Nelle scorse settimane ha preso avvio su www.unsognoitaliano.eu un dibattito sul ruolo dei Capi di Gabinetto, responsabili degli Uffici di Diretta Collaborazione dei Ministri. Si tratta di personaggi chiave il cui compito possiamo riassumere in quello di trasmettere la volontà del Ministro alla struttura amministrativa e di controllarne l’attività.
Il dibattito ha preso le mosse da un mio articolo cui ha fatto seguito l’intervento del Prof. Luigi Tivelli, con una lunga esperienza di Consigliere parlamentare, Capo di Gabinetto e Consigliere giuridico, autore di molti libri sulla Pubblica Amministrazione, Presidente dell’Accademy Spadolini.
I lettori hanno tutti gli elementi a disposizione per farsi un’idea. La mia la tesi postula la necessità di un’assonanza ideale tra autorità politica e Capo di Gabinetto, il quale non deve essere un politico ma una persona di “area” come si dice, perché la struttura ministeriale possa riconoscere nel Capo di Gabinetto uno che “la pensa” come il Ministro.
Tivelli dissente e fa l’esempio di illustri Capi di Gabinetto che hanno collaborato con politici di diverso orientamento. Dello stesso parere Luigi Fiorentino, intervenuto nel dibattito con l’autorevolezza della sua lunga esperienza di grand commis, che ha collaborato con ministri appartenenti a vari partiti politici.
Buona lettura!
Salvatore Sfrecola
Il Capo di Gabinetto? Me lo hanno imposto
di Salvatore Sfrecola
L’ho sentita più volte questa frase da ministri degli ultimi governi e dell’attuale. Badate, “imposto”, non “consigliato” come accadeva quando i ministri democristiani facevano la staffetta. Allora poteva avere una logica nella continuità di indirizzo politico e amministrativo. Erano politici dello stesso partito e “pescavano” tra gli stessi grand commis sperimentati personalmente.
Perché mi soffermo ancora una volta sul ruolo dei capi di gabinetto? Non sono l’unico ad averne scritto, a parte il famoso “Io sono il potere – confessioni di un Capo di Gabinetto” (edito da Feltrinelli) che ne ha esaltato la capacità di incidere sulle decisioni e sulla stessa politica del ministero di appartenenza. I capi di gabinetto, infatti, sono una lobby, tra loro collegati e, in qualche tempo, sono stati anche coordinati dal Capo di gabinetto (oggi Segretario generale) della Presidenza del Consiglio dei ministri. Lo ha fatto Antonio Catricalà, Segretario generale nel Governo Berlusconi 2001-2006, il cui nome ricorre più volte in uno dei volumi che hanno scritto di “chi comanda davvero in Italia” (“NomenKlatura” di Roberto Mania e Marco Panara, edito da Feltrinelli).
Essi sono i primi collaboratori dei ministri, presiedono quello che oggi si chiama “Ufficio di diretta collaborazione”, che comprende anche la Segreteria particolare del ministro e l’Ufficio legislativo. In questa veste trasmettono le direttive dei ministri alla struttura amministrativa, ai Capi dipartimento e ai Direttori generali e ne verificano la corretta esecuzione. Essi sono la voce del ministro. Sono tecnici di elevata professionalità, generalmente magistrati del Consiglio di Stato o della Corte dei conti che si segnalano per l’esperienza maturata nella conoscenza delle questioni dell’amministrazione e per essere, in ragione della provenienza, dotati di quella indipendenza che accresce la loro autorevolezza agli occhi dei funzionari ministeriali dei quali parlano lo stesso linguaggio. “Gestire un ministero – ha spiegato Francesco Giavazzi (richiamato da Paolo Bracalini in “La Repubblica dei mandarini”, edito da Marsilio) è una questione complessa: richiede dimestichezza con il bilancio dello Stato e il diritto amministrativo e soprattutto buoni rapporti con i burocrati che guidano gli altri ministeri e la presidenza del Consiglio”.
Non sono politici in senso stretto, ma di ognuno di loro si sa nell’ambiente quale sia l’orientamento ideologico che dovrebbe essere coerente con quello del ministro, altrimenti la struttura non comprenderebbe perché il politico si avvalga di una persona lontana dalle sue idee, pertanto privo di quell’entusiasmo che dovrebbe sempre accompagnare la collaborazione con una personalità politica protesa a perseguire obiettivi di generale interesse.
