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L’aggiudicazione nel nuovo codice dei contratti pubblici.

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L’aggiudicazione nel nuovo codice dei contratti pubblici: dalla doppia fase alla doppia faccia.

del Prof. Pelino Santoro, Presidente on. della Corte dei conti

Premessa

Il primo codice dei contratti pubblici approvato con D.Lgs n. 163/2006, sveva deluso le attese degli operatori, soprattutto perché soffriva di iper-regolamentazione normativa, che generava enormi difficoltà applicative ed interpretative che agivano in maniera opposta al principio di legalità, attenuando il senso di vincolatività delle norme e creando zone d’ombra e scappatoie elusive; il codice è stato additato come un esempio negativo in quanto è stato modificato ben 52 volte.

La legge 28 gennaio 2016, n. 11 aveva delegato il Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, con facoltà di adottare entro il 18 aprile 2016 un unico decreto legislativo che sostituisse il vigente codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; tra i criteri di delega era posta in primo piano la ricognizione e riordino del quadro normativo vigente nelle materie degli appalti pubblici e delle concessioni, al fine di conseguire una significativa riduzione del complesso delle disposizioni legislative, amministrative e regolamentari ed un maggior livello di certezza del diritto e semplificazione dei procedimenti (art. 1, lett. d) e una significativa riduzione e certezza dei tempi relativi alle procedure di gara e alla realizzazione delle opere pubbliche (lett. e).

Nella relazione di accompagno si dà atto che la normativa di settore attualmente vigente ha dato adito a un notevole contenzioso, senza ottenere, di converso, risultati evidenti in termini di efficacia ed efficienza delle procedure di affidamento, con conseguente danno per la finanza pubblica e per la qualità dei servizi offerti.

Il varo del nuovo codice dei contratti e delle concessioni pubbliche, puntualmente adottato con D.lgs 18 aprile 2016 n. 50, e il parere reso sul relativo schema legislativo dal Consiglio di Stato offrono l’occasione di mettere in evidenza alcune questioni fondamentali riguardanti la funzionalità della ripartizione delle fasi delle procedure di affidamento e il rapporto di contiguità/esclusione tra la disciplina codicistica e quella che fa capo alla sistema di contabilità pubblica.

 

1 – L’abbandono dell’aggiudicazione provvisoria

In sede di parere sullo schema del decreto legislativo sul nuovo codice degli appalti il Consiglio di Stato (Commissione speciale del 21 marzo 2016 n. 855/2016) si è espresso in questi termini: Altro tema meritevole di approfondimento è l’istituto dell’aggiudicazione provvisoria, disciplinato dagli articoli 32 e 33. La natura anfibia del concetto stesso di aggiudicazione provvisoria (un atto infraprocedimentale, forzosamente equiparato a un provvedimento) e le conseguenti problematiche interpretative emerse in sede di contenzioso (impugnabilità immediata, risarcibilità del danno da revoca, tutela dell’affidamento) rendono opportuno il superamento dell’istituto. Si suggerisce quindi la sostituzione, negli articoli pertinenti e nelle norme connesse, dell’aggiudicazione “provvisoria” con la “proposta di aggiudicazione”. In via consequenziale l’aggiudicazione definitiva deve diventare tout court “aggiudicazione”.

Il suggerimento, formulato come mero invito ad approfondire la problematica, sembra esprimere una posizione di resipiscenza finalizzata al superamento dell’istituto dell’aggiudicazione provvisoria per tutte le problematiche, emerse in sede di contenzioso, in quanto correlate alla natura endoprocedimentale e alla forzosa equiparazione a un provvedimento amministrativo e indicativamente riassumibili in: impugnabilità immediata, risarcibilità del danno da revoca, tutela dell’affidamento.

La soluzione proposta, tuttavia, appare meramente nominalistica, risolvendosi nella semplice sostituzione, negli articoli pertinenti, dell’aggiudicazione provvisoria con la “proposta di aggiudicazione , implicante la conseguenza che l’ “aggiudicazione definitiva” deve diventare tout court “aggiudicazione”.

Il suggerimento è stato accolto, ma il testo finale presenta una evidente asimmetria perché, dopo aver previsto che la stazione appaltante previa verifica della proposta di aggiudicazione provvede all’aggiudicazione (art. 32, comma 5), fa quasi una marcia indietro, prevedendo (art. 33, comma 1) che la proposta di aggiudicazione è soggetta all’approvazione dell’organo competente.

Fa da corollario alla nuova formula l’atro suggerimento, pure accolto nel testo finale, di dare una diversa denominazione della “commissione di gara”, indicata ora come “commissione di aggiudicazione” nella rubrica (art. 77) e come commissione giudicatrice nel testo, per le ipotesi in cui gli appalti debbano essere aggiudicati in base al criterio del miglior rapporto qualità/prezzo; resta ferma, invece, la denominazione di “commissione giudicatrice” per i concorsi di progettazione (art. 155).

Certamente il venir meno dello sdoppiamento dell’aggiudicazione (provvisoria e definitiva) mediate la naturale combinazione in unun del profilo propositivo con quello decisorio, potrà risolvere negativamente la problematica dell’immediata impugnabilità della proposta, in quanto assorbita in quella dell’atto terminale (aggiudicazione definitiva), ma non muta l’ordine delle fasi procedimentali né la sostanza dell’atto, sia per l’incertezza della provenienza soggettiva (commissione di gara, commissione di aggiudicazione o commissione giudicatrice) sia per l’idoneità dell’atto, (nei casi alternativi in cui la proposta riguardi una procedura con il criterio del prezzo più basso), a ledere con immediatezza l’interesse pretensivo al conseguimento del bene dell’aggiudicazione.

Chi scrive ha sempre criticato insistentemente l’adozione generalizzata del modello amministrativo, di provenienza dall’ordinamento delle autonomie locali, che esigeva un momento di verifica esterna dell’atto deliberativo finale di aggiudicazione soggetto ad approvazione.

