Un libro-intervista di Pino Nano
Storia di un Grand Commis, Giuseppe Borgia, “una vita al servizio dello Stato”
di Salvatore Sfrecola
Si legge tutto d’un fiato questo libro-intervista di Pino Nano a Giuseppe Borgia, uomo delle istituzioni, un Grand Commis dello Stato, come si usa dire con un accettato francesismo che ricorda i fasti dell’amministrazione napoleonica e dell’ENA, la prestigiosa Ecole National d’Administration dalla quale sono usciti funzionari e politici che hanno fatto la storia della Francia. Lo hanno presentano a Roma, nella sala Perin del Vaga dell’Istituto Sturzo, Nicola Antonetti, Presidente dell’Istituto, con Gianni Letta, Flavia Nardelli, Antonio Catricalà e Francesco Malgeri.
Quella di Giuseppe Borgia è una storia personale e professionale non comune, come sottolinea Pino Nano riandando alle conversazioni nel corso delle quali è stato costruito il libro. La cosa più bella, scrive il giornalista, “che mi porterò sempre dentro, è la determinazione con cui quest’uomo di Stato mi ha parlato per mesi e mesi della vita, dell’amicizia, della lealtà, della riconoscenza, del rispetto, della Ragion di Stato, della Chiesa, della fede, della crisi dei valori, dei fallimenti della politica, del coraggio delle idee, della libertà dal bisogno, della semplicità della gente comune, ma anche del fascino misterioso della morte”.
Nel libro si intrecciano ricordi personali antichi e più recenti, a cominciare da quelli vissuti nella patriarcale comunità della sua infanzia, tra San Procopio e Palmi, dove la famiglia si trasferisce al momento dei passaggio alla scuola media dei ragazzi Borgia, una scelta necessaria in quanto nella cittadina dell’Aspromonte, la terra di uno dei più bei romanzi di Corrado Alvaro, mancavano appunto le scuole superiori. Di questa stagione della sua vita Giuseppe Borgia ricorda il rapporto col padre, “una presenza forte”, e della madre, “la regina del nostro mondo, e della nostra casa”. Ricordi tenerissimi, come quelli dei nonni, “il passato, il presente e il futuro di ogni famiglia patriarcale”, un sentimento comune a tutti coloro i quali credono nella famiglia, nei suoi valori civili e spirituali, nella sua storia, di sentimenti e di esperienze professionali, spesso ricorrenti nelle “buone famiglie”, quelle che un tempo identificavano la “nobiltà spada e di toga” (servitori dello stato in armi, nelle cancellerie, nei tribunali, docenti universitari e avvocati del libero Foro).
Terminati gli studi medi il giovane Giuseppe attraversa lo Stretto per ascoltare le lezioni dei più grandi docenti di quella prestigiosa Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Messina dove insegnavano Salvatore Pugliatti, Angelo Falzea, civilisti eccelsi, e Temistocle Martinez, uno dei più grandi costituzionalisti del tempo. Ne esce con un bel 110 e lode e tanta voglia di affidare allo Stato il suo impegno professionale, nel nome della legalità, alla quale l’aveva educato il padre, insegnante, con la passione per il suo lavoro. Giuseppe Borgia “sale”, come dicono i suoi conterranei, nella Capitale. Aveva pensato in un primo tempo di rivestire la toga dell’avvocato. Indosserà in seguito quella di Consigliere della Corte dei conti. Poi l’occasione del bando di selezione dell’Istituto “Luigi Sturzo” per dei corsi di specializzazione in sociologia, che, non lo nega, lo attira perché “avrebbe potuto diventare un trampolino di lancio per il mio futuro”. In tutti i sensi, perché l’incontro con Luigi Sturzo, Gabriele De Rosa e Guglielmo Negri consolida la sua formazione culturale e spirituale. Soprattutto nei colloqui con il sacerdote di Caltagirone, una icona del cattolicesimo liberale, il Nostro ripercorre le ragioni della sua fede (sarà consigliere di amministrazione di Avvenire, il quotidiano “dei Vescovi”). Il corso si conclude con una tesi sulla vita e la storia di Giuseppe Toniolo, il grande economista e sociologo cattolico stimato da Leone XIII che aveva tenuto presenti i suoi scritti nella stesura della Rerum novarum.
E poi l’incontro, nelle aule dell’Istituto Sturzo, con la donna della sua vita, Piera Rapelli, alla quale Borgia riserba tenerissimi ricordi di un affetto sempre attuale. Figlia di Giuseppe Rapelli, Costituente, cattolico, grande esponente sindacale, vicepresidente della Camera dei deputati, con Piera è veramente un consortium totius vitae. Sembra quasi la storia dell’unità d’Italia, il giovane calabrese e la giovane piemontese si incontrano per formare una famiglia, per allevare ed educare i figli, giornalisti dei quali Giuseppe Borgia, parla con non celato orgoglio.