C’è, dunque, qualcosa che stona nella trasmissione delle decisioni del ministro da parte di un Capo di gabinetto che sia di altro orientamento politico, soprattutto se è stato nello stesso ruolo accanto ad un ministro di opposte tendenze.
Ricordato il ruolo del Capo di gabinetto è evidentemente assurdo che una autorità politica si faccia imporre il suo più stretto collaboratore. E da chi? Una certa pudicizia impedisce ad ognuno di dire, anche in sede riservata, chi è stato ad imporre la scelta, ma è facile desumere che possa essere stato chi, in ogni caso, ha l’autorità per farlo: il Capo delegazione al Governo, il Segretario del partito, il Capo gruppo parlamentare. Naturalmente la fantasia che accompagna la narrazione di questi eventi individua altri possibili potentati, che si immaginano “occulti”, i “poteri forti”, ambienti ecclesiastici, oltre la solita Massoneria delle varie obbedienze.
È inevitabile che il Capo di Gabinetto “imposto” sia collegato con colui che lo ha designato dal quale avrà probabilmente indicazioni ed al quale riferirà, anche senza violare princìpi di riservatezza, qualcosa di ciò che fa il personaggio col quale collabora. Questo aspetto a mio giudizio è gravissimo e si inserisce in una più vasta situazione ben messa in risalto dal Ministro Guido Crosetto il quale, all’indomani della formazione del Governo, aveva segnalato l’esigenza di un rinnovamento di parte della dirigenza di nomina governativa in quanto legata ai partiti politici i cui ministri avevano effettuato le nomine, soggetti ritenuti lontani dalla filosofia politica dell’attuale maggioranza. In pratica li accusava di remare contro. Ciò in quanto parte di una rete che i partiti di sinistra hanno creato negli anni, non solo quando hanno governato ma anche quando è prevalso il centrodestra, nel 2001 2006 ad esempio. E che adesso si va ripetendo, non solamente perché le parole di Crosetto si sono disperse al vento, ma perché il Governo ha fatto l’esatto opposto di quanto aveva ipotizzato l’autorevole Ministro della difesa, consolidando i dirigenti a tempo nominati dai ministri dei precedenti governi. Cito ancora Giavazzi il quale “ha imputato alla scelta di mantenere al loro posto, “quasi senza eccezioni, tutti i grandi burocrati che guidano i ministeri”, il vero motivo dell’insuccesso di Mario Monti nel taglio della spesa pubblica” (sempre dal libro di Bracalini).
Così non si governa. Lungi da me, liberale di scuola cavouriana, immaginare un’amministrazione politicizzata. Essa deve essere al servizio dello Stato e non dei partiti. Ho scritto più volte che il pubblico funzionario, il civil servant di Sua Maestà è un professionista dell’amministrazione, un uomo di legge la cui indipendenza è assicurata dall’ordinamento, come avviene, appunto, nel Regno unito.
Con Capi di gabinetto imposti o comunque legati ideologicamente, alcuni in modo smaccato, alle precedenti esperienze di governo ed agli uomini più rappresentativi di maggioranze lontane dall’attuale, nel contesto di una vasta occupazione dei ministeri attuata nel tempo da parte delle sinistre con la complicità di taluni personaggi, abituati a percorrere con passi felpati i palazzi del potere, che così ritengono di “pararsi” a sinistra, è arduo pensare che sia facile perseguire una significativa svolta di governo. Al di là delle buone intenzioni, il governo di Giorgia Meloni potrà fare meno, molto meno di quanto promesso in sede elettorale e indicato nelle dichiarazioni programmatiche se non assume il controllo dell’Amministrazione che, ricordo ancora una volta, è lo strumento attraverso il quale l’indirizzo politico governativo prende forma concreta.
