Note sul crimen repetundarum: alle radici delle azioni recuperatorie collegate ad illeciti penali
di Paolo Luigi Rebecchi, Vice Procuratore Generale della Corte dei conti
Con la legge 27 maggio 2015 n. 69 – “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”, agli artt. 2, 4 e 6 sono state previste misure di riparazione pecuniaria connesse all’accertamento di reati contro la pubblica amministrazione. In particolare l’art. 2 modifica l’art. 165 del codice penale stabilisce che la sospensione condizionale della pena in caso di condanna per i casi di peculato (art. 314 c.p.), corruzione e concussione (artt. 317-318-319-319 ter-319 quater, 320 e 322 bis c.p.) è “comunque subordinata al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ovvero, nel caso di cui all’art. 319 ter (corruzione in atti giudiziari) , in favore dell’amministrazione della giustizia, fermo restando il diritto all’ulteriore risarcimento del danno”. L’art. 4 introduce nel codice penale il nuovo articolo 322-quater in materia di “riparazione pecuniaria” . Detto articolo prevede che nei casi di condanna per i reati di cui agli artt. 314,317,318, 319 e 319 ter-319 quater , 320 e 322 bis “è sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero , nel caso di cui all’art. 319 ter , all’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno”. Inoltre l’art. 6 integra l’art. 444 del codice di procedura penale, inserendo il comma 1- ter secondo il quale, nei procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione prima indicati l’ammissibilità della richiesta di applicazione di pena “è subordinata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato”[1].
Le nuove disposizioni rafforzano gli effetti delle condanne per i reati contro le pubbliche amministrazioni, inserendo dirette conseguenze pecuniarie commisurate al profitto dei reati commessi. Le diposizioni fanno comunque salvo il diritto al risarcimento del danno. Ciò evidenzia, la natura sanzionatoria degli obblighi restitutori statuiti nelle sentenze penali che vengono disposti dal giudice indipendentemente dalla costituzione di parte civile. Inoltre detti obblighi sono stabiliti in favore “dell’amministrazione di appartenenza del condannato” (e, nel caso di corruzione in atti giudiziari con una singolare specificazione, dell’amministrazione della giustizia), rimanendo impregiudicato il possibile ulteriore danno per le stesse o per altre, diverse, amministrazioni.
Ne consegue che le disposizioni anzidette non appaiono preclusive della giurisdizione contabile di responsabilità amministrativa, per la natura risarcitoria (e non sanzionatoria salvo ipotesi speciali) della stessa.
La natura risarcitoria della responsabilità erariale, ben distinta dalla responsabilità penale o comunque a carattere “punitivo”, è stata ribadita recentemente nell’ordinanza della Sezione regionale della Corte dei conti per la Campania del 7 marzo 2016 n. 63/16 (giudice Fava) in www.corteconti.it che ha ha dichiarato l’improcedibilità per difetto assoluto di giurisdizione di un ricorso ex art. 700 c.p.c. finalizzato all’adozione di ordini giurisdizionali ingiuntivi con funzione preventiva e propulsiva dell’azione amministrativa.
L’ordinanza ha richiamato i principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) di Strasburgo, con la sentenza emessa il 13 maggio 2014, sul ricorso (n. 20148/09) proposto da Cesare Luigi Rigolio contro lo Stato italiano e dalla Sezione Terza centrale di appello della Corte dei conti , nella sentenza n. 68/2015, depositata il 6 febbraio 2015 nonché dalle Sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale nella sentenza sent. n. 28/2015/QM del 18 giugno 2015.[2]
L’ordinanza Sez. Campania, n. 63/16 ha tra l’altro, richiamato anche il “crimen repetundarum” quale riferimento storico di una concezione sanzionatoria dell’azione di recupero del “maltolto” nei confronti degli autori di reati implicanti un danno per le finanze pubbliche[3].
Può essere allora di qualche interesse qualche osservazione circa tali riferimenti risalenti alle procedure vigenti in Roma antica.
Con “pecunias repetere” si può indicare l’attività giudiziaria con la quale in Roma antica si agiva in giudizio contro i funzionari pubblici rei di aver indebitamente ottenuto denaro o altri vantaggi in relazione alla loro carica.
Può qui richiamarsi una ricerca sulla corruzione politica nella Roma tardo repubblicana e imperiale [4] –[5]–[6] nella quale sono descritte le varie tipologie di corruzione dell’epoca e i cui capitoli sono intitolati: “Politica e affari: bustarelle, appalti e tangenti; “Associazioni paramafiose: clientela ed amicizia. I potentati elettorali”, “Corruzione elettorale e brogli”, “Corruzione della giustizia”, “Raccomandazioni”. In particolare con riferimento al settore degli appalti [7] viene riferito che “…come accade anche oggi e in tutti i tempi, le maggiori tangenti toccavano il campo degli appalti pubblici dove erano frequenti accordi fra magistrati e appaltatori per truccare le gare ed elevare il prezzo dell’asta…”. Si richiamano esempi con riguardo a lavori per la manutenzione dei templi, per la costruzione di acquedotti , per la realizzazione di strade. Prosegue osservando che “…il sistema degli appalti gonfiati o truccati continuò in età imperiale, anche se forse in misura inferiore grazie ai controlli disposti dagli imperatori. Frequente era il costume, comune ai nostri tempi, di richiedere un supplemento di spesa col pretesto che la somma concordata nel contratto di appalti era insufficiente al completamento dell’opera pubblica appaltata…”[8].
“Repetundae” (o “pecunia repetundae”) furono “…precisamente designate , a partire dall’ultimo secolo della repubblica, le somme ripetibili dagli ex magistrati (o dai loro figli) per gli illeciti patrimoniali durante la carica dagli stessi (o dai loro figli) conseguiti a danno dei popoli alleati di Roma o sottoposti al dominio romano…” [9] Lo stesso scontro fra classi sociali nella repubblica romana[10]– [11] nel periodo di Caio Sempronio Gracco[12] e successivo[13] riguardava , tra l’altro, proprio anche il controllo delle corti “de repetundae” (contese in particolare fra la classe senatoria e i nuovi “equites”)[14]. Il più noto di tali processi è quello che venne sostenuto da Cicerone[15] contro Verre, ex governatore della Sicilia.
Le leggi che regolarono l’istituto sono individuate nella “lex Calpurnia” (149 a.C.)[16], “lex Iunia” (dal 149 al 123 a.C.), “lex Sempronia repetundarum” (123 a.C. ) proposta da Caio Gracco, “lex Acilia” (111 a.C.) , leggi “Servilie” (101-100 a.C.) , “lex Cornelia” ( 81 a.C.), “lex Iulia” (59 a.C.) di Giulio Cesare[17].
Per estensione[18] “…il termine (repetundae) , senza altra aggiunta fu largamente usato ad indicare il crimen repetundarum e si trovano continuamente nelle fonti le locuzioni de pecuniis repetundis nomen deferre , lex de pecuniis repetundis , questio de pecuniis repetundis [19]e simili…(Cic.) . Il reato muta i suoi elementi e le sue caratteristiche con le diverse leggi e nelle diverse epoche. Approssimativamente si può affermare che si verifica crimen repetundarum ogniqualvolta, con qualsiasi mezzo, , un magistrato consegua illeciti profitti patrimoniali a danno di popolazioni alleate o sottoposte al dominio romano. La storia delle repetundae riveste importanza sotto diversi aspetti: a) dal punto di vista politico la repressione del crimen repetundarum costituisce valido strumento dei movimenti democratici nella lotta contro il monopolio aristocratico del potere; inoltre è il mezzo fondamentale per l’inserimento della classe equestre (cioè dei possessori di capitale mobiliare: industriali, banchieri, commercianti, appaltatori), nel governo dell’impero. Per circa un secolo e mezzo al centro della lotta politica romana è la contesa tra senatori e cavalieri (appoggiati quasi sempre dai movimenti democratici) per il possesso della corte giudicante del reato de repetundis. Nei confronti dell’impero le leges repetundarum costituiscono gli strumenti più efficienti per proteggere i sudditi dallo strapotere dei governatori romani; b) dal punto di vista strettamente costituzionale la corte repetundarum rappresentò per un certo periodo l’unico organo competente a giudicare sugli atti compiuti dai governatori romani durante la carica e in occasione della stessa. Fu quasi un supremo organo di controllo dell’operato dei magistrati in provincia e fu, come afferma Cicerone , la cittadella più o meno munita, a seconda dei tempi, delle popolazioni provinciali ; c) in ordine alla storia del processo criminale romano, l’istituzione della qaestio repetundarum segnò, secondo l’opinione comune facente capo al Mommsen, il passaggio dal processo penale comiziale (che si svolgeva dinanzi al comizio centuriato o, per le multe, dinanzi al comizio o concilio tributo) al processo dinanzi alle giurie popolari presiedute da speciali pretori, ossia a quello che fu l’ordo iudiciorum publicorum, cioè il processo penale delle questiones, che rimase in vigore come ordinamento processuale criminale ordinario per tutta l’epoca repubblicana; d) in ordine ai rapporti fra processo criminale e processo privato essendo le repetundae un reato a carattere patrimoniale ed essendo la pena commisurata ad un multiplo del valore del maltolto, corrisposta sia pure indirettamente (tramite gli organi dello Stato), alle parti lese, i giudizi repetundarum costituiscono quasi una linea di confine tra i due ordinamenti processuali. Tanto che da taluni (Klenz, Mommsen) si vide l’antecedente storico della questio in un procedimento recuperatorio di carattere privato (contra, Serrao, in Studi de Francisci, vol. II, pag. 485 e ss.); e) nell’epoca imperiale, affermatasi la cognitio extra ordinem , infine, il crimen repetundarum, grandemente trasformatosi rispetto alla sua configurazione dell’epoca repubblicana, fu, per le sue caratteristiche, uno dei crimina a proposito dei quali prima si distinse una persecuzione criminale (extra ordinem) ed una azione di risarcimento a carattere privato[20]: l’azione penale e l’azione civile della nostra attuale terminologia. Le repetundae, come altra volta ho scritto (Frammento leidense, 117) costituiscono, agli inizi del III secolo d.c. “”l’istituto guida attraverso il quale si cominciò ad affermare, pur con tutti i difetti che le condizioni sociali e politiche del tempo comportavano, una visione giuridica nuova del reato e del danno, della pena e del risarcimento, dell’azione penale (sempre pubblica) e dell’azione riparatoria del danno (sempre privata). E con ciò siamo ai precedenti storici dell’art. 185 del nostro codice penale…”.
