Controlli sugli atti di costituzione delle società partecipate delle amministrazioni pubbliche: profili di incostituzionalità e di incoerenza con il sistema dei controlli intestati alla Corte dei conti
di Innocenza Zaffina, Magistrato della Corte dei conti
Con il presente articolo, l’Autore si propone di evidenziare i profili critici delle norme in corso di approvazione da parte del Governo in materia di controlli sugli atti di costituzione delle società partecipate e di acquisto di partecipazioni da parte delle amministrazioni pubbliche. In particolare, si esaminano profili di illegittimità costituzionale e di incoerenza con la tipologia e i requisiti dei controlli intestati alla Corte dei conti, come delineato dalla legislazione vigente e dalla giurisprudenza costituzionale.
- Atti assoggettabili a controllo preventivo di legittimità: incostituzionalità dei controlli preventivi sugli atti delle Regioni e delle Autonomie locali.
La norma che si commenta è contenuta nell’art. 5 dello schema di testo unico in materia di società pubbliche, da adottare in attuazione della delega contenuta legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. Legge Madia). Il predetto articolo prevede che “l’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica, anche nei casi di cui all’articolo 17, o di acquisto di partecipazioni da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali (…) evidenziando, altresì, gli obiettivi gestionali cui deve tendere la società, sulla base di specifici parametri qualitativi e quantitativi, nonché le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e in considerazione della possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impegnate, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche tenere conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, efficacia e di economicità dell’azione amministrativa (…) Prima dell’adozione, l’amministrazione partecipante invia lo schema di atto deliberativo e la relazione tecnica alla Sezione competente ai sensi del comma 4, che accerta il rispetto delle disposizioni di cui al comma 1, nonché la coerenza con il piano di razionalizzazione previsto dall’articolo 20, ove adottato. La Corte dei conti può formulare rilievi entro trenta giorni dalla ricezione dell’atto deliberativo, decorsi i quali l’accertamento si intende positivo. La Sezione può chiedere, per una sola volta, chiarimenti all’amministrazione pubblica interessata, con conseguente sospensione del suddetto termine. L’atto deliberativo deve essere motivato con specifico riferimento ai rilievi formulati dalla Corte dei conti”.
Ad una prima lettura dell’articolato, emerge la prima questione rilevante: se possano o meno essere sottoposti a controllo preventivo di legittimità gli atti deliberativi delle Regioni e degli Enti locali.
La risposta non può che essere immediatamente negativa con riferimento agli atti deliberativi delle Regioni che abbiano la forma di legge. Non è infatti infrequente che la costituzione di società partecipate venga effettuata da parte delle Regioni mediante l’approvazione di norme di legge regionale. Come ha avuto modo di affermare anche di recente la Corte costituzionale (sentenza n. 39 del 2014), il controllo della Corte dei conti non potrebbe comunque incidere su un atto che viene formalizzato con provvedimento di legge regionale: ciò, infatti, costituirebbe una invasione della sfera di competenza della Corte costituzionale.
Quanto agli atti deliberativi di Regioni ed enti locali che non abbiano forma di legge, si pongono ulteriori profili di illegittimità costituzionale. Come ha affermato la stessa Corte dei conti con due “storiche” ma estremamente attuali deliberazioni (deliberazione n. 20/2009 e n. 24/2009 della Sezione centrale di controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato), “sarebbe difficilmente concepibile che il legislatore ignorasse che dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, i controlli preventivi di legittimità sugli atti di Regioni ed enti locali sono venuti meno, non solo per l’abrogazione espressa degli artt. 125, comma 1, e 130 della Costituzione, ma anche perché il nuovo art. 114 della Costituzione ha posto su un piano di equiordinazione Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, tutti – pur con le innegabili differenze – dotati di pari dignità e, dunque, non più assoggettabili a controlli “centralizzati”; a sua volta (come rilevato dalla Regione Veneto nel suo ricorso dell’1-3 ottobre 2009 alla Corte costituzionale, per la declaratoria di illegittimità dell’art 17, commi 30 e 30 bis, del decreto legge 78/2009) “la legge 5 giugno 2003, n. 131, promulgata al fine di adeguare l’ordinamento all’intervenuta riforma del titolo V della Costituzione, ha riservato all’autonomia normativa e organizzativa di detti enti la materia dei controlli”, e gli unici controlli previsti dalla Costituzione vigente su Regioni ed altri enti locali territoriali “sono quelli a carattere sostitutivo di cui all’art. 120, secondo comma, Cost., con gli specifici limiti e vincoli ivi previsti, e, implicitamente, il controllo sugli «organi di governo» attribuito alla legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.”, mentre “al di fuori di essi vige la regola dell’autonomia degli enti, anche nella ideazione del sistema dei controlli”.
