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La responsabilità amministrativa dei dirigenti dell’Istat

La responsabilità amministrativa dei dirigenti dell’Istat per la mancata applicazione delle sanzioni previste in caso di omissione dell’obbligo di fornire le informazioni richieste

di Salvatore Sfrecola

 

La sentenza n. 302 del 21 maggio 2018 della Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei conti, con la quale sono stati respinti gli appelli del Presidente dell’Istat pro-tempore e di alcuni altri alti dirigenti dell’Istituto avverso una sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio del 7 novembre 2012, n. 1096, con la quale i predetti erano stati condannati in relazione a mancati adempimenti consistenti nella omessa applicazione delle sanzioni previste per la violazione dell’obbligo di fornire le informazioni richieste dall’Istituto in sede di raccolta dei dati necessari all’elaborazione di indagini statistiche, sanzioni stabilite dall’art. 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322.

La pronuncia si segnala per alcuni aspetti di particolare rilievo anche sotto il profilo processuale per quanto attiene alla, contestata dalla difesa, e disattesa dalla sentenza, mutatio libelli cui sarebbe incorso il Procuratore Regionale autore della citazione in primo grado. Spiega la sentenza che la mutatio libelli e, in genere la domanda nuova, “presuppongono la deduzione di elementi o temi di indagine che modifichino il fatto costitutivo del diritto vantato, viceversa esclusa laddove una parte, lasciando inalterato il bene della vita garantito dalla legge, modifichi nel corso del giudizio le ragioni della domanda o le deduzioni in diritto apportando argomentazioni anche diverse da quelle in un primo tempo proposte.

Nella fattispecie – prosegue la sentenza – la Procura regionale ha posto a sostegno della domanda fatti omissivi correlati alla violazione dell’obbligo di risposta, ancorché deducendo la violazione dell’art. 11 del Decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, ma dando comunque atto che siffatta violazione doveva ritenersi perfezionata con il formale rifiuto di fornire i dati richiesti ai sensi dell’art. 44 del decreto legge n. 248 del 2007. La disposizione, infatti, prevede che fino al 31 dicembre 2008, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal citato art. 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e con riguardo alle rilevazioni svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso, è considerato violazione dell’obbligo di risposta di cui all’art. 7, comma 1, esclusivamente il formale rifiuto di fornire i dati richiesti.

È evidente che la precisazione in ordine alla delimitazione dei fatti dedotti con riguardo alle sole violazione dell’obbligo di risposta qualificate dalla norma sopravvenuta comporta, nella prospettazione dell’organo requirente, una determinazione – in senso riduttivo – dell’area del danno risarcibile, ovvero una sua contrazione quantitativa, ma non si concreta in una diversa domanda risarcitoria dal punto di vista del suo oggetto, atteso che la modificazione non consentita della domanda presuppone, invece, l’allegazione di elementi o temi di indagine che modifichino il fatto costitutivo posto a sostegno del diritto dedotto in giudizio. Siffatta ipotesi deve essere pertanto esclusa, poiché i fatti storici posti a fondamento della pretesa sostanziale enucleata nell’atto di prosecuzione del giudizio – a seguito della definizione della questione di legittimità costituzionale – sono gli stessi, ancorché le argomentazioni logico-giuridiche divergono da quelle esternate nell’atto introduttivo del giudizio”.

Nel merito appare rilevante la pronuncia della Corte dei conti per quanto attiene alla responsabilità del Presidente dell’Istituto il quale nell’appello aveva sostenuto che l’attività inerente le procedure sanzionatorie sarebbe riconducibile “alla normale gestione amministrativa dell’Istituto” che non richiede l’intervento degli organi di governo dello stesso. Spiegano i giudici di appello che “l’assunto è in tesi accettabile solo qualora si faccia riferimento all’ipotesi di andamento normale della gestione, ma diviene insostenibile se si consideri che la vicenda in causa è viceversa caratterizzata da un andamento anomalo e dalla radicale abdicazione al settore di operatività collegato alle procedure in questione, di cui non può essere negata l’intrinseca attitudine a realizzare gli stessi fini generali devoluti alla branca d’amministrazione che qui viene in rilievo. Ragione per cui, nemmeno una condizione soggettiva, del resto nemmeno ipotizzata, di totale disinformazione in ordine al sistema sanzionatorio dell’Istat, né l’allegazione circa l’inerzia di altri organi nel sollevare la questione potrebbero assumere rilevanza esimente della contestata responsabilità amministrativa”.

Del pari sono state ritenute infondate le argomentazioni dei direttori generali pro tempore “in ragione del loro ruolo di sovrintendenza degli uffici di settore e di coordinamento con riguardo all’omissione di iniziative dirette a vigilare sulle omissioni riscontrate”.

Una sentenza, dunque, che traccia importanti profili di responsabilità sotto aspetti di direzione e gestione di una attività di particolare interesse per la conoscenza dei fenomeni economici e sociali sulla quale si fondano scelte politiche importanti del Governo e del Parlamento.

Sullo sfondo, ed al di là del danno erariale conseguente alla mancata acquisizione al bilancio dell’Istituto,  anche se non se ne occupano le sentenze di primo e di secondo grado, va considerato, sia pure in astratto, l’effetto delle omesse informative richieste sull’attendibilità dei dati statistici, essendo evidente che un numero rilevante è significativo di omissioni potrebbe incidere sulla validità del dato statistico finale.

Si rimette all’attenzione degli studiosi per gli indicati profili processuali e di diritto sostanziale.

Si allega, altresì, la sentenza 23 febbraio-21 marzo 2011, n. 93 della Corte costituzionale.