È noto che nel modello contabile, invece, l’aggiudicazione tout court rappresentava il momento terminale della fase pubblica di scelta del contraente e poteva essa stessa costituire, se formale e proclamata, il vincolo contrattuale, stante l’equipollenza legale al contratto (art. 16 L.c.s. 2440/1923), mentre l’aggiudicazione provvisoria (art. 65, punto 9 L.c.s. e 84 R.c.s.) si aveva nelle ipotesi di asta o licitazione (a doppia tornata) soggetta a ulteriore ribasso o aumento[1]; nell’ordinamento pubblico statale non è (era) prevista, un’approvazione dell’aggiudicazione che è di per sé definitiva, essendo la verifica della sua legittimità assorbita, di norma, nella fase di approvazione del contratto, di cui l’aggiudicazione, soprattutto ai fini del controllo esterno della Corte dei conti, costituisce presupposto e parte integrante[2].

Negli enti locali, invece, da un lato, si adottava nella prassi, in mancanza di espressa previsione normativa, una delibera di aggiudicazione equivalente all’approvazione del sistema statale (soggetta ai rituali controlli) e, dall’altro, all’approvazione del contratto corrispondeva il visto prefettizio di esecutività[3].

È stata poi la giurisprudenza amministrativa (dopo l’abrogazione dei Co.re.co) a dare linfa vitale all’aggiudicazione provvisoria, relativamente alle procedure degli enti locali identificandola con quella non ancora definitiva perché non ancora approvata dall’organo di vertice e a configurarla, pertanto, come atto interno a un procedimento in itinere non ancora concluso[4].

La prassi e le indicazioni giurisprudenziali, com’è noto, sono state fatte proprie dal codice dei contratti pubblici che, per la prima volta, ha disciplinato (art. 11 D.lgs n. 163/2006) le fasi dei contratti pubblici, scindendo l’atto unico di aggiudicazione, nato come atto formale unico e solenne[5], in tre momenti (aggiudicazione provvisoria, aggiudicazione definitiva aggiudicazione efficace)[6]. L’aggiudicazione provvisoria codificata, purtuttavia, ha superato le critiche, in punto di teoria generale, di appesantimento procedimentale e d’immediatezza ed effettività di tutela, che sono state mosse sin dai primi passi di applicazione delle nuove regole[7].

Sono state insistentemente rilevate le probabili criticità della nuova segmentazione procedimentale[8]; in particolare si è criticato l’appesantimento procedimentale che, rompendo lo schema tradizionale vede moltiplicate le fasi che passano da quattro (aggiudicazione, stipulazione, approvazione, controllo) a sette, otto, o addirittura nove, a seconda dell’ordinamento; in particolare, sin dal primo momento non si è mancato di sottolineare[9] come la codificazione del modus operandi esistente, perpetuasse, rendendole fisiologiche, una serie di anomalie e inconvenienti già rilevabili (sovrapposizione tra approvazione e autotutela, incertezza dell’atto lesivo, reiterazione di ricorso, incertezza dell’organo legittimato, dilatazione dei tempi, asimmetria degli effetti dei vizi di legittimità).

Quello che soprattutto è apparso subito fuori da ogni schema logico è stato perché mai un’aggiudicazione una volta divenuta definitiva con l’approvazione non potesse essere già di per sé efficace, coerentemente la funzione tradizionale dell’approvazione quale condicio iuris di efficacia[10]; in particolare rimane inspiegabile perché mai non si sia ritenuto di poter concentrare nel segmento dell’approvazione, anziché ritardarlo, il subprocedimento di verifica dei requisiti, determinando un vero e proprio ingorgo procedimentale[11]; è evidente che simile posposizione è anomala (per non dire errata) essendo la verifica dei requisiti soggettivi in capo all’aggiudicatario un adempimento intrinseco all’approvazione, qualunque ne sia la natura (atto di controllo o autonoma valutazione).

Una disarticolazione assurda che, dapprima ha impedito che si riconoscesse la giustiziabilità dell’aggiudicazione perché etichettata come provvisoria[12], in contrasto con il diritto comunitario[13], e poi ha fatto dubitare della stessa possibilità di impugnare persino l’aggiudicazione definitiva fino a quando non divenisse efficace e quindi effettivamente lesiva.

La duplice tempistica della fase di efficacia rendeva, infatti, incerto il momento dell’effettiva lesività ai fini della decorrenza dei termini d’impugnazione; la relativa questione di massima è stata risolta nel senso che l’aggiudicazione definitiva fa sorgere in capo all’aggiudicatario un’aspettativa alla stipulazione del contratto di appalto, che è ex lege subordinata all’esito positivo della verifica dei requisiti e nel contempo produce, nei confronti degli altri partecipanti alla gara un effetto immediato, consistente nella privazione definitiva, salvo interventi in autotutela della stazione appaltante o altre vicende comunque non prevedibili né controllabili, del “bene della vita” rappresentato dall’aggiudicazione della gara; l’opposto avviso, che ricolleghi la lesività delle determinazioni della stazione appaltante, anche per i concorrenti non aggiudicatari, solo all’esito positivo della verifica dei requisiti di gara in capo all’aggiudicatario, porterebbe all’assurda conseguenza di attribuire all’aggiudicazione definitiva una diversa valenza provvedimentale (e una diversa attitudine lesiva) a seconda che la verifica suindicata sia condotta dopo la conclusione della gara, o in un momento anteriore, essendo stata l’impresa poi risultata aggiudicataria sorteggiata fra i concorrenti da sottoporre a verifica “a campione”; nel primo caso, l’impugnabilità dell’aggiudicazione definitiva sarebbe differita all’esito della verifica, mentre nel secondo caso sarebbe immediata[14]; quella pronuncia aveva, tuttavia, una sua coerenza perversa, poichè esprimeva lo sforzo ermeneutico necessario per salvare l’artificiosità e la contraddittorietà dei meccanismi di volta in volta escogitati.

