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La trasposizione del ricorso straordinario al vaglio della corte europea.

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LA TRASPOSIZIONE DEL RICORSO STRAORDINARIO AL VAGLIO DELLA CORTE EUROPEA.

del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci

 

Con un meditato parere interlocutorio (n. 01023/2015 del 15 luglio 2015), la Sezione II del Consiglio di Stato affronta l’ostico problema della trasposizione del ricorso straordinario dinanzi al competente Tribunale amministrativo regionale prevista dall’art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e, successivamente, dall’art. 48 del codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104).

Il parere, disattese le consuete, capziose eccezioni della burocrazia ministeriale (altro aspetto deleterio dell’iter procedimentale) ha, d’ufficio, esaminato il problema – forse il più rilevante – che ancora depotenzia pesantemente il ricorso straordinario: cioè a dire, la facoltà riconosciuta alle controparti di chiedere la trasposizione del gravame dinanzi al competente Tribunale amministrativo.

In termini più realistici, la trasposizione si sostanzia nella possibilità, offerta su un piatto d’argento, a chi usa la giustizia come utile espediente per guadagnare tempo e, quindi, rinviare sine die la decisione finale di una controversia, dopo due gradi di giudizio e l’eventuale fase della revocazione.

Invero, l’esercizio del diritto di trasposizione del ricorso concretizza un vero e proprio “diritto potestativo processuale” in quanto il ricorrente nulla può opporre qualora sussistano i presupposti di legge (legittimazione attiva e termine perentorio per proporlo, la cui verifica compete al Tribunale ad quem).

Il parere di cui trattasi, a tale riguardo, ricorda che l’istituto della trasposizione ripete la sua ratio dal favor iurisdictionis, dato che, anteriormente all’art. 69 della legge 18 giugno 2009, n. 69, il procedimento decisorio del ricorso straordinario non era in tutto e per tutto assimilabile ad un procedimento giurisdizionale, dal momento che il Governo poteva disattendere il parere del Consiglio di Stato mediante una delibera del Consiglio dei ministri (art. 14, comma 2, del d.P.R. n. 1199 del 1971, poi abrogato dall’art. 69, comma 2, lett. b), della legge 18 giugno 2009, n. 69).

Correttamente il parere evidenzia che a rafforzare la definitiva trasformazione in rimedio giurisdizionale del ricorso straordinario è anche intervenuto il primo comma del citato art. 69, in virtù del quale il Consiglio di Stato può, pure in tale sede, sollevare questioni di legittimità costituzionale: prerogativa questa riservata unicamente alle autorità giurisdizionali (art. 23, comma 1, legge 11 marzo 1953, n. 87).

Inoltre, ulteriori elementi a favore della definitiva giurisdizionalizzazione del ricorso straordinario sono la sua sottoposizione al contributo unificato (art. 13, comma 6 bis, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dell’art. 37, comma 6, lett. s), d.l. 6 luglio 2011, n. 98), nonché la possibilità di esperire il ricorso in ottemperanza per l’esecuzione delle decisioni sul ricorso stesso, ai sensi dell’art. 112, commi 1 e 2, lett. b) e d), del codice del processo amministrativo, in quanto anche la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione e delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato ha superato ogni perplessità in materia (sul punto, diffusamente G. P. Jaricci, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, Roma, 2011, 204 ss.).

Ciò stante, la Sezione adita pone, altresì, nel dovuto risalto come “una volta che al procedimento di decisione al ricorso straordinario sia stata riconosciuta natura giurisdizionale, e che dunque l’originaria motivazione fondata sul favor iurisdictionis non possa ormai più considerarsi attuale”, l’esercizio del diritto di trasposizione equivale sostanzialmente ad un’alterazione del giudice naturale e ad una modificazione del giusto processo per effetto di una richiesta avanzata unilateralmente da una sola delle parti, pur in assenza di una valida ed apprezzabile motivazione, determinando così anche un ingiustificato svantaggio per le parti più deboli del processo.

Quest’ultime, infatti, vedono la propria azione paralizzata per effetto dell’avvenuto esercizio della facoltà di trasposizione, la cui legittimità – è bene ribadirlo – potrà essere valutata soltanto dal giudice ad quem.

