SOMMARIO: 1. La questione di costituzionalità sollevata dal T.A.R. Lazio 2. La sentenza n. 164 del 2020. 3. La fase istruttoria di fronte alla Corte costituzionale: la convocazione di esperti di chiara fama. 4. Il merito della quaestio. 5. Spunti conclusivi
- La questione di costituzionalità sollevata dal T.A.R. Lazio
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 164 del 2020, si è pronunciata sulle posizioni organizzative di elevata specializzazione istituite presso le Agenzie fiscali, a conclusione di una serie di vicende normative e giurisprudenziali che in questa sede si possono solo accennare. La sentenza appena indicata ha ad oggetto l’art. 1, comma 93, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 27 dicembre 2017, n. 205. La quaestio è stata sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel corso di un giudizio promosso da Dirpubblica−Federazione del pubblico impiego avente ad oggetto l’impugnazione di diversi provvedimenti emanati dall’Agenzia delle entrate sulla scorta della norma citata[1]. Il giudice rimettente solleva dubbi di costituzionalità in relazione alla previsione delle posizioni organizzative previste dalla citata legge: si tratta di posizioni a cui vengono conferiti una serie di poteri ulteriori rispetto a quelli propri del funzionari che tali posizioni rivestono e che avvicinano le stesse a figure di natura dirigenziale[2].
La sentenza è caratterizzata da diverse particolarità. Oltre alla discrasia tra giudice relatore e giudice redattore, la pronuncia si segnala anche per la parentesi istruttoria che essa conosce. La Corte ha infatti, per la prima volta, fatto uso dell’art. 14-bis delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, che contempla la possibilità di procedere alla convocazione di esperti di chiara fama[3]. Nel caso gli esperti sono stati individuati, convocati, e sentiti in camera di consiglio. Con l’ordinanza 27 febbraio 2020 sono stati individuati gli esperti nelle persone del prof. Elio Borgonovi e del dott. Vieri Ceriani. Non va poi sottaciuto che si tratta di una quesitone non del tutto nuova., dato che in un non lontano precedente la Corte è stata chiamata a pronunciarsi su una questione simile, tanto simile da evocare una violazione dell’art. 136 Cost. attesa la pregressa dichiarazione di incostituzionalità (Corte cost., sent. n. 37 del 2015).
La vicenda ha origini remote e costituisce l’epilogo di una serie di interventi legislativi intervallati da pronunce di giudici amministrativi e dalla decisione della Corte costituzionale appena richiamata. Il TAR Lazio aveva già nei primi anni 2000 annullato procedure concorsuali bandite dalle Agenzie fiscali: le posizioni dirigenziali vacanti venivano quindi coperte con contratti a tempo determinato con funzionari dell’Agenzia, sulla base di norme regolamentari che venivano pure annullate dal giudice amministrativo dato che le proroghe che si erano susseguite non consentivano più di inquadrarle nell’istituto della “reggenza”, facendo difetto sia la straordinarietà che la temporaneità. Veniva nel frattempo approvata il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, il cui art. 8, comma 24 autorizzava le Agenzie ad attivare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, facendo salvi gli incarichi dirigenziali già affidati a funzionari e ritenuti illegittimi dal giudice amministrativo. La stessa norma prevedeva di attribuire nuovi incarichi dirigenziali ai funzionari con contratti di lavoro a tempo determinato. Proposta dal Giudice amministrativo questione di legittimità costituzionale sulla norma appena citata, per violazione degli articoli 3, 51 e 97 Cost., la Corte, con la già citata sentenza n. 37 del 2015, premesso che «nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio», annullava la norma censurata. Le Agenzie fiscali, onde contenere gli effetti della decadenza dei funzionari “reggenti”, provvedevano ad attribuire incarichi ad interim a dirigenti di ruolo e deleghe di firma ai funzionari.
Con il decreto legge n. 78 de 2015 si consentiva alle Agenzie fiscali di annullare le procedure concorsuali per posti dirigenziali già bandite di indire nuovi concorsi pubblici: nel frattempo le Agenzie erano abilitate a delegare a funzionari della terza area le funzioni dirigenziali relative agli uffici di cui avessero assunto la direzione ad interim. I funzionari erano individuati sulla base di una procedura selettiva, che teneva in considerazione la preparazione e l’esperienza professionale. Il termine di espletamento di tali procedure veniva più volte prorogato fino al il 31 dicembre 2018 (art. 1, comma 95, lettera b), della legge n. 205 del 2017). Con l’art. 1, comma 93, della legge n. 205 del 2017, oggetto della presente questione di costituzionalità, si è consentito alle Agenzie fiscali di istituire le posizioni organizzative di elevata professionalità (POER appunto). Tali figure possono svolgere incarichi di elevata responsabilità, alta professionalità o particolare specializzazione, compresa la responsabilità di uffici operativi di livello non dirigenziale.
Il giudice rimettente rileva, in relazione appunto all’art. 1, comma 93, lettere a), b), c) e d), della legge n. 205 del 2017, che esso consente alle Agenzie fiscali di istituire «posizioni organizzative per lo svolgimento di incarichi di elevata responsabilità, alta professionalità o particolare specializzazione» (POER), caratterizzate da poteri di natura dirigenziale, in violazione dell’ 136 Cost. (in relazione alla citata sent. n. 37 del 2015) e degli artt. 3, 51 e 97 Cost. in quanto l’accesso a tali posizioni organizzative consentirebbe, attraverso una progressione verticale in assenza di un concorso pubblico, lo svolgimento di funzioni tipicamente dirigenziali[4]. Tali posizioni attribuirebbero poteri di spesa e di acquisizione delle entrate e la complessiva «responsabilità dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di organizzazione delle risorse umane»: si tratterebbe in sostanza di poteri estranei a quelli tipici della terza area e tipici invece della qualifica dirigenziale[5]. Ciò determinerebbe «una vera e propria progressione di carriera verticale per i dipendenti appartenenti alla terza area», con conseguente violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost.[6].