Resta tuttavia l’anomalia di una seconda fase di efficacia, quando l’eventuale verifica negativa dei requisiti per il concorrente aggiudicatario o sorteggiato a campione, sarebbe potuta essere configurata, ove rilevante sull’esito di gara, come mera inefficacia sopravvenuta dell’aggiudicazione provvisoria[15].

Insistere nel mantenere simile incongruenza appare, come si suol dire diabolico, anche perché tutta la procedura di monitoraggio deve ritenersi superata per effetto della normativa sulla semplificazione che obbliga le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori a verificare il possesso dei requisiti esclusivamente tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici[16] (art 6 bis codice contratti pubblici, introdotto dall’art. 20 D.L. n. 5/2012 conv. L. n. 35/201; art. 83 testo nuovo codice).

Tornando alle novità della nuova stesura del codice, ben venga il suggerimento del Consiglio di Stato, se inteso come prima breccia di apertura di un sistema ingessato e poco funzionale in vista del recupero di una effettiva semplificazione.

Si è avuta occasione di segnalare[17], tra i fattori di rischio che incentivano la corruzione negli appalti (deroghe normative, iper-regolamentazione, spazi di discrezionalità e intermediazione) proprio il necessario passaggio dall’aggiudicazione provvisoria a quella definitiva e ancor di più la verifica postuma dei requisiti affinché l’aggiudicazione diventi efficace, implicante una potestà (quasi illimitata) di annullamento o di revoca anche di fasi provvisorie c.d. interinali, a prescindere dal rilievo formale o sostanziale dei vizi soggettivi e da eventuali misure interdittive sopravvenute.

Non è sufficiente, però, il semplice cambio di nome, anche se prelude alla configurazione dell’aggiudicazione provvisoria come una proposta, poiché, a parte l’artificio nominalistico, quel carattere propositivo, se risulta pertinente alle tipologie di gara con il sistema dell’offerta economica più vantaggiose in cui il giudizio della commissione giudicatrice è sempre stato inteso in tal senso secondo l’antico e superato modello dell’appalto concorso[18], non si addice alle altre modalità di aggiudicazione in cui manchi un giudizio comparativo tecnico-discrezionale in senso proprio e l’aggiudicazione è proclamata direttamente dall’Autorità di gara.

Uno dei difetti di fondo del vigente codice, infatti, è quello di aver preteso di delineare uno schema procedimentale apparentemente omogeneo per tutti i sistemi e criteri di aggiudicazione,

Ipotizzando il mantenimento delle attuali tipologie di gara (aperte, ristrette e negoziate) e la decisa opzione per modalità di scelta basate sul confronto prezzo/qualità, l’aggiudicazione definitiva, intesa come verifica dell’aggiudicazione provvisoria, non s’addice alle procedure che presuppongono una fase di giudizio tecnico-valutativo (commissione giudicatrice) e, viceversa, la proposta è identificabile come tale se proviene da un organo straordinario di valutazione (commissione) ma non se esprime il momento conclusivo e terminale di scelta del contraente che ha offerto il minor prezzo; la prima viene accettata o condivisa dall’organo-autorità cha ha il potere di aggiudicazione, la seconda viene semplicemente verificata, nel significato più ampio di controllo anche di merito (approvazione); non a caso il Consiglio di Stato nel menzionato parere ha sottolineato che il nuovo testo (art. 95) attribuisce alla formula “offerta economicamente più vantaggiosa” un significato profondamente diverso (e più ampio, poiché comprende, ora, anche i criteri basati sul prezzo più basso, oltre a quelli incentrati sul rapporto tra qualità e prezzo) rispetto a quello affermatosi nel sistema precedente (quando tale criterio riguardava esclusivamente criteri incentrati sulla valutazione qualitativa dell’offerta).

Ci sarebbero altri temi problematici sui quali non vi è concordanza, quali la “forma” dell’aggiudicazione (atto pubblico o semplice verbale) e quello della valenza della c.d. approvazione tacita per decorso dei termini (mantenuta nel nuovo testo, la natura dell’atto di approvazione e la corretta applicazione alla procedura di aggiudicazione della distinzione tra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante ma confidiamo che il nuovo codice offra adeguate letture chiarificatrici.

Il problema dell’immediatezza di tutela è stato in parte risolto prevedendo (art. 204) che i vizi relativi alla composizione della commissione di gara, all’esclusione dalla gara per carenza dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico professionali sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili innanzi al TAR entro trenta giorni dalla pubblicazione della composizione della commissione o dell’elenco degli esclusi e degli ammessi; l’omessa impugnazione di tali provvedimenti preclude la facoltà di far valere l’illegittimità nei successivi atti della procedura di gara anche con ricorso incidentale; come contropartita, ma stavolta con piena coerenza, si considera inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione (già aggiudicazione provvisoria), ove disposta, e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività.

In conclusione il quadro procedimentale che interessa andrebbe correttamente ricomposto, tenendo in considerazione che, così come per il profilo negoziale non esiste un “contratto provvisorio” ma semplicemente un “contratto” non ancora efficace se soggetto ad approvazione[19], altrettanto dovrebbe predicarsi per l’aggiudicazione (senza aggettivi) che, con l’approvazione d’obbligo, diventa efficace, vale a dire definitiva e pronta a tradursi in un atto negoziale, stante la codificata impossibilità giuridica di ogni eventuale sua equipollenza al contratto; solo così è possibile conciliare l’introduzione di una sub fase di proposta, limitatamente ai casi in cui è necessario insediare una commissione (giudicatrice), come del resto già indicato dal vigente regolamento che presuppone (artt. 120, 121 e 283) la diversa collocazione funzionale della commissione che valuta le offerte e del soggetto che presiede la gara.

Se prima l’aggiudicazione era scissa in due fasi (provvisoria e definitiva) seguita da una duplice fase di efficacia, ora l’aggiudicazione assume una doppia faccia: di proposta, se proviene dalla commissione di aggiudicazione o giudicatrice) o di atto decisorio finale, se adottata direttamente dall’Autorità di gara (rimasta indefinita).