Per cui, in modo molto chiaro ed inequivocabile, la Corte dei conti concludeva, con riferimento ai prospettati controlli preventivi di legittimità sugli incarichi e consulenze che “una competenza statale in materia di controlli preventivi di legittimità sugli enti locali sarebbe incompatibile con la vigente Costituzione, anche ove fosse invocata la potestà legislativa concorrente in materia di “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, inserita nell’elenco dell’art. 117, terzo comma, Cost.: ciò in quanto, in disparte la difficoltà di ritenere che gli equilibri della finanza pubblica possano dipendere in misura sostanziale dagli atti di conferimento di incarichi e consulenze, la norma in contestazione, ove intendesse sottoporre a controlli interdittivi (e non meramente collaborativi) singoli atti di regioni o enti locali, anziché limitarsi all’indicazione dell’esigenza di una verifica più rigorosa delle spese correnti per incarichi e consulenze, esorbiterebbe dalla competenza dello Stato, il quale è legittimato a porre solo i “principi fondamentali”, rimanendo nell’autonomia di Regioni ed enti locali la concreta previsione degli strumenti e dei procedimenti di verifica, in applicazione dell’autonomia amministrativa riconosciuta dall’art. 118 della Costituzione, nonché dell’autonomia finanziaria prevista dall’art. 119 della Costituzione, che risulterebbe compromessa qualora l’intervento statale intervenisse sulle singole scelte degli enti locali, anziché limitarsi ad una disciplina di principio delle politiche di bilancio, con la fissazione di tetti generali al disavanzo od alla spesa corrente, in via transitoria ed in vista di specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (si vedano, al riguardo, le citate sentenze della Corte costituzionale n. 417/2005 e n. 284/2009)”.
I principi affermati nelle richiamate deliberazioni della Sezione centrale di controllo di legittimità sono integralmente riproponibili anche con riferimento ai controlli “preventivi” di legittimità sugli atti deliberativi di costituzione delle società partecipate di Regioni ed Autonomie locali.
Evidentemente, un siffatto controllo sarebbe del tutto incompatibile con l’assetto istituzionale previsto dalla Costituzione e avvalorato dalla giurisprudenza costituzionale, né potrebbe essere considerato coerente con il sistema dei controlli delineato dai più recenti interventi legislativi.
I controlli sugli atti deliberativi di costituzione di società partecipate, infatti, non potrebbero comunque essere collocati nell’ambito dei controlli di legittimità-regolarità sui conti delle Regioni e degli enti locali, non inserendosi nei procedimenti “tipici” di tali verifiche (articolo 1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 148 bis del TUEL, art. 1, decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174).
Non a caso, vennero espunte, durante la discussione parlamentare, le norme che erano presenti nella prima versione del citato decreto legge n. 174/2014 e che avrebbero previsto l’assoggettamento a controllo preventivo di legittimità delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti degli atti normativi a rilevanza esterna, aventi riflessi finanziari, emanati dal governo regionale, degli atti amministrativi, a carattere generale e particolare, adottati dal governo regionale e dall’amministrazione regionale, in adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, nonché degli atti di programmazione e pianificazione regionali, ivi compreso il piano di riparto delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario regionale.
Allora, come ora, si pose il problema della compatibilità dei suddetti poteri di controllo con l’assetto costituzionale, che esclude la “supremazia” statale, tranne nei tassativi casi espressamente previsti dalla stessa Costituzione.
2.Parametri del controllo di legittimità e di regolarità: sono esclusi gli apprezzamenti che non siano di ordine strettamente giuridico.
La norma in commento presenta, oltre che i richiamati profili di illegittimità costituzionale, anche dubbi profili di concreta applicabilità. Come, infatti, ben evidenziato dalla Corte costituzionale, qualsiasi controllo di legittimità e di regolarità svolto dalla Corte dei conti deve avere riguardo ad un parametro di riferimento normativo. In particolare, l’esito del controllo di legittimità e regolarità contabile non può che essere di tipo “dicotomico”, dovendo condurre a un giudizio di legittimità o di illegittimità. Evidentemente, ciò è possibile soltanto laddove sia presente e chiaro un parametro normativo al quale sottoporre la verifica sull’atto.