“In definitiva, si attribuisce ad una soltanto delle parti un potere privo di alcuna logica corrispondente al diritto di difesa, tale da menomare in modo significativo le posizioni del ricorrente e delle restanti parti del giudizio”.

Vero è, invece, nonostante resistenze, anche attuali, non adeguatamente giustificate e, comunque, in aperto contrasto con la normativa di riferimento e la più accreditata giurisprudenza, che il ricorso straordinario rappresenta un attuale, utile strumento di tutela dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni, offrendo innegabili vantaggi rispetto al ricorso giurisdizionale, nonostante l’intervento frenante della burocrazia ministeriale.

Dopo di che il parere de quo dubita fondatamente della compatibilità con il diritto comunitario della trasposizione in sede giurisdizionale, così come delineata dall’attuale disciplina del ricorso straordinario.

Anzitutto, il principio secondo cui “ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale precostituito per legge” (art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) trova esplicito riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Inoltre, “il principio pienamente accolto sia nel diritto comunitario, sia in quello costituzionale nazionale, per il quale nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, non consente in alcun modo che l’individuazione dell’ufficio giudiziario avente giurisdizione e competenza ad esaminare una determinata controversia” possa addirittura avvenire per effetto della scelta di una sola parte e, a maggior ragione, “per mero calcolo di convenienza o di tattica processuale a vantaggio soltanto di una di esse” (così, testualmente, il parere in esame).

Infine, è da considerare che l’art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, concernente il divieto dell’abuso di diritto “non consente di interpretare alcuna delle disposizioni ivi contenute come suscettibile di limitare anche solo parzialmente le libertà e le garanzie riconosciute” nella stessa.

Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, la Sezione giudicante ha ritenuto di sottoporre all’esame della Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267, paragr. 1, lett. a) e paragr. 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni: “se l’art. 47, secondo paragrafo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000/C 364/01), ove prescrive che ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge e sancisce il diritto al giusto processo, ed il successivo art. 54 là dove previene l’abuso del diritto, nonché l’art. 6, paragr. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, là dove vi si prevede che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, ostino ad una normativa nazionale che, ai sensi dell’art. 10 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e dell’art. 48 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, permette ad una sola delle parti del giudizio straordinario in unico grado dinanzi al Consiglio di Stato di ottenerne la trasposizione in primo grado dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale, senza il consenso od il concorso del ricorrente o di qualunque altra parte dello stesso giudizio”.

La lodevole iniziativa della Sezione remittente merita incondizionato consenso. Onde, a questo punto, c’è solo da augurarsi che a seguito della emananda decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea venga rimosso dal nostro ordinamento l’anacronistico istituto della trasposizione che attualmente, in virtù della ormai riconosciuta natura sostanzialmente giurisdizionale del ricorso straordinario, rappresenta solo un pesante viatico per quanti intendono avvalersi di tale strumento di tutela, peraltro già impastoiato da discutibili intralci burocratici che originano da “modelli organizzativi e culture professionali, oggi assolutamente inadeguati” (G. Melis, La burocrazia, Bologna, 1998, 103).

Sia consentito concludere queste rapide notazioni richiamando ancora l’incisiva considerazione del parere e cioè che, attualmente, nonostante la mutata natura del ricorso straordinario, “l’esercizio del diritto di trasposizione equivale sostanzialmente ad un’alterazione del giudice naturale e ad una modificazione del giusto processo”.

Nè va, poi, sottaciuto che il codice del processo amministrativo (pur se sgangherato in più parti) ben diversamente avrebbe potuto e dovuto intervenire sulla disciplina del ricorso straordinario avendo la normativa regolatrice dello stesso già subito, prima del luglio 2010, profondi e significativi rivolgimenti e, quindi, eliminare anzitutto l’istituto della trasposizione che, in definitiva, si risolve nel discutibile trasferimento del gravame, su iniziativa anche di una sola parte, da un giudice ad altro giudice, senza necessità di alcuna motivazione e, come tale, sicuramente inammissibile.

 

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