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Considerazioni varie in vista dell’elezione del Giudice costituzionale indicato dalla Corte dei conti

di Salvatore Sfrecola

 

È stata sempre una scadenza importante quella dell’elezione del Giudice costituzionale che spetta alla Corte dei conti indicare. È noto, infatti, come alla Consulta si decidano molte questioni che attengono all’esercizio delle attribuzioni di importanti corpi dello Stato, con riflessi anche sul ruolo delle magistrature, come nel caso della Corte dei conti, che è organo di rilevanza costituzionale, prevista dagli articoli 100, comma 2, e 103, comma 2, della Costituzione, rispettivamente per il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo, per quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato, nonché per la partecipazione al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, e per la giurisdizione contabile, la giurisdizione sui conti di coloro che gestiscono denaro pubblico ed hanno custodia di beni pubblici e sulla responsabilità amministrativa per danno erariale.

Si comprende, dunque, facilmente quale importanza rivesta per il buon funzionamento dello Stato l’esercizio delle attribuzioni della Corte dei conti. Eppure, quelle attribuzioni il potere politico sembra subire, perché da sempre ostile al controllo giudiziario, nella convinzione che la politica debba rispondere esclusivamente all’elettorato. In particolare, in questo momento storico, il controllo preventivo e la giurisdizione in materia di danno all’erario sono sotto attacco, della politica e del mondo imprenditoriale. Entrambi per un equivoco di fondo, perché è stato detto che il controllo rallenta l’attività amministrativa, ignorando, o fingendo di ignorare, che esiste un termine per l’esercizio del controllo e che le valutazioni n sede di controllo sono di stretta legittimità e non attengono alle scelte discrezionali della P.A. e perché, si sente dire e si legge, i funzionari sarebbero dissuasi dal sottoscrivere contratti o provvedimenti che impegnano fondi di bilancio nel timore della responsabilità erariale, cioè di essere chiamati a rispondere dell’eventuale danno provocato all’Erario, sia pure per dolo o colpa grave. Pertanto, sarebbero allo studio norme dirette a ridurre l’area del controllo preventivo ed a limitare la responsabilità per danno erariale esclusivamente alle ipotesi di dolo.

Questa soluzione avrebbe un effetto dirompente perché la colpa grave è individuata, fin dal diritto romano, in una gravissima negligenza. Ricordo spesso che Ulpiano spiegava come culpa lata (la colpa grave) est nimia neglegentia, id est non intelligere quod omnes intelligunt. Anche chi non sa il latino, come, immagino, molti dei nostri politici, comprende certamente di cosa si parla.

Sembra, dunque, molto logico che il pubblico amministratore o funzionario debba rispondere dei danni cagionati con colpa grave, perché parliamo di denaro pubblico, di beni pubblici, di valori cui il “cittadino contribuente”, cioè quello che paga le tasse e le imposte, tiene moltissimo. Per cui se fosse introdotta questa limitazione poi nessuno si dovrà lamentare del fatto che ci possono essere e ci saranno degli sprechi nella gestione del denaro pubblico.

Aggiungo che, limitando la responsabilità al dolo, che spesso accompagna illeciti che rivestono anche aspetti penali, il processo sarebbe in mano al giudice penale il quale è particolarmente titolato a giudicare il dolo, con la conseguenza che potrebbe essere del tutto esclusa, almeno di fatto, la giurisdizione della Corte dei conti ove lo Stato o l’ente pubblico danneggiato si costituisse parte civile nel processo penale e chiedesse in quella sede il risarcimento del danno.

Detto questo, per essere onesti fino in fondo come dovuto da un osservatore che ha svolto all’interno della Corte tutte le funzioni di controllo, preventivo e successivo e giurisdizionali, nel ruolo requirente in quello giudicante, forse si dovrebbe guardare un po’ anche all’interno e fare ammenda di “qualche” azione particolarmente incauta, al punto da provocare diffusa preoccupazione della politica, alimentata dalla protesta di funzionari incapaci o disonesti.

Dico questo e ripeto quanto ho spesso sostenuto, anche quando ho rivestito il ruolo di Presidente dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti, che su 100 cose che facciamo, e ne facciamo sicuramente 99 buone, di queste nessuno ci dice grazie perché è il nostro dovere, ma se ne sbagliamo una, creando magari un’ingiustizia, quella non ci viene perdonata.