La prima procedura[21] di cui si abbia notizia [22]“… fu adottata nel 171 a.C. quando una legazione delle province iberiche presentò al senato gravi doglianze per le spoliazioni subite ad opera di tre governatori senza scrupoli[23]. Il senato ordinò al pretore L. Canuleio al quale era stata assegnata la Spagna, di costituire per ciascuno degli accusati un collegio di cinque recuperatores, scelti fra i senatori, con il compito di accertare i fatti e di condannare i responsabili alla restituzione di quanto estorto. I provinciali non furono autorizzati a far valere personalmente le loro ragioni e dovettero farsi assistere da patroni romani. La causa fu aggiornata più volte, dopodiché uno degli imputati fu assolto e gli altri due si sottrassero al giudizio, andando in esilio in località vicine…”.
Per la prima volta[24] “…nella storia di Roma si ammetteva la possibilità che i provinciali agissero contro un ex magistrato per gli illeciti profitti conseguiti durante il suo imperium. Si affermava il principio che avrebbe costituito un grave precedente per gli sviluppi futuri ma contemporaneamente si prendevano precauzioni per limitare fortemente l’attuazione pratica della concessione: dall’ordine senatorio dovevano essere presi i giudici; sotto la diretta sorveglianza di grandi personaggi dello stesso ordine vennero poste le popolazioni danneggiate. I processi celebrati si chiusero quasi sempre con un nulla di fatto. Le altre accuse furono interrotte o evitate per opera comune dei patroni e del magistrato incaricato di impostare i processi. Era un provvedimento politico della classe dirigente. Ancora a processi straordinari del tipo di quelli del 171 a.C. si dovette ricorrere nel ventennio successivo quando i provinciali si rivolsero al Senato avanzando accuse contro ex governatori (Livio). In questo periodo, quindi, il Senato, quale supremo regolatore dell’ordinamento delle province e della politica estera, fu l’organo al quale i sudditi usarono presentare le loro lamentele contro il comportamento scorretto dei governatori. Ed il Senato, nella massima salvaguardia degli interessi della classe dirigente, con atti squisitamente politici, provvide all’istituzione di giudizi straordinari, che se pur organizzati facendo uso di strumenti propri del processo privato (come la datio recuperatorum) presentano caratteristiche nettamente originali che valgono a rendere indubbia la loro natura pubblicistica; i provinciali si rivolgono non al pretore peregrino ma al Senato, che incarica dell’organizzazione dei processi il pretore della provincia alla quale appartengono le parti lese; l’oggetto del processo (il petitum) è indicato come un pecunia repetere, ma la terminologia usata da Livio (per quello che può valere tale circostanza data la non contemporaneità dello storico ai fatti narrati) per indicare l’impostazione dei processi è tipica del processo penale accusatorio: la repetitio pecuniae è fatta publicae, cioè per conto di tutti i danneggiati della provincia; la figura dei patroni si inquadra nel vasto fenomeno della clientela e non della mera rappresentanza o difesa giudiziaria. Il primo assetto stabile del processo repetundarum fu dato da una lex Calpurnia [25]proposta dal tribuno della plebe L. Calpurnius Piso, nemico di C. Gracco nel 149 a.C.. Essa costituì un tribunale permanente composto da senatori e stabilì che i processi venissero introdotti mediante legis actio sacramento[26]. Siccome gli stranieri accusatori non potevano agere sacramento (dato che le legis actiones[27] erano mezzi processuali civilistici riservati ai cives) ne derivava che il processo potesse essere messo in moto solo da cittadini romani in veste di patroni. I provinciali danneggiati, in tal modo, si venivano a trovare sotto una tutela necessaria del Senato, nel cui arbitrio rimaneva la corte e il suo funzionamento. Né le cose dovettero , molto cambiare con una successiva lex Iunia, proposta dal tribuno della plebe M. Iunius Silanus nel periodo 140-123 a.C.. Infatti dalla lex Sempronia repetundarum epigrafica del 123 a.C. sappiamo che anche con la legge Iunia il procedimento veniva introdotto mediante legis actio sacramento e da diverse fonti si ricava che la corte rimase in mano ai senatori, ai quali fu sottratta solo da Caio Gracco. Mentre con le due leggi precedenti Calpurnia e Iunia, il problema degli illeciti profitti dei governatori provinciali era stato posto nei limiti dell’ideologia e degli interessi dell’aristocrazia senatoria, nel quadro di una visione nuova e riformatrice, sia per quanto riguarda la dialettica politica interna, sia per quanto attiene ai rapporti di Roma con le popolazioni provinciali, viene impostato dalla lex repetundarum di Caio Gracco dal 123 a.C.. Con tale legge è da identificare uno dei più importanti documenti epigraficamente pervenutici: la lex repetundarum tabulae Bembinae , di cui si conservano sette frammenti nel Museo Nazionale di Napoli, due nel Museo di antichità di Vienna e due (i cui originali in bronzo sono andati perduti), in antiche trascrizioni (Riccobono). Mentre non sorgono ormai seri dubbi sull’attribuzione della legge all’attività riformatrice di Caio Gracco, si discute se essa sia stata proposta da un Acilio[28], collega di Caio Gracco nel tribunato (del 123 o del 122 a.C. ?) o dallo stesso Caio e se quindi si identifichi con la lex Sempronia iudiciaria, che, in tal caso, non si sarebbe limitata alla formazione dell’albo dei giudici, ma avrebbe interamente ordinato quei processi per i quali la riforma della composizione delle giurie più premeva politicamente, ossia i iudicia repetundarum. Quest’ultima soluzione è stata difesa specialmente dal Fraccaro e dal Tibiletti e per parte mia ho esposto altrove (I Iudicia rep., in Studi romani ,2, 1954, 196 e ss.; 1955, 458 e ss.; Appunti sui patroni, in Studi de Francisci, 2, 1956, 480 e ss.) , i motivi e gli argomenti di fondo che mi inducono ad aderirvi. La legge epigrafica della tavola del Bembo sarà perciò in seguito designata come lex Sempronia (de iudiciis ) repetundarum. Ed ecco ora le disposizioni fondamentali della legge. Commettono reato i magistrati (dal dittatore al tribuno militare) o i semplici senatori per quel denaro che, al di sopra di un minimo stabilito dalla legge, essi abbiano sottratto (ablatum, captum) agli alleati o alle popolazioni provinciali o che gli stessi si siano fatti consegnare mediante intimidazione (coactum) o lusinghe (conciliatum) o, infine, che in danno degli stessi abbiano stornato dalla sua destinazione (avorsum) . Soggetti attivi del reato possono essere anche i figli dei magistrati o senatori per gli atti compiuti durante la carica del proprio genitore. Contro i magistrati non può essere promossa l’accusa durante la carica. La pena è stabilita nel doppio del valore di tutto ciò che è stato captum, coactum, ablatum, avorsum, conciliatumve. La legge stabilisce minutamente il modo di formazione della corte giudicante. All’inizio di ciascun anno, a cura del pretore incaricato di presiedere la corte, è compilato un albo di 450 giudici scelti nella classe dei cavalieri e che, a parte altri diversi requisiti, non siano né siano stati magistrati o senatori. L’accusatore sceglierà dall’albo 100 giudici fra i quali, a sua volta, l’accusato ne sceglierà 50 che (a parte incompatibilità particolari stabilite dalla legge) comporranno la corte giudicante presieduta dal praetor de repetundis, creato dalla legge stessa.Il pretore presidente della quaestio è autorizzato a nominare i patroni a colui il quale pecuniam petet nomemque detulerit (cioè al danneggiato accusatore) solo che questi lo voglia … il farsi assistere da patroni romani costituisce non più una necessità, come avveniva con la prassi inaugurata dal Senato nel 171 a.C. e con le leggi Calpurnia e Iunia, bensì solo una facoltà. Ciò, tra l’altro vale a dimostrare da un lato il riconoscimento della legge agli stranieri di essere accusatori in un giudizio pubblico (per di più contro ex magistrati), dall’altro la trasformazione dell’istituto dei patroni, i quali assumono la veste di non necessari assistenti giudiziari dei danneggiati. Nonostante il nuovo carattere del patrono (vi) è la facoltà dell’accusatore di ripudiarlo sei is moribus suspectus erit. Questi i principi fondamentali della legge che bastano a mostrare il suo carattere profondamente innovatore e dal lato politico e dal lato giuridico. La corte assumeva il carattere di supremo (ed unico) organo di controllo del governo delle province ed era posta direttamente nelle mani degli equites, [29]che erano venuti acquistando unità e coscienza di classe sin dalla fine del III secolo (come dimostra la lex Claudia del 218 a.C. sulla proibizione del commercio marittimo ai senatori) e che ormai ambivano a partecipare al governo dell’impero. E proprio attraverso il possesso della corte repetundarum si realizzava l’inserimento dei cavalieri, ossia degli uomini dell’alta finanza, nel governo dello Stato. L’avvenimento apparve già agli antichi in tutta la sua importanza politica, tanto da far loro dire che da quel momento lo Stato divenne bicipite, governato cioè non più solamente dall’ordine senatorio, ma da questo e dai cavalieri. La reazione senatoria non tarderà a farsi sentire e ben si comprende come il possesso della corte repetundarum diverrà uno dei massimi problemi della lotta politica dei 60 anni successivi. Naturalmente la rogazione della legge costituiva lo strumento per l’alleanza fra il movimento democratico e la classe equestre. Ma l’azione di Caio Gracco non si esauriva nella lotta senza quartiere