 

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Corte costituzionale,

  1. 93 23 febbraio – 21 marzo 2001: Pres. De Siervo – Red. Tesauro

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, promosso dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio nel procedimento vertente tra il Procuratore Regionale presso la sezione giurisdizionale della Regione Lazio e L.B. ed altri, con ordinanza del 7 dicembre 2009, iscritta al n. 176 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2010.

 

Responsabilità amministrativa e contabile – Azione di responsabilità per mancata applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria in caso di violazione dell’obbligo di fornire dati per le rilevazioni statistiche – Previsione, quale fatto sanzionabile, del solo rifiuto formale di fornire i dati richiesti, con riguardo alle rilevazioni svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore della normativa censurata – Denunciata carenza del requisito di necessità ed urgenza che condiziona la legittimità del decreto-legge – Esclusione – Non fondatezza della questione. 

Responsabilità amministrativa e contabile – Azione di responsabilità per mancata applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria in caso di violazione dell’obbligo di fornire dati per le rilevazioni statistiche – Previsione, quale fatto sanzionabile, del solo rifiuto formale di fornire i dati richiesti, con riguardo alle rilevazioni svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore della normativa censurata – Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di logica e buona amministrazione – Esclusione – Non fondatezza della questione. 

Responsabilità amministrativa e contabile – Azione di responsabilità per mancata applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria in caso di violazione dell’obbligo di fornire dati per le rilevazioni statistiche – Previsione, quale fatto sanzionabile, del solo rifiuto formale di fornire i dati richiesti, con riguardo alle rilevazioni svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore della normativa censurata – Denunciata lesione delle prerogative dei giudici contabili – Esclusione – Non fondatezza della questione.

Responsabilità amministrativa e contabile – Obbligo di fornire dati statistici – Omessa previsione della possibilità, per i soggetti chiamati ad accertare la violazione, di valutare, a fini sanzionatori, le ragioni e le circostanze dell’inosservanza del suddetto obbligo – Mancata considerazione della difficoltà di identificare gli inadempienti – Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione – Questione proposta in linea subordinata da alcune delle parti costituite nel giudizio incidentale – Irrilevanza per infondatezza delle censure prospettate dal rimettente. 

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, impugnato, in riferimento all’art. 77 Cost., in quanto stabilisce che, fino al 31 dicembre 2008, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge, e con riguardo alle rilevazioni statistiche svolte anche prima dell’entrata in vigore del medesimo d.l., è considerato violazione dell’obbligo di risposta, di cui all’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, esclusivamente il formale rifiuto di fornire i dati richiesti. Infatti, indici intrinseci ed estrinseci alla disposizione censurata permettono di escludere l’ipotesi – alla quale è limitato il sindacato sulla legittimità dell’adozione di un decreto-legge da parte del Governo – di evidente carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità ed urgenza di provvedere. Premesso che il preambolo del d.l. n. 248 del 2007 fa riferimento alla “straordinaria necessità ed urgenza di provvedere alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative, al fine” sia “di consentire una più concreta e puntuale attuazione dei correlati adempimenti”, sia “di conseguire una maggiore funzionalità delle pubbliche amministrazioni”; la norma de qua non è dissonante rispetto al contenuto ed alla materia del suddetto decreto poiché persegue lo scopo di garantire la funzionalità dell’attività dell’ISTAT. In particolare, il legislatore ha inteso realizzare una sostanziale semplificazione delle attività che i soggetti del Sistema statistico nazionale devono porre in essere per individuare in maniera certa – a fronte delle centinaia di migliaia di mancate risposte che si registrano annualmente – quelle che, per la volontarietà della condotta, configurano un’effettiva violazione dell’obbligo di risposta, mirando, allo stesso tempo, a ridurre l’onerosità di dette attività, tale da mettere a rischio la stessa qualità della statistica ufficiale.

In merito all’ampiezza del sindacato sulla legittimità dell’adozione di un decreto-legge da parte del Governo, v. le citate sentenze n. 355/2010, n. 83/2010, n. 128/2008 e n. 171/2007.

Sull’esigenza di «limitare ambiti, ritenuti dal legislatore troppo ampi», della responsabilità dei dipendenti pubblici, poiché l’ampliamento degli stessi «è suscettibile di determinare un rallentamento nell’efficacia e tempestività dell’azione amministrativa dei pubblici poteri», v. la citata sentenza n. 355/2010.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., in quanto stabilisce che, fino al 31 dicembre 2008, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge, e con riguardo alle rilevazioni statistiche svolte anche prima dell’entrata in vigore del medesimo d.l., è considerato violazione dell’obbligo di risposta, di cui all’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, esclusivamente il formale rifiuto di fornire i dati richiesti. Infatti, avendo la legge n. 244 del 2007 limitato, per il futuro, i casi nei quali può essere irrogata la sanzione per la violazione dell’obbligo di fornire i dati statistici, la successiva scelta di attenuare il rigore della disciplina anche per il passato non è in sé irragionevole, soprattutto in considerazione dell’onerosità dell’attività diretta ad irrogare detta sanzione e dell’esigenza di garantire l’efficiente funzionamento dell’ISTAT, quindi, l’applicazione del principio di buon andamento dell’amministrazione, ferma restando la qualità della rilevazione statistica. Inoltre, la diversità del criterio di identificazione dei presupposti per l’irrogazione della sanzione stabilito dal citato art. 44, comma 1, rispetto a quello previsto dall’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007 è giustificata dalla circostanza che la norma censurata concerne indagini statistiche già svolte e comportamenti dei destinatari dell’obbligo ormai esauriti, ai quali non avrebbe potuto essere applicata, con mero automatismo, la nuova regolamentazione, caratterizzata dall’identificazione delle fattispecie sanzionabili. La diversità delle discipline non costituisce, dunque, sintomo dell’asserita illogicità della scelta operata con la norma in questione ed è anzi agevole individuare il comune elemento ispiratore di entrambe nell’intento di stabilire un criterio diretto a limitare i casi di applicabilità della sanzione amministrativa. Infine, la locuzione “formale rifiuto” contenuta nell’art. 44, comma 1, permette di ritenere integrato il presupposto di applicabilità della sanzione in esame sia nel caso in cui il destinatario della richiesta abbia esplicitamente comunicato l’immotivato rifiuto di fornire i dati, sia nel caso in cui egli ciò abbia fatto, adducendo giustificazioni pretestuose o inattendibili, trattandosi di fattispecie entrambe diverse dalla mera omissione della comunicazione.

