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La prescrizione penale ad libitum, valori costituzionali e comunitari

La prescrizione penale ad libitum, valori costituzionali e comunitari

del prof. Fabrizio Giulimondi*

È in corso in questi giorni un dibattito molto acceso fra operatori del diritto e non addetti ai lavori all’interno delle stanze della Politica, delle Istituzioni, delle televisioni e delle radio, sul tema dell’allungamento dei tempi della prescrizione nel processo penale. In particolare, si controverte su alcuni emendamenti[1] al d.d.l. c.d. “Anticorruzione” all’esame delle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia. In questa sede si ha in animo di compiere qualche riflessione a tale riguardo sotto una mera visuale costituzionale, senza avere l’ardire di dissertare funditus su un tema così complesso e vasto che meriterebbe un ben altro impegno scientifico.

L’intervento emendativo afferisce agli artt. 158, 159 e 160 c.p., in ordine alla decorrenza del termine di prescrizione, di sua sospensione ed interruzione. Ciò che agita particolarmente gli animi partitici e parlamentari è la seguente prescrizione modificativa: “all’articolo 159 (del codice penale, ndr): 1.il secondo comma è sostituito dal seguente: ‘Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna’”.

Prima di tutto, in cosa consiste l’istituto giuspenalistico della prescrizione del reato[2][3]? (la cui cittadinanza vige anche nel rito civile e amministrativo non interessando, però,  il presente sintetico studio).

La prescrizione è la causa di estinzione del reato consistente nel decorso di un certo periodo di tempo senza che alla sua eventuale commissione sia seguito un definitivo accertamento di responsabilità.

Il suo fondamento posa su diverse basi, secondo il variegato pensiero dottrinario italiano: sull’affievolirsi del bisogno della pena; su ragioni di natura processuale sostanziandosi nelle difficoltà di raccolta del materiale probatorio che normalmente si deteriora, si disperde e si depotenzia con il passare del tempo; sulla funzione di garanzia, sostanziale  e processuale, svolta nel quadro complessivo dei diritti dell’imputato; infine, come espediente di carattere formale escogitato dal nostro Legislatore per realizzare quella  finalità di carattere sostanziale costituita dalla “durata ragionevole” del processo penale, tutelata dall’art. 6, comma 1, CEDU, nonché dall’art. 111, comma 2, Cost.: l’estinzione del reato per prescrizione sottende una valutazione di irragionevole durata del tempo trascorso tra il commesso reato e il momento della decisione[4].

Quest’ ultimo enunciato dottrinale, ma anche giurisprudenziale (sentenza Cassazione, sez. I, n. 172803 del 1986, che qualifica come diritto soggettivo perfetto la posizione dell’imputato nei confronti della ragionevole durata del processo che lo vede protagonista), conduce l’istituto de quo in un ambito di respiro europeo e costituzionale.

In principio era la “certezza del diritto”.

La certezza del diritto non solo possiede risvolti sostanziali ma anche di radice processuale. La certezza del diritto è la roccaforte di uno Stato di diritto. La repressione di un reato, ad eccezione di quelli punibili con l’ergastolo (imprescrittibili), deve essere contenuta in un lasso di tempo più o meno lungo, ma predeterminato, per non slabbrare l’azione punitiva statuale ad libitum, rendendola farinosa, eterea ed inconcludente.

Il processo penale si regge su prove certe e non può esservi condanna se non fondate su di esse. Le prove, specie se di fonte testimoniale, con il trascorrere del tempo perdono di consistenza, efficacia ed affidabilità. Una condanna non è “oltre ogni ragionevole dubbio” se poggia su una prova testimoniale acquisita a distanza di decenni. I medesimi elementi probatori di altra natura (materiale di origine umana, animale, vegetale, geologica, etc) a distanza di tempo non sono attendibili al pari di quando siano valutati in vicinanza temporale al tempus commissi delicti: il loro decadimento, depauperamento e disfacimento chimico, organico, biologico e strutturale è fatale e inevitabile. La certezza del diritto sostanziale e processuale scaturisce da un procedimento logico e dialogico rigorosamente razionale che vede il proprio “in sé” ontologico nel contenimento dell’azione accertativa e punitiva dello Stato entro confini temporali certi e predeterminati. La certezza del diritto si articola anche nell’obbligo degli organi magistratuali di iurisdicere nei limiti di tempi congrui e certi.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950[5], resa esecutiva in Italia nel 1955[6], ha dato corpo a questa dimensione della “certezza del diritto” nell’art. 6, comma 1 (“Diritto a un equo processo”): “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole...omissis…”.