Interviene nel dibattito il Prof. Luigi Tivelli, noto studioso di Pubblica Amministrazione
A seguito del mio articolo del 6 agosto “Il Capo di Gabinetto? Me lo hanno imposto”, il Professor Luigi Tivelli, ex consigliere parlamentare, persona che io stimo moltissimo per la sua cultura giuridica e per la lunga esperienza di consigliere ministeriale e Capo di Gabinetto, mi aveva telefonato per manifestare il suo aperto dissenso rispetto alla mia imposizione secondo la quale deve esistere una consonanza ideologica tra Ministro e Capo di Gabinetto, nell’attuale contesto storico-politico, molto diverso da quello che richiamava Tivelli, quando era consuetudine che i Capi di Gabinetto rimanessero anche al cambio del Ministro. Questo, per la verità, è accaduto anche in tempi recenti ma a mio giudizio è sbagliato, come ho spiegato. Non perché le persone scelte non siano professionalmente capaci e affidabili servitori dello Stato, ma perché nell’attuale polarizzazione, che vede il governo e l’opposizione su posizioni molto differenziate, sulla base di una accentuata diversità del retroterra culturale e politico, che il Capo di Gabinetto abbia una connotazione evidentemente diversa da quella del Ministro, perché così è accaduto in tante occasioni, non fa il bene del Ministro e dell’Amministrazione quando la struttura percepisce il principale collaboratore del Ministro come distante dal vertice politico. Inoltre, è naturale che in assenza di sintonia con il vertice politico il collaboratore finisce per non avere quell’entusiasmo nella “missione” politica necessario per andare al di là dell’ordinaria amministrazione. Ricordo, nella mia esperienza, che quando ho collaborato con ministri con i quali avevo una particolare affinità di pensiero mettevo in campo anche un po’ di fantasia perché il ministro assumesse iniziative che, nella mia esperienza amministrativa, ritenevo dessero lustro all’autorità politica.
Queste le nostre distanti e distinte posizioni, ritenendo comunque utile un confronto con chi, per cultura giuridica ed esperienza ha qualcosa da dire al riguardo, volentieri ho accolto il suggerimento dell’amico Luigi Tivelli di aprire un dibattito. Lo faccio proprio con un suo pezzo che un po’ ricalca le cose che io avevo scritto nell’articolo del 7 di agosto, come me le aveva anticipate per telefono e che ora consegna in questa breve nota per chi fosse interessato ad interloquire sul tema per scienza ed esperienza.
Salvatore Sfrecola
“Ci confrontiamo ancora una volta con il Presidente Salvatore Sfrecola che dalla sua carriera significativa nella Corte di conti ha tratto fra gli altri aspetti grande dovizia giuridica, solida conoscenza dell’economia pubblica condite da una certa generosità. Dal 2001 quando eravamo colleghi Capi di gabinetto, lui col Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, io del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi. Certo ho sempre saputo che lui è un liberale cavouriano con tendenze monarchiche, io sono un “repubblicano in Repubblica”, come amava dire il grande Vicepresidente della Costituente Giovanni Conti, che ha fatto di tutto nella sua carriera di Consigliere parlamentare della Camera, con molte fasi da Consigliere parlamentare in Presidenza del Consiglio eccetera, per essere e diventare sempre più al di sopra delle parti.
Insieme a Guglielmo Negri, già impareggiabile Vicesegretario Generale vicario della Camera, poi Consigliere di Stato, che però a differenza di tanti colleghi si era anche specializzato ad Harward nel 1951, l’altro mio maestro principale è stato Antonio Maccanico, tra l’altro grande Segretario generale della Camera dei deputati e della Presidenza della Repubblica con Pertini e Cossiga, molte volte ministro, eccetera. A dire il vero io avevo già letto da giovane “La Giustizia nell’amministrazione” di Silvio Spaventa che detta i fondamenti dell’imparzialità del servizio all’amministrazione, ma devo dire che sia Negri che Maccanico (di cui sono stato anche consigliere giuridico e portavoce) erano legatissimi al dettato dell’articolo 97 della Costituzione, quello che sancisce la separazione tra politica e amministrazione e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.
Per questo fui tra i primissimi a criticare con forza quel pessimo punto di svolta che fu l’introduzione del ”sistema delle spoglie” nella Pubblica Amministrazione ad opera dell’allora Ministro della funzione pubblica, Franco Bassanini, nella seconda metà degli anni ‘90. Ho omesso poi di citare il senso dell’articolo 98 secondo cui “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”.