all’aristocrazia senatoria; essa tendeva a creare finalmente un organo efficiente per la protezione delle popolazioni provinciali dalle angherie dei governatori; a tal fine mentre da una parte l’efficienza della corte veniva assicurata dall’assunzione sua a potente strumento della lotta politica interna, dall’altra parte tutta una serie di norme contenute nella legge( sull’incompatibilità dei giudici, sulla legittimazione attiva dei provinciali, sui patroni, sul comportamento del magistrato presidente della quaestio, sulla praevaricatio, sulla possibilità di agire una seconda volta de eadem re “de sanctione houisce legis”, sullo speciale procedimento di tipo privato, sulla continuazione del processo contro colui che è morto o è andato in esilio dopo la nominis delatio, tendeva a garantire i provinciali della sua reale applicazione. Molti indizi concorrono a far ritenere che la legge della tavola del Bembo nel 111 a. C….fu completamente sostituita da un’altra lex, che non potendo essere né la Servilia Caepionis , né la Servilia Glauciae, da assegnare invece, rispettivamente al 106 e al 100 (o al 101) a. C., deve essere identificata, per via di esclusione, con quella lex Acilia[30] (che, per noi, come si è detto non è la lex tabulae Bembinae) di cui parla Cicerone, in due luoghi delle Verrine, da identificare, probabilmente, ….con la lex repetundarum fragmenti Tarentini. Infatti nel frammento conservatoci nella tavola di bronzo di Taranto, gli stranieri danneggiati sono considerati accusatori in senso tecnico e in loro favore, per il caso di accusa condotta con successo, sono stabiliti vari premi, fra cui la concessione della cittadinanza romana. Poiché è estremamente probabile che con la legge filosenatoria di Cepione l’accusa fu riservata ai cittadini romani ed è sicuro che dalla legge antisenatoria di Glaucia furono ammessi ad accusare solo romani o latini (e non tutti gli stranieri) ne deriva che la lex fr. Tarentini non può essere identificata né con la legge di Glaucia né con la legge di Cepione, bensì solamente con la lex Acilia, che nel 111 dovette sostituire la lex Sempronia riprendendo la gran parte della legge graccana e fra esse le disposizioni sui premi agli accusatori…Un’altra circostanza dimostra come la lex Acilia si poneva nello stesso ordine di idee della legge di Caio Gracco. Da uno dei citati luoghi delle Verrine…risulta che la legge Acilia non ammetteva la comperendinatio (cioè la necessità di due convocazioni della corte con un giorno di intervallo) e ammetteva solo un’amplatio (cioè la possibilità di aggiornare il processo se i giudici avessero dichiarato “non liquet”), limitata (forse ad un aggiornamento) e comunque riprovata dall’opinione pubblica…o addirittura negava completamente l’amplatio…Ora la limitazione dell’amplatio è stabilita nella legge del 123 a.C., che anzi commina una multa ai giudici i quali, più di due volte abbiano negato di giudicare. Se a queste osservazioni aggiungiamo che la legge doveva essere giurata dai magistrati …abbiamo tutto un complesso di circostanze che, mentre valgono a giustificare l’affermazione ciceroniana sull’efficacia e severità della legge stessa (nelle Verrine) …dimostrano il suo carattere antisenatorio. Ma la reazione senatoria alla legge Sempronia e alla legge Acilia si fece sentire ad opera del console Q.Servilius Caepio che nel 106 propose e fece passare una legge con la quale la corte giudicante della questio de repetundis venne, secondo alcune fonti (Cassiodoro…)parzialmente, interamente secondo altre (Tacito…) restituita ai senatori. Con molta probabilità la legge di Cepione attribuì per la prima volta il potere di accusare a un cittadino romano (in rappresentanza della collettività) invece che ai provinciali danneggiati …Anche secondo quest’ultimo aspetto quindi essa seguì la linea opposta alla legislazione democratica precedente (leges Sempronia ed Acilia). Certo la legge dovette avere il significato di un potente strumento politico nella mani della nobilitas, tanto da far meritare al suo autore il titolo di senatus patronus. Dopo qualche anno la riscossa vittoriosa dei cavalieri, segnata dalla legge di Servilio Glaucia, proposta dal famoso capo popolare durante il suo tribunato (101 a.C.) o durante la sua pretura (100 a.C.). Tale legge, che Cicerone chiama acerbissima, riprendeva i tradizionali principi della politica popolare in materia di repetundae ed in particolare sappiamo che: a) ritrasferiva le giurie ai cavalieri…; b) introduceva la comprendinatio, cioè la divisione obbligatoria del processo in due fasi (actio prima e secunda) mentre la legge di Cepione aveva forse ripristinato, reagendo alla precedente lex Acilia, l’amplatio illimitata; c) legittimava all’accusa i cittadini romani (in rappresentanza della collettività, quali patroni) e i latini, ai quali ultimi prometteva in premio la cittadinanza romana in caso di accusa vittoriosa…Ciò dovette costituire un parziale ritorno alle leggi Acilia e Sempronia e invece una parziale reazione alla lex Servilia Caepionis che,per prima, aveva dovuto limitare il potere di accusa ai cittadini romani; e) forse inaspriva le pene e prevedeva diverse conseguenze penali della condanna…; f) probabilmente…faceva obbligo ai magistrati di giurare la legge. Avvolte nel mistero rimangono le due leggi iudiciarie successive: la Livia del 91 e la Plautia dell’89. La prima, con la quale Druso avrebbe totalmente…o secondo quanto sembra più probabile parzialmente…restituito le giurie ai senatori, non sappiamo con precisione se fu approvata o se rimase allo stato di semplice progetto….La seconda, proposta dal tribuno M. Plautius Silvanus, in base alla quale sarebbero state formate per la prima volta giurie miste di senatori e cavalieri (Asconio, Clark), non è possibile dire se riguardava tutte le quaestiones o solo quelle ex lege Varia. Comunque è certo che le due riforme, se la prima intervenne e se la seconda riguardò anche la questio repetundarum, ebbero vita molto breve ed il problema di una nuova legge riformatrice della precedente legislazione democratica, verrà affrontato da Silla[31], nel quadro della sua politica di restaurazione senatoria (Cic.). Egli , nell’81 a.C. presenta e fa approvare una legge repetundarum, forse assieme ad una legge iudiciaria generale, della quale il testo non ci è pervenuto, ma i cui principi fondamentali è possibile ricostruire specialmente tenendo presenti le numerose e talvolta ricchissime (come per il processo di Verre) notizie pervenuteci intorno ai processi celebratisi durante la sua applicazione. La misura più importante di Silla era costituita dal trasferimento delle giurie dai cavalieri ai senatori, ma lo stato delle fonti, non permette di stabilire con sicurezza se ciò avvenne con una lex meramente iudiciaria o con la stessa lex repetundarum. Per tutto il resto si può affermare con certezza quanto segue:a) il trasferimento della legittimazione all’accusa dagli interessati ad ogni cittadino romano (salva la necessità di divinatio nel caso di più pretendenti), risultante probabilmente dalla lex Servilia Caepionis e parzialmente mantenuto dalla Servilia Glauciae (la quale legittimava anche i latini) si realizza pienamente sotto il regime della legge Cornelia; è mantenuto il sistema della comperendinatio, introdotto dalla Glaucia; la pena, stabilita nel duplum della pecunia capta, dalla legge di Caio Gracco e tale mantenuta dalle leggi intermedie, viene ridotta al simplum. La contraria opinione di coloro i quali ritengono invece che la legge Cornelia avrebbe invece stabilito la pena di due volte e mezzo la pecunia capta poggia soltanto su un’errata interpretazione dei passi ciceroniani…; d) è mantenuto ancora il principio, risalente alla legge Servilia Glauciae ( e che verrà ripreso dalla legge Iulia) per cui è possibile “persequi ab eis ad quos ea pecunia quam is ceperit quam damnatus sit pervenerit”. Ma la quaestio in mano ai senatori rimase per poco più di dieci anni. Infatti nel 70 a.C. una legge presentata dal pretore L. Aurelio Cotta chiamava a far parte delle giurie, in parti uguali , senatori, cavalieri e tribuni aerarii…Ove si noti che la differenza sociale tra la seconda e le terza categoria era minima si può concludere che praticamente , con la legge Aurelia il predominio della composizione della corte giudicante tornava agli equites. Per tutto il resto rimaneva invece in vigore le lex Cornelia. Essa fu sostituita solo nel 59 a.C. dalla lex Iulia di Cesare[32]. Il testo della lex Iulia non ci è pervenuto direttamente ma sappiamo che era molto ampio come è dimostrato: da diverse disposizioni di dettaglio a noi trasmesse , che si spiegano solo nel quadro di una legge vasta e minuziosa; da una lettera di Celio a Cicerone…da cui risulta che comprendeva almeno 101 capitoli…; dalla circostanza che alla lex Iulia repetundarum la giurisprudenza imperiale e finanche la prassi del basso impero riportò sempre tutte le disposizioni (in qualsiasi tempo stabilite) in materia di repetundae e gli stessi compilatori giustinianei intitolarono il breve tit. 9 del lib. 48 del Digesto “De lege Iulia repetundarum” e il tit. 27 del lib. 9 del Codice “Ad legem Iulia repetundarum”, anche se in quest’ultimo sono riportate solo costituzioni del basso impero (la più antica è del 382 d.C.), Data questa situazione e data l’abitudine presa da giuristi e legislatori di riportare apparentemente tutte le norme sulla materia alla lex Iulia, per quelle di esse, che non si appalesano sicuramente prodotto dell’età imperiale , riesce spesso difficile stabilire la loro risalenza