Queste considerazioni preliminari che corrispondono a un mio impegno anche sulla stampa, avendo scritto di queste cose su La Verità, su questa Rivista, su Amministrazione e contabilità dello Stato e degli enti pubblici (www.contabilita-pubblica.it) e avendole ripetute più volte in convegni e congressi, mi inducono a sottolineare una cosa sostanzialmente banale: l’importanza della scelta del Giudice costituzionale che spetta alla Corte dei conti indicare. So di alcune candidature. I Colleghi della Corte sono, per definizione, tutti bravi, ma, come accade sempre nella vita non tutti siamo adatti a svolgere le medesime funzioni. Faccio un esempio di un’attività che svolgo da tantissimi anni, quella giornalistica. Ci sono giornalisti bravissimi, analisti profondi di questioni politiche, economiche, giuridiche i cui articoli i lettori vanno a ricercare fra le pagine di un giornale. Dirigere un giornale è altra cosa. Chiudere una edizione è cosa ancora diversa. Io ho collaborato da giovane ad un giornale economico Il Fiorino, diretto da un Professore universitario, giornalista di grande esperienza, a lungo parlamentare, che era stato anche editorialista de Il Messaggero, Luigi D’Amato, il quale per amore della completezza, arrivava spesso a chiudere il giornale all’ultimo momento utile per portare le copia al treno delle 23, quando i giornali venivano spediti da Roma e non stampati in loco sulla base della trasmissione di un file, come accade oggi. Nell’ansia dell’orologio il redattore capo, molto più pratico, appena il direttore i distraeva, provvedeva a chiudere il giornale in quattro e quattr’otto.

So, come ho scritto, di alcune candidature, tutte autorevoli. Di variegata esperienza che, peraltro, gli elettori dovranno valutare non con i parametri che abbiamo visto in altre occasioni e in altre magistrature, dell’appartenenza allo stesso concorso, della frequentazione delle stesse sezioni, dell’amicizia o della simpatia personale, della frequentazione dello stesso circolo sportivo. Non si vota il candidato Giudice costituzionale perché è un amico, lo si vota perché si ritiene che sia il più adatto nel contesto di un difficile Collegio dove siedono esponenti della magistratura ordinaria ed amministrativa, avvocati e docenti universitari indicati dalla politica che dalla politica attendono spesso una sistemazione “dopo”.

Invito, dunque tutti, per l’amore che mi lega all’Istituzione alla quale ho dedicato la mia vita professionale, a tenere conto di queste mie considerazioni, non perché io sia un saggio ma perché sicuramente ho esperienza delle varie funzioni che ho svolto sempre “con disciplina ed onore”, come mi è stato sempre riconosciuto portando il prestigio della Corte anche nelle esperienze di collaborazione ministeriale, dove ho sempre premesso che io ragionavo da magistrato della Corte dei conti e lì sarei rimasto fin quando la mia presenza fosse stata compatibile con questo mio habitus mentale, pronto a tornare a casa, avendone una straordinaria a viale Mazzini 105. E questo mi ha permesso di farmi promotore di riforme per l’Istituto. Cito, tra tutte, la funzione consultiva prevista dalla legge “La Loggia”, nata dalla constatazione che gli enti locali avevano bisogno di una consulenza giuridico-amministrativa come le amministrazioni dello Stato.

Pubblico questa lettera di Fulvio Maria Longavita, inviata ai Colleghi, che mi è stata recapitata, pronto a pubblicare qualsiasi altro contributo proveniente dai candidati che fosse utile a mettere in evidenza la personalità di ciascuno, l’esperienza professionale fatta, l’attitudine a difendere il ruolo della Corte e soprattutto il coraggio nel farlo con equilibrio, in scienza e coscienza, senza preoccuparsi di compiacere chi potrebbe assicurare un “dopo”.

Un augurio, dunque, innanzitutto alla Corte, Istituzione straordinaria, posta a garanzia della corretta gestione del denaro e dei beni pubblici ed a quanti operano nell’esercizio delle sue funzioni.