Viene censurato anche l’art. 1, comma, 93, lettera e) della legge n. 205 del 2017 nella parte in cui prevede la possibilità di esonerare dalla prova preselettiva del concorso pubblico per l’accesso alla qualifica dirigenziale i dipendenti delle Agenzie fiscali che abbiano svolto per almeno due anni funzioni dirigenziali o siano stati titolari di POER o di posizioni organizzative speciali temporanee; viene infine prevista la possibilità di riservare fino al cinquanta per cento dei posti banditi ai dipendenti delle Agenzie fiscali con almeno dieci anni di anzianità nella terza area, senza demerito. La disposizione in esame violerebbe gli artt. 3, 51 e 97 Cost.[7].
- La sentenza n. 164 del 2020
L’assetto organizzativo che l’art. 1, comma, 93, lettera e) della legge n. 205 del 2017 disegna non è incompatibile, con la Corte, con i parametri costituzionali che sono evocati dal giudice rimettente. Si tratta, stando alla motivazione della sentenza, di un assetto organizzativo che non comporta l’attribuzione di vere e proprie funzioni dirigenziali. Si tratta di una conclusione a cui la Corte giunge a seguito della comparazione tra i compiti spettanti ai titolari di queste nuove posizioni e le funzioni che spettano ai dirigenti. E’ vero secondo la Corte, che i titolari delle POER dispongono del potere «di adottare atti e provvedimenti amministrativi, compresi gli atti che impegnano l’Agenzia verso l’esterno, i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate», ma tale possibilità rientra nelle competenze proprie degli uffici di tali funzionari e «la responsabilità dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati» non è, diversamente da quanto previsto in capo ai dirigenti, «esclusiva» né «autonoma» (art. 1, comma 93, lettera c). Si tratta di una serie di elementi che portano a ritenere che i titolari di POER si collocano in una posizione di subordinazione gerarchica rispetto ai veri e propri dirigenti delle Agenzie.
La Corte osserva che vi è stato un processo di riorganizzazione delle Agenzie fiscali attraverso un rafforzamento e una valorizzazione delle competenze e delle professionalità maturate dai funzionari della terza area all’interno delle Agenzie stesse. Le disposizioni oggetto di censura non danno luogo ad una nuova area intermedia, trattandosi al contrario di «incarichi» di elevata responsabilità e particolare specializzazione, come anche riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione relativa ad analoghe figure organizzative, che ragiona appunto di meri «incarichi», per natura temporanei, comportanti un conseguente beneficio economico per i funzionari che li ricoprono[8].
La Corte costituzionale constata infine che la cifra di tale figura è la non stabilità di essa, non compatibile con un passaggio di area o di ruolo che si avrebbe se si fosse al cospetto dell’’attribuzione di un nuovo status. Nel pubblico impiego l’acquisizione di uno status ricorre quanto appunto esso è caratterizzato da una certa stabilità, potendo solo in casi tassativi venire meno. Si tratta di un dato caratterizzante della dirigenza pubblica che è indubbiamente connesso all’autonomia e all’indipendenza delle posizioni dirigenziali. Le cosiddette POER sono del resto state qualificate alla stregua di veri e propri “incarichi”, alla cui cessazione i destinatari riprendono ad esercitare le funzioni proprie della loro area di appartenenza senza poter aspirare alla stabilità della posizione organizzativa temporaneamente occupata.
Secondo la Corte, quindi, alla situazione in esame non sono applicabili i principi via via enucleati dalla giurisprudenza costituzionale in relazione all’obbligo del pubblico concorso per l’assunzione di incarichi dirigenziali: si tratta di un filone giurisprudenziale che ha come presupposto indispensabile l’acquisizione di un diverso status, caratterizzato da stabilità, situazione che implica la necessità del rispetto della regola del pubblico concorso in considerazione della collocazione della dirigenza pubblica in posizione di vertice, caratterizzata da spiccata autonoma, in una area intermedia fra il potere politico e il livello burocratico. Sulla base di queste considerazioni, la Corte conclude per l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 93, lettere a), b), c) e d), in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost.[9]
La questione relativa all’art. 1, comma 93, lettera e), della legge n. 205 del 2017, che autorizza le Agenzie ad attribuire, nell’ambito delle procedure concorsuali, un vantaggio competitivo ingiustificato al personale interno delle Agenzie fiscali, in violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., viene del pari ritenuta infondata dalla Corte costituzionale[10].
La Corte non ritiene irragionevole la previsione di un trattamento di favore per coloro che, attraverso il servizio già prestato nelle Agenzie fiscali, abbiano sufficientemente dimostrato “sul campo” effettive capacità lavorative. Con riguardo alla riserva di una quota di posti, la Corte ricorda che la propria giurisprudenza non ha escluso in radice l’ammissibilità di riserve parziali di posti, precisando che è necessario trovare un ragionevole punto di equilibrio tra il principio del pubblico concorso e l’interesse a consolidare pregresse esperienze lavorative presso l’amministrazione di appartenenza in sintonia con il principio di buon andamento. Sulla base di alcuni precedenti, la Corte ha dunque ritenuto che una riserva ai dipendenti interni può essere considerata legittima nei limiti del 50 per cento dei posti messi a concorso[11].
- La fase istruttoria davanti alla Corte costituzionale: la convocazione di esperti di chiara fama
La sentenza n. 164 rivela alcuni profili di interesse sul versante processuale. In primo luogo essa conosce una discrasia tra giudice relatore e giudice redattore. Il giudice Zanon, infatti, è stato sostituito, per la redazione della motivazione, dal giudice Coraggio. Del resto il giudice Zanon aveva provveduto a redigere la motivazione della sentenza n. 37 del 2015 rispetto alla quale erano stati dal giudice amministrativo sollevati dubbi in relazione al contrasto della nuova disciplina normativa con la sentenza stessa (in violazione dell’art. 136 Cost.).
Il profilo processuale più rilevante consiste nella decisione della Corte di procedere all’audizione di “esperti di chiara fama”, così come previsto dall’art. 14-bis della Norme integrative: si tratta di un istituto introdotto dalla Corte nel contesto del recente pacchetto di riforma delle Norme integrative[12]. Secondo la norma citata la Corte ha la possibilità di disporre l’audizione di esperti, quando «ritenga necessario acquisire informazioni attinenti a specifiche discipline»[13].