alla legge di Cesare o all’epoca successiva. Notizie più ricche (ma da interpretare sempre con cautela) sono fornite dal Paolo leidense ( v…frammento leidense)…, ma le informazioni più ampie e più precise si ricavano… dagli scritti non giuridici e specialmente da Cicerone. In ordine alle disposizioni fondamentali della legge e agli istituti giuridici vigenti e dalla stessa legge accolti sono da fare le seguenti osservazioni: a) le norme della legge, secondo quanto afferma Cicerone, non erano applicabili all’ordine equestre…ma non è possibile dire in qual senso tale principio venisse inteso e quali limiti incontrasse. Certo sembra incredibile che almeno alcune disposizioni …non fossero applicabili anche agli equites; b) la cerchia delle persone punibili si allarga considerevolmente rispetto alla legislazione precedente comprendendovi non solo i titolari di qualsiasi pubblico ufficio, e le persone facenti parte del loro seguito, ob pecuniam captas, ma, ad es. anche il semplice senatore o qualsiasi cittadino il quale avesse ricevuto denaro ob sententiam in senatu consiliove publico dicendum, o chiunque avesse ricevuto denari ob rem iudicandun ob accusandum vel non accusandum, ob denuntiandum, vel non denuntiandum testimonium; c) l’elemento materiale del reato è sempre costituito, in linea generale, dagli illeciti profitti patrimoniali (pecunia capta) conseguiti durante l’esercizio delle pubbliche funzioni o attività sopra indicate (b). Però questo solo in linea di massima in quanto la legge doveva prevedere tutta una serie di fattispecie che non potevano consistere nel capere, accipere, auferre o conciliare pecuniam, ma per le quali pur doveva contemplare delle pene. Di tale genere erano ad es. e infrazioni ai divieti di cui alle seguenti lettere d, e,f. ; d) riferendosi in parte a disposizioni precedenti (lex Claudia) si fa divieto ai senatori di assumere pubblici appalti e di esercitare il commercio marittimo…Quale fosse la pena …non è possibile dire; e) i governatori sono obbligati a depositare due copie dei loro conti in due diverse città della provincia e di presentarne una terza all’aerarium (Cic.); f) altri obblighi e diversi divieti sono stabiliti per i governatori. Così ad es. al governatore è fatto divieto di uscire dalla provincia, di condurre la guerra di propria iniziativa, di congedare il proprio legato prima che egli stesso abbia lasciato la provincia (Cic.); g) la pena è, con ogni probabilità, mantenuta nella misura fissata dalla lex Cornelia, cioè nel simplum. Questa intuizione del Mommsen…trova oggi due importanti elementi di prova: nel SC Calvisiano …il quale innovando solo dal lato processuale , ribadisce che i giudici condannino l’accusato a pagare una somma equivalente alla pecunia ablata…e nel Pauli Sent. Fr. Leid. dove la condanna prevista dalla lex Iulia è presentata come repetitio dati (Framm. Leid.cit.) Inaccettabile è l’opinione di coloro che pensano ad una pena del quadruplo: infatti questa appare in tarde costituzioni imperiali, che nulla provano per la legge di Cesare. Naturalmente chi crede che la pena della lex Cornelia equivalesse ad una somma due volte e mezzo la pecunia capta…si trova poi impacciato nell’ammettere che la legge di Cesare abbia previsto la pena del simplum; è invero inconcepibile che la severa lex Iulia non solo non avrebbe manutenuta, ma avrebbe addirittura più che dimezzata la pena prevista dalla legge di Silla. In definitiva il sistema delle pene avrebbe avuto fino a Cesare, il seguente sviluppo. Con i processi straordinari dal 171 a.c. in poi e con le leggi Calpurnia e Iunia la pena equivaleva al simplum. Con C. Gracco la pena è elevata al duplum e tale misura è mantenuta nella successiva legislazione democratica (leges Acilia e Servilia Glauciae) nonché nella stessa legge di Cepione. Silla riporta la pena al simplum, reagendo alla precedente legislazione popolare. Cesare, pur riordinando tutta la materia in una severissima legge con la quale estende il concetto stesso di repetundae, ed il campo delle fattispecie punibili, mantiene la pena del simplum, già stabilita dalla legge Cornelia. Tutto questo discorso, naturalmente, vale per le fattispecie tipiche e tradizionali di repetundae, il cui elemento materiale consiste nella pecunia ablata, capta, coacta, conciliata aversave (secondo la terminologia della legge del 123 a.c.) ; ma il problema rimane aperto per tutte le diverse nuove fattispecie previste dalla lex Iulia. In particolare nulla sappiamo sulle statuizioni della legge per il caso di contravvenzione agli obblighi e divieti previsti numerosi dalla stessa (lett. d-e-f). Certo in tali casi, ove una pena fosse prevista (perché non possiamo escludere che talvolta di trattasse di norme imperfectae) non poteva che trattarsi di una pena patrimoniale fissa o addirittura sanzioni non patrimoniali; h) chi è stato condannato de repetundis non può far da testimonio né essere giudice…; i) il processo, nelle sue grandi linee, si svolge secondo lo schema stabilito dalla legge Cornelia. Le nuove disposizioni introdotte dalla legge di Cesare riguardano il numero dei testimoni, i termini per la presentazione delle prove, la durata dei discorsi, dell’accusa e della difesa…L’accusa è promossa da cittadini romani, i provinciali danneggiati vengono presentati come semplici testimoni…Per quanto riguarda la formazione delle giurie la legge del 59 a.c. nulla innovò rispetto alla lex Aurelia del 70 a.c. che rimase pienamente in vigore….. . Esclusivamente processuali furono le innovazioni introdotte con il S.C Calvisiano del 4 a.c., a noi pervenute nel V editto di Augusto Ad Cyrenenses, con il quale veniva ordinata la pubblicazione del S.C.in tutte le province. Al fine di snellire la procedura il S.C. stabilisce che i socii, i quali vogliano accusare de repetundis si rivolgano al magistrato che li introdurrà in Senato, dinanzi al quale parlerà per loro un patrono. Indi, sempre che non vi siano accuse capitali sarà composto (mediante estrazione a sorte di nove nomi e reiectio di quattro) un collegio di cinque senatori cui è deferita la cognizione del reato. I provinciali dinanzi ai giudici esercitano l’accusa senza bisogno di assistenza di un patrono…I giudici dovranno emettere la loro sentenza entro trenta giorni. La condanna è nell’equivalente della pecunia capta, cioè quella della legge Iulia, che rimane in vigore. In seguito, con l’affermarsi del processo consolare-senatorio, si affermerà la prassi di far pronunciare la sentenza direttamente dal Senato e di rinviare ad un ristretto collegio di recuperatores per la litis aestimatio . Il crimen repetundarum era stato il reato tipico della classe politica repubblicana nell’età della grande espansione imperialistica (dalla metà del III secolo a.C. in avanti). Intorno alla sua configurazione, ai modi della sua repressione, alla formazione della corte chiamata a conoscerne e a giudicarne si era svolta una parte importante della lotta politica repubblicana degli ultimi due secoli. Col decadere della classe politica repubblicana, con il trasformarsi dei rapporti fra le classi superiori, col sorgere e consolidarsi del principato anche la configurazione e la concezione stessa del crimen repetundarum era destinata a trasformarsi profondamente sino a perdere del tutto le sue antiche caratteristiche. Inoltre pure la progressiva trasformazione del rapporto fra Roma e le province era destinata ad influire profondamente sulla concezione del iudicium de repetundis, che con la constitutio Antoniniana[33] perdeva definitivamente il suo carattere “sociale” che durante la repubblica aveva fatto della corte repetundarum il “tribunale dell’impero” in cui erano riposte tutte le speranze di difesa dei sudditi provinciali (socii). E la trasformazione fu profonda ed operante in vari sensi. Innanzitutto il concetto stesso di repetundae, subendo una trasformazione inversa a quella avuta in epoca repubblicana, si va restringendo ed alcune fattispecie già in esso comprese vengono qualificate a parte: tanto si verifica, ad es. per le esazioni e le prestazioni imposte con abuso di potere, le quali vengono considerate come concussio e punite extra ordinem…Le antiche forme processuali scompaiono e cedono il posto alla cognitio extra ordinem[34]. Alla pena fissa legale si sostituisce la pena variabile secondo il libero apprezzamento del giudicante…Nell’antica pena patrimoniale in simplum si ravvisa una funzione di risarcimento (cui in pratica, invero, aveva adempiuto) ed essa viene confusa con l’oggetto di un’azione privata reipersecutoria, che si affianca alla repressione extra ordinem e con essa concorre. Di tali concezioni è espressione il frammento delle Sententiae paoline di Leiden…dove l’azione di ripetizione è riportata alla lex Iulia perché la restituzione dell’equivalente del maltolto, coincide, in quanto alla misura, con la pena del simplum stabilita da quella legge, mentre il iudicium publicum ex lege Iulia è escluso perché sostituito dalla repressione straordinaria…E l’azione di ripetizione, dato il suo carattere reipersecutorio, è esperibile contro gli eredi…Si afferma a questo proposito nell’età dei Severi, una netta distinzione dogmatica fra pena e risarcimento del danno. Tale distinzione, che in campo processuale porterà alla differenza fra un criminaliter ed un civiliter agere, non scomparirà più, anche se per talune fattispecie di repetundae, da costituzioni del IV secolo[35] …e dallo stesso Giustiniano (nella Novella VIII) si trova stabilita la restituzione in quadruplo oltre a pene corporali varie, supplizi, esilio, confisca”.
