domenica, Novembre 24, 2024
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Con la scusa di semplificare. La tentazione dell’irresponsabilità

di Salvatore Sfrecola

Prendo lo spunto per alcune considerazioni sulla semplificazione amministrativa da un articolo di Luigi Caso, Presidente dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti, pubblicato da Il Sole 24 Ore del 3 giugno, e dal suo titolo “La tentazione dell’irresponsabilità”. Efficace, come il sommario: “occorre fare attenzione affinché insieme ai lacci e lacciuoli non si taglino i meccanismi di controllo”. Il tema è quello della semplificazione amministrativa, di permanente attualità ma soprattutto in questa stagione nella quale la ripresa dell’economia impone, più di sempre, procedure snelle che consentano ai cittadini ed alle imprese di evitare le lungaggini burocratiche (il tempo è un costo) che costituiscono un peso grave, anche economico. In particolare, nella contrattualistica pubblica, nel mirino della politica e di quanti criticano l’assurda complessità delle procedure, causa di ritardi nella stipulazione dei contratti di appalto di lavori, servizi e forniture anche in ragione del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo che accompagna troppo spesso le aggiudicazioni.

La responsabilità, ne sono tutti convinti, è del Codice degli appalti, un monumento al cavillo che, secondo i più, andrebbe abolito, come si sente ripetere in televisione e sui giornali, soprattutto dai politici di tutti i partiti. Incuranti del fatto che il Codice dà attuazione a direttive dell’Unione Europea. Pertanto, può (anzi deve) essere semplificato, non abolito.

Insieme al Codice degli appalti l’attenzione della politica e degli “esperti” che la coadiuvano (ma a volte è da dubitare che siano effettivamente “esperti” e non teorici che non vivono le procedure delle quali scrivono e parlano) è diretta a richiedere la revisione di alcune regole ritenute fonte di preoccupazione per i funzionari e, pertanto, causa di rallentamento dell’azione amministrativa. È la cosiddetta “paura della firma” che, abilmente enfatizzata dalla politica e da quanti vogliono le “mani libere”, mette insieme preoccupazioni vere, impacci effettivi e timori dovuti a scarsa professionalità ed alla conseguente incapacità di assumere responsabilità.

Queste preoccupazioni riguardano il reato di abuso d’ufficio, i controlli preventivi della Corte dei conti e la responsabilità per danno erariale. Si chiede e si propone di semplificare ma, evidentemente senza adeguati approfondimenti e con con scarsa conoscenza della realtà si finisce per patrocinare riforme che determinerebbero quella “irresponsabilità” che è nel titolo dell’interessante articolo di Luigi Caso.

La preoccupazione della firma non è recente. Ricordo un episodio che mi sembra importante. Molti anni fa, ero Procuratore Regionale della Corte dei conti per l’Umbria, fui invitato a partecipare ad un dibattito promosso dalla Regione che presentava la nuova legge sul patrimonio. Era presente anche il Ministro delle finanze, Vincenzo Visco, parlamentare del Partito Democratico della Sinistra P.D.S.), eletto in Umbria. Ebbene l’on. Visco, intervenuto in chiusura dei lavori, dopo che avevo richiamato il ruolo di garanzia della Corte dei conti, nel controllo e nella responsabilità amministrativa e contabile, se ne uscì con una frase che non ho affatto gradito: “i miei funzionari si farebbero tagliare le mani piuttosto che firmare, per non cadere sotto il controllo (ma forse disse “sotto le grinfie”) dei colleghi del dottor Sfrecola”. Eppure, avevo chiarito come le regole della responsabilità amministrativa per danno erariale fossero ancorate ad una condotta quanto meno gravemente colposa, cioè caratterizzata da una straordinaria negligenza rispetto a regole di buona amministrazione di facile comprensione. Avevo ritenuto, pertanto, di non aver preoccupato nessuno, anzi di aver chiarito che i funzionari competenti, quelli che studiano le pratiche e sono aggiornati sulla dottrina e sulla giurisprudenza, non avevano nulla da temere dall’azione di responsabilità amministrativa perché non è facile che causino un danno al pubblico erario. Anche statisticamente è evidente. Migliaia di funzionari ogni giorno sottoscrivono atti di vario genere, concessioni, autorizzazioni, stipulano contratti. Rarissimi sono coloro che vengono chiamati a risponderne.

Mi sono tornate in mente queste riflessioni in occasione del dibattito sulla semplificazione amministrativa, che ho già trattato in un articolo per La Verità, perché il Presidente Caso coglie una voce, raccolta anche dalla stampa, secondo la quale il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe allo studio una ipotesi di eliminazione della responsabilità per danni inflitti all’erario dai dipendenti pubblici quando la condotta sia caratterizzata da “colpa grave”. Una scelta che, osserva Caso, farebbe dire che “piuttosto che di semplificazione è più corretto parlare di deresponsabilizzazione”.