Inizia così la sua carriera di funzionario che passerà attraverso gli incarichi più prestigiosi delle pubbliche amministrazioni, a cominciare dall’Ufficio studi della Cassa per il Mezzogiorno, diretta da Giuseppe Di Nardi, un eminente economista. Poi negli enti mutualistici, al Ministero del Lavoro, alla sanità, direttore generale dell’Istituto di previdenza degli operatori agricoli, chiamato dal ministro De Michelis, la Direzione generale della previdenza, dove collabora con il ministro Tiziano Treu e con il Presidente del Consiglio Lamberto Dini alla riforma previdenziale del 1995. Quindi il prestigioso incarico di Provveditore generale dello Stato (la “centrale unica degli acquisti” di un tempo). Infine la nomina a Consigliere della Corte dei conti ed a componente dell’Autorità di vigilanza sugli appalti pubblici di servizi e forniture (AVCP), prima della sua incorporazione nell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC). Senza mai trascurare gli amici della sua Calabria che ricorda da sempre, da Antonino Murmura, a lungo Presidente della Commissione affari costituzionali del Senato, ad Antonio Catricalà, altro Grand Commis, magistrato, Segretario generale e poi Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, oggi avvocato, che ha voluto essere tra i presentatori del libro.
Giuseppe Borgia presenta una straordinaria vicenda umana e professionale in un libro da leggere e da meditare, perché la storia di quest’uomo ci porta, attraverso il ricordo delle sue esperienze professionali e del rapporto con grandi personalità dello Stato (i suoi ricordi sono un annuario di personalità della Prima e della Seconda Repubblica, da Giulio Andreotti a Flaminio Piccoli, a Gennaro Cassiani, Gino Giugni, Carlo Azeglio Ciampi ad Antonio Marzano, Giorgio Napolitano, Oscar Luigi Scalfaro, Clemente Mastella, Corrado Calabrò, Paolo Salvatore, Franco Frattini, Federico Tedeschini, per citare solamente qualcuno) a conoscere amministrazioni ed enti pubblici, ad apprezzarne il ruolo, a capire come si opera al loro interno. Anche quando Borgia indica soprattutto “come si dovrebbe”, lui rigido cultore della legalità e dell’efficienza. Non a caso nel suo intervento alla presentazione del volume Gianni Letta, uomo di Stato e giornalista (ama farsi chiamare Direttore. Lo è stato, infatti, de Il Tempo di Roma), ha detto che questo libro dovrebbe costituire una lettura obbligatoria per tutti i pubblici dipendenti, in specie per quelli in posizione apicale. Un libro da meditare anche perché nelle varie esperienze amministrative e gestionali che hanno contraddistinto la carriera di Giuseppe Borgia, si individua uno spaccato delle pubbliche amministrazioni con le loro luci e le loro ombre, tra personalità di grande spessore professionale e culturale e mezze maniche. È una storia professionale unica, perché raramente un pubblico funzionario ha avuto occasione di prestare servizio in tante realtà diverse sempre in posizione di elevata responsabilità, alla direzione di importanti strutture amministrative (“uno che inizia un percorso di lavoro – scrive – non deve mai avere paura di cambiare”. Perché “cambiando lavoro ci si forma due volte”). Quindi collaboratore (sempre, sottolinea, con “la capacità di ascoltare gli altri con umiltà”, come consigliere giuridico o capo di gabinetto, di ministri che Giuseppe Borgia ricorda con simpatia e stima e non nascosta nostalgia per quella classe politica della cosiddetta “Prima Repubblica” che ha ricostruito l’Italia dopo le distruzioni della guerra e l’ha portata ad un grado di benessere significativo. Quella prima Repubblica nella quale le autorità politiche sapevano apprezzare le doti dei migliori funzionari, la loro cultura giuridica professionale, l’esperienza e le capacità di esprimere il meglio nel ruolo istituzionale al quale erano destinati.
Leggendo l’intervista a Borgia, che si differenzia da tutte le altre per la dovizia di particolari e la capacità di interessare e di comprendere ciò che sta a cuore al cittadino-lettore, impariamo a conoscere le doti che devono caratterizzare un Grand Commis, al di là della preparazione professionale specifica, requisito minimo per questi ruoli. Tra i requisiti, “prima di tutto la lealtà. Senza lealtà non si va da nessuna parte”. E poi la chiarezza: “in tema di Pubblica Amministrazione senza chiarezza non si può costruire nulla di buono. Un tecnico deve sostenere la verità sempre e comunque al mondo della politica cui fa diretto riferimento”. E la capacità di coinvolgere i propri collaboratori nella “missione” istituzionale, facendo intravedere loro l’obiettivo della buona amministrazione. Un libro, dunque, che insegna anche l’arte del comando non deve essere disgiunta da quel tratto signorile che Borgia ci presenta nel ricordare episodi della sua vita professionale. Non gli si poteva dire di no, sia che parlasse a nome di uno dei tanti ministri con i quali ha collaborato nelle varie amministrazioni, sia che preparasse con esponenti dei partiti e dei sindacati riforme importanti nel settore del lavoro.
Lo conosco da anni. Con lui spesso ho riflettuto su pubblica amministrazione e istituzioni in genere, comprese le magistrature. Quasi sempre partendo dalle ombre che a lui, come a me, appaiono lesive, gravemente lesive dell’immagine dei dipendenti che noi riteniamo siano effettivamente al servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.) e ci rammarichiamo quando, l’inefficienza e il mancato rispetto delle leggi oscurano agli occhi dei cittadini il ruolo super partes di una pubblica amministrazione, strumento fondamentale del buon governo.
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