Ho sempre pensato che l’introduzione di quello che ho sempre definito “sistema delle spoglie all’italiana”, malamente mutuato e con effetti ben più degenerativi, dal sistema delle spoglie USA fosse e sia un vulnus ai principi dettati dal combinato disposto di quei due articoli della Costituzione.
Ricordo tra l’altro che ne discussi con un grande Presidente del Consiglio di Stato da poco scomparso come Franco Frattini, che dovette apprestare da Ministro della funzione pubblica del Governo Berlusconi del 2001, succeduto a precedenti governi di Centrosinistra, una sorta di contro spoil system, in quanto con la prima applicazione di quel sistema delle spoglie all’italiana una sorta di politicizzazione, con nomina fiduciaria o parafiduciaria da parte dei ministri o di fatto qualche sottosegretario no di tanti dirigenti di prima e anche di seconda fascia costringeva anche Frattini, che non credeva in quel modello in quanto Ministro della funzione pubblica, ad assumere contromisure. Nulla quaestio se lo spoil system si applica ai Capi dipartimento, ai Segretari generali e alle figure apicali ma farlo discendere fino alla dirigenza perfino di seconda fascia ha finito per snaturare la dimensione, il senso della pubblica amministrazione e del servizio allo Stato.
Veniamo però all’aspetto e alla funzione dei Capi di gabinetto che, con tanto zelo ed impronta strettamente fiduciaria, ha trattato l’amico Salvatore Sfrecola da queste colonne. Credo di aver scritto alcuni fra i libri e i saggi più significativi sui civil servant, salvo che qualcuno ritenga un saggio significativo qualche libro anonimo del tipo “Io sono il potere”, secondo il quale il Capo di gabinetto sembra l’uomo più onnipotente della Repubblica.
Esattamente due giorni fa sono andato volentieri, qui a Sabaudia, da dove scrivo, al premio Catricalà ed ho ripercorso ancora una volta la figura di Antonio che è stato volentieri e indifferentemente Capo di gabinetto di centrodestra o di Centrosinistra o ha assunto figure similari in governi di centrosinistra o di centro destra.
Come è noto ci sono delle personalità autorevoli cui spesso i ministri si sono affidati o si affidano per consigli sulla scelta dei Capi di gabinetto. Nel mio libro “Chi è Stato – gli uomini che fanno funzionare l’Italia”, del 2009, l’unico in cui c’è un lungo ritratto dialogo, intervista con Gianni Letta, il dottor Letta dichiara chiaramente che lui sia nelle scelte dirette che nei consigli si è sempre comportato come se non esistesse la norma dello spoil system.
Un’altra personalità con un’impronta più nettamente da grande professore e giurista come Sabino Cassese, da alcuni anni a questa parte denuncia con forza gli effetti del “sistema delle spoglie” e onestamente credo che ad entrambi sia capitato di dover suggerire per le posizioni di Capo di gabinetto indifferentemente figure per governi di centrodestra e di centrosinistra, in quanto richiesti di qualche consiglio.
Apprezzo, ad esempio, tra gli altri, per salire ad un livello più apicale la figura di Carlo Deodato, oggi Segretario Generale della Presidenza del Consiglio nel governo Meloni. Ma ricordo bene, come credo sapesse chi lo ha scelto per questo incarico nei mesi scorsi, che Deodato era capo del DAGL (il Dipartimento per gli affari Giuridici e Legislativi) nel governo a guida PD di Enrico Letta.
Ho chiesto lumi ad un ottimo ex Capo di gabinetto, oggi Capo del Dipartimento per l’editoria e la comunicazione della Presidenza del Consiglio, Luigi Fiorentino, che tra l’altro è anche uno dei pochi alti dirigenti pubblici che conosce e insegna il management pubblico e mi ha ricordato di aver fatto in anni non lontani indifferentemente il Capo di gabinetto per ministri della Lega o di centrosinistra o del Movimento 5 Stelle. Gli esempi potrebbero ampiamente proseguire. Credo di avere le idee abbastanza fresche perché sto licenziando definitivamente un libro dal titolo “I segreti del potere – le voci del silenzio”, oltre che un mio lungo saggio introduttivo fatto essenzialmente di ritratti e dialoghi con figure di civil servant. I migliori e più significativi di essi hanno appunto indifferentemente esercitato le loro funzioni con governi e ministri di colore diverso.