Tale disposizione ha assunto una rilevante importanza negli anni vista l’ingente mole di ricorsi presentati alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo in ragione della sua violazione per la l’eccessiva durata in Italia delle cause civili e amministrative, oltre, ovviamente, di quelle penali. Negli ultimi anni v’è da notare che detti ricorsi hanno visto una sensibile deflazione: con l’introduzione di una prescrizione a tempo indeterminato a far data dalla emissione di una sentenza di primo grado o di un decreto penale di condanna non potrebbe determinarsi di nuovo una loro vigorosa crescita?[7]

La legge 89/2001[8] (c.d. Pinto) ha reso azionabile il diritto soggettivo alla ragionevole durata del processo civile, penale, tributario ed amministrativo, ma solamente nel 1999[9] si è vista la sua trasformazione in un idioma costituzionale grazie all’art. 111, comma 2, Cost.: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

La stessa Carta di Nizza del 2000[10]conferma tale disposto all’art. 47 (“Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”): “Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale…omissis….”

La giurisprudenza della Corte di Lussemburgo conferma la stretta correlazione fra prescrizione, sua ragionevole e prefissata durata e certezza del diritto[11].

La Carta costituzionale, la  Convenzione europea dei diritti umani e la Carta dei diritti fondamentali dell’ Unione europea disegnano senza alcun dubbio o equivoco la necessità che l’azione giurisdizionale accertativa e sanzionatoria di una condotta criminosa sia contenuta entro precisi margini temporali, in quanto la durata ragionevole di un processo, di qualsivoglia natura, ma specie nel settore penale, si fonda sulla necessità che un soggetto non sia destinatario ad nutum, senza alcun ostacolo temporale, dell’attività giudiziaria. La limitazione temporale di un procedimento penale risponde a logiche non solo di natura probatoria, ma anche a dinamiche umane e gestionali della res pubblica.

A livello psico-psichiatrico-neuro-patologico non si può consentire che un indagato/imputato soggiaccia al peso di un processo penale per un tempo incerto prima di giungere all’accertamento della sua innocenza o colpevolezza: particolarmente nella prima ipotesi, l’ansia che questi prova non può essere prorogata sine die, perché alla lunga può tramutarsi in danno biologico, in pregiudizio fisico, psicologico e morale[12].

L’art. 97 Cost., nel sancire la necessità che l’azione pubblica sia governata da regole di buona “amministrazione”, vuole assicurare che ogni articolazione statuale (inclusa quella giudiziaria, sottoposta soltanto alla legge ex art. 101, comma 2, Cost.) agisca secondo criteri di razionalità, correttezza, congruità, efficienza ed efficacia, che hanno ancora maggiormente senso se contenuti in seno a paletti temporali chiari.

Non si può certamente omettere l’art. 27 Cost. e il disposto previsto al terzo comma contenente l’obiettivo della “rieducazione del condannato”, ossia la funzione effettivamente riabilitativa della pena tendente ad un positivo reinserimento del reo nella Comunità: come può essere concepita una “rieducazione” di una persona destinataria di un accertamento di responsabilità per un fatto compiuto molti anni addietro, persino decenni[13]? Quale rimprovero può essere a lui mosso per aver compiuto una tralatizia condotta e quale senso retributivo avrebbe la sanzione penale inflitta in siffatte evenienze?

La prescrizione è proprio lo strumento sostanziale e processuale che conferisce forma e contenuto tangibile a tutti questi dettami costituzionali e sovranazionali.

Non va sottaciuto che una sospensione della prescrizione senza limiti di tempo, una volta pervenuta una sentenza penale in prime cure (per giunta, senza alcuna distinzione fra assoluzione e condanna), potrebbe avere un impatto anche di natura “sociologica”, determinando una sorta di lassismo indotto in una parte della magistratura inquirente e giudicante, che potrebbe adagiarsi sui tempi più rarefatti del processo, indugiando su atti che, altrimenti, con tempi più stringenti, sarebbero realizzati  più rapidamente.