In merito all’esigenza che la retroattività della norma, interpretativa o innovativa, trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, v., ex multis, le citate sentenze n. 74/2008 e n. 234/2007.

Nel senso che rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza della scelta, sia conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa e stabilire le relative sanzioni, sia «modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore a seconda delle materie oggetto di disciplina», anche in ordine all’eventuale applicabilità della disciplina posteriore più favorevole, v. le citate ordinanze n. 23/2009, n. 424/2008, n. 245/2003, n. 501/2002 e n. 140/2002.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, impugnato, in riferimento agli artt. 101, secondo comma, 103 e 108 Cost., in quanto stabilisce che, fino al 31 dicembre 2008, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge, e con riguardo alle rilevazioni statistiche svolte anche prima dell’entrata in vigore del medesimo d.l., è considerato violazione dell’obbligo di risposta, di cui all’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, esclusivamente il formale rifiuto di fornire i dati richiesti. Premesso che l’invito a dedurre, siccome diretto all’acquisizione di ulteriori elementi in vista delle determinazioni del pubblico ministero, attiene ad una fase del procedimento avente natura pre-processuale, sicché l’effettiva proposizione dell’azione di responsabilità è del tutto eventuale e solo con l’atto di citazione il giudice è investito della causa ed ha inizio il relativo giudizio; la constatazione che il decreto-legge contenente la norma censurata è stato emanato quando ai convenuti era stato notificato esclusivamente l’invito a dedurre molti mesi prima del deposito dell’atto di citazione rende chiara l’inesistenza di elementi in grado di dimostrare la strumentalità della disposizione rispetto all’intento di risolvere una specifica controversia e di incidere su un giudizio in corso, per determinarne l’esito. Pertanto, escluso che la norma de qua abbia compromesso la funzione giurisdizionale, deve ritenersi che, con essa, il legislatore si sia limitato a stabilire una nuova regola, generale ed astratta.

Nel senso che la retroattività della norma reca vulnus alle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario quando travolge gli effetti di pronunce divenute irrevocabili e, comunque, nel caso in cui la disposizione non stabilisce una regola astratta, ma mira a risolvere specifiche controversie, risultando diretta ad incidere sui giudizi in corso, per determinarne gli esiti, v., ex plurimis, le citate sentenze n. 209/2010, n. 94/2009, n. 170/2008 e n. 364/2007.

Sull’inerenza dell’invito a dedurre «ad una fase del procedimento avente natura pre-processuale», v. le citate sentenze n. 513/2002, n. 163/1997 e n. 415/1995.

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, impugnato, in riferimento agli artt. 3, 77, 97, 101, secondo comma, 103 e 108 Cost., in quanto stabilisce che, fino al 31 dicembre 2008, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge, e con riguardo alle rilevazioni statistiche svolte anche prima dell’entrata in vigore del medesimo d.l., è considerato violazione dell’obbligo di risposta, di cui all’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, esclusivamente il formale rifiuto di fornire i dati richiesti, è irrilevante, per l’infondatezza delle censure prospettate dal rimettente, la questione di legittimità costituzionale dell’originario testo dell’art. 7, commi 1 e 3, del citato d.lgs. n. 322, proposta in linea subordinata da alcune delle parti private costituite in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., poiché tale disposizione non prevede la possibilità, per i soggetti chiamati ad accertare la violazione, di valutare, a fini sanzionatori, le ragioni e le circostanze dell’inosservanza dell’obbligo di fornire dati statistici e non considera la difficoltà di identificare gli inadempienti. Pertanto, difettano i presupposti affinché la Corte possa sollevare la questione davanti a se stessa.

 

Ritenuto in fatto

  1. – La Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con ordinanza del 7 dicembre 2009, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 77, 97, 101, secondo comma, 103 e 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44 (recte: dell’articolo 44, comma 1) del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.
  2. – L’ordinanza di rimessione premette che il Procuratore della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per la Regione Lazio (infra: Procuratore) ha convenuto in giudizio alcuni amministratori e dirigenti dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), chiedendone la condanna al risarcimento del danno da essi asseritamente prodotto a causa della mancata applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322 (Norme sul Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell’Istituto nazionale di statistica, ai sensi dell’art. 24 della legge 23 agosto 1988, n. 400), nel caso di violazione da parte di amministrazioni, enti ed organismi pubblici e privati dell’obbligo di fornire tutti i dati e le notizie richiesti per le rilevazioni previste dal programma statistico nazionale, disciplinato dall’art. 7, comma 1, di detto d.lgs., richiamato dal comma 3 di tale articolo, nel testo previgente alle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 74, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008).