L’ordinanza di convocazione di esperti (dd. 27/02/2020) illustra i quesiti a cui gli esperti dovranno rispondere, in particolare ritenendo «di dover acquisire ulteriori e specifiche informazioni in relazione alle esigenze organizzative delle agenzie fiscali, alle mansioni assegnate al personale e alle modalità di selezione dello stesso, con particolare riferimento a presupposti e ricadute della introduzione delle cosiddette posizioni organizzative di elevata responsabilità»[14]. Il baricentro della questione riguarda proprio la contiguità delle funzioni svolte dai titolari di POER rispetto a quelle svolte dai dirigenti. Il problema consiste poi nel rispetto delle regole del pubblico concorso delle agevolazioni previste per l’accesso a tale ruolo in favore dei dipendenti dell’Agenzia. I quesiti posti dalla Corte sembrano rivestire natura giuridica, in violazione della regola secondo cui jura novit curia[15].
I punti toccati sono i seguenti: 1.quali siano le esigenze organizzative delle Agenzie fiscali che comportano la necessità di creare la nuova figura lavorativa delle posizioni organizzative di elevata responsabilità (POER); 2. quali siano le mansioni assegnate al personale chiamato a ricoprire tali posizioni organizzative; 3. quali siano le modalità di selezione per queste figure professionali; 4. quali i presupposti e le ricadute dell’introduzione delle POER.
In relazione alle mansioni assegnate al personale in questione (quesito n. 2), esse sono dettagliatamente previste dalla legge istitutiva delle POER: la questione consiste nel comparare le mansioni tipicamente dirigenziali e le mansioni di competenza dei titolari di POER alla luce anche del d.lgs. n. 165/2001. Con riguardo alle modalità di selezione del personale adibito alle POER (n. 3), il dubbio risiede nel rispetto del dettato costituzionale sull’accesso al pubblico impiego tramite concorso (art. 97, comma 4 Cost.) con specifico riferimento alle figure delle POER: un quesito quindi di carattere eminentemente giuridico.
Meno netta la natura giuridica delle altre questioni. Le “esigenze organizzative” di cui al primo quesito riguardano aspetti di organizzazione del lavoro all’interno delle Agenzie fiscali, aspetti cui non è certo estraneo l’art. 97, comma 2, Cost. Il principio di buon andamento è un modo per declinare, nell’ambito del lavoro pubblico, i concetti di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa: stando così le cose, anche questo quesito riguarda in sostanza l’interpretazione di norme, di carattere costituzionale per giunta. Il quarto quesito ha ad oggetto i presupposti e le ricadute dell’introduzione della POER. La legge ha come obiettivo la riduzione del numero dei dirigenti in un’ottica di riduzione dei costi. Il meccanismo avrebbe il vantaggio di valorizzare le professionalità dei dipendenti delle Agenzie fiscali al fine di garantire il buon andamento dell’azione amministrativa. Anche in questo caso i concetti di buon andamento dell’amministrazione, di efficienza ed economicità non sono affatto estranei al quesito formulato.
In fin dei conti tutti i quesiti sono di natura sostanzialmente giuridica in quanto si riferiscono a profili di organizzazione e/o regolazione del pubblico impiego, così come disciplinato dall’articolo 97 Cost. e dal d.lgs. n. 165/2001.
Non pare poi così scontata la funzionalità dei quesiti stessi rispetto alle questioni di costituzionalità sottoposte all’esame della Corte. Gli unici aspetti certamente utili a risolvere le questioni sono quello sulle mansioni assegnate e quello sulle modalità di selezione delle POER. Si tratta dei due quesiti che rivestono carattere squisitamente giuridico e che quindi non potrebbero a rigore essere sottoposte a valutazione da parte dei consulenti del giudice[16].
Le altre questioni sembrano non del tutto funzionali rispetto alla decisione da assumere. Il quesito sulle esigenze organizzative delle agenzie fiscali e quello sui presupposti e sulle ricadute della introduzione delle posizioni organizzative di elevata responsabilità non si prestano a valutazioni “oggettive”, e tanto meno sembrano connotati dal requisito di “scientificità” che sembra sotteso all’art. 14-bis N.I.[17] L’individuazione dei quesito non sembra molto precisa né rispondente ad uno stretto nesso di strumentalità rispetto alla decisione da assumere[18].
La Corte non ha neppure illustrato le ragioni in base a cui ha deciso di fare ricorso all’audizione piuttosto che una istruttoria ai sensi dell’art. 12 N.I.: si tratta di una scelta che ha significative ricadute in termini di diversità di garanzie previste per le parti costituite[19]. Secondo l’art. 14-bis, gli esperti vengono sentiti in camera di consiglio alla quale possono partecipare le parti costituite, con l’unica facoltà di rivolgere domande, mentre nell’istruttoria tradizionale il coinvolgimento delle parti è maggiore e comporta anche il deposito del materiale istruttorio con facoltà delle parti di prenderne visione[20].
La Corte avrebbe potuto fornire indicazioni sull’iter procedurale da seguire, in modo da completare i contorni processuali dell’istituto. Irrisolto rimane il problema della documentazione dell’attività istruttoria espletata. La Corte esclude espressamente ogni forma di verbalizzazione: “l’audizione”, si legge nell’ordinanza, si terrà in camera di consiglio, «avverrà solo in forma orale e sarà videoregistrata ad uso esclusivo della Corte»[21]. Si tratta di una documentazione che rimane –curiosamente- nella esclusiva disponibilità della Corte. Non si comprende se si tratta di una “regola” che verrà seguita anche in altri casi. Parrebbe del resto problematico fare dipendere l’iter processuale da una decisione presa di volta in volta dalla Corte.
Ulteriori dubbi attengono al procedimento di selezione degli “esperti”[22]. Quella che emerge è una assoluta assenza di giustificazione della scelta, mentre potrebbero essere indicati elementi in grado di giustificare la scelta, anche con riferimento alla preparazione dell’esperto sul punto in discussione (si potrebbe immaginare la allegazione del curriculum vitae dell’esperto)[23].
Nella pur articolata motivazione della sentenza non emerge alcun elemento relativo al contenuto dell’audizione. Si può rinvenire un’unica traccia quando si fa riferimento all’evoluzione della disciplina delle Agenzie fiscali «improntata a criteri di snellimento e agilità operativa, ritenuta più consona alla naturale dinamicità dei rapporti economici nazionali e internazionali […] e più idonea al raggiungimento di obbiettivi di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa di questo settore»; «in questo senso, come più volte sottolineato dagli esperti nella camera di consiglio del 27 maggio 2020, si sono espresse anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) […] e il Fondo monetario internazionale (FMI)»[24].