Si può ora riassumere come il processo per “pecunias repetere” consistesse, in epoca repubblicana, in un ‘ azione “pubblica” diretta ad ottenere un risarcimento pecuniario nei confronti dei pubblici funzionari. Ne deriva che proprio in detta azione si potrebbe trovare l’antecedente storico[36] dell’azione di responsabilità erariale oggi in vigore in Italia, ma non solo , in quanto, come evidenziato in un recente seminario[37], tale tipologia di azione trova analoghe forme organizzative anche nei Paesi dell’area “latina” [38]–[39].
[1] La legge n. 69/2015 prevede inoltre un incremento delle sanzioni per i reati contro la p.a., e per il reato di associazione mafiosa, l’inserimento, nell’art. 129 comma 3 delle disposizioni di attuazione del c.p.p. dell’obbligo, per il pubblico ministero che esercita l’azione penale per reato contro la p.a. di informare l’autorità nazionale anticorruzione, la introduzione di modifiche della legge n.190/2012 in tema di comunicazioni alla stessa autorità con inoltre una specifica previsione di obblighi informativi a carico del giudice amministrativo quando, nel corso dei giudizi di cui al comma 1, lett. e) dell’art. 133 del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2 luglio 2010) venga a conoscenza di “condotte o atti contrastanti con le regole di trasparenza”, modifiche al codice civile in tema di reati di falso in bilancio (artt. 2621, 2621 bis, 2622) e di responsabilità amministrativa degli enti (art. 25 ter del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231).
[2] In argomento si rinvia a “Osservazioni in tema di giurisprudenza CEDU, ne bis in idem e natura della responsabilità amministrativa”, in www.contabilita-pubblica.it , 2015.
[3] Per richiami sul tema generale della corruzione nelle pubbliche amministrazioni cfr. R. CANTONE, Operazione Penelope. Perché la lotta alla criminalità organizzata e al malaffare rischia di non finire mai., Milano, 2012, pag. 104-“Pubblica corruzione: le mani sull’amministrazione dello Stato”; L. RADZINOVICZ, Ideologia e criminalità. Uno studio del delitto nel suo contesto storico e sociale, Milano, 1968; G. CAROFIGLIO, Il gioco facile del corruttore, in La Repubblica, 20 dicembre 2014, pag 36; M. LUDOVICO, Il governo prepara il DASPO, in Il sole 24 ore, 7 giugno 2014, pag. 8; F. GRIGNETTI, Corruzione, il piano del governo, in La Stampa, 8 giugno 2014; G. CAROFIGLIO, La regola dell’equilibrio, Torino, Einaudi, 2014, pag. 245; H. SUTHERLAND, “I crimini dei colletti bianchi. La versione integrale”, Milano, 1987; G. GARRONE, L’Italia corrotta- 1895-1996, Roma, 1996; C. A. BRIOSCHI, Breve storia della corruzione, Milano, 2004; L. HINNA-M. MARCANTONI, Corruzione-La tassa più iniqua, Roma, Donzelli, 2013. In particolare pagg. 51 -58. Gli autori pur evidenziando varie criticità sulle modalità di calcolo non giungono ad una propria stima e concludono sul punto (pag.57) invocando nuove specifiche ricerche in quanto “…se non misuriamo la corruzione essa non potrà che peggiorare…”; L. GRASSIA, La corruzione allontana gli stranieri. In sei anni -58% gli investimenti, in La Stampa, 8 giugno 2014, pag.2; G. PIGNATONE-M. PRESTIPINO, Piccolo glossario delle mafie tratto dai documenti ufficiali di Cosa nostra e della N’drangheta, in Foro it., 2013, V, 290 e ss.
[4] L. PERELLI, La corruzione politica nell’antica Roma, Milano, 1994. Ancora, per i richiami storici cfr. P. MARTUCCI, La criminalità economica, Bari, 2006, pag 25 “…La stessa storia romana testimonia in maniera inequivocabile la presenza di una “”delinquenza”” specifica costituita essenzialmente da molteplici forme di abuso fraudolento degli strumenti economici, posti in essere da professionisti della finanza e membri delle classi agiate. Fra questi, la classe accentratrice delle attività finanziarie era quella dei publicani, rilevatori dei grandi lavori, delle gabelle e in genere delle imprese governative (publica) la cui potenza si affermò con la formazione di grandi società, accentrate nella capitale, le quali, oltre che socii propriamente detti, comprendevano i participes o affines conductionis, che si dividevano le partes, azioni aventi un corso variabile secondo gli avvenimenti del giorno e sulle quali si stabilì ben presto il gioco al rialzo al ribasso. Al fianco dei publicani crescevano in ricchezza e potenza i banchieri, speculatori privati sul cambio delle monete, prestatori di denaro a usura, intermediari del credito da Roma alle Province…”. V. anche M. NARDUCCI, Processi ai politici nella Roma antica, Bari, Laterza, 1995, il quale, tra l’altro, espone una severa critica all’introduzione del testo di Perelli, osservando che (pagg. 88 e ss.) “un latinista di robusta competenza” , “non ha saputo resistere alla tentazione di avventurarsi sul rischioso terreno dei paralleli e delle divergenze storiche, in un’introduzione che lascia di stucco. Vi si legge che “”la corruzione della vita politica e dell’amministrazione pubblica in Roma antica aveva dimensioni estremamente superiori a quelle attuali””. Per misurare il “” tasso di corruzione”” di due società così lontane nel tempo e nelle istituzioni politico-sociali, Perelli, fa uso di parametri noti a lui solo, e il cui segreto caparbiamente custodisce. Si tratterà della quantità delle persone sottoposte a procedimento rispetto alla popolazione complessiva? O dell’entità delle cifre sottratte? (Ma si dovrebbe fissare il “”cambio”” della moneta romana in lire italiane, e raffrontare i doversi poteri di acquisto nelle diverse epoche; e il tutto andrebbe rapportato alle diverse dimensioni dello sviluppo economico)….”
[5] L. FASCIONE, Manuale di diritto pubblico romano, Torino, 2013.
[6] A. H. M. JONES, Augusto. Vita di un imperatore, Milano, 1970, pagg. 159 e ss.
[7] L. PERELLI, op. cit., pag. 195 e ss.
[8] G.VALDITARA, Riflessioni sulla pena nella Roma repubblicana, Torino,2015 e, dello stesso A., Lo Stato nell’antica Roma, Rubettino, 2008..
[9] F. SERRAO, Classi , partiti e legge nella repubblica romana, Pisa, 1980 , pagg. 207.
[10] Ma un problema lo ebbe anche uno dei primi grandi personaggi di Roma antica. Infatti il “dittatore” Furio Camillo subì, nel 394 a.C. un processo per peculato con riguardo all’appropriazione di una parte del bottino di Veio-cfr. A. FREDIANI, I grandi generali di Roma antica, Roma, Newton & Compton, 2003, pag.22. Un altro famoso processo per peculato riguardo’ G. Pompeo, che , subito dopo la morte del padre Pompeo Strabone, subì, poco più ventenne, un’accusa di sottrazione di pecunia publica che riguardava il padre, con il figlio chiamato a risponderne in qualità di erede, e riguardante la sottrazione di una parte del bottino derivante dalla presa della città di Ascoli. Cfr. al riguardo F. GNOLI, Ricerche sul crimen peculatus, Milano 1979, pp. 80 e ss..(Pompeo, alla fine, fu assolto, ivi, pag. 89).
[11] G. ALFOLDY, Storia sociale dell’antica Roma, Wiesbaden 1975, Ed. italiana, Bologna 1985,
[12] L. PERELLI, I Gracchi, Milano, 1993, p. 197.
[13] G. ANTONELLI, Gaio Mario, Milano, 1999, p. 30.