Il Procuratore, nell’atto di citazione, ha dedotto che l’accertamento di siffatta violazione spetta agli uffici di statistica, i quali provvedono a trasmettere motivato rapporto al prefetto competente per territorio, che procede ai sensi dell’art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). Secondo l’organo requirente, i convenuti nel giudizio principale non avrebbero provveduto ad accertare detta violazione ed ha loro contestato il danno asseritamente prodotto in virtù di siffatta omissione, in riferimento al periodo 2002-2006 (non coperto da prescrizione ed in relazione al quale erano disponibili dati definitivi), quantificato nell’importo di € 191.425.235,00, ripartito pro-quota tra i medesimi.

Ad avviso dell’organo requirente, sarebbe configurabile a carico del Presidente dell’ISTAT una responsabilità erariale per colpa grave, poiché egli – in violazione dei doveri d’ufficio ex art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989 e delle competenze attribuitegli quale preposto al Consiglio dell’ISTAT e al Comitato di indirizzo e coordinamento dell’informazione statistica (COMSTAT) – non avrebbe neppure affrontato il problema dell’applicazione delle sanzioni e sollecitato una modifica delle relative norme, per ottenere una semplificazione del procedimento, sino a quando, nell’aprile 2006, è stato presentato un esposto alla Corte dei conti. Agli altri convenuti è stata contestata la responsabilità per colpa grave, a causa di omissioni nell’espletamento delle funzioni ad essi spettanti nel procedimento sanzionatorio.

2.1. – Tutti i convenuti si sono costituiti nel giudizio, contestando la fondatezza della domanda; alcuni hanno eccepito l’improcedibilità dell’azione, in quanto il Procuratore non avrebbe tenuto conto dell’art. 44, comma 1, del d.l. n. 248 del 2007, che avrebbe inciso sull’illiceità delle condotte contestate.

Il giudice a quo, con sentenza parziale del 12 ottobre 2009, ha rigettato detta eccezione, osservando che il Procuratore, nell’atto di citazione, «ha affrontato la questione degli effetti della sopravvenuta normativa […], rilevando che, “ancorché la norma non utilizzi la formula consueta delle disposizioni interpretative […] essa manifesta l’intenzione del legislatore di considerare anche per il passato ‘violazione dell’obbligo di risposta’ quella che abbia dato luogo ad un formale rifiuto”, e “limita con effetto retroattivo l’applicazione delle sanzioni ai casi in cui il soggetto, pubblico o privato, destinatario della richiesta di dati o notizie, abbia opposto un formale rifiuto”, determinando nella sostanza “l’eliminazione della obbligatorietà della risposta”, e ha contestualmente sollevato questione di legittimità costituzionale della citata norma».

Inoltre, con detta sentenza parziale, il rimettente ha deciso «tutte le questioni preliminari di rito e di merito», accertando la prescrizione in relazione alle condotte ascrivibili ai convenuti successivamente al 19 novembre 2002 e sino a tutto il 2006, disponendo «la pronunzia con separata ordinanza per l’esame della questione di legittimità costituzionale» del citato art. 44, comma 1.

2.2. – Posta questa premessa, la Corte dei conti deduce che la norma censurata incide sulle disposizioni in forza delle quali il Procuratore ha esercitato l’azione di responsabilità, con conseguente rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Nella specie, sarebbe stato, infatti, applicabile il testo originario dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, poiché tale norma, nella formulazione novellata dall’art. 3, comma 64 (recte: art. 3, comma 74), della legge n. 244 del 2007, concerne i fatti commessi dal 1° gennaio 2008. E’, quindi, la norma censurata, entrata in vigore il 31 dicembre 2007, che non permette di fare riferimento all’originario testo del citato art. 7, comma 1, anche in riferimento alle condotte anteriori a tale data.

Secondo il rimettente, qualora non fosse sopravvenuto il citato art. 44, comma 1, avrebbe potuto essere affermata la responsabilità dei convenuti, in quanto la sanzione prevista dall’art. 11 del d.lgs. n. 322 del 1989 sarebbe stata applicabile in tutti i casi di violazione dell’obbligo di fornire i dati statistici, indipendentemente dalla tipologia degli stessi e senza possibilità di distinguere le ipotesi di formale diniego della risposta e di comportamento meramente omissivo. La norma censurata, in considerazione della sua lettera, impedirebbe, invece, di sanzionare condotte diverse dal formale rifiuto di rispondere, perfezionatesi sino al 31 dicembre 2008, e di ritenere fondata la domanda, con conseguente rilevanza della questione.

2.3. – Il giudice a quo osserva che la legge di conversione n. 31 del 2008 ha inserito nella norma in esame il comma 1-bis, che non incide sulla questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto il solo comma 1 del citato art. 44, censurato in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.

A suo avviso, anche ritenendo che il legislatore, in prossimità dell’entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 244 del 2007, abbia inteso, con una norma transitoria, limitare i casi di applicabilità della sanzione amministrativa per la violazione in esame, la disposizione in questione non sarebbe sorretta da «alcun criterio logico». Il citato art. 44, comma 1, non assicurerebbe, infatti, «un minimo, ma inderogabile livello di garanzia per la tutela dell’effettività dell’obbligo di conferimento dei dati» sino al 31 dicembre 2008 e nelle more dell’attuazione della disciplina prevista dal citato art. 7, comma 1, poiché prevede che la violazione del medesimo è sanzionabile esclusivamente nel caso in cui la parte abbia formalmente dichiarato di non volere fornire i dati. Il presupposto di irrogazione della sanzione consisterebbe, quindi, in un comportamento inesigibile, in quanto contrario all’interesse dell’onerato e verosimilmente irrealizzabile in relazione all’arco temporale di riferimento, dato che, per evitarne il perfezionamento, sarebbe sufficiente non manifestare un formale rifiuto.