Nessun dubbio che il Capo di gabinetto è l’imbuto essenziale che deve avere in qualche modo rapporti fiduciari con il ministro, fra il ministro e l’amministrazione di riferimento. Ma c’è bisogno davvero di essere dello stesso colore del ministro per fare questo? Io preferisco quelli che, come nel mio piccolo, è capitato a me, hanno girato l’alta amministrazione, provenendo dal carriera di Consigliere parlamentare, tenendo sempre in tasca il senso degli articoli 97 e 98 della Costituzione. Ciò che ho sempre tentato di trasferire come insegnamento anche quando a suo tempo fungevo con qualche assiduità da docente di amministrazione pubblica alla allora Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione. Oportet ut scandala eveniant, direbbe l’amico Salvatore Sfrecola che pratica forse più di me i brocardi latini.
Pertanto, grazie Salvatore per aver aperto questo tema e questo fronte. Sarebbe bello e significativo che su questi punti intervenissero altre voci forse più competenti o con maggiore esperienza della mia. Che potrebbe dire ad esempio un Corrado Calabrò, che ha iniziato come Capo della Segreteria tecnica di Aldo Moro e attraversato poi da Capo di gabinetto decine di ministeri con ministri diversi di diversi colori? Che potrebbe dire l’ottimo de Lise? Ma che potrebbero dire anche altri di generazioni più giovani? Mi sembra che i civil servant italiani tante volte abbiamo un po’ di timore a misurarsi col confronto critico, che invece farebbe molto bene a tanti e pure al senso del servizio allo Stato, vuoi che tengano o non tengano in tasca gli articoli 97 e 98 della Costituzione”.
Il contributo-testimonianza del Prof. Luigi Fiorentino, Consigliere della PCM e Capo Dipartimento Capo Dipartimento informazione ed editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Bel dibattito quello aperto dal Presidente Salvatore Sfrecola sulla figura dei Capi di gabinetto, nell’attuale fase storica, oggi, in una congiuntura politica nuova e per tanti versi sfidante.
In sostanza si sono sin qui confrontate due tesi, quella del Presidente Sfrecola e quella del Consigliere Luigi Tivelli. L’uno ritiene importante una omogeneità politica con il Ministro, l’altro la ritiene non essenziale, portando esempi concreti di Grand Commis che hanno ricoperto tale ruolo indifferentemente con Ministri di schieramenti politici diversi.
Credo che l’analisi vada, in linea generale, da un lato storicizzata e dall’altro condotta esaminando in concreto l’attività del Capo di gabinetto.
Quanto al primo profilo, distinguerei, quindi, almeno quattro periodi, durante i quali il profilo politico di chi riveste tale ruolo è più o meno netto: la prima Repubblica, la seconda Repubblica, i governi tecnici, il momento attuale. Anche se non esiste una regola generale e vi sono numerosi esempi di segno contrario in ognuna delle diverse fasi, il profilo politico è più evidente quando le coalizioni sono politiche, meno nel caso di governi tecnici o di “larghe intese”.
Quanto al secondo profilo, è necessario forse chiedersi se ad un Ministro sia più utile un Capo di gabinetto “politicizzato”, o un Capo di gabinetto non apertamente schierato, che realizzi gli obiettivi definiti dal vertice politico con serietà ed efficienza.
Certo, anche un Capo di gabinetto “politicizzato” può essere competente ed utile nel lavoro quotidiano. Ma cosa cerca davvero un Ministro nel proprio Capo di gabinetto? Secondo la mia esperienza: lealtà, competenza e capacità di risolvere i problemi.
