in estrema approssimazione”, – è stato affermato – la valutazione di gravità potrà derivare sia dal “complessivo comportamento tenuto dal soggetto autore del fatto illecito sia dal livello di coinvolgimento dell’impresa – considerata come soggetto giuridico autonomo – in meccanismi di sistematica illiceità nella gestione degli appalti”.

Come vedesi, si tratta di una norma di rilevante portata e che presenta notevoli problematiche.

Ma quel che vorremmo notare, avviandoci alla conclusione, è che trattasi di un penetrante intervento, di una misura che, in verità, si sarebbe auspicato che mai l’ordinamento fosse stato costretto ad adottare.

Essa appartiene, invero, al novero delle misure estreme, quali, appunto, il codice penale contempla.

Al contrario, come si è detto, il nostro ordinamento,  alla stregua di modelli che ci pervenivano da esperienze di altri Paesi ed in attuazione, appunto, di Convenzioni internazionali, aveva previsto, all’uopo, diverse normative riguardanti le imprese, sia con riferimento agli obblighi dei loro comportamenti, sia con riferimento ai modi stessi del loro conformarsi: la stessa legge n. 231 del 2001 – quella sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ed, in particolare delle società – ne è, in questi sensi, un esempio.

Ed è ad un tale modello che, a nostro sommesso avviso, occorre rifarsi, tranne ipotesi estreme: è nel proprio interno che le pubbliche amministrazioni e le imprese devono trovare i propri rimedi.

Il dibattito, in verità, è risalente e noto, come già in altra sede ci è stata data occasione di affermare.

Ed esso è stato affrontato alla vigilia ed in preparazione della l. n.190/2012, la legge sulla lotta alla illegalità ed alla corruzione.

Allora fu detto che, per le patologie del potere pubblico (e non solo di esso, aggiungiamo noi), occorreva prevedere “una 231” per la P.A..

E la legge n.190 del 2012, con le sue figure organizzatorie (es. il responsabile della prevenzione della corruzione), i suoi piani, le sue responsabilità e le sue sanzioni, come si è detto, non poco richiama l’intelaiatura della legge dell’8 giugno 2001, n. 231.

Ma, in quello stesso periodo, fu anche invocata una disciplina complessa e penetrante, configurante quasi un ordinamento penale speciale, come quello previsto per la lotta alla mafia: ordinamento penale speciale che, come è noto, è contenuto in un apposito codice, la legge 13 agosto 2010, n. 136.

Una tale evenienza è da scongiurare: ci si augura che, ad una tale evenienza, oppure soltanto ad una parte di essa, il nostro ordinamento non debba mai giungere.

Ne resterebbe minato ed alterato nell’intimo, nella sua stessa essenza, non solo il modo di essere e la vocazione della pubblica amministrazione, da un lato, e delle imprese, dall’altro, ma l’ordinamento stesso: non più complesso di regole – il meno numeroso possibile complesso di regole volte a favorire il comune vivere civile, e, per gli aspetti economici, l’economia, appunto, ed il mercato – ma un insieme di misure repressive fortemente incidenti su diritti fondamentali e, nella specie, in particolare, sull’art. 41.

Ci si augura, come si è detto, che a tanto non debba pervenirsi e che, invece, i protagonisti del settore, e, per essi, l’intero settore, trovi, in se stesso, i suoi rimedi avverso le disfunzioni gravissime che tutti – e da tempo – lamentiamo.

Di buon auspicio, in questi sensi, è l’emanazione che, in questi giorni, sta maturando di un “nuovo codice degli appalti”, un nuovo testo normativo, in adempimento della delega, derivante dalla legge 28 gennaio 2016, n. 11, concessa al Governo per l’attuazione delle direttive comunitari nn.23, 24 e 25 del 2014, relative all’aggiudicazione dei contratti di concessione e di appalti pubblici, nei settori ordinari e speciali.

Trattasi di un’operazione normativa che, per i contenuti che si preannunciano, potrebbe segnare, nel nostro ordinamento, in questo settore dei contratti pubblici, una svolta molto significativa; ci verrebbe da dire, indulgendo ad un beneaugurante ottimismo, storica.

Ci si vorrebbe cioè augurare che si possa essere in presenza di una compiuta e definitiva (“definitiva”, nel senso delle umane cose) normativa, adattabile e flessibile per di più, con l’annunciata introduzione di “soft law”; mentre si riduce drasticamente il numero delle norme e si abolisce il tradizionale regolamento di attuazione dal cospicuo numero di articoli.

Normativa che indirizzi ed accompagni l’operatore pubblico e privato e realizzi così quei valori che la lotta alla corruzione intende promuovere e preservare ed ai quali, noi riteniamo, che gli stessi operatori pubblici e privati sono vocati.

 

([1]) Ci si riferisce ad U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965.

([2]) Sia consentito, in proposito, il richiamo anche al risalente articolo, L. GIAMPAOLINO, La riforma dei reati contro la P.A. e il diritto amministrativo, in Foro amm., 1989, 324 e segg.

([3])  Cfr., per tutti G. BERTI, Strutture politico-giuridiche dell’amministrazione e responsabilità dei funzionari, in Giust. e Cost. 1984, 39 e segg..

([4]) A. DI MARTINO, Le sollecitazioni extranazionali alla riforma dei delitti di corruzione in La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione a cura di B. G. MATTARELLA e M. PELISSERO; Giappichelli; Torino, 2013, 355

([5]) Cfr. S. MANACORDA, La corruzione internazionale, citata da DI MARTINO (Titolo da cod. ISBN: La corruzione internazionale del pubblico agente. Linee dell’indagine penalistica, Stefano Manacorda, Editore Jovene Collana: Fac. giurisprudenza-Seconda Univ. Napoli Data di Pubblicazione:1999).

([6]) Per tutti, cfr. G. Sciullo, L’organizzazione amministrativa della prevenzione della corruzione, in La legge anticorruzione, cit., cfr., in particolare, 83 e segg.

([7]) Ivi, 89.

([8])  Cfr. A. MANZELLA, Il Parlamento, 1977, 354

([9]) Si vedano, ad esempio le delibere dell’Autorità n. 15/2013; n. 12/2014.

([10]) F. Di Cristina, cit., 98.

([11]) Cfr. M. SAVINO, Le norme in materia di trasparenza, in, La legge anticorruzione, cit, 114 e segg.

Cfr. E. CARLONI, I principi del codice della trasparenza, in La trasparenza amministrativa dopo il dopo il D.Lgs. 4 maggio 2013 n. 39, a cura di B. PONTI, Maggioli 40, e gli AA (BOBBIO, CHELI, MERLONI e altri) ivi citati.

([12]) B. PONTI, (a cura di) La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 cit., passim, in particolare, Cap. I, a cura di F. MERLONI, 27.

([13]) Vedasi quella cit. a cura di B. PONTI, nonché, G. ONOFRIO, Profili giuridici della trasparenza amministrativa, Cacucci, Bari, 2013.

([14]) F. MERLONI, op. cit., p. 21.

 

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