Un ulteriore elemento di illogicità sarebbe, poi, costituito dalla circostanza che la norma censurata prevede l’applicabilità della sanzione in virtù di un criterio diverso rispetto a quello contenuto nel nuovo testo del citato art. 7, comma 1, il quale disciplina un procedimento diretto ad identificare i casi nei quali, per l’importanza dei dati, la violazione dell’obbligo di fornirli è sanzionabile.

La previsione della rilevanza della violazione nel solo caso di «rifiuto formale» di fornire i dati non sarebbe coerente con il criterio introdotto dalla legge n. 244 del 2007, poiché non inerisce alla qualità del dato richiesto, ovvero alle caratteristiche ed alla tecnica dell’indagine statistica, ma concerne il destinatario dell’obbligo e discriminerebbe non ragionevolmente i trasgressori, garantendo l’impunità di quelli rimasti silenti e sanzionando quanti hanno “formalmente” rifiutato di rispondere.

Il citato art. 44, comma 1, violerebbe, quindi, «i principi di logica e buona amministrazione» (art. 97 Cost.) e di eguaglianza (art. 3 Cost.), poiché «comporta paradossalmente la punibilità di chi fornisce una formale risposta negativa alla richiesta di dati» (presumibilmente al fine di spiegare le ragioni del rifiuto) e la non punibilità di chi si limita a violare l’obbligo di risposta, che pure resta vigente in virtù dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, senza poter essere sanzionato.

2.4. – Secondo il rimettente, alle condotte tenute sino al 31 dicembre 2007 sarebbe stato applicabile il testo originario dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989; l’ultimo giorno di vigenza del medesimo, tre giorni dopo l’approvazione della legge n. 244 del 2007, che lo ha novellato, nel d.l. n. 248 del 2007 è stato inserito il citato art. 44, comma 1, il quale ha inciso retroattivamente sull’applicabilità della sanzione per le violazioni in esame.

Tale effetto, ad avviso della Corte dei conti, sarebbe estraneo a quello avuto di mira dal d.l. n. 248 del 2007, avente lo scopo di stabilire una «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria» e nel quale è stata inserita la disposizione censurata (collocata nel capo «disposizioni finanziarie urgenti»), che sarebbe priva di ragionevole giustificazione. La norma non avrebbe, infatti, natura finanziaria e neppure disporrebbe una proroga di termini in scadenza, in grado di giustificare l’urgenza della sua adozione, ma realizzerebbe un effetto di segno contrario, in quanto ha retroattivamente escluso l’efficacia di una disposizione che, in base ad una legge promulgata soltanto tre giorni prima, avrebbe dovuto rimanere in vigore sino al 31 dicembre 2007.

Inoltre, non potrebbe essere offerta un’interpretazione costituzionalmente orientata alla disposizione in esame e ritenere che, con essa, il legislatore, avendo preso atto che la nuova disciplina introdotta dalla legge n. 244 del 2007 richiede la definizione di nuovi e complessi procedimenti, avrebbe inteso «dettare una disposizione transitoria che limitasse sino al 31 dicembre 2008 […] l’applicabilità delle sanzioni», al fine «di procrastinare di un anno la concreta entrata in vigore» del nuovo sistema sanzionatorio. La lettera della norma imporrebbe, infatti, di ritenere che essa ha limitato la punibilità della violazione dell’obbligo in questione nel solo caso di rifiuto formale, in relazione alle fattispecie perfezionatesi sia in data successiva al 31 dicembre 2007 (oggetto del nuovo testo del citato art. 7, comma 1), sia in data anteriore (perciò regolamentate dal testo originario del citato art. 7, comma 1), nonostante che quest’ultimo arco temporale non avrebbe dovuto essere considerato, qualora scopo della stessa fosse stato di graduare l’entrata in vigore della nuova disciplina.

Pertanto, secondo la Corte dei conti, il citato art. 44, comma 1, violerebbe l’art. 77 Cost., «quantomeno nella parte in cui dispone la propria efficacia con riguardo alle rilevazioni statistiche svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto», e cioè per i fatti commessi sino al 31 dicembre 2007, con disposizione diretta a sostituire retroattivamente il testo dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, in difetto del requisito di necessità ed urgenza, che condiziona la legittimità del decreto legge.

2.5. – Secondo il giudice a quo, gli argomenti svolti a conforto delle censure riferite agli artt. 3, 77 e 97 Cost. dimostrerebbero che la disposizione in esame reca vulnus anche gli artt. 101, secondo comma, 103 e 108 Cost., in quanto avrebbe inciso sulle funzioni attribuite ai giudici contabili. Il citato art. 44, comma 1, non ha, infatti, ad oggetto una proroga di termini; non costituisce una disposizione finanziaria; non «è idonea a individuare un presupposto comportamentale al quale può collegarsi logicamente e razionalmente la punibilità del comportamento trasgressivo nell’ambito di un meccanismo sanzionatorio»; non risulta strumentale a stabilire una disciplina della punibilità di determinate condotte in via transitoria e sino al 31 dicembre 2008. Siffatta norma, in quanto adottata successivamente al 19 novembre 2007 (data di notifica ai convenuti dell’invito a dedurre), avrebbe avuto quale unico effetto quello di limitare la responsabilità per la violazione dell’obbligo previsto dal citato art. 7, comma 1, prevedendo, non ragionevolmente, che questa è configurabile esclusivamente nel caso di rifiuto formale della risposta.