L’impressione è che l’audizione non abbia influito in modo particolare sulla decisione, a meno di non ritenere che in realtà ciò sia accaduto ma la Corte non ne abbia dato atto nella motivazione. In ogni caso l’esperimento di questo mezzo istruttorio non ha lasciato alcun segno nella motivazione della sentenza e questo non pare un dato né positivo né promettente.
4.Il merito della quaestio
Nel merito della questione, si può rilevare che il legislatore, da diversi anni a questa parte, nel tentativo di rendere più funzionale il lavoro delle Agenzie fiscali, e per sopperire alla carenza di posizioni dirigenziali stricto sensu intese, ha tentato di creare posizioni professionali di elevata professionalità che svolgessero (anche) funzioni normalmente spettanti a figure di livello dirigenziale. In relazione ad una norma in fin dei conti analoga la Corte aveva decretato l’illegittimità costituzionale delle norme introdotte constatando che alle figure create finivano per competere funzioni tipicamente dirigenziali per un tempo in sostanza indefinito. L’accesso a tali posizioni violava poi le norme costituzionali in materia di pubblico concorso[25].
Il legislatore ha introdotto successivamente nuove figure ancora accomunate per certi versi ai dirigenti, prevedendo corsie privilegiate di accesso ai ruoli per i dipendenti delle Agenzie delle entrate. Il focus della pronuncia consiste nell’inquadramento delle «posizioni organizzative per lo svolgimento di incarichi di elevata responsabilità, alta professionalità o particolare specializzazione», di cui all’art. 1, comma 93, della legge n. 205/2017. Si tratta di verificare se tali figure finiscano per coincidere con la figura del dirigente pubblico (artt. 16 e 17 d.lgs. n. 165/2001). Le caratteristiche di queste nuove figure organizzative sono le seguenti: si tratta di posizioni affidate, previa selezione interna, a funzionari con almeno cinque anni di anzianità nella terza area; i titolari delle posizioni possono adottare atti e provvedimenti aventi rilevanza anche esterna, atti di spesa e di entrata e infine atti gestionali ed organizzativi; è prevista una retribuzione di risultato; si prevede che, ai fini dell’accesso alla qualifica dirigenziale vera e propria, i dipendenti interni che per almeno due anni abbiano svolto funzioni dirigenziali oppure siano stati titolari delle nuove posizioni organizzative ad elevata responsabilità, sono esonerati da eventuale prova preselettiva, oltre a prevedere una riserva di posti del 50%.
Il rimettente enuclea diversi profili di incostituzionalità. In primo luogo la violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., in quanto i titolari delle POER svolgerebbero vere e proprie funzioni dirigenziali, le competenze loro assegnate non rientrando tra i poteri tipici dei funzionari di terza area; in secondo luogo, lamenta la violazione dell’art. 136 Cost. in relazione alla sent. 37 del 2015 della Corte; si evocano infine gli artt. 3, 51 e 97 Cost., in quanto si prevedono, ai fini dell’accesso alla qualifica dirigenziale, condizioni di favore per i dipendenti delle Agenzie che per almeno due anni abbiano svolto funzioni dirigenziali oppure siano stati titolari di POER, oltre alla riserva del 50% dei posti messi a concorso.
La Corte giunge alla conclusione che le POER sono una categoria lavorativa avente caratteristiche proprie, diverse dalla dirigenza pubblica. La conclusione solleva qualche dubbio alla luce della giurisprudenza, sia costituzionale che di legittimità. In primo luogo giova soffermarsi sulla ricognizione dei principi giurisprudenziali impiegati per delineare l’inquadramento del dirigente pubblico.
Muovendo dal presupposto secondo cui la «la riforma della dirigenza pubblica è stata caratterizzata dal passaggio da una concezione della dirigenza intesa come status, quale momento di sviluppo della carriera dei funzionari pubblici, ad una concezione della stessa dirigenza di tipo funzionale»[26], la Cassazione, in relazione al rapporto di lavoro del dirigente, ha precisato che è necessario distinguere il profilo del rapporto di lavoro in senso stretto, di norma a tempo indeterminato, da quello dell’incarico dirigenziale, a carattere temporaneo[27]. Nell’impiego pubblico contrattualizzato esiste una scissione fra l’acquisizione della qualifica di dirigente ed il successivo conferimento delle funzioni dirigenziali[28].
La Cassazione ha avuto poi modo di pronunciarsi sul trattamento economico di cui beneficia il dirigente, caratterizzato da una retribuzione di risultato[29]. La giurisprudenza ha precisato che i compiti dei dirigenti si differenziano da quelli dei funzionari, a cui sono estranei gli obblighi di risultato, dirigendo essi l’ufficio loro assegnato secondo gli ordinari criteri di gestione[30]. I tratti distintivi della dirigenza pubblica si possono così sintetizzare: potere di adottare atti e provvedimenti amministrativi, compresi gli atti che impegnano la pubblica amministrazione verso l’esterno; poteri di spesa e poteri di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici; responsabilità dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati; poteri di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa mediante autonomi poteri di organizzazione delle risorse umane e strumentali; potere di controllo sull’attività degli uffici dipendenti; potere di valutazione del personale assegnato; sottoposizione alla responsabilità dirigenziale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 165/2001.
L’accesso al ruolo dirigenziale, disciplinato dagli artt. 28 e 28-bis del d.lgs. n. 165/2001, avviene per concorso pubblico per titoli ed esami e corso-concorso selettivo di formazione. La Corte costituzionale, ad esempio con la sentenza n. 453 del 1990 (e con la sent. n. 293 del 2009), ha riconosciuto al concorso pubblico la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, ribadendo l’indefettibilità di tale forma di accesso, in sintonia con i principi di eguaglianza, imparzialità e buon andamento di cui agli artt. artt. 3 e 97 della Costituzione[31]. In senso analogo la Cassazione ha precisato che «il concorso pubblico costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale all’efficienza dell’Amministrazione, e che a tale regola può derogarsi solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nell’esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica Amministrazione ed il cui vaglio di costituzionalità passa attraverso una valutazione di ragionevolezza del legislatore»[32]. L’accesso dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni a funzioni anche dirigenziali non si sottrae alla regola del pubblico concorso, non risultando “ragionevoli” norme che prevedano scivolamenti automatici verso posizioni superiori in difetto di procedure concorsuali, né sono stati di norma ritenuti ammissibili concorsi interni per la copertura della totalità dei posti vacanti[33].