 

2 – La fuga dalla contabilità pubblica

Nel medesimo parere, dopo aver sottolineato che l’obiettivo di chiarezza ed esaustività del codice rischia di essere tradito se (tra l’altro) la ricognizione e il riordino della normativa pregressa non sono completi e non si procede ad abrogazione espressa di tutte le norme superate dalla codificazione, segnala, sotto tale profilo, la perdurante vigenza di disposizioni relative ai contratti pubblici contenute nella legislazione di contabilità di Stato del 1923-1924, per le quali raccomanda che, in sede di successivo correttivo, si proceda al completo riordino nell’ambito del presente codice, con la totale, definitiva abrogazione di tale normativa, previo completo assorbimento nel predetto codice di quelle norme (ultranonuagenarie) ritenute ancora di perdurante attualità, ovvero con la loro abrogazione espressa (artt. 3 – 21, r.d. 2440 del 1923; artt. 36 – 123 r.d. 827 del 1924).

Tali disposizioni afferiscono sia ai contratti c.d. passivi (in parte oggetto del codice) sia ai contratti c.d. attivi.

Il Consiglio di Stato segnala che la delega, pur prevedendo un riordino a vasto raggio, non ha incluso anche i contratti “attivi” della pubblica amministrazione (a titolo di esempio, locazioni, concessioni demaniali), e che a essi sono applicabili “in via diretta” i principi dettati dal codice per i “contratti esclusi”, atteso che l’art. 4 del codice (come già del resto l’art. 27 del (pre)vigente codice) si riferisce ai soli contratti “relativi a lavori, servizi, forniture” che siano esclusi in tutto o in parte dal codice, e non anche ad altre tipologie.

Per il Consiglio di Stato non sembra dubbio che i principi del codice a tutela della concorrenza siano applicabili “per analogia” anche ai contratti attivi della p.a. ed è perciò auspicabile che in sede di futura implementazione del codice, vi si possa includere, con legge del Parlamento, o con decreto delegato previo principio di delega, un nucleo di principi applicabili in via diretta, e non per sola analogia, pure ai contratti attivi, quali quelli comunitari a tutela della concorrenza, o quelli sul possesso dei requisiti morali dei contraenti privati.

Appare evidente l’intento di voler ricondurre sotto un’unica fonte normativa, ispirata al principio di concorrenza, tutta la materia dei contratti pubblici, ripulendo l’ordinamento contabile delle norme che ancora regolano in via diretta (contratti attivi) o residuale (contratti fuori dal codice) i rapporti negoziali delle pubbliche amministrazioni.

Tali profili differenzianti sono stati da chi scrive messi ripetutamente in evidenza[20] non senza lamentare, che l’ordinamento comunitario dei contratti rende inautonoma e vincolata la disciplina nazionale di recepimento, permanendo la matrice “per settori”, con la conseguenza che al monismo dell’ordinamento contabile è subentrato un regime differenziato e intrecciato che rende incerte le regole applicabili a ciascun tipo di contratto specie se a carattere misto; non va peraltro sottovalutato che direttive comunitarie non danno una copertura piena poiché riguardano essenzialmente gli appalti di rilevanza comunitaria tanto che i contratti sottosoglia e quelli di servizi pubblici vi sono attratti nel regime comunitario, come ribadiscono anche le nuove direttive, solo se presentino un interesse transfrontaliero, rimanendo tuttavia assoggettati alle libertà fondamentali ed agli obblighi derivanti dal diritto primario relativi alla parità di trattamento ed alla trasparenza[21].

Tutta la disciplina della contabilità pubblica, invece, si basa su una regola aurea, semplice ma fondante e a valenza generale, che compare sin dai primi testi[22], in base a cui “tutti i contratti dai quali derivi entrata o spesa dello Stato devono essere preceduti da pubblici incanti”, ne rimanevano fuori le concessioni fino a quando le direttive europee hanno fatto breccia nello schema pubblicistico, configurandole come contratti ed equiparandole in parte (concessione di costruzione) agli appalti[23].

E’ stato riconosciuto che la clausola generale di contabilità ha assunto un ruolo portante nella sistemazione del fenomeno dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione in base al principio dell’evidenza pubblica e si è d’altra parte affermata fuori di esso, ad esempio nel campo della concessone di pubblici servizi[24]; la giurisprudenza amministrativa [25] ha spesso affermato che le norme di contabilità generale devono essere applicate in quanto compatibili e che rimane fermo il principio fondamentale dell’obbligo di procedimenti pubblicistici secondo la disciplina contabile[26]; persino il giudice penale nella configurazione del reato di abuso d’ufficio in materia di affidamento di servici, consulenze ed incarichi è solito richiamare quella regola come parametro di illegittimità del comportamento sanzionato[27].

Rimaneva, comunque, poco chiaro fino a che punto la disciplina unitaria del codice si sovrapponesse, sostituen­dola, o si affiancasse alla tradizionale disciplina amministrativa-contabile dei contratti delle pubbliche amministrazioni, anche perché il codice dei contratti presenta una grossa lacuna poiché (a differenza della legge quadro) non contiene, come di consueto, alcuna norma di chiusura che rinvii ai principi contabili per quanto non espressamente previsto, mentre richiama istituti propri dell’ordinamento contabile quali, ad esempio, le formalità di svolgimento della seduta di gara, l’ufficiale rogante e la forma pubblica amministrativa.

Il codice, infatti, ha una dimensione oggettivamente e soggettivamente definita, in quanto, da un lato riguarda solo le prestazioni corrispondenti a quelle regolate dalle direttive comunitarie e, dall’altro, postula che si tratti di contratti posti in essere dai soggetti contemplati dal codice[28].

Esiste quindi una vasta area identificabile come contratti fuori dal codice (contratti attivi, alienazioni, affitti, locazioni, concessioni di beni, contratti societari, ecc.), per i quali rimangono, al momento, applicabili le regole ed i principi fondamentali dell’ordinamento contabile; tra questi vanno menzionati i contratti riguardanti beni immobili (art. 19, lett. a, codice contratti) i quali comunque rimangono soggetti alla procedure di evidenza pubblica in base alle norme contabilità, anche al fine del radicamento della giurisdizione amministrativa[29].