In altri termini, la disposizione in questione, apparentemente diretta a limitare i casi di punibilità della violazione dell’obbligo di fornire i dati statistici, ma in realtà inidonea a permettere l’irrogazione della sanzione, non ragionevolmente coordinata con la nuova disciplina sanzionatoria introdotta dalla legge n. 244 del 2007, adottata in carenza dei presupposti della necessità ed urgenza e priva di ragionevole giustificazione, avrebbe avuto la sola finalità di escludere la punibilità di siffatta violazione in riferimento al testo originario del citato art. 7, comma 1, e con riguardo alle fattispecie perfezionatesi anteriormente all’entrata in vigore della riforma realizzata con detta legge. L’effetto della disposizione in esame sarebbe stato, quindi, di escludere l’illegittimità della condotta contestata ai convenuti nel giudizio principale, realizzando «una preordinata interferenza sulle funzioni della magistratura contabile, sottraendole una fattispecie di responsabilità amministrativa già sub judice».

Ad avviso del rimettente, benché l’invito a dedurre si collochi in una fase precedente al giudizio, la garanzia costituzionale della giurisdizione contabile, nella quale rientra il diritto di azione del Procuratore, concernerebbe anche quella prevista dall’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, in quanto necessariamente prodromica all’instaurazione del medesimo.

Il giudice a quo dà, peraltro, atto sia che la giurisprudenza costituzionale ha ricondotto l’invito a dedurre ad una fase che precede l’accertamento della responsabilità, sia che, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti, funzione di tale atto è quella di realizzare una «preliminare contestazione di fatti specifici ad un soggetto già indagato», rendendo possibile all’organo requirente uno sviluppo di più adeguate indagini. L’invito a dedurre costituisce, quindi, un atto strumentale all’acquisizione di ulteriori elementi, anche favorevoli al destinatario, in vista delle formulazione da parte dell’organo requirente delle proprie determinazioni, che non devono consistere nell’inizio dell’azione di responsabilità.

Tuttavia, secondo il rimettente, la circostanza che tale fase «non presenti il carattere della univocità tipicamente connesso alla fase giudiziale» non escluderebbe che l’attività svolta al suo interno costituisca espressione di un potere-dovere che si articola nella fase giudiziale, come diritto alla azione, e nella fase preprocessuale come diritto a svolgere una compiuta istruttoria quale ineliminabile presupposto per l’eventuale incardinazione dell’azione. Pertanto, poiché il potere-dovere di azione del Procuratore comprende quello di accertare la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa, il principio che impedisce al legislatore di interferire nell’esercizio della funzione giurisdizionale concernerebbe anche la fase dell’accertamento della sussistenza degli elementi sufficienti ad integrare un’ipotesi di responsabilità amministrativa.

  1. – Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita L.L.S., convenuta nel processo principale, eccependo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione ed esplicitando nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica gli argomenti a conforto di tale conclusione.

La parte deduce che l’incongruità della disciplina concernente la violazione dell’obbligo in esame era stata posta all’attenzione del Presidente dell’ISTAT, del Consiglio di amministrazione e del Comitato per l’indirizzo ed il coordinamento dell’informazione statistica oltre un anno prima della proposizione dell’esposto che ha dato l’avvio all’istruttoria da parte del Procuratore. Inoltre, era stata esaminata nel corso di molteplici sedute del Consiglio di amministrazione e di detto Comitato (sintetizzate nella memoria) ed aveva costituito oggetto di un lavoro, trasmesso al Ministero della funzione pubblica, che preludeva alle modifiche realizzate dalla legge n. 244 del 2007 e dalla norma censurata, anche allo scopo di offrire tutela ai «soggetti deboli che già di per sé si fa fatica ad intercettare nelle ricerche».

Secondo L.L.S., il citato art. 44, comma 1, costituirebbe una norma interpretativa ed il rimettente, nel censurarla in riferimento all’art. 77 Cost., non avrebbe considerato che la nuova formulazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989 ha reso necessaria una disposizione regolamentare per identificare i casi di applicabilità della sanzione, imponendo di adottare con necessità ed urgenza le misure necessarie per evitare che ai cittadini fossero applicate sanzioni in contrasto con la ratio della nuova disciplina.

A suo avviso, le censure svolte con riguardo agli artt. 3 e 97 Cost. non terrebbero conto del fatto che la norma in esame non mira a sottrarre i vertici dell’ISTAT al giudizio contabile (peraltro, neppure promosso alla data di emanazione del decreto-legge), ma è diretta a tutelare i soggetti esposti al rischio di subire un’iniqua sanzione e ad evitare che l’avvio di un numero spropositato di procedimenti sanzionatori aggravasse inutilmente l’attività dell’ISTAT. L’attendibilità del dato statistico non è, infatti, influenzata dal numero delle mancate risposte e per questa ragione organizzazioni scientifiche ed eminenti studiosi hanno accolto favorevolmente la norma censurata. Il rifiuto formale sarebbe, inoltre, soltanto quello privo di adeguata giustificazione, al quale non potrebbe essere assimilata la mera inerzia; il principio di eguaglianza era, poi, leso dalla pregressa disciplina, che rendeva applicabile la sanzione a soggetti i quali versavano in condizioni disagiate, deteriori rispetto agli altri destinatari dell’obbligo di fornire i dati statistici.

L.L.S. deduce, infine, che le censure riferite agli artt. 101, secondo comma, 103 e 108 Cost. non considerano che la facoltà del legislatore ordinario di emanare norme interpretative non può incidere sul potere giurisdizionale, da ritenersi, tuttavia, leso soltanto quando la norma vanifica gli effetti del giudicato, oppure è intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie sub iudice, ipotesi queste insussistenti nella specie, poiché l’atto di citazione è stato notificato in data successiva all’emanazione della norma censurata.