La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 37 del 2015, ha dichiarato l’illegittimità delle procedure riservate ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate per accedere alla dirigenza, sulla base della considerazione secondo cui «i contratti non sono […] assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione»[34].
Da tempo le posizioni organizzative istituite presso le Agenzie fiscali sono oggetto di contenzioso. Con la sentenza n. 37 del 2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 8, comma 24 del decreto legge n. 16/2012, disposizione che istituiva presso le Agenzie delle entrate la figura delle posizioni organizzative temporanee (conosciute come POT): con la pronuncia n. 164 del 2020 ha invece ritenuto legittimo l’art. 1, comma 93 della legge n. 205/2017 che istituiva una tipologia di figura professionale molto simile (le POER).
Quali sono gli elementi che accomunano o che distinguono queste due figure professionali? Le POT sono state create per coprire temporaneamente posizioni dirigenziali vacanti, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’accesso alla qualifica dirigenziale, e quindi sono contrassegnate dai caratteri di straordinarietà e temporaneità, come la Corte costituzionale ha rimarcato nella sent. n. 37 del 2005.
Le POER sono state invece istituite sulla base della dichiarata volontà di ridurre le posizioni dirigenziali all’interno delle Agenzie fiscali, in funzione del contenimento della spesa e dello snellimento dell’attività della pubblica amministrazione.
Con riguardo alle POT, si ragiona di «attribuzione di incarichi dirigenziali ai propri funzionari»[35], con riguardo alle POER, si tratta di una figura lavorativa a sé stante, disciplinata dall’art. 1, c. 93, L. n. 205/2017, che la delinea come una posizione organizzativa avente in fin dei conti poteri e funzioni dirigenziali. Il contenuto effettivo delle funzioni attribuite alle posizioni organizzative di prima e seconda generazione appaiono tuttavia in fin dei conti accumunabili.
L’attribuzione di funzioni dirigenziali, tipica delle POT, richiama i tratti distintivi della categoria dirigenziale meglio indicati dall’art. 17 del d.lgs. n. 165/2001 e sopra richiamati. Sempre secondo l’art. 8, comma 24, d.l. n. 16/2012, «ai funzionari cui è conferito l’incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti», ricomprendente sia la retribuzione di posizione che quella di risultato. E’ evidente che le funzioni affidate alle posizioni organizzative di prima e di seconda generazione risultano avere più profili di comunanza che di differenza e quindi, essendo le caratteristiche delle prime molto simili a quelle dei dirigenti, le POER finiscono per avere diversi tratti in comuni con le figure dirigenziali[36]. Non è stato ritenuto convincente nemmeno il tentativo di equiparazione della POER all’area dei quadri degli enti locali attesa la diversità tra le due figure[37].
Nella sentenza n. 37 del 2015 la Corte ha fatto leva sul carattere straordinario e temporaneo dell’assegnazione delle funzioni, assegnazione che avviene mediante conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata non era in definitiva determinabile ex antea, essendo legata ai tempi di svolgimento delle procedure concorsuali a copertura dei ruoli dirigenziali. Il protrarsi nel tempo di tali procedure ha fatto sì che gli incarichi divenissero in sostanza a tempo indeterminato, contrariamente alle previsioni del decreto legge n. 16 del 2012.
Nella sentenza n. 164 del 2020 la Corte ha fatto leva sul difetto del carattere straordinario delle POER e sul rispetto del carattere della temporaneità. La Corte ha in sostanza valutato in maniera diversa le posizioni organizzative di prima e di seconda generazione (POT e POER), non tanto per le funzioni in concreto queste figure lavorative svolte, quanto per la durata dell’incarico, di fatto indeterminata nelle POT, definita nelle POER. Tale mancanza di stabilità denoterebbe la mancanza di un «passaggio d’area» e di conseguenza non si verificherebbe «l’attribuzione di uno nuovo status» tipica del passaggio alla dirigenza, che comporta l’acquisizione di uno status «caratterizzato da naturale stabilità»[38].
Pe la Corte si tratta di meri “incarichi”, «alla cui cessazione i destinatari riprendono fisiologicamente ad esercitare le funzioni che sono proprie della loro area di appartenenza». In realtà la temporaneità sembrava assicurata anche in relazione alle POT, non essendo in effetti prevedibile una durata oltre un certo termine di procedure concorsuali in essere[39]. La Corte non registra quindi un passaggio di area o un’acquisizione di uno status, rimarcando che che tutto ciò «non esclude affatto che la selezione dei soggetti cui attribuire le POER debba rispondere ai principi di imparzialità, trasparenza ed efficienza, che presiedono ad ogni attività amministrativa e che ne condizionano la legittimità»[40].
- Spunti conclusivi.
Molte sono le particolarità che hanno caratterizzano la sentenza n. 164 del 2020. In primo luogo il recente precedente risalente a pochi anni or sono ha sollevato più di qualche dubbio in relazione al rispetto dell’art. 136 Cost.[41] Si è pure osservato che, per la prima volta, la Corte ha utilizzato lo strumento istruttorio della audizione di esperti di chiara fama. A seguito di tale audizione, il Giudice relatore (che aveva a suo tempo redatto la motivazione della sent. n. 37 del 2015) è stato sostituito per la redazione della sentenza. Nella motivazione della sentenza compare solo un riferimento, del tutto marginale, al parere degli esperti. Ciò pare confermare che l’audizione non abbia fornito elementi decisivi ai fini della decisione, a tacere degli interrogativi relativi al procedimento di scelta dei consulenti. Dalla motivazione della pronuncia trapela una difesa molto attenta da parte dell’Avvocatura dello Stato, inequivoca testimonianza di un marcato interesse della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e quindi del Governo, per il caso in esame[42].