[14] A. GUARINO, Studi di diritto costituzionale romano-La vicenda graccana, Napoli 2008, pag. 80 “…La grande novità della lex Sempronia judiciaria, a quanto solitamente si insegna, fu di assegnare esclusivamente al ceto dei cavalieri la partecipazione alle giurie delle quaestiones repetendarum, cioè dei processi speciali (speciali, non extra ordinem) indetti contro i magistrati provinciali accusati di concussione (crimen repetundarum):processi che facevano ormai parte dell’ ordo iudiciorum publicorum essendo stati introdotti in esso da una Lex Calpurnia de repetundis del 149 . Mentre una parallela Lex Acilia de repetundis proposta alla plebe dal suo collega in tribunato Manlio Acilio Glabrione provvedeva a riordinare la procedura, Caio Gracco ottenne, con la lex iudiciaria, che dalle giurie fossero esclusi i senatori, essendo questi troppo interessati all’amministrazione delle province. Fu per tale modo che le giurie, già precedentemente assegnate ai soli membri delle 18 centurie degli equites ed ai membri più ricchi delle centurie dei pedites della prima classe dei comizi centuriati, detti anch’essi equites a titolo di estensione, vennero ristrette a coloro, tra gli equites veri e propri e gli equites assimilati, che non fossero membri della nobilitas senatoria, sì che si trasferì anche sul piano giuridico costituzionale la distinzione ormai socialmente affermatissima, tra nobiltà senatoria e plutocrazia non senatoria , tra quelli che sarebbero stati poi denominati l’ordo senatorius e l’ordo equester. Istanza fondamentalmente giusta, quella della lex Sempronia iudiciaria, se non fosse per il rovescio della medaglia. Da giudici di se stessi i senatori passarono a trovarsi letteralmente in balìa dei membri dell’ordo equester e dei loro ricatti, intesi a scambiare le sentenze di assoluzione con forti ribassi del corrispettivo da pagare per gli appalti. Gli “equestri”, che dalla vita politica erano praticamente esclusi e che ad essa avevano, del resto poco interesse a partecipare in prima persona, furono avviati a diventare i dominatori indiretti e abbastanza ben mascherati, delle sorti politiche della repubblica…”.
[15] P. GRIMAL, Cicerone, Milano, 1986, pagg. 90 e ss.
[16] E. NARDUCCI, op. cit. , pagg. 13 e ss.
[17] P. CERAMI, Aspetti e problemi di diritto finanziario romano, Torino, 1997.
[18] F. SERRAO,”Repetundae”, N.ss. Dig. It., , Torino, 1957, vol. XV, pagg. 454 e ss.
[19] M. TALAMANCA, Lineamenti di storia del diritto romano, Milano, 1979, pp. 304 e ss. “…L’istituzione di corti di giustizia straordinarie fu il mezzo attraverso il quale si poté di volta in volta sopperire, nel corso del II secolo alla farraginosa e sempre più inadeguata procedura degli iudicia populi: ma appariva ormai evidente che solo attraverso la creazione di corti permanenti, alle quali fosse istituzionalmente deferita la cognizione di intere categorie di crimini già appartenenti alla competenza giudiziaria delle assemblee, avrebbe potuto essere soddisfatta l’esigenza della totale eliminazione della funzione giudiziaria popolare. Le repressioni di carattere straordinario vennero così progressivamente cedendo il posto a tribunali stabili (quaestiones perpetuae) istituiti per legge e presieduti da un magistrato o da un ex magistrato, che dovevano in un primo tempo limitare, poi assorbire l’antico processo dinanzi ai comizi e diventare infine l’organo ordinario della repressione criminale dell’ultima età repubblicana e dei tempi dell’impero. Il movimento di riforma che doveva condurre all’instaurazione del sistema delle quaestiones perpetuae prese le mosse dalla repressione delle repetundae…”.
[20] Per i diversi profili della responsabilità “civile” cfr. M. F. CURSI, Iniuria cum damno. Antigiuridicità e colpevolezza nell’illecito aquiliano, Milano, 2002.
[21] B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale nell’antica Roma, Milano, 1998, pag. 104 “…Per la persecuzione di tali abusi non esisteva in origine una via legale ben definita. Le vittime non avevano altra possibilità che quella di invocare (spesso infruttuosamente) l’intervento del senato o di rimettersi all’iniziativa dei tribuni della plebe (cita , tra gli altri VENTURINI, Per un riesame dell’esperienza giuridica romana in materia di illecito arricchimento dei titolari di funzioni pubbliche, in Panorami, 4, 1992, 354 e ss.). In genere i tribuni promuovevano l’istituzione di una quaestio extra ordinem da parte delle assemblee tribute. Così per esempio, nel 172 a.C. sulla base di un plebiscito fatto valere dai tribuni M. Marcio Sermone e Q. Marcio Scilla, fu istituita una questio straordinaria per giudicare l’ex console M. Pompilio Lenate, che aveva ingiustamente attaccato e ridotto in servitù la tribù ligure degli Statelli…Altre volte la persecuzione era attuata attraverso un iudicium populi (eventualmente precededuto da un’inchiesta senatoria) . Così ad esempio, nel 204 a.C. in seguito alle lagnanze dei Locresi per le vessazioni subite da Q.Pleminio legato di Scipione, il senato nominò una commissione d’inchiesta presieduta da un pretore, le cui conclusioni diedero adito a un processo intentato dinanzi al popolo sull’accusa dei tribuni…Similmente mel 170 a.C. i tribuni C. Aufidio e Manio Giuvenzio Talna citarono davati all’assemblea tributa, ottenendone la condanna, l’ex pretore C. Lucrezio Gallo, reo di malversazioni a danno dei Calcidiesi …Non sembra invece esservi stato alcun processo a carico del console C.Cassio Longino per i soprusi compiuti nel 171 a.C. nei confronti di alcune popolazioni galliche…”
[22] B. SANTALUCIA, op. cit. pag. 106 che osserva come “…La procedura adottata è indicativa dell’atteggiamento politico del senato di fronte al problema degli abusi perpetrati dai magistrati. Anziché promuovere una persecuzione criminale contro i responsabili, l’alto consesso diede vita ad una procedura organizzata secondo forme prese a modello dal procedimento recuperatorio internazionale. Oggetto del giudizio non era la persecuzione di un reato ma la mera restituzione del maltolto (onde il nome di pecuniae repetundae dato all’illecito): ciò che rivela la preoccupazione dell’oligarchia senatoria di circoscrivere la responsabilità dei magistrati concussori al campo patrimoniale, evitando che potessero essere esposti a conseguenze di carattere penale…”.
[23] F. SERRAO,”Repetundae”, N.ss.Dig. It., cit. pagg. 454 e ss. Gli accusati “…erano tre ex pretori governatori della Spagna: il primo (M. Titinus) dopo tre aggiornamenti (ampliationes) nel processo (per avere tre volte i giudici dichiarato il non liquet) è assolto; gli altri due (P. Furius Philus e M. Matienus) , dopo un aggiornamento della causa, vanno in esilio e si sottraggono al giudizio. Intanto si diffonde la voce che i patroni proibiscono di accusare i nobili e i potenti…e il sospetto si conferma nel fatto che il pretore Canuleio , interrotta la celebrazione dei processi, parte improvvisamente per la provincia evitando così nuove accuse…”.
[24] F. SERRAO,”Repetundae”, N.ss.Dig. It., cit., pagg. 455
[25] B. SANTALUCIA, op. cit. pag. 109 In forza della lex Calpurnia de repetundis “…le accuse di estorsione contro i magistrati romani dovevano essere portate dinanzi ad una corte di giustizia permanente presieduta dal praetor peregrinus e formata da giurati di rango senatorio (probabilmente dei recuperatores) . I dettagli della legge ci sono ignoti ma sulla base di alcuni indizi ricavabili dalla successiva lex Acilia …si può ragionevolmente supporre che essa abbia confermato, nelle sue linee fondamentali, il sistema adottato nei processi del 171, configurando il giudizio dinanzi alla corte come un procedimento di carattere essenzialmente privato, diretto all’indennizzo dei danneggiati piuttosto che alla persecuzione di un crimine, promuovibile solo con l’assistenza dei patroni romani. Al regime ora descritto non sembra aver apportato sostanziali modifiche una successiva lex Iunia, proposta fra il 149 e il 123 a.C. dal tribuno della plebe M.Giunio Silano della quale le fonti ci dicono che confermò la procedura pe sacramentum adottata dalla lex Calpurnia. L’istutuzione di una corte di giustizia permanente offrì alle popolazioni soggette la garanzia di un organo stabile per la persecuzione delle malefatte dei governatori, ma tornò indubbiamente utile anche alla nobilitas che poté in tal modo evitare i rischi dei processi popolari tribunizi e delle quaestiones istituite con plebiscito. Il fatto che la giuria fosse composta di senatori e che la condanna consistesse nella semplice restituzione del maltolto ridondava in modo evidente a beneficio degli accusati. Le fonti registrano, negli anni successivi all’emanazione delle leggi Calpurnia e Iunia, una serie di scandalose assoluzioni di magistrati concussionari: come quella di Q. Pompeo nel 139 a.C., quella di L. Aurelio Cotta nel 138 a. C., quella di Manlio Aquilio nel 124 a.C. e quella di un Livio Salinatore in data imprecisata. Appunto tali assoluzioni a detta di Appiano furono uno degli argomenti di cui Caio Gracco si avvalse per propugnare la necessità di trasferire le corti giudicanti dai senatori ai cavalieri…”.