  1. – Nel presente giudizio si è costituito anche L.B., convenuto nel processo principale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.

A suo avviso, la questione sarebbe inammissibile per insufficiente motivazione sulla rilevanza, in quanto è stata proposta prima che il giudice a quo abbia accertato la sussistenza dei presupposti dell’azione risarcitoria e, quindi, sarebbe meramente ipotetica ed eventuale, dato che la rilevanza non sussisterebbe, «qualora dovesse acclararsi che nessuna responsabilità può essere imputata ai convenuti». In contrario, non rileverebbe la quantificazione del danno operata da parte del Procuratore con riguardo a tutte le condotte omissive, poiché la norma censurata è entrata in vigore sette mesi prima della notificazione dell’atto di citazione. Pertanto, l’organo requirente, fermi gli eventuali dubbi di legittimità costituzionale in ordine al citato art. 44, comma 1, bene avrebbe potuto individuare le fattispecie dalle quali far derivare la responsabilità ai sensi di tale norma.

In relazione alle censure riferite all’art. 77 Cost., L.B. deduce che, fatta eccezione per i casi di interviste dirette, il «formale rifiuto» potrebbe essere integrato da molteplici atti rivelatori dell’univoca volontà di non collaborare; comunque, le considerazioni del rimettente potrebbero assumere rilievo in relazione al periodo compreso tra il 31 dicembre 2007 ed il 31 dicembre 2008, non a quello anteriore (che costituisce oggetto del giudizio principale). In riferimento a quest’ultimo, la condotta del trasgressore si è, infatti, già perfezionata; quindi non sarebbe esatto che l’irrogazione della sanzione dipenderebbe da un comportamento inesigibile, perché contrario all’interesse dell’onerato.

La denunciata disparità di trattamento tra quanti esplicitano le ragioni del rifiuto e quanti si limitano a non rispondere neppure sussisterebbe. Indipendentemente dalla corretta esegesi della locuzione «formale rifiuto» e dalla necessità della volontarietà della condotta illecita (che impedirebbe di ritenere irrilevante l’esplicitazione delle ragioni del rifiuto), la prospettazione del rimettente avrebbe, infatti, senso soltanto se riferita a condotte successive al 31 dicembre 2007, non a quelle anteriori.

Ad avviso della parte, l’identificazione delle fattispecie sanzionabili in base ad un criterio diverso rispetto a quello dell’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007 sarebbe giustificata dal fatto che esso è contenuto in una norma con efficacia retroattiva e transitoria, avente lo scopo di sanzionare le sole condotte omissive rilevanti ai fini dell’indagine statistica.

Il citato art. 44, comma 1, inciderebbe, inoltre, sul comma 3, non sul comma 1 dell’art. 7, d.lgs. n. 322 del 1989 (come, invece, inesattamente affermato nell’ordinanza di rimessione) e la sua adozione sarebbe stata imposta dal tempo occorrente per attuare la nuova disciplina introdotta dall’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007 e dalla finalità di differire di un anno l’entrata in vigore del nuovo testo del citato art. 7, comma 1, prorogando l’efficacia di tale norma, nel testo originario, ma limitando la punibilità anche per il passato. La retroattività della norma sarebbe, dunque, giustificata dall’intento di evitare un’irragionevole disparità di trattamento tra soggetti egualmente tenuti, sino all’entrata in vigore della nuova disciplina, a fornire risposta ai sensi del citato art. 7, comma 1, nel testo originario.

Secondo la parte, siffatte considerazioni, il titolo ed il preambolo del d.l. n. 248 del 2007 renderebbero palese il collegamento esistente tra tale atto normativo e la disposizione censurata. La ratio di quest’ultima sarebbe, inoltre, quella di attenuare – nell’interesse del destinatario delle rilevazioni e per garantire il corretto funzionamento del sistema statistico nazionale – l’originaria disciplina sanzionatoria, che era svincolata dalla rilevanza del dato statistico, con conseguente ragionevolezza della disposizione ed infondatezza delle censure riferite all’art. 77 Cost.

4.1. – L.B. contesta le censure riferite agli artt. 101, 103 e 108 Cost., deducendo che il legislatore ordinario non interferisce con la funzione giurisdizionale, quando stabilisce una regola astratta, non mira ad incidere sul giudicato, ovvero a risolvere, «con la forma della legge, specifiche controversie» ed a «vanificare gli effetti una pronuncia giurisdizionale divenuta intangibile». Nella specie, l’efficacia retroattiva della norma censurata non inciderebbe sulla «potestas iudicandi» e, comunque, al più, avrebbe influito sull’invito a dedurre, che attiene ad una fase preprocessuale.

In linea gradata, per il caso in cui siano ritenute fondate le censure proposte dal giudice a quo, la parte privata sollecita questa Corte a sollevare davanti a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del 1989, nel testo originario, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui, in primo luogo, non ragionevolmente prevede l’irrogazione della sanzione per la violazione dell’obbligo in esame, senza tenere conto delle ragioni della medesima e senza operare alcuna graduazione in relazione alla rilevanza dei dati. In secondo luogo, nella parte in cui non tiene conto che i soggetti chiamati ad accertare la violazione verserebbero nella «difficoltà-impossibilità» di identificare quanti non forniscono i dati richiesti, ovvero li forniscono scientemente errati o incompleti, e di riconoscere l’errore, verificandone l’intenzionalità. In terzo luogo, non consente una preliminare valutazione in ordine sia all’esistenza di elementi che potrebbero avere causato (o concorso a causare) la mancata o errata o incompleta risposta, sia alla rilevanza dei dati ai fini dell’indagine statistica.