Le norme non vivono al di fuori della sfera umana, non sono una variabile indipendente, né monadi o momenti spuri e solipsici dell’agere umano, bensì possono creare dentro una comunità professionale un climax che potrebbe compulsare i suoi componenti, anche inavvertitamente, verso abitudini lavorative contrastanti con gli obiettivi deontologicamente loro imposti. La sostituzione di una normazione disponente vincoli temporali più puntuali al compimento di atti con un’altra che ne diluisca nel tempo la realizzazione, rischia di svuotare di significato la giurisdizione, una parte della quale potrebbe dirigersi verso una relativizzazione personalistica dell’uso del tempo, ove “ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo – come diceva Stephen Hawking –  che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo”.

Uno Stato di diritto che si fonda sulla certezza della legge deve interrogarsi a fondo sulle riflessioni qui accennate, orientando in maniera maggiormente costituzionale l’auspicata modifica dell’istituto della prescrizione, seppur l’intervento più saggio da parte del Legislatore sarebbe quello di mettere mano ad una riforma articolata del processo penale, confrontandosi anche con i modelli processual-penalistici intorno ai quali roteano altri ordinamenti giuridici, europei e non, tenendo in debita considerazione i dati statistici[14] “che parlano da sé”.

La parola passi al Parlamento.

 

*Docente in materie giuspubblicistiche presso la Link Campus University, la Pontificia Università Lateranense, l’Università di Chieti-Pescara “Gabriele D’Annunzio” e il Formez PA.

 

[1] D.d.l. c.d. “Anticorruzione” (“Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici” (C.1189 Governo), emendamento 1.100 (relatori: F.Forciniti; F.Businarolo): “Art. 1. Al comma 1, dopo la lettera d), aggiungere le seguenti: d-bis) all’articolo 158 il primo comma è sostituito dal seguente: ‘Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione’. d-ter) all’articolo 159:1. il secondo comma è sostituito dal seguente: ‘Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna’; 2.il terzo e quarto comma sono abrogati. d-quater) all’articolo 160 il primo comma è abrogato”; emendamento 1.124 (relatori F.Forciniti; F.Businarolo): “Art. 1. Al comma 1, dopo la lettera d), aggiungere le seguenti: d-bis) all’articolo 158 il primo comma è sostituito dal seguente: ‘Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione’. d-ter) all’articolo 159: 1. Il secondo comma è sostituito dal seguente: “Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna’; 2. Il terzo e quarto comma sono abrogati. d-quater) all’articolo 160 il primo comma è abrogato. Conseguentemente: a) al titolo del disegno di legge, dopo le parole: pubblica amministrazione inserire le seguenti: nonché in materia di prescrizione del reato; b) alla rubrica del Capo I, dopo le parole: pubblica amministrazione inserire le seguenti: nonché in materia di prescrizione del reato”; dai rumors si apprende che la cennata riforma dovrebbe entrare in vigore dal 1.1.2020.

[2] Esiste anche l’istituto della prescrizione della pena – in questo lavoro non trattato – disciplinato dagli artt. 172 e 173 c.p.

[3] Cfr. F.Altolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, Giuffré, 1991, 683-688; per un approccio comparatistico e di netto favor per l’istituto della prescrizione, la cui lunga durata, per l’Autore, sarebbe “coperta” dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, cfr. A.Balsamo, La prescrizione del reato: principi europei e anomalie italiane, 31.1.2017, in “La Magistratura”, 2016, 1-2, in “www.associazionemagistrati.it”.

[4] Amplius, cfr. Commento ad articolo 157, in “Codice penale commentato, artt.1-240”, E.Dolcini, G.Marinucci (cur.), Rozzano, Ipsoa, 3° ed, 1884 s.

[5] Consultabile nella versione italiana su “www.giustizia.it”.

[6] L. 4.8.1955, n. 848 (“Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952”), consultabile su “leg15.camera.it”.

[7] Il dato complessivo del contenzioso pendente dinanzi alla C.Edu nei confronti dell’Italia per irragionevole durata dei processi era, al 30.9.2015, di n. 8.050 ricorsi (fonte: Ministero della Giustizia, Relazione sull’Amministrazione della Giustizia, 2015); nel gennaio 2018, nella scheda Paese sull’Italia, redatta dall’ufficio stampa della Corte europea, disponibile sul  sito (“echr.coe.int/Documents/CP_Italy_ENG.pdf”), risultano pendenti 2.000 ricorsi relativi alla violazione del termine di ragionevole durata del processo e alla eccessiva lunghezza delle procedure previste dalla c.d. legge Pinto (v. “www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1104921.pdf”).