La segnalazione del Consiglio di Stato, se da un lato ci trova consenzienti per una regolazione sistematica di una disciplina dalle mille regole, dall’alto, non può non destare perplessità per una opzione finale di una disciplina improntata alla concorrenza e di riflesso agli interessi degli operatori, a fronte di una disciplina in cui le regole contabili mantengono la matrice primigenia di garanzia degli interessi economici pubblici[30].

L’intento di sviluppare la concorrenza è proclamato nel nuovo codice (art. 8) quando “esclude espressamente dalla sua area di applicazione le attività esposte direttamente alla concorrenza in mercati accessibili che prevede chiaramente”; nella relazione della Commissione alla proposta della nuova direttiva sugli appalti, che il codice recepisce, si dà atto, nel contesto generale, che “una valutazione economica complessiva ha evidenziato che le direttive sugli appalti pubblici hanno realizzato i loro obiettivi in misura considerevole, aumentando la trasparenza e intensificando la concorrenza, realizzando al contempo risparmi quantificabili tramite prezzi più bassi”.

Lo sradicamento di gran parte contratti dalla materia di contabilità è già una realtà ma non è stato mai fatta un serio confronto sulla funzionalità dei due sistemi e sulle ricadute in termini di costi, trasparenza ed economicità.

Può solo osservarsi, in chiave di tecnica normativa, che per i contratti rientranti nel codice il risultato è stato che alla disciplina di matrice contabile, semplice e uniforme (generalmente seguita per rinvio dinamico) è subentrata, una regolazione di matrice amministrativa-comunitaria più articolata, lunga e complessa, che, per gli ampi spazi di discrezionalità e meccanismi di intermediazione, rimane maggiormente permeabile ad incrinature dei principi di imparzialità, trasparenza e non discriminazione, che sono l’anticamera della corruzione[31].

La materia dei contratti secondo la proposta dovrebbe definitivamente fuoriuscire riuscire dalla normativa contabile che, in parte qua, sarebbe da abrogare definitivamente[32].

A parte la convenienza e l’utilità di mantenere una normativa residuale di principi, resta il fatto che la disciplina contabile resta ben ferma per quanto riguarda la definizione di obbligazione giuridicamente perfetta, l’imputazione al bilancio ed i controlli sugli atti di approvazione (solo per lo Stato) e sulle gestioni; per quanto riguarda la stipulazione il nuovo testo, fa espresso rinvio al codice civile (art. 31, u.c.), ma allo stesso tempo indica con precisione (art. 32, comma 14) ed esaustivamente le modalità di stipulazione prevedendo, in alternativa alla forma notarile informatica, quella in forma pubblica amministrativa con modalità elettroniche, così preservando una classica prerogativa dell’ordinamento pubblicistico.

 

3 – Il rinvio all’ordinamento delle singole amministrazioni

Sotto tale ultimo profilo il nuovo testo mantiene il rinvio dinamico agli ordinamenti propri delle singole amministrazioni aggiudicatrici relativamente all’organizzazione, al procedimento di approvazione e controllo.

Relativamente ai profili di organizzazione amministrativa il precedente codice riconosceva piena autonomia legislativa alle Regioni (art. 4), secondo le indicazione della Corte costituzionale, (sent n. 401/2007) che, con particolare riguardo alle norme relative alla composizione delle commissioni aggiudicatrici aveva affermato che esse “attengono, più specificamente, all’organizzazione amministrativa degli organismi cui sia affidato il compito di procedere alla verifica del possesso dei requisiti, da parte delle imprese concorrenti, per aggiudicarsi la gara”; il nuovo testo (art. 2) ha adottato, su indicazione del Consiglio di Stato, una terminologia neutrale e flessibile[33], che lo rende compatibile sia con il vigente art. 117 Cost., sia con quello in itinere che intende attrarre nella legislazione esclusiva dello Stato, quale autonoma materia, le “norme generali sul procedimento amministrativo”.

Sulla base di tale premessa si è data una lettura secundum costitutionem della opzione legislativa, contenuta nella legge delega, di sottrarre la scelta dei commissari di gara alle stazioni appaltanti, in funzione delle esigenze di trasparenza, imparzialità, competenza professionale dei commissari di gara; secondo il citato parere, si tratta di un indubbio strumento che si aggiunge agli altri che l’ordinamento appronta per la prevenzione e la lotta alla corruzione e alla infiltrazione criminale nella gestione delle gare pubbliche e pertanto, rispondendo la norma (art. 77 nuovo testo) a finalità di trasparenza e prevenzione di illeciti penali, la stessa può essere ricondotta sia all’ordine pubblico che alla tutela della concorrenza e non può dirsi afferente a profili strettamente organizzativi.

Una volta eliminato tale spazio di competenza organizzativa delle stazioni appaltante, il perdurante rinvio agli ordinamenti delle singole amministrazioni, sembra avere un senso solo se riferito alle procedure di approvazione e controllo[34] delle fasi del procedimento di aggiudicazione rimaste confermate, le quali sono riconducibili, in teoria, alla materia del procedimento amministrativo (approvazione) o a quella contabile (controlli).

 

4 – l’armonizzazione delle procedure contrattuali di matrice contabile

A parte l’opportunità di mantenere o meno i riferimenti alla disciplina contabile, la criticità di fondo che si intende segnalare è che, pur permanendo regimi differenziati per i contratti pubblici, viene di fatto sottratta alla disciplina di armonizzazione contabile, un segmento amministrativo che ha un peso determinate su ben individuati profili della gestione finanziaria dei contratti pubblici e dei principi di contabilità finanziaria potenziata: programmazione, copertura finanziaria, impegno di spesa, momento della imputazione, definanziamento, perfezionamento e scadenza della obbligazione giuridica, obbligazioni pluriennali, rendiconto spese economia, per non dire dei pagamenti, dei relativi ritardi e dei debiti fuori bilancio nonché della permuta di immobili.