Infatti, il giudizio di responsabilità per danno al pubblico erario ha come scopo quello di reintegrare il patrimonio dello Stato e degli enti pubblici a seguito dei danni provocati dai propri funzionari. Non a causa di errori giustificabili ma a seguito di una condotta, connotata da dolo o colpa grave, la quale abbia determinato una maggiore spesa, che può derivare dall’acquisto di un bene non necessario, dal pagamento di una somma che non poteva essere posta a carico del bilancio pubblico, o dalla mancata tutela di un bene che era dovere del funzionario garantire nella sua integrità.

Va detto che la responsabilità per danno erariale, che un tempo era perseguita anche per colpa lieve, una volta limitata al dolo e alla colpa grave appare una ragionevole disciplina di una responsabilità che non può non investire un soggetto il quale, nell’esercizio delle funzioni amministrative e di gestione di beni, deve porre in atto comportamenti analoghi a quelli ai quali si conformerebbe se si dovesse occupare di cose proprie. Qualche esempio per chiarire anche ai più riottosi e agli incolti quello di cui parliamo. Il guardiano di un museo – è un caso del quale mi sono occupato tanti anni fa – che esca lasciando la porta aperta e l’allarme disattivato, così consentendo ad un ladro di portare via un prezioso reperto archeologico è o no agli occhi dei cittadini meritevole di rispondere del danno provocato? Per non dire dei casi di acquisti fittizi, di fatture per operazioni inesistenti, di attribuzione di compensi a personale che non ne aveva il titolo. Oppure di opere realizzate non a regola d’arte, nonostante la presenza di un responsabile del procedimento, del direttore dei lavori, dei collaudatori. Un cittadino pagherebbe dei lavori effettuati nella propria abitazione se non fossero conformi al progetto, se si rivelassero rapidamente meritevoli di interventi di manutenzione straordinaria? Certamente no.

È dunque un falso problema quello di ritenere che esista una preoccupazione dei pubblici funzionari per effetto della presenza della giurisdizione contabile e della responsabilità erariale. Che, tra l’altro, ricorda bene il Presidente Caso, è caratterizzata da una disciplina che non ha l’altro giudice che si occupa di danni, il giudice civile: ci riferiamo al “potere riduttivo dell’addebito” che consente alla Corte dei conti, valutate le circostanze di fatto, di porre a carico del responsabile tutto o parte del danno accertato. Che non è poco.

È evidente, dunque, che limitare la responsabilità amministrativa ai casi di dolo, come qualcuno vorrebbe, è un falso problema. Come escludere il controllo preventivo di legittimità, che non determina un ritardo nell’azione amministrativa, in quanto la Corte è tenuta ad esercitare le sue verifiche entro un tempo ben delimitato (30 giorni) e non determina preoccupazioni perché l’atto amministrativo soggetto al controllo non è esecutivo fino a quando il procedimento non si è concluso positivamente.

Concludendo, credo che sia ragionevole ritenere che, in sede di semplificazione della burocrazia si debbano prima di tutto ridurre gli adempimenti non necessari che aggravano l’iter dei procedimenti, appesantiscono il compito dell’amministrazione e rendono spesso insopportabile per il privato e per le imprese quel fardello documentario che deve accompagnare spesso anche le procedure più semplici.

Io credo che i funzionari dello Stato e degli enti pubblici, tra i quali ho costantemente incontrato persone di grande valore professionale, aggiornati con studi, attenti alla giurisprudenza del giudice ordinario, amministrativo e contabile, non gradiscono che il governo, nella persona del Presidente del Consiglio, li ritengano sostanzialmente degli incapaci e irresponsabili, in condizioni di non discernere, tra i comportamenti possibili, quelli connotati da una negligenza assoluta capace di determinare danno erariale. Culpa lata (cioè grave), dicevano i romani (Ulpiano) est nimia neglegentia, id est non intelligere quod omnes intelligunt. Chiaro? Non c’è bisogno di conoscere il latino.

Molto probabilmente la preoccupazione di alcuni, pur professionalmente dotati, andrebbe ricercata altrove, nel reato di abuso d’ufficio che il Codice penale delinea con una formula che ha dato luogo ad interpretazioni spesso molto discordanti, che non danno certezza al funzionario. Nonostante l’art. 323 c. p. sia, a prima lettura, chiaro in quanto prevede l’ipotesi del reato del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio il quale “nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. L’interesse tutelato è quello del buon andamento dell’imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.

Le considerazioni che precedono danno la misura della confusione che governa questa materia e che potrebbe, ove si arrivasse alla eliminazione dei controlli preventivi ed alla limitazione della responsabilità per danno erariale, ad abbassare il livello di legalità, di efficacia di efficienza e di economicità dell’azione amministrativa, con conseguenze che potrebbero far dilagare il giudice penale anche perché sarebbe facile immaginare interventi illeciti nella pubblica amministrazione, come le cronache giudiziarie ci dicono.

Si parla spesso di sprechi. L’esperienza insegna che il funzionario responsabile di sprechi o è un incapace o è un corrotto e nell’un caso e nell’altro i cittadini devono sapere che quella condotta sarà punita nel loro interesse in quanto contribuenti, perché sono loro che mettono a disposizione del pubblico erario, pagando imposte e tasse, le risorse attraverso le quali la pubblica amministrazione paga stipendi, eroga contributi, acquista beni, servizi e forniture.

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