 

 

Cari Colleghe, cari Colleghi,

 

manca ormai soltanto un mese alla elezione del “nostro” Giudice Costituzionale e, quale candidato, credo sia necessario offrire, in questo limitato arco di tempo, alcuni spunti di riflessione per “che cosa” votare.

 

Sin dalla presentazione della mia candidatura ho espresso chiaramente il mio punto di vista in proposito, precisando che “Le ragioni di questa candidatura vanno individuate nella necessità di proseguire senza riserve, con impegno e dedizione, nel quadro dei Valori Costituzionali, quel processo di integrazione delle due principali funzioni della Magistratura Contabile che ormai da tempo sta caratterizzando il contesto ordinamentale, in relazione ai temi fondamentali dei «diritti inviolabili dell’uomo», come singolo e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

 

L’obiettivo è rendere sempre più chiara, in ogni ambito del Sistema (normativo, giurisprudenziale, dogmatico e scientifico), non tanto e non solo la reciproca correlazione funzionale della Giurisdizione e del Controllo della Corte dei conti alle “materie di contabilità pubblica”, quanto l’intima, comune afferenza di tali “materie”, ai «diritti inviolabili dell’uomo».

 

Siamo, insomma, alla de-burocratizzazione della contabilità pubblica, in un’azione di rilievo culturale importante e di ancora maggiore impegno etico-spirituale, che pone la PERSONA al centro del “Diritto del Bilancio”, correlando ad Essa ed alle “Generazioni future” l’adempimento di obblighi che diversamente appaiono privi di significato, esprimendosi in tecnicismi ragionieristici per la quadratura del “bilancio per il bilancio”, nella ricerca di equilibri a volte del tutto formali che, alla prova dei fatti, possono anche disvelare disavanzi maggiori di quelli che intendevano recuperare (v. sent. n.4/2020 della Consulta).

 

Nei nuovi scenari della de-burocratizzazione della contabilità pubblica non è più l’“equilibrio di bilancio” a condizionare i diritti fondamentali del cittadino, quasi che sia un “principio tiranno”, ma sono questi diritti a condizionare le scelte di bilancio, con il relativo equilibrio: insomma, non è più l’ “Uomo per il Sabato”, ma è il “Sabato per l’Uomo”.

 

L’“Umanizzazione” della contabilità pubblica, dunque, baricentra l’esercizio integrato delle funzioni della Corte dei conti sui “diritti inviolabili” del cittadino: sui diritti cioè che, enunciati dall’art. 2 della Carta costituzionale, sono dettagliati dai successivi artt. da 13 a 54, per ciascun ambito di “rapporto”: civile, etico-sociale, economico e politico. Il loro riconoscimento ed il loro radicarsi condiziona ogni forma di “pari dignità sociale” e di concreto “sviluppo della persona umana”, oltre che di “effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

 

Non c’è un solo “diritto inviolabile” che non presenti un “costo” e non c’è, perciò, alcun “diritto inviolabile” che non richieda una relativa, “giusta” allocazione di bilancio: un’allocazione di bilancio, cioè, proporzionata alle risorse disponibili, secondo l’intrinseco valore del diritto considerato, espresso dalla “caratura” assiologia di ognuno di essi, desumibile dal Sistema e principalmente dai valori costituzionali.

 

E’ proprio l’ “Umanizzazione” della contabilità pubblica che sta consentendo alla Corte dei conti di assumere, con sempre maggiore nitidezza, una nuova e più alta autonomia rispetto alla Magistratura Ordinaria ed Amministrativa, ponendola come “Giudice dei diritti inviolabili” del cittadino, sulle cui basi germinano gli ulteriori diritti soggettivi ed interessi legittimi, che segnano le sfere di intervento delle due menzionate Magistrature e dalla cui effettività dipende in larga parte anche lo sviluppo ed il corroborarsi del sentimento di Unità Nazionale.

 

Ogni sperpero di pubbliche risorse, per spesa oggettivamente irragionevole o per mancata acquisizione di entrata, segna uno squilibrio di bilancio, così come ogni sorta di malagestio pubblica determina un danno alla “comunità amministrata”, prima ancora che alla “amministrazione”, perché riduce gli ambiti di effettività dei “diritti inviolabili” (art. 1, c. 1-bis, della l. n.20/1994, nel testo dell’art. 3 della l. n.639/1996).