Rimangono comunque, indeterminati e differenziati la forma (semplice verbale, verbale autenticato, forma pubblica amministrativa) e la formalità sia dell’aggiudicazione definitiva (Autorità che presiede, seggio di gara, commissione di gara) sia dell’approvazione (mera verifica, atto formale, visto di legittimità finanziaria interno, eventuali controlli esterni).

Come si vede, la disciplina di contabilità che si propone di abbandonare, esce dalla porta ma ritorna dalla finestra, essendo impossibile contenerla nel codice dei contratti che attiene al procedimento amministrativo e non si interessa della spesa.

In un nostro saggio sui controlli dell’attività contrattuale pubblica[35], avevamo segnato il confine tra il tratto amministrativo della procedura e quello contabile della relativa spesa, sottolineando che, secondo l’ordinamento dell’epoca e fatte le differenza e tra ordinamento statale ed ordinamenti locale,” l’attività contrattuale è irrilevante per l’ordinamento contabile fino a quando non produce spesa”, con la conseguenza che le attività che non si concludono, i comportamenti omissivi, i mutamenti di programmi già avviati, anche se produttivi di spesa potenziale (maggiori costi, responsabilità precontrattuale) sfuggivano ad ogni sindacato in via immediata.

Oggi non è più così poiché tutta l’attività negoziale pubblica, nel duplice profilo di gestione del contratto e gestione per contratti, a prescindere dalla rilevanza del procedimento amministrativo che la sorregge, è oggetto di valutazione di efficienza, effettività ed economicità da parte dei controlli interni ed esterni, oltre che della vigilanza dell’ANAC e del monitoraggio governativo (art. 203 nuovo codice) delle grandi infrastrutturali[36].

Tutti questi profili, a prescindere dalla posizione disciplinare, confluiscono nel quado complessivo della finanza pubblica di cui la contabilità pubblica costituisce la necessaria interfaccia, nella visione globale indicata dalla nuova legge di contabilità e finanza pubblica n. 196/2009 che, in attesa di essere completata[37], ha già subito quattordici modifiche da provvedimenti normativi di ordine finanziario; è noto, peraltro, che storicamente il rilevante impatto dell’attività contrattuale sui bilanci pubblici ne aveva determinato l’attrazione nella contabilità pubblica pr0prio per gli inevitabili riflessi economici finanziari che ne possono derivare[38]; e venendo ai tempi più moderni, è altrettanto noto che la materia contrattuale è stata molto spesso oggetto di regolazione da parte lelle leggi finanziarie annuali e che la stessa moderna denominazione di “contratti pubblici” trae origina proprio da una disposizione contenuta in una legge finanziaria[39].

La conclusione di sintesi che se ne può trarre è che il codice dei contratti, avallando la coesitenza del modello amministrativo[40] con quello contabile, per non dire dei modelli innominati degli enti pubblici e dei soggetti aggiudicatori, dovrebbe preoccuparsi di dettare le basi per uniformare le procedure in coerenza alla tendenza all’armonizzazione dei sistemi contabili in materia di bilanci e di gestione della finanza pubblica.

Il codice, ne avverte l’esigenza, ma sembra aver fatto una scelta di soft law, affidando (art. 213, comma 2) all’Autorità anticorruzione il potere di dettare linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo e altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, anche al fine di garantire l’omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorire lo sviluppo delle migliori pratiche[41]; spetterà, comunque, alla istituita Cabina di regia (art. 212) esaminare le proposte di modifiche normative nella materia disciplinata dal presente codice al fine di valutarne l’impatto sulla legislazione vigente, garantire omogeneità e certezza giuridica.

[1] SANTORO, Manuale dei contratti pubblici, Santarcangelo 1999, 394; ROEHRSSEN DI CAMMERATA, I contratti della pubblica amministrazione Bologna 1961, 265; MELE, I contratti delle pubbliche amministrazioni, Milano 1993, 209.

[2] SANTORO, I controlli sull’attività contrattuale della pubblica amministrazione, Milano 1992, 148. L’aggiudicazione era tradizionalmente considerata un accertamento costitutivo cui seguiva l’immediata proclamazione nella stessa seduta di gara (Cons. St. Sez. V, 22 maggio 1982 n. 419, in Foro amm., 1982, 1017 e e 21 febbraio 1987 n. 123, ivi 1987, 152) e perciò etra immediatamente impugnabile (Cons. St., Sez. IV, 20 febbraio 1987 n. 63, ivi 1987, 182 e Sez. V, 20 settembre 2001 n. 4976, ivi 2001, 2402). C. conti, Sez. contr. 14 aprile 1988, in Foro amm., 1989, 1255.

[3] F. STADERINI, S. ZAMBARDI e M. FRANCO; I contratti degli enti locali, Padova 1996, 82; A SHREIBER, I contratti dei comuni, Bergamo 1995, 276, Cons. St., Sez. V, 13 novembre 1973 n. 927, in Foro amm. 1973, 1057 e Sez, VI 30 ottobre 1981 n, 594, in Cons. St. 1981, I, 1118.

[4] Cons. St., Sez. IV, 12 settembre 2000 n. 4822, in Giur. it. 2001, 1056, Sez. V, 14 maggio 2003 n. 2586, in Foro amm. C.d.S. 1624 e Sez. V, 22 giugno 2004 n. 4365, ivi 2004, 1761. Si è oramai consolidato l’orientamento secondo cui: L’aggiudicazione provvisoria quale atto che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario della gara non costituisce provvedimento conclusivo del procedimento, facendo nascere in capo all’interessato solo una mera aspettativa alla definizione positiva del procedimento stesso. Pertanto detta aggiudicazione, al contrario di quella definitiva, è inidonea ad attribuire in modo stabile il bene della vita, e alla Stazione appaltante è quindi riconosciuta la possibilità di procedere alla sua revoca o al suo annullamento ovvero, ancora, di non procedere affatto all’aggiudicazione definitiva (Cons. St., sez. IV, 6 marzo 2015, n. 1142 e Sez. IV, 12 gennaio 2016 n. 67).