La decisione, del resto, si innesta in una situazione caratterizzata da un’estrema complessità e che ha conosciuto una successione di atti e procedimenti a tratti caotica. Procedure di reclutamento di personale dirigenziale connotati da tempi lunghissimi; un primo intervento legislativo teso a porre rimedio alle carenze di organico dovute alla patologica protrazione nel tempo di procedimenti concorsuali aventi ad oggetto figure dirigenziali; creazione di una nuova posizione organizzativa nel contesto delle Agenzie fiscali; sviluppo di un nutrito contenzioso amministrativo sfociato in una pronuncia di incostituzionalità nel 2015; adozione di una nuova legge volta a introdurre, in luogo di quelle dichiarate incostituzionali, nuove figure connotate da diversi elementi di contiguità con le prime; avvio di un procedimento davanti agli organi di giustizia amministrativa avente ad oggetto la legittimità delle figure organizzative introdotte, con conseguente rimessione alla Corte Costituzionale della questione di costituzionalità decisa con la pronuncia in commento.
Pur non essendo questa la sede adatta per indugiare sul contorno politico della vicenda, non si può fare a meno di constatare come sul piano politico la successione dei vari provvedimenti legislativi e il loro contenuto dimostri un forte tasso di politicità della vicenda in oggetto. Quanto questo elemento abbia condizionato la decisione della Corte è difficile dire. Del resto, «ogni legge […] che pervenga al sindacato del Giudice stesso, in quanto espressivo di una carica intrinseca di “politicità”, pur variamente apprezzabile, è tenuto in conto, negli effetti che ha già prodotto e in quelli che potrebbe ulteriormente produrre, da chi è chiamato a valutarlo»[43].
Pare sufficiente prendere atto (dopo averli passati in rassegna) di tutti gli elementi di singolarità, di anomalia, di discontinuità, che connotano la pronuncia in esame, per concludere, con un giudizio in qualche misura “esterno” rispetto alla tormentata vicenda, che l’epilogo di essa lascia qualche ombra sull’operato della Corte, soprattutto nella prospettiva della coerenza della giurisprudenza e del rispetto dei precedenti[44]. Come ogni giudice, anche la Corte Costituzionale non solo deve essere imparziale, ma deve apparire imparziale[45]. Anche a prescindere dai profili di perplessità che circondano la decisione sul merito della questione, sono tutti gli altri elementi che abbiamo via via passato in rassegna, e relativi allo svolgimento del processo, a seminare dubbi sull’iter decisorio che ha condotto la Corte alla dichiarazione di infondatezza della questione. In quest’ottica, la decisione della Corte di utilizzare un istituto processuale di recente introduzione, senza rendere ragione della sua effettiva necessità e funzionalità rispetto all’esito del giudizio, costituisce un indizio di un percorso non del tutto lineare e rettilineo[46]. In questo contesto anche la deviazione da regole processuali generalmente osservate, unitamente alle incertezze sull’uso di uno strumento processuale che avrebbe dovuto essere più sorvegliato, suonano come conferma del fatto che l’osservanza della disciplina processuale, unitamente al rigore nell’applicazione di essa, rappresentano irrinunciabili fonti di legittimazione della stessa funzione della Corte costituzionale[47].
* Professore associato di diritto costituzionale nell’Università degli Studi di Trieste.
[1] La questione è stata in particolare proposta con ordinanza 3 giugno 2019, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, 2019. Per un primo commento, cfr. S. DE Götzen, Accesso alla dirigenza e a posizioni organizzative: il perimetro del requisito del pubblico concorso, in AmbienteDiritto.it, 4/2020, 1 ss.
[2] Si tratta di poteri e funzioni meglio precisati dal citato art. 1, comma 93, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
[3] L’Ordinanza di convocazione di esperti (reg. ord. n. 167 del 2019) risulta depositata in cancelleria il 27 febbraio 2020.
[4] L’art. 1, comma 93, della legge n. 205 del 2017, prevede che le Agenzie fiscali possano istituire posizioni organizzative per lo svolgimento di incarichi di elevata responsabilità, alta professionalità o particolare specializzazione, ivi compresa la responsabilità di uffici operativi di livello non dirigenziale; il conferimento può essere disposto a favore di funzionari con almeno cinque anni di esperienza nella terza area mediante una selezione interna che tiene conto delle conoscenze professionali, delle capacità tecniche e gestionali degli interessati: ai titolari di tali posizioni vengono attribuiti diversi poteri: quello di adottare atti e provvedimenti amministrativi, compresi gli atti che impegnano l’Agenzia verso l’esterno, poteri di spesa e di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici e la responsabilità dell’attività amministrativa, spettando ad essi un potere di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo.
[5] Sulla base, in particolare, di quanto previsto dagli artt. 4, comma 2, 16 e 17 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, oltre che dal CCNL del personale delle Agenzie fiscali di data 28 maggio 2004.
[6] Ancora, sent. n. 164 del 2020.
[7] L’art. 1, comma 93, lettera e), non sarebbe conforme, secondo il rimettente, al principio del pubblico concorso, perché attribuirebbe una posizione privilegiata ai dipendenti delle Agenzie fiscali; sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza perché, esonerando dalla prova preselettiva anche quanti «vantano la sola anzianità decennale nella terza area alle dipendenze delle Agenzie fiscali», discriminerebbe «altri dipendenti di altre amministrazioni in possesso di analoghi requisiti», violando infine il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (ancora Corte cost., sent. n. 164 del 2020).
[8] Cassazione, sezione lavoro, sentenza 15 ottobre 2015, n. 20855, secondo cui «la posizione organizzativa non determina un mutamento di profilo professionale, che rimane invariato, né un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell’incarico». La stessa Corte costituzionale ha affermato che la «posizione organizzativa» si caratterizza per la «temporaneità dell’assegnazione, cui corrisponde una quota accessoria della retribuzione (Corte cost., sent. n. 128 del 2020).
[9] Dubbi sul rispetto delle regole del pubblico concorso sono sollevati da S. Sfrecola, Non tocca alla Corte sindacare il potere discrezionale delle Camere, in LaVerità, 19 maggio, 2020, 15, secondo cui «non si potrebbe pervenire alla conclusione che sia costituzionalmente legittimo il reclutamento di personale in astratto idoneo a soddisfare “esigenze organizzative” quando le modalità della selezione contrastassero, come sospetta il TAR, con i principi che si rinvengono negli artt. 3 e 97, ultimo comma, della Costituzione, i quali prescrivono la regola del concorso, pubblico e aperto, per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni».