Un Capo di gabinetto deve essere leale e trasparente nei comportamenti. Non deve mai farsi prendere dal delirio di onnipotenza. Deve essere in concreto, ma anche apparire, “al servizio”, “a supporto” del vertice politico. Non deve mai trasmettere la sensazione di essere il vero decisore. Quando ciò accade, c’è qualcosa di anomalo nel rapporto con il Ministro. Qualcosa di “insano”. Mi è capitato, soprattutto in passato, di sentir dire, di uno piuttosto di un altro Capo di gabinetto, “è lui il vero Ministro”. Naturalmente si trattava di semplificazioni, che riflettevano però sicuramente un modello “muscolare” di intendere il ruolo, forse anche un eccessivo protagonismo con le lobbies e con i c.d. “poteri forti” e un pericoloso distacco dalla struttura amministrativa. In passato alcuni miti sono stati costruiti e tramandati proprio su queste basi.
Lealtà nell’esercizio di questa delicata funzione significa essere trasparenti nei confronti del vertice politico. In sostanza, occorre sempre riferire tutto e supportare il Ministro nella definizione delle decisioni strategiche, renderlo edotto passo dopo passo dei problemi relativi all’implementazione di una data riforma o, comunque, di un determinato atto. Aggiornarlo sui problemi dell’amministrazione, sulle eventuali carenze organizzative e sui nodi gestionali. Metterlo a parte dei rapporti con le forze politiche, con le organizzazioni sindacali e sociali.
Nella mia visione il Capo di gabinetto deve essere equilibrato e costituire uno snodo agile.
Non deve mai diventare un freno, né impedire l’accesso dei dirigenti dell’amministrazione al Ministro.
Inoltre, credo sia indispensabile che un Capo di gabinetto conosca il funzionamento del sistema politico, dei partiti e delle aggregazioni in funzione elettorale. Sappia la storia dei partiti politici e delle alleanze elettorali. In sostanza, possegga, almeno, i profili generali della scienza politica.
Un Capo di gabinetto deve conoscere in concreto l’organizzazione ed il funzionamento delle pubbliche amministrazioni: quali sono i compiti, come si relazionano le unità interne ad una determinata amministrazione e le diverse amministrazioni tra loro. Come si svolge realmente il rapporto con gli organi di controllo. E così via. Ma anche quali sono gli orientamenti giurisprudenziali su una determinata questione. Deve saper organizzare la costruzione di un dossier su uno specifico argomento, sia nella fase di progettazione sia nella fase attuativa di una riforma: si tratta di fasi importanti, in cui è necessaria una grande sensibilità politica al fine di comprendere gli obiettivi politici che il vertice vuole raggiungere.
Serve competenza, capacità di analisi, per indicare il percorso giuridicamente corretto e sostenibile da parte dell’amministrazione, sotto il profilo finanziario e organizzativo.
Nell’attuale fase storica, il Capo di gabinetto non può essere soltanto, come avveniva in passato, un buon giurista. È sempre di più una figura particolare, con competenze multidisciplinari o, in ogni caso, in grado di coordinare esperti dei più svariati ambiti.
Infatti, la complessità delle amministrazioni, il ruolo preponderante dell’Europa e di vari ed importanti organismi internazionali, la presenza di un sistema multilivello sempre più pervasivo, l’eterogeneità degli interessi in gioco, richiedono molteplici competenze, molto spesso team composti, come già ho detto, da scienziati politici, economisti, sociologi, statistici, oltre ad esperti dei vari rami del diritto.
In una realtà sempre più complessa, credo, in sintesi, che più che una comune visione politica con il Ministro, sia indispensabile grande lealtà, dedizione e competenza. Peraltro, con un Capo di gabinetto politicamente forte, nel senso di soggetto organico ad una forza politica, non possono escludersi neppure tensioni con il Ministro, cioè spiacevoli situazioni di stress relazionale, dovute ad una lotta, magari sotterranea, per la primazia nel governo politico della “macchina”, che sicuramente danneggiano il clima complessivo del Ministero, eliminano quella chiarezza di ruoli e rapporti necessaria per l’efficace gestione di strutture sempre più complesse.
Io ho lavorato con politici di diverso e contrapposto orientamento e non ho mai avuto alcun problema a supportarli, con suggerimenti, analisi e proposte nonché a impostare l’attività degli uffici di diretta collaborazione in funzione degli obiettivi politici, per il cui raggiungimento mi sono sempre impegnato con tutte le mie energie, con lealtà e con spirito di innovazione.