Sulla prassi formatasi dopo l’abolizione dei controlli dei Co.re.co., SANTORO, Manuale dei contratti pubblici, ed. 2005, 897.

[5] O SEPE, I contratti della pubblica amministrazione, in Enc. Dir., vol. IX, Milano 1961, 1007, secondo cui l’aggiudicazione si estrinseca in due fasi, una di accertamento e l’altra dichiarativa dell’aggiudicatario.

[6] Per un primo approccio critico, SANTORO, Aggiudicazione provvisoria e definitiva nel nuovo codice dei contratti pubblici, in Foro amm. C.d.S. 2006, n. 4, 1309; P. ed E. SANTORO, Trattato breve dei contratti pubblici, Santarcangelo 2007, 423.

[7] SANTORO, Dall’aggiudicazione provvisoria alla stipula del contratto: le criticità, nel segmento terminale del procedimento contrattuale, Relazione al Convegno di Bologna ottobre 2006. Sulla Gestione della gara dopo il codice; id. L’approvazione dell’aggiudicazione e del contratto nel nuovo codice dei contratti pubblici, in Riv. trim. app. 2006, 2, 23; id., Il ritorno dell’aggiudicazione provvisoria (atto secondo) Brevi considerazioni, in Riv. trim. app. 2006, 4, 841; id. Le fasi di formazione dei contratti pubblici: Nostalgie del principio gerarchico nel nuovo codice, in Riv. trim, app. 2007,1 , 153.

[8] Ci limitiamo a menzionare la bibliografia personale, che meglio ha affrontato la problematica, e di ciò si chiede venia, intendendosi richiamata la bibliografia generale di volta in volta indicata.

[9] SANTORO, Aggiudicazione provvisoria e definitiva nel nuovo codice dei contratti pubblici, cit., id L’aggiudicazione provvisoria: potenzialità lesiva ed immediatezza di tutela, in Riv. trim app. 2009, 618.: id., Il ricorso virtuale contro l’aggiudicazione provvisoria e la tutela differita, in Contr. Stato enti pubb., 2009, 2, 161; id., L’aggiudicazione provvisoria: croce e delizia di una tutela apparente, in Riv. giur. Molise Sannio 2009, 1, 90.

[10] Cass. 23 magio 1982 n. 3383, in Foro amm. 1981, 2255.

[11] SANTORO P. ed E., Nuovo manuale dei contratti pubblici, Santarcangelo 2011, 654.

[12] SANTORO, La nuova direttiva ricorsi 2007/66/UE e l’impatto con il sistema di giustizia nazionale, in Riv. trim. app. 2008, 676,

[13] Secondo la Corte comunitaria (CGE 11 gennaio 2005 C-26/3 (punto 38), in Foro amm. C.d.S. 2004, 3023) qualsiasi decisione adottata da un’amministrazione aggiudicatrice è soggetta al controllo giurisdizionale in modo efficace e rapido, sicché gli Stati non sono autorizzati a subordinare la possibilità di un ricorso al fatto che la procedura di affidamento abbia formalmente raggiunto una determinata fase; L’obiettivo della direttiva ricorsi è quello di garantire che le decisioni illegittime possano costituire l’oggetto di ricorsi efficaci e quanto più rapidi possibile (CGE 12 dicembre 2002 C-470/99 in Foro amm. 2002, 3099) e alla stessa garanzia di tutela risponde i termine dilatorio (stand still) che ragionevolmente deve decorrere tra la comunicazione della decisione di aggiudicazione e la stipula del contratto (CGE 3 aprile 2008 C-444/06, ivi 2008, 969,)

[14]Questione sollevata da Cons. St., Sez. VI, 8 maggio 2012 n. 2633 e risolta da Cons. St., A.P., 31 luglio 2012 n. 31, in Foro amm. 2012, 1816. SANTORO. P. I tempi dell’inefficacia delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, in Riv. trim. app. 2012, 661; id., L’aggiudicazione definitiva ad effetto differenziato e le aporie del codice dei contratti pubblici, in giustamm.it n. 12/2012; SAITTA, Gare pubbliche e doppie impugnative, facoltative e non, un quadro giurisprudenziale non sempre coerente, in Foro amm. C.d.S 20’12, 3165; ROMEO A., Effettività della tutela giurisdizionale e atto amministrativo: le occasioni mancate e le occasioni possibili, in www.Giust.amm. n. 10/2012; Bellagamba L., L’aggiudicazione definitiva nell’ordinamento degli enti locali: l’inutile formalismo di darsi una fase integrativa dell’efficacia, in Appalti e contratti, 2010, 3, 27; R. CARANTA, I contratti pubblici, Torino 2012, 506., D. MONTALTO, I controlli sugli atti e le procedure di affidamento, in I contratti pubblici, a cura di Nardocci e D’Ottavi, Santarcangelo 2012, 101.

[15] SANTORO P. ed E., Nuovo manuale dei contratti pubblici, cit., 683; RUGGERI, Codice dei contratti pubblici, Milano 2007, 165, Det. Aut. vigilanza 15 maggio 2009 n. 5.

[16] M. GRECO e A. MASSARI, Gli appalti pubblici dopo le recenti novità, Santarcangelo, 2013, 141.

[17] SANTORO, I fattori legali di rischio che favoriscono la corruzione negli appalti pubblici, in www.contabilita-pubblica.it 14 luglio 2014 e Boll. inf. ANAC.

[18] Cons. St., Sez. V, 22 novembre 1996 n. 1382, in Giur. it. 1997, III, 125; Cons. St., Sez. IV 19 agosto 1994 n. 651, in Foro amm., 1994, 17213 S3a z. V, 29 aprile 2000, b, 2557, ivi 2000, 1328. SANTORO P., Il sistema dell’appalto concorso ed il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: differenze ed adattamenti, in Contr. Stato enti pub. 1996, 46

[19] Tra le più recenti: Cass. 15 maggio 2015, n. 10020, in CED-Cass e 13 maggio 2009, n. 11135, in Giust. civ. 2009, 2112.