[26] M. TALAMANCA, op. cit,, pag. 154 “…Quando si individua …il tipo di legis actio, il modus agendi usato (per quelle di cognizione, quello sacramenti, quello per arbitrative postulationem e quello per conditionem) ,il riferimento è più precisamente a quella parte del formulario che , seguendo alle affermazioni delle parti sulla situazione sostanziale, induce la necessità di una decisione a cura degli organi della civitas. Si tratta qui, anzitutto della provocatio sacramento, nell’omonima legis actio , e cioè del reciproco invito ad asseverare mediante un giuramento assertorio (sacramentum) la verità delle affermazioni fatte da ciascuna delle parti e, originariamente, della prestazione di tale giuramento (che non avveniva più in epoca successiva, sicuramente posteriore alle XII tavole): in questo caso è particolarmente evidente la connessione con l’elemento sacrale per indurre la necessità di un giudizio da parte degli organi della civitas, in prima linea interessati ad individuare che fra le parti abbia commesso uno spergiuro e debba quindi espiarlo. Si vede dunque come in un primo momento codesta parte del formulario adempisse ad una sua precisa funzione, essenziale per la prosecuzione del procedimento. In seguito essa diventa un elemento formale, tralatizio. Ciò vale sia per la legis actio per iudici arbitrative postulationem (dove la reciproca provocatio sacramentum è sostituita dalla richiesta, postulatio, al pretore, effettuata dall’attore soltanto, di dare un giudice o un arbitro per la soluzione della controversia), sia per la legis actio per condictionem (dove, sempre alla provocatio si sostituisce l’intimazione dell’attore al coonvenuto- condictio- a ritornare dinanzi al magistrato dopo trenta giorni per la scelta del giudice)…”.
[27] M. TALAMANCA, op. cit,, pag. 325 “ …l’espressione legis actiones introdotta probabilmente dopo il III secolo a. C., indicherebbe formulari derivanti da testi di legge che contengano una disciplina sostanziale certa dei rapporti controversi. Piuttosto tali procedimenti assumeranno l’appellativo di “”legali”” in quanto sono istituiti o confermati, come semplici forme giudiziarie, dalle Dodici Tavole o da leggi particolari…”.
[28] B. SANTALUCIA, op. cit. pagg. 110 e ss. Un radicale mutamento della politica giudiziaria nei confronti delle malversazioni perpetrate ai danni delle popolazioni soggette si registra negli anni 123-122 a.C., nel quadro dell’ampia attività riformatrice di Gaio Gracco. Risale a questo periodo la lex Acilia repetundarum, un plebiscito forse proposto da Manlio Acilio Glabrione, collega di Gaio nel tribunato(il cui testo è verosimilmente quello conservatoci nella cosiddetta tabula Bembina, frammetariamente custudita in parte nel Museo Nazionale di Napoli e in parte nel Kunstishstoriches Museum di Vienna), che aggravò il rigore dei giudizi di concussione, istitutendo il primo vero tribunale criminale permanente per giudicare l’operato illegale dei magistrati (quaestio perpetua repetundarum) (cita, fra gli altri, VENTURINI, Crimen repetundarum). L’opinione che la grande tavola di bronzo rinvenuta in pezzi presso Fossombrone e donata dai duchi di Urbino al cardinale Bembo (tavola della quale ci restano dieci frammenti più la trascrizione di altri due scoperti e poi andati perduti), contenga il testo della lex Acilia repetundarum è stata sostenuta nella seconda metà del secolo scorso da A.F. Rudoroff e da Th Mommsen ed è ancor oggi quella che gode di maggior seguito tra gli studiosi. L’identificazione con la lex Servilia Glauciae successivamente proposta da J. Carcopino è basata su un’erronea interpretazione di Cic. Verr. II, 26 ed è giustamente respinta dalla generalità degli autori…A.N. Sherwin White ha confermato con rilievi pienamente condivisibili l’appartenenza della legge bembina all’età graccana. Quanto all’ipotesi, fino a pochi anni fa molto diffusa, che i frammenti di cui si parla contengano il testo della lex Sempronia iudiciaria, anziché quello della lex Acilia repetundarum, ce ne occuperemo di seguito, trattando della riforma giudiziaria di Gaio Gracco. Il provvedimento aciliano fu probabilmente preceduto da una legge giudiziaria generale, la lex Sempronia iudiciaria (discutibilmente identificata da alcuni critici con la legge della tabula Bembina) con cui fu tolto l’ufficio di giudice ai senatori per attribuirlo ai cavalieri che Gaio Gracco intendeva favorire nell’intento di farne una forza concorrente della nobilitas.. Contro l’opinione dominate che riconosce nella lex tabulae Bembinae la lex Acilia repetundarum P Fraccaro, rifacendosi a precedenti spunti …ha avanzato l’ipotesi che i frammenti urbinati conservino il testo della lex Sempronia iudiciaria e che la lex Acilia sia un provvedimento successivo emanato intorno al 111 a. C.. Pur riguardando esclusivamente la questio repetundarum, la lex Sempronia sarebbe stata chiamata iudiciaria dalle fonti letterarie per il suo valore politico, derivante dall’affidare agli equites il giudizio sull’amministrazione senatoria e per le prescrizioni relative all’ordinamento giudiziario della corte. Ma tale opinione, benché condivisa da autorevoli scrittori (Levi-Tibiletti-Serrao-Venturini-Pugliese…) non sembra fondata. Le foonti che parlano della lex Sempronia affermano in termini generali che Gaio Gracco affidò i tribunali ai cavalieri e non fanno cenno alla quaestio de repetundis; oltre a ciò è difficle credere che a lex Acilia abbia potuto essere approvata intorno al 111 a. C. pacificamente e senza contrasti (come sono costretti a supporre Fraccaro e i suoi seguaci, di fronte al silenzio degli antichi autori), quando è noto che leggi del genere davano solitamente luogo a ardenti conflitti e lo stesso Cicerone (Verr, I, 51-52) attesta che Acilio dové battersi con estrema energia per raggiungere il suo scopo. Il fatto poi che la legge epigrafica contenga una serie di minute disposizioni sulla formazione della giuria non esclude di per sé, l’esistenza di una legge giudiziaria generale volta ad abrogare la normativa precedente e a stabilire che i iudices (sia quelli chiamati a comporre la lista annuale della quaestio sia quelli cui era affidata la decisione di controversie di diritto privato) dovessero essere scelti anziché tra i senatori, entro la cerchia dei cavalieri. Rimane ancora da dire che le indicazioni di alcune fonti rendono verosimile che la riforma graccana abbia attraversato due fasi. L’originario progetto di Gaio, forse modellato su analogo progetto di suo fratello Tiberio, sembra essere stato quello di associare i cavalieri ai senatori nell’esercizio del munus iudiciarium,allargando il senato con l’aggiunta di 600 cavalierri (Livio) o affidando l’ufficio di giudice a 300 cavalieri oltre che ai 300 senatori (Plutarco); solo in seguito, dopo le manovre di Druso e quando il contrasto con il senato si era fatto insanabile, egli avrebbe preso la decisione più drastica di privare i senatori della funzione di comporre le corti giudicanti…”.
[29] M. TALAMANCA, op. cit, pag. 351 “…Sembra che i Romani usassero il termine equites con una certa ambiguità: cioè ufficialmente, solo per coloro che erano iscritti nelle 18 centurie; nel linguaggio comune anche per quelli che avevano la qualifica censitaria. I moderni lo usano di solito nel senso più generale…L’aristocrazia equestre, come quella senatoria, era costituita da grandi proprietari agricoli. Tuttavia molti cavalieri erano dediti alle attività mercantili; altri (publicani) agli appalti di opere pubbliche, forniture militari, sfruttamento di miniere, percezione di tributi e dogane; si ricordi che gli appaltatori, per garantire l’assolvimento degli obblighi verso lo Stato, dovevano possedere beni immobili. Fra senatori e cavalieri esistevano vincoli di amicizia e parentela; una parte dei cavalieri si distingueva dal ceto senatorio solo per la sua estraneità alla vita politica…”.