[10] La disposizione viene censurata nella parte in cui: 1) esonera dalla (eventuale) prova preselettiva i candidati che, come dipendenti delle Agenzie fiscali, abbiano svolto, per almeno due anni alla data di pubblicazione del bando, funzioni dirigenziali o siano stati titolari di POER o di POT, oppure siano stati assunti mediante pubblico concorso e abbiano almeno dieci anni di anzianità nella terza area, senza demerito; 2) prevede la possibilità che fino al cinquanta per cento dei posti sia riservato al personale assunto mediante pubblico concorso, con almeno dieci anni di anzianità nella terza area, senza demerito (cfr. ancora la sent. n. 164 del 2020).
[11] Corte cost., sent. n. 234 del 1994.
[12] Si tratta della modifica adottata con delibera della Corte dd. 8/01/ 2020, rubricata Modifica per le Norme integrative per i giudizi di fronte alla Corte costituzionale, in Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 17, 22/01/2020. Sul pacchetto di modifiche, M. Luciani, L’incognita delle nuove norme integrative, in Rivista Aic, 2/2020, 403 ss. Cfr. anche G.P. Dolso, Recenti interventi sul processo costituzionale, in Diritto pubblico, 2/2020, 621 ss.
[13] Così Art. 14-bis, Norme integrative dei giudizi davanti alla Corte costituzionale. Si può ricordare che l’istituto di nuovo conio completa il quadro della fase istruttoria prevista dalle Norme integrative e dalla legge n. 87 del 1953. Sull’attività istruttoria davanti alla Corte costituzionale, T. Groppi, I poteri istruttori della Corte costituzionale nel giudizio sulle leggi, Milano, 1997; G. Ferro, Modelli processuali ed istruttoria nel giudizio di legittimità costituzionale, Torino, 2012.
[14] Ordinanza di convocazione di esperti dd. 27/02/2020 della Corte costituzionale. I quesisti in sostanza vanno a toccare questioni organizzative interne alle Agenzie fiscali, questioni che dovrebbero rimanere estranee al giudizio di legittimità costituzionale: in questo senso S. Sfrecola, Non tocca alla Corte sindacare il potere discrezionale delle Camere, cit., secondo cui «deborderebbe, dunque, la Corte se decidesse in base alle “esigenze organizzative” le quali identificano una questione di merito, di natura squisitamente politica, che non compete alla Corte».
[15] L’art. 14-bis ragiona di «specifiche discipline»; si tratta di una indicazione forse troppo ampia che potrebbe, in linea teorica, riguardare anche questioni di carattere giuridico: ma questo costituirebbe, come si è giustamente notato in dottrina, «una deroga al consolidato principio del jura novit curia»: così M. Luciani, op. cit., 416.
[16] Le questioni giuridiche esulano, per consolidata tradizione giurisprudenziale, da quelle sottoponibili alla consulenza tecnica d’ufficio. In questo senso, ad esempio, Cassazione, sent. 22 gennaio 2016, n. 1186; Cassazione, 6 dicembre 2019, n. 31886. Sul punto, G. Ferro, op. cit., spec. 258 ss.
[17] Di questioni di carattere scientifico ragiona P. Ridola, La Corte si apre all’ascolto della società civile, in www.federalismi.it, 22 gennaio 2020. In senso analogo, M. Luciani, op. cit.; G. L. Conti, La Corte si apre (non solo) alla società civile. Appunti sulle modifiche apportate dalla Corte costituzionale alle norme integrative in data 8 gennaio 2020, in www.osservatoriosullefonti.it, 1/2020, 96; A. Iannuzzi, La camera di consiglio aperta agli esperti nel processo costituzionale: un’innovazione importante in attesa della prassi, in Osservatorio AIC, 2/2020, , 13 ss.
[18] Al contrario di quanto si registra in altre occasioni in cui la Corte ha dimostrato, nell’espletamento di una articolata istruttoria, un indiscutibile rigore processuale. Caso esemplare, in questo senso, è costituito da Corte cost., sent. n. 197 del 2019 (giudice redattore Carosi; sulla pronuncia cfr. G.P. Dolso, Ancora un tassello nella elaborazione giurisprudenziale del processo costituzionale, in Le Regioni, 1/2020, 134 ss.).
[19] A. Cerri, Note minime sulla recente riforma delle norme integrative, in Giur. cost., 1/2020, 484 ss., che si sofferma sui profili legati al rispetto del principio del contraddittorio. Le garanzie più piene si registranonel caso di istruttoria tradizionale
[20] Si tratta di una disciplina (artt. 12-14 N.I.) che fornisce una tutela del contraddittorio certamente più intensa rispetto a quella di cui all’art. 14-bis N.I.
[21] Così la citata ordinanza della Corte dd. 27/02/2020.
[22] Alcuni spunti al riguardo in G. Tropea, La Consulta salva “il Re Pallido” nell’annosa vicenda delle c.d. Poer (posizioni organizzative a elevata responsabilità) presso l’Agenzia delle Entrate, in Osservatorio costituzionale, n. 6/2020, spec. 506.
[23] Cfr. A. Schillaci, La “porta stretta”: qualche riflessione sull’apertura della Corte costituzionale alla “società civile”, in www.diritticomparati.it, 31 gennaio 2020, 488 ss.
[24] Ancora Corte cost., sent. n. 164 del 2020 (mio il corsivo).
[25] Si tratta della già citata sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015.
[26] Così Cassazione, sez. Lavoro, n. 8674 del2018; Cassazione, sentt. n. 29817 del 2008 e n. 27888 del 2009.
[27] Cassazione, sez. Lavoro, sent. n. 20840 del 2019,
[28] Così Cassazione, sez. Lavoro, 10 febbraio 2007. Dalla scissione indicata viene desunta «l’insussistenza di un diritto soggettivo del dirigente pubblico al conferimento di un incarico dirigenziale» (Cassazione, sez. Lavoro, n. 8674 del 2018).
[29] «La retribuzione di posizione riflette il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione, mentre la retribuzione di risultato corrisponde all’apporto del dirigente in termini di produttività o redditività della sua prestazione»: così Cassazione, sez. Lavoro, sent. 31 gennaio 2018, n. 2462.
[30] In questo senso, ad esempio, Cassazione, sez. Lavoro, sent. n. 8529 del 2006.