[8] Legge 24.3.2001, n. 89 (“Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile”), reiteratamente modificata: d.l. 11.3. 2002, n. 28, conv., con mod., l. 10.5.2002, n. 91; d.l. 11.9. 2002, n. 201, conv., con mod., l.14. 11.2002, n. 259; l. 27.12.2006, n. 296; d.l. 22.6. 2012, n. 83, conv., con mod., l. 7.8. 2012, n. 134; l. 28.12. 2015, n. 208.

[9]L’art. 111 Cost. è stato modificato dalla l. cost. 23.11.1999, n. 2 (“Inserimento dei princıpio del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione”); v. anche l. 25.2.2000, n. 35 (“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2, recante disposizioni urgenti per l’attuazione dell’articolo 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo”).

[10] Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, firmata a Nizza il 7.12.2000, in GUCE, C 364/1, 18.12.2000, consultabile in versione italiana  su “www.europarl.europa.eu” (resa vincolante dall’art. 6, comma 1,  Trattato di Lisbona, firmato il 13.12.2007, in GUCE, C 306/1, 17.12.2007, ibidem: “L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.”

[11] Corte. Giu. UE, ord. 4.5.2006, Mulliez e al. (cause riunite C-23/03, C-52/03, C-133/03, C-337/03 e C-473/03), in “Racc”. I-3923: “In due di detti procedimenti (C-23/03 e C-473/03, terza questione), si sollevava, proprio, la questione dell’adeguatezza del termine di prescrizione applicabile alla contravvenzione prevista dal nuovo art. 2621 del codice civile. Il limite della non configurabilità di un effetto diretto verticale ‘inverso’ non è neppure superabile attraverso il ricorso alla via ermeneutica. Infatti, come ha dichiarato la Corte, il principio d’interpretazione conforme trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, che fanno parte integrante del diritto dell’Unione, e, in particolare, in quelli di certezza del diritto e di irretroattività” (cfr. F.Rossi Dal Pozzo, La prescrizione nel processo penale al vaglia della Corte di Giustizia? Nota a Trib. Cuneo, ord. 17.01.2014, GUP Boetti, in “Dir.pen.cont”, 7.2.2014; contra A.Balsamo cit che, richiamando le decisioni della Corte Edu e, in particolare, la sentenza  29.3.2011 nel caso Alikaj contro Italia: “ha ravvisato una violazione dell’aspetto procedurale del diritto alla vita, sancito dall’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quando la condanna di un agente dello Stato per un omicidio illegale (anche se commesso per colpa, e non con dolo) sia impedita dalla prescrizione, per effetto della durata del processo penale. Tale sentenza ha fornito una precisa indicazione sull’incoerenza del modello italiano di prescrizione con gli standard internazionali di protezione dei diritti umani; essa ha individuato la vera anomalia del sistema penale italiano non tanto nella lunghezza dei tempi del processo, quanto nell’effetto estintivo che ne consegue in relazione a un comportamento lesivo del diritto alla vitaIn quest’ottica, la sentenza Alikaj è giunta a includere la prescrizione nella categoria delle ‘misure’ inammissibili in quanto produttive dell’effetto di impedire una condanna nonostante l’accertamento della responsabilità penale dell’accusato”.

[12] Rimane ferma l’opzione dell’imputato di potervi rinunciare, a seguito della sent., Corte cost., 23/31.5.1990, n. 275 (in “www.giurcost.org”) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 157 c.p. nella parte in cui non prevedeva la rinunciabilità della prescrizione del reato.

[13] Questo quesito non è valevole per quelle azioni criminose che concretano reati punibili con la pena dell’ergastolo: la lesione di beni-interessi costituzionalmente tutelati è talmente grave da derogare senza meno a quanto sopra esplicitato.

[14]V .rilevazioni statistiche dei processi penali compite dal Ministero della Giustizia e dalla Corte di Cassazione: “www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST1288006&previsiousPage=mg_2_9_13”;”www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/statistiche_penale.page;jsessionid=E6843E2F52CDCCF6FB8673E86EB7DA85.jvm1”; “www.cortedicassazione.it/cassazione- resources/resources/cms/documents/Relazione_pronunciata_dal_Presidente_Giovanni_Mammome_26_gennaio_2018.pdf”.

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