In altri termini, il controllo di legittimità e di regolarità presuppone la sussistenza di chiari parametri normativi cui informare l’attività che la Corte costituzionale definisce analoga al procedimento logico tipico della funzione giurisdizionale, risolvendosi nel “valutare la conformità degli atti che ne formano oggetto alle norme del diritto oggettivo ad esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico” (Corte costituzionale, sentenza n. 226 del 1976). Inoltre, la stretta attinenza ai parametri del diritto oggettivo del controllo di legittimità intestato alla Corte dei conti rende effettiva la neutralità e l’indipendenza del controllo e lo differenzia dai controlli di tipo amministrativo (cit. sentenza n. 226 del 1976).
L’interpretazione della norma di cui al citato articolo 5, sotto i predetti aspetti, evidenzia diversi elementi critici, in quanto viene introdotto un giudizio che non si limita alla valutazione della esistenza di una logica e non contradittoria motivazione dell’atto e/o di una sua astratta conformità alle norme di legge. Piuttosto, il controllo dovrebbe spingersi a valutare se l’ente abbia ben valutato “la necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali”, abbia evidenziato “gli obiettivi gestionali cui deve tendere la società, sulla base di specifici parametri qualitativi e quantitativi, nonché le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e in considerazione della possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impegnate, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato”. Infine, “la motivazione deve anche tenere conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, efficacia e di economicità dell’azione amministrativa”.
Diventa estremamente difficile, se non impossibile, rinvenire nella norma in commento i parametri di diritto oggettivo cui dovrebbe riferirsi l’attività di controllo della Corte dei conti. Anche i richiamati parametri di efficacia, efficienza ed economicità non appartengono di certo ai controlli di legittimità e regolarità, ma piuttosto a quelli sulla gestione, che però presuppongono che una gestione vera e propria ci sia stata e che sia possibile valutare se e in che misura l’amministrazione abbia ottenuto gli obiettivi che si proponeva e/o che le sono stati affidati. Il controllo che sarebbe intestato alla Corte dei conti apparterrebbe, dunque, alla sfera delle verifiche di “convenienza”, “opportunità”, “sostenibilità finanziaria”. Le prime due, evidentemente, appartengono alla sfera della discrezionalità, del merito e, tuttalpiù, di un controllo di tipo “politico”, in quanto avente ad oggetto le scelte politiche ed alternative nell’utilizzo delle risorse pubbliche. Il controllo sulla sostenibilità finanziaria è, invece, tipico delle cd. “what if analysis” e appartiene, dunque, alle scienze economiche e aziendali. In pratica, le scelte economico-finanziarie vengono sottoposte ad una analisi in termini di future “performance”, sulla base di analisi di mercato, analisi dei costi e dei ricavi, delle previsioni di evoluzione del patrimonio e della liquidità degli organismi partecipati.
Sarebbe esclusa, in altri termini, la valutazione della conformità degli atti che formano oggetto di controllo alle norme del diritto oggettivo e verrebbe ad essere effettuato un “apprezzamento” che non sarebbe “di ordine strettamente giuridico”, contrariamente a quanto affermato dalla Corte costituzionale.
L’assenza di chiari parametri di diritto oggettivo e l’apprezzamento di tipo discrezionale e aziendalistico condurrebbero inoltre la Corte dei conti ad assumere un ruolo di consulente “generale” delle pubbliche amministrazioni, al di fuori del ruolo di neutralità, terzietà e indipendenza affidatole dalla Costituzione (art. 100, 135, 103, Cost.). Anche nell’esercizio delle funzioni consultive, infatti, va esclusa qualsiasi interferenza con le funzioni di controllo affidate alle Sezioni di controllo della Corte dei conti, nonché con le altre funzioni affidate alla Corte dei conti (Procura e Giurisdizione). Sarebbe da escludersi inoltre, per le medesime ragioni, il diretto coinvolgimento della Corte dei conti nelle decisioni di “opportunità” che, rientrando nel merito dell’azione amministrativa, non possono essere oggetto di un sindacato di legittimità.
Le predette considerazioni gettano enormi dubbi, quindi, sulla legittimità costituzionale dei controlli che fossero affidati alla Corte dei conti, nelle forme previste dalla norma in commento, anche sugli atti deliberativi di costituzione di società partecipate da amministrazioni statali o da altri enti pubblici. Una tale “verifica”, infatti, esulerebbe dal sistema dei controlli esterni, per come delineato sinora dal legislatore e dalla Costituzione, in quanto non ascrivibile né ai controlli preventivi di legittimità, né a quelli di legittimità-regolarità, né a quelli sulla gestione, con grave “vulnus” dei principi costituzionali richiamati nel presente articolo.
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