[31] Corte Cost., sentt. n. 134 del 2014, n. 28 del 2013, nn. 99, 212 del 2012.
[32] In questo senso Cassazione, sez. lav., sent. n. 11537 del 2020, secondo cui la regola del pubblico concorso «può ritenersi rispettata solo qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie ed irragionevoli forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi». Secondo la Cassazione, «la procedura concorsuale costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, sicché, sia l’assenza sia l’illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale» (sez. Lavoro, sent. n. 30992 del 2019).
[33] Nel senso indicato, Cassazione, sez. Lavoro, sent. n. 20915 del 2019; analogamente Corte cost,. sentt. nn. 218 del2002, n. 373 del 2002, n. 274 del 2003, n. 159 del 2005 e n. 195 del 2010. Ma sul punto si deve ricordare anche la più volte citata sent. n. 37 del 2015 della Corte costituzionale.
[34] Nello stesso ordine di idee la Cassazione più volte ha confermato che «nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato il conferimento di mansioni dirigenziali ad un funzionario direttivo è illegittimo» (così Cassazione, Sez. Lavoro, sentt. n. 13597 del 2009, n. 10027 del 2007, n. 8529 del 2006.
[35] Cfr. art. 8, c. 24, d.l. n. 16/2012 così come modificato dall’art. 1, c. 1. L. n. 44/2012.
[36] Sul punto S. Cassese, Il Paese che rifiuta i concorsi, in Il Corriere della Sera, 19 giugno 2020, che esplicitamente ragiona di «dirigenti mascherati». Le Agenzie delle entrate, «per sottrarsi al chiaro dettato costituzionale e a una sentenza del 2015 della Corte costituzionale, hanno cambiato nome ai dirigenti, chiamandoli «Posizioni organizzative di elevata responsabilità» (Poer), e quindi stabilito che a quelle posizioni si accede solo dall’interno»; «i compiti –constata l’Autore- sono gli stessi, cambia il nome».
[37] G. Tropea, op. cit., secondo cui l’equiparazione non è funzionale allo scopo soprattutto alla luce della «non omogeneità tra organizzazione degli enti locali e delle Regioni ed organizzazione delle Agenzie delle entrate».
[38] Corte cost., sent. n. 164 del 2020.
[39] Il dato della temporaneità non del tutto certo: «nulla assicura che non si siano proroghe anche in questo caso»: così S. DE Götzen, op. cit., 9. In realtà in dottrina si è pure osservato che «la normativa sui POER non prevede espressamente la temporaneità dell’incarico (ed è legata solo allo svolgimento del concorso per dirigente, a sua volta più volte prorogato)»: G. Tropea, op. cit., 504.
[40] Ancora Corte cost., sent. n. 164 del 2020.
[41] La sentenza ha dato adito a dubbi talora sfociati in aperte posizioni critiche, anche autorevolmente sostenute: così S. Cassese, Il Paese che rifiuta i concorsi, cit., secondo cui nel caso in esame «la Corte costituzionale ha commesso molti errori. Ha tradito diritti e aspettative di molte persone che avrebbero potuto aspirare ad accedere a quegli uffici, se vi fosse stato un esame competitivo aperto a tutti. Ha danneggiato la pubblica amministrazione, perché l’ha privata della possibilità di fare eventuali scelte migliori. Ha riconosciuto un privilegio a chi era già dentro (che si sarebbe potuto accontentare di una valutazione dell’attività già svolta o anche di una riserva di posti). Ha ammesso una sorta di extraterritorialità alle agenzie fiscali, come se ad esse potessero non applicarsi la Costituzione e il diritto italiano, ma un diritto speciale. Ha così impedito quella mobilità tra le varie branche dell’amministrazione che tutti auspicano come necessaria per il migliore funzionamento dello Stato»: si tratta di considerazioni che appaiono del tutto condivisibili. Nel senso che la sentenza costituisce per la Corte una «decisa inversione di rotta» anche attraverso «forzature interpretative», relative tra l’altro alla «cruciale questione della temporaneità dell’assegnazione», G. Tropea, op. cit., 507. Per una lettura del retroterra politico della pronuncia si può vedere A. Da Rold, Renziani in ginocchio alla Consulta per salvare i dirigenti delle Entrate, in LaVerità, 16 maggio, 2020.
[42] Sul ruolo dell’Avvocatura generale dello Stato nel giudizio incidentale, si rinvia alle opportune osservazioni di G. Albenzio, Corte e Avvocatura dello Stato, in Foro it., 2006, V, 328 ss.
[43] Così A. Ruggeri, La Corte costituzionale davanti alla politica (nota minima su una questione controversa, rivista attraverso taluni frammenti di giurisprudenza in tema di fonti, in ConsultaOnLine, 2010, secondo cui «la Corte […] confronta e soppesa la situazione normativa presente con quella futura, quale potrebbe aversi a seguito della eventuale caducazione dell’atto impugnato».
[44] In proposito S. Cassese, op. cit., osserva che la Corte costituzionale «ha tradito la propria consolidata giurisprudenza, accettando una palese violazione del giudicato, rinunciando al proprio magistero, così rischiando di divenire una tigre di carta».
[45] Sul punto R. Bin, Sull’imparzialità dei giudici costituzionali, in Giur. cost., 2009, 4015 ss., secondo il quale «l’apparenza di imparzialità è un’esigenza che vale anche per la Corte costituzionale».
[46] In questa prospettiva, anche la scelta dei consulenti tecnici presta il fianco a dubbi, alimentati anche dall’assoluto riserbo della Corte in relazione a tale snodo processuale, del tutto inedito del resto nell’ambito del giudizio di costituzionalità. In relazione alla nomina degli esperti, in dottrina si è osservato che essi sarebbero «notoriamente in linea con le impostazione di fondo del New Public Management»: così G. Tropea, La Consulta salva “il Re Pallido” nell’annosa vicenda delle c.d. Poer, cit., 506.
[47] Il rispetto delle norme processuali rappresenta, secondo la migliore dottrina, un fattore di potente legittimazione della Corte: in questo senso, tra gli altri, M. Cappelletti, Giudici o legislatori, Milano, 1984, 89; G. Zagrebelsky, Diritto processuale costituzionale?, in AA.VV., Giudizio «a quo» e promovimento del processo costituzionale, Milano, 1990, 105 ss.