[30] B. SANTALUCIA, op. cit.,pag. 116 “…La lex Acilia segna una tappa fondamentale nella storia della repressione del crimen repetundarum. Con essa le concussioni commesse dai magistrati furono per la prima volta attratte nell’orbita del diritto penale pubblico, assumendo la natura di un vero e proprio reato. Il processo, anziché per sacramentum, cioè con l’applicazione di un modus agendi proprio dei processi privati, fu organizzato secondo un rito del tutto nuovo, di impronta schiettamente pubblicistica. In luogo della restituzione del maltolto, fu sancita a carico dei concussionari una pena criminale commisurata al doppio del valore delle cose estorte, che doveva essere versata al questore e per suo tramite, all’erario. L’erario doveva poi provvedere al rimborso dei danneggiati (Lex Acilia, II, 59-61-Qualche autore ritiene possibile che una parte della condanna rimanesse all’erario-Erhardt-Eder). La direzione del processo, già spettante al preaetor peregrinus fu affidata ad uno speciale pretore, che nell’elogium di C. Claudio Pulcro, presidente del tribunale nel 95 a.C. è detto praetor de repetundis. Questo pretore, entro il decimo giorno della sua entrata in carica, era tenuto a formare una lista di 450 giudici, scelti tra i cavalieri e a disporne la pubblicazione in un apposito albo. E’ difficile dire, per lo stato frammentario dell’iscrizione , se la scelta dovesse essere fatta tra gli equites equo publico inclusi nelle 18 centurie di cavalieri o fra tutti i cittadini forniti di censo equestre (400 mila sesterzi di censo minimo): ma la seconda ipotesi sembra la più probabile. Il pretore doveva poi leggere l’elenco dei giudici in una pubblica adunanza (contio) garantendo sotto giuramento di averlo compilato nei modi prescritti e di ritenere idonee alla carica le persone in esso inserite. Dai 450 giudici compresi nell’albo veniva tratta la giuria per il singolo processo. Espunte le persone legate alle parti da parentela o altri vincoli, l’accusatore doveva scegliere 100 nominativi e comunicarli all’accusato (editio), il quale a sua volta sceglieva entro quei 100 i 50 che dovevano comporre il collegio giudicante (electio) . A differenza di quanto avveniva per l’innanzi l’accusa, tecnicamente definita nominis delatio, poteva essere proposta personalmente dai danneggiati e l’assegnazione dei patroni poteva aver luogo solo se essi ne facevano esplicita richiesta. Al fine di evitare che le minacce o le pressioni di chi temeva di essere denunciato potessero precludere di fatto agli offesi le vie giudiziali, la legge prevedeva che il giudizio potesse essere promosso alieno domine: consentiva a chiunque di denunciare il reato in nome e per conto della vittima, senza che fosse richiesta alcuna autorizzazione o accettazione della vittima stessa e stabiliva in caso di condanna l’attribuzione delle somme fissate dalla corte ai danneggiati. Eccezionalmente, per il caso di denuncia presentata in una fase troppo avanzata dell’anno, era previsto, in alternativa alla quaestio un procedimento più rapido, di carattere privato. La decisione era presa a maggioranza. Prima di passare alla votazione il presidente della quaestio domandava se i giudici erano in grado di pronunciarsi. Se più di un terzo dei giudici dichiarava di non essere riuscito a formarsi un’opinione (sibi rem non liquere) il procedimento doveva essere ripetuto (amplatio) , ma era stabilita l’irrogazione di una multa a carico di coloro che persistessero nel rifiuto di decidere. Diversamente si faceva luogo alla votazione. In caso di condanna l’accusatore, se peregrino otteneva in premio la cittadinanza romana accompagnata (probabilmente) dall’iscrizione nella tribu’ del condannato e dalla vacatio militiae; se latino, la cittadinanza o la provocatio ad populum, più la vacatio militiae e l’esenzione dai munera publica nella città di appartenenza. Alla condanna faceva seguito un’ulteriore fase processuale, di natura civilistica, volta a determinare l’ammontare delle somme che dovevano essere restituite ai singoli danneggiati (litis aestimatio).
[31] F. HINARD, Sylla, Paris, 1985; ed. it. Roma , Salerno Editrice srl 2003, pagg. 224 e ss. “…Ad ogni modo la riforma giudiziaria era accompagnata dall’insediamento di veri e propri tribunali permanenti, competenti per alcuni crimini. Il più importante, dal punto di vista politico era quello della concussione; doveva giudicare tutti i casi di estorsioni e di malversazioni dell’amministrazione provincia. Le pene fissate dalla legge Cornelia erano severe poiché la persona riconosciuta colpevole veniva condannata ad una multa che ammontava a due volte e mezza le somme che lo si accusava di aver sottratto e a una interdizione dall’acqua e dal fuoco. Era una novità nella pratica giuridica perché all’origine l’interdizione dell’acqua e del fuoco era solo una misura amministrativa destinata a prendere atto che un individuo aveva lasciato il territorio e riconosceva così la sua colpevolezza; diventando una pena, equivaleva ad un esilio sancito da un’interdizione di soggiorno sul suolo italiano…”
[32] Con un’altra “lex Iulia”, attribuita a Cesare o ad Augusto, venne disciplinata la repressione del “peculatus” .Cfr. F. GNOLI, Ricerche sul crimen peculatus, Milano, 1979. Ancora, per quanto attiene ai provvedimenti di Giulio Cesare v. P. CERAMI, Aspetti e problemi di diritto finanziario romano, Torino, 1997, pag. 113 “…Fra i provvedimenti legislativi interessano particolarmente in questa sede, tre leges publicae rogatae da Cesare: la lex Iulia de repetundis del 59.a.c con la quale venne imposto ai governatori delle province l’obbligo di depositare due copie del bilancio provinciale (rationes provinciae) nelle due più importanti città della provincia stessa , e di trasmettere una terza copia ai questori urbani, perché la conservassero nell’ aerarium populi romani; la lex Iulia peculatus, che configurò come crimen l’alterazione e la cancellazione dei registri e delle scritture contabili; la lex Iulia de residuis che punì l’appropriazione della publica pecunia, non utilizzata per i fini per i quali era stata votata, da parte degli addetti alla pubblica contabilità: questori urbani e provinciali…”
[33] M. TALAMANCA, op. cit., pag. 589 “All’inizio del regno di Antonino Caracalla si colloca un provvedimento, la constitutio Antoniniana che segna un momento conclusivo nell’assetto istituzionale dell’impero e fissa, conseguentemente, le nuove direttrici lungo le quali avverrà l’ulteriore corso della storia a questo riguardo. Con tale provvedimento l’imperatore concedette a tutti gli abitanti dell’impero, con eccezioni sostanzialmente insignificanti, la cittadinanza romana, in quanto gli stessi ne fossero, ovviamente, sprovvisti alla data dell’emanazione dello stesso (212 d.c.).
[34] M. TALAMANCA, op. cit., pagg.504 e ss.”Il sistema della quaestiones perpetuae, il quale era stato fissato dalle leggi giulie, incominciò, fin dai primi anni del principato a subire la concorrenza di un nuovo tipo di procedimento criminale, più conforme al nuovo assetto politico istituzionale dello stato. E’ chiaro che le corti di giustizia permanenti, che pur Augusto era inizialmente propenso a mantenere come organismo processuale ordinario, non potevano incontrare il favore del nuovo regime. Il compito di giudicare era attribuito a privati cittadini, le liste erano troppo ampie per consentire una decisiva interferenza del princeps nella loro composizione (ogni decuria comprendeva …circa mille persone) , le forme di reclutamento dell’organo giudicante precludevano ogni possibilità di controllo del potere centrale. Anche dal punto di vista tecnico i difetti erano numerosi. Il privato che voleva rendersi accusatore per un fatto nuovo, che appariva meritevole di repressione, non poteva sperimentare l’accusa davanti ad una questio, perché ogni tribunale era competente solo per le fattispecie previste dalle singole leggi istitutive. Notevoli inconvenienti derivavano anche dall’impossibilità di sottoporre al giudizio di una stessa corte i casi di concorso di persone o di reati e di graduarne la pena in rapporto alle circostanze soggettive ed oggettive delle varie ipotesi criminose. Ciò doveva portare ad un lento ma inarrestabile declino dei tribunali ordinari, mentre l’affermarsi al di sopra degli antichi organi repubblicani della figura del princeps apriva la strada ad una larga e sempre più decisa ingerenza del potere imperiale nella sfera della repressione criminale. Pur essendo ancora testimoniate per tutto il II secolo , le corti di giustizia permanenti vennero progressivamente cedendo il campo ad un nuovo procedimento, senza partecipazione di giurati, in cui l’intera questione era affidata all’imperatore o ad un suo delegato, che era investito in modo completo del giudizio, della sua introduzione e della sua decisione. Tale procedimento, definito correntemente cognitio extra ordinem, perché sorge e si sviluppa fuori dal sistema processuale e criminale dell’ordo iudiciorum, e quindi senza i vincoli e le restrizioni formali della giurisdizione ordinaria, venne in un primo tempo ad affiancarsi e poi a sostituirsi al procedimento delle quaestiones, dando luogo alla formazione di un diritto criminale straordinario che doveva a poco a poco soppiantare l’antico regime dei resti e delle pene…”.
[35] A. CAMERON, Il Tardo impero romano, Bologna, Il Mulino, 1993.
[36] Tralasciando un percorso articolato di oltre 2000 anni. Sull’evoluzione storica nel periodo intermedio cfr. D. LUONGO, Il controllo contabile nelle dinamiche dello Stato moderno, in AA.VV (a cura di D. CROCCO), La Corte dei conti tra tradizione e novità , cit., pagg. 1-35.
[37] Seminario OLAF-Corte dei conti- Programma Hercule II- 2007-2013 Attività conoscitiva e di formazione diretta allo scambio di esperienze tra le Corti dei conti di Francia, Grecia, Italia , Portogallo e Spagna e le Istituzioni comunitarie nell’attività di prevenzione e contrasto delle frodi e alle altre irregolarità che ledono gli interessi finanziari dell’Unione- Roma, 25-27 marzo 2014.
[38] “Giurisdizioni contabili europee e tutela delle risorse comunitarie” in Argilnews-luglio-agosto2014 e in www.foroeuropa.it-2014.
[39] Nel sistema spagnolo oltre all’azione di responsabilità di competenza della Corte dei conti, è previsto anche che il pubblico ministero penale, in assenza di azione civile da parte della pubblica amministrazione, possa egli stesso esercitare direttamente detta azione nel processo penale. Cfr. L. RODRIGUEZ SOL (sostituto procuratore della Fiscalía Especial contra la Corrupción y la Criminalidad Organizada), L’esperienza della procura speciale anticorruzione in Spagna in Atti del Seminario OLAF-Corte dei conti- Programma Hercule II- 2007-2013 Attività conoscitiva e di formazione diretta allo scambio di esperienze tra le Corti dei conti di Francia, Grecia, Italia , Portogallo e Spagna e le Istituzioni comunitarie nell’attività di prevenzione e contrasto delle frodi e alle altre irregolarità che ledono gli interessi finanziari dell’Unione– Roma, 25-27 marzo 2014.
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