 

L’“Umanizzazione” della contabilità pubblica, d’altra parte, non consente di continuare a utilizzare, per l’espletamento del controllo sui bilanci degli enti locali post d.l. n.174/2012, un modello procedimentale di “controllo collaborativo”, delineato più sulla falsariga del controllo preventivo di legittimità su atti, che non su quello proprio dei bilanci pubblici, espresso dal “Giudizio di Parificazione”.

 

Anche il controllo dei bilanci degli enti locali reclama il procedimento nelle “forme della giurisdizione contenziosa” della Corte dei conti, caratterizzate dalla presenza del P.M. contabile, non in veste di “accusa”, ma di “aggregatore degli interessi adespoti” della comunità locale, per la “tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, e – ad un tempo – della comunità nazionale, per gli ancora più generali interessi del coordinamento della finanza pubblica e dell’unità economica e giuridica del Paese nel suo complesso.

 

I bilanci delle maggiori città italiane hanno un impatto economico, finanziario e demografico di gran lunga superiore a quelli di tante piccole regioni, anche aggregate tra loro. Il dato, intrinseco ed oggettivo, non giustifica e rende anzi inspiegabile l’assenza del PM contabile nel relativo procedimento di controllo, articolato nel semplice, quanto insufficiente, “contraddittorio” tra la SRC e l’ente (apparato) soltanto.

 

Sono le stesse norme del TUEL a prevedere l’impugnabilità delle deliberazioni “di diniego o di approvazione” delle Sezioni Regionali della Corte dei conti che esitano il controllo sui bilanci degli enti locali (art. 243-quater, c. 5, TUEL). E se, per le deliberazioni di “diniego”, è evidente l’interesse dell’ente (apparato) al ricorso, non si comprende chi possa invece ricorrere avverso le deliberazione di “approvazione”, secondo i canoni generali dell’ “interesse ad agire”, dovendosi comunque anche escludere che le Sezioni Regionali incorrano in errori solamente con le loro pronunce di “diniego”.

 

Lo sviluppo dell’esercizio integrato delle funzioni della Corte dei conti, verso l’ “Umanizzazione” della contabilità pubblica, sta trovando spazio sempre più consistente sia nelle pronunce delle Sezioni giurisdizionali che dirimono controversie tra gli enti territoriali sulla spettanza dei trasferimenti erariali (Sez. Giur. Reg. Campania n.1045/2018) o che accertano responsabilità sanzionatorie di ineleggibilità degli amministratori che hanno “contribuito al verificarsi del dissesto” (Sez. Reg. Giur. Abruzzo, decr. n.1/2019 e Sez. Giur. Reg. Campania sent. n.349/2019), sia nelle deliberazioni della Sezione delle Autonomie che affrontano il tema dei “diritti inviolabili dell’uomo” nel contesto delle regole di contabilità (delib. n.25/2019) e sia negli altri ambiti di intervento della Corte medesima, come in quello della c.d. “contabilità di mandato”, da recuperare – nei suoi profili valutativi, anche a fini sanzionatori – alla giurisdizione della Magistratura contabile (SS.RR. Spec. Comp. sent. n. 28/2019).

 

E’ proprio per proseguire tale processo di “Umanizzazione”, nel quale credo profondamente, che ho offerto la mia candidatura di “servizio”: di chi, cioè, “serve” la contabilità pubblica in pienezza ed in autonomia di esercizio delle funzioni giurisdizionali e di controllo, lavorando come se tutto dipendesse da lui, nella consapevolezza che tutto invece dipende dall’ “ordine muto” di Themis (Θέμις), al quale si compartecipa, ispirando silenziosamente la propria attività a dedizione, correttezza e distacco dal potere.

 

Vi chiedo pertanto una condivisione, mediante un voto, a continuare a lavorare insieme per la non facile attuazione di questo disegno di elevazione della Magistratura contabile, aperto dalla riforma costituzionale del 2012 e proseguito finora con tanto meritevole impegno della Consulta e di molti nostri colleghi.

 

Vi ringrazio dell’attenzione.

 

Fulvio Maria Longavita

 

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