[20] Da ultimo in Nuovo manuale dei contratti pubblici, ed 2011, cit. 99, e Manuale di contabilità pubblica, Santarcangelo, 2015, 420.

[21] CGE 13 novembre 2007 C-507/03, in Foro amm. C.d.S. 2007. 2974, 21 febbraio 2008 C-412/04, ivi 2008, 306 e 16 aprile 2015 C-278/14, in www.appaltioecontratti.it.

[22] Art. 3 R.D. 11 aprile 1869 n. 5026, corrispondente all’art. 3 della vigente legge di contabilità R.D. 18 novembre 1923 n. 2440.

[23] Cons. St, Sez. VI, 13/12/2011, n. 6509, in Foro amm. C.d.S. 2011, 3764, sulle concessioni demaniali.

[24] Cass., S.U. 29 ottobre 1999 n. 754, in Giur. it 2000, 1288, C. Cost. 23 novembre 2007 n. 401 (punto 6.7)

[25]Cons. St., Sez. V, 4 marzo 2008 n. 889, in Foro amm. C.d.S. 2008, 823 e Sez. I, 28 agosto 2012 n. 4075, ivi, 2114.

[26] Cons. St., Sez.. V, 31 agosto 2015 n. 4036

[27] Cass. pen., Sez. II, 14 giugno2012, n. 26625, in Guida al diritto, 2012 , 42, 101.

[28] Cons. St., A.P., 1 agosto 2011 n. 16, in Foro amm. C.d.S., 232; nel parere del Consiglio di Stato sul precedente testo del codice dei contratti (A. g. 6 febbraio 2006 n. 355,m ivi 2006, 600), si che il testo rappresentava una codificazione di settore ma non di materia .

[29] Cass., S.U., 22 luglio 2013 n. 17782, in DeG luglio 2013.

[30] Cons. St., Sez. VI, 5 maggio 2003 n. 2332, in Foro amm. C.d.S. 2003, 1642. Cons. St., A.P., 13 novembre 2014 n. 16, in Foro amm. 2015, 2753, che sottolinea come la regola contabile in caso di discordanza di prezzo (art. 72 R.c.s.) il vantaggio per l’Amministrazione assurge a criterio dirimente mentre gli interessi degli operatori economici sono posti in un secondo piano

[31] SANTORO, La nozione di contabilità pubblica nella giurisprudenza costituzionale, in www.contabilita-pubblica.it, 10 gennaio 2015.

[32] In concreto il nuovo testo dispone (art. 217) l’abrogazione delle norme contabili sulle varianti contrattuali entro il quinto d’obbligo (art. 11 L.c.s e 120 R.c.s.); con l’abrogazione dell’intero testo del Reg. n. 2017/2010 è venuta peno l’impropria previsione (art. 10 comma 7), di una rendicontazione giudiziale da parte del Rup.

[33] L’art. 2 prevede: Le disposizioni contenute nel presente codice sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile, nonché nelle altre materie cui è riconducibile lo specifico contratto.

[34] Controllo preventivo legittimità Corte dei conti (art. 3, comma 1, lett. g, l: n. 20/2 1994), controllo di ragioneria (art- 1 D.lgs n- 123/2011) e visto esecutività responsabile servizio finanziario (art. 147 TUEL n. 267/2000)).

[35] SANTORO, I controlli sull’attività contrattuale della pubblica amministrazione, cit. 15

[36] Il d.lgs. 29 dicembre 2011 n. 228 in attuazione della delega contenuta nella legge di contabilità (art. 30) detta disposizioni materia di valutazione degli investimenti relativi ad opere pubbliche ed il coevo d.lgs. 29 dicembre 2011, n. 229, hanno definito le proce­dure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell’utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti.

[37] È prevista (art. 50 l.c.) l’adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di contabilità) sulla base, tra l’altro, del criterio del semplificazione e razionalizzazione dei procedimenti amministrativi contabili, al fine di assicurare il coordinamento con le vigenti disposizioni in materia di responsabilità dirigenziale.

[38] A. CAROSI e D. Di CARLO, I contratti della pubblica amministrazione, in I contratti con la pubblica amministrazione, a cura di Franchini, Torino 2007, 147; S. BUSCEMA, Trattato di contabilità pubblica, vol. I, Milano 1979, 441.; O. SEPE Contratti della pubblica amministrazione, cit., 986; A. BENNATI, Manuale di contabilità di Stato, Napoli, 1967, sottolinea che le norme di contabilità sui contratti sono intese a disciplinare la condotta dei funzionari pubblici che rappresentano lo Stato nel rapporto obbligatorio anche sotto il profilo dei controlli e delle responsabilità.

[39] SANTORO I contratti pubblici, Rimini 199 , 17, in cui si fa riferimento all’art. 6 L. n. 537/1993.

[40] Le procedure di aggiudicazione sono dei veri e propri procedimenti amministrativi, anzi rappresentano storicamente il paradigma dell’azione dell’amministrazione in forme procedimentalizzate (C. cost. n. 401/2007, cit.); allo stesso tempo la disciplina delle procedure di gara e in particolare la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei princípi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei princípi costituzionali di trasparenza e parità di trattamento (sentenza n. 401 del 2007). e sono dunque riconducibili all’àmbito della tutela della concorrenza di esclusiva competenza statale( sent. 345/2004 e 431/2007).

[41] Secondo il parere del Consiglio di stato appare logico ricondurre le linee guida (e gli atti a esse assimilati) dell’ANAC alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio ma atti amministrativi generali e, appunto, ‘di regolazione’, con valenza erga omnes, a differenza delle linee guida ministeriali qualificabili come atti di indirizzo a valore regolamentare.

 

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