  1. – Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti, con un unico atto, G.P.O., V.T.A., G.A.C., A.M. e R.M., convenuti nel processo principale, chiedendo, anche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.

Dopo avere svolto considerazioni in ordine alle ragioni che avrebbero reso di difficile applicazione la disciplina originariamente prevista dall’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989, le parti deducono che la legge n. 244 del 2007 ha introdotto gli opportuni rimedi al riguardo e che la norma censurata reca una «disciplina intertemporale volta ad assicurare il corretto e proporzionato esercizio del potere sanzionatorio». La regolamentazione introdotta da detta legge, in armonia con quella vigente in altri paesi europei, ha specificato il procedimento preordinato all’individuazione delle rilevazioni statistiche per le quali la mancata risposta configura una violazione sanzionabile; il citato art. 44, comma 1, avrebbe, quindi, garantito la continuità tra la disciplina originaria e quella novellata. Peraltro, la questione non sarebbe rilevante, poiché la norma censurata non inciderebbe sull’effettività dell’obbligo di risposta per le rilevazioni svolte in data anteriore alla entrata in vigore della medesima e, comunque, avrebbe potuto essere sollevata in riferimento ai dati raccolti nel 2008, anno che, però, non rileva nel giudizio principale.

Scopo del citato art. 44, comma 1, sarebbe stato quello di evitare una ingiustificata disparità di trattamento tra i casi in cui qualsiasi mancata risposta determinava l’irrogazione della sanzione e quelli (oggetto della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 244 del 2007) nei quali la violazione assume rilievo soltanto in riferimento ad alcune categorie di dati, con conseguente infondatezza della censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost.

5.1. – Le censure sollevate in relazione all’art. 77 Cost. sarebbero infondate, poiché, nella specie, sussisteva l’urgenza di garantire la continuità della disciplina, evitando discriminazioni ed incertezze interpretative e prevenendo un significativo contenzioso, obiettivi questi realizzati mediante una norma interpretativa. Inoltre, la disposizione in questione avrebbe contenuto omologo ad un’altra norma pure contenuta nel d.l. n. 248 del 2007 e censurata in riferimento a detto parametro con argomenti ritenuti non fondati da questa Corte con la recente sentenza n. 355 del 2010.

Secondo le parti, il citato art. 44, comma 1, non avrebbe influito sull’esercizio della funzione giurisdizionale, poiché non ha inciso su di un giudicato e neppure è intervenuto su una fattispecie sub iudice, dato che l’atto di citazione è stato notificato in data successiva a quella dell’adozione del d.l. n. 248 del 2007. Inoltre, l’attività istruttoria dell’organo requirente non avrebbe natura giurisdizionale e, comunque, sarebbe stata compiutamente svolta, senza che su di essa abbia inciso la disposizione in esame, con conseguente irrilevanza della questione, con conseguente infondatezza delle censure riferite agli artt. 101, 103 e 108 Cost.

  1. – Con separati atti, di contenuto sostanzialmente omologo, si sono costituiti nel presente giudizio V.B., F.Z. e V.E., convenuti nel processo a quo, eccependo, anche nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica, l’inammissibilità e l’infondatezza della questione.

Secondo le parti, la disciplina sanzionatoria stabilita dall’art. 7, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del 1989 era rimasta sostanzialmente inapplicata e la disposizione censurata avrebbe differito l’entrata in vigore della riforma realizzata dalla legge n. 244 del 2007, in considerazione dell’esigenza di individuare le tipologie di dati statisticamente rilevanti ai fini della violazione dell’obbligo in esame, garantendo, anche per il passato, la coerenza del sistema sanzionatorio con i nuovi criteri stabiliti da detta legge, con conseguente infondatezza delle censure riferite all’art. 77 Cost. La constatazione che l’applicabilità della sanzione nel solo caso di formale rifiuto di fornire i dati statistici sarebbe coerente con «evidenti canoni di civiltà giuridica» e con l’esigenza di rendere effettivo il regime sanzionatorio condurrebbe, inoltre, ad escludere il denunciato vulnus degli artt. 3 e 97 Cost.

A loro avviso, non sarebbero violati gli artt. 101, 103 e 108 Cost., in primo luogo, poiché la norma censurata è stata emanata quando il giudizio di responsabilità non era stato ancora instaurato; in secondo luogo, in quanto essa non ha realizzato una generale sanatoria, né ha impedito al Procuratore di proseguire l’istruttoria, ma, mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata del citato art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989, ha garantito l’effettività del sistema sanzionatorio. Peraltro, quest’ultima considerazione inciderebbe sulla rilevanza della questione e, quindi, sull’ammissibilità della medesima.

  1. – O.C. e G.P., convenuti nel processo principale, si sono costituiti nel giudizio davanti a questa Corte con separati atti, di contenuto pressoché identico, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata, esplicitando, in una successiva memoria, le ragioni a conforto di dette conclusioni.

Secondo le parti, l’originaria disciplina della sanzione amministrativa in esame la rendeva di difficile e dispendiosa applicazione da parte dell’ISTAT. Il legislatore, con l’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007, ha, quindi, realizzato una riforma caratterizzata dalla previsione di un procedimento che, nell’impossibilità di completarlo in tempi brevi, avrebbe imposto l’emanazione di una disciplina transitoria. La norma censurata avrebbe assicurato «la necessaria continuità» tra vecchio e nuovo regime, correggendo le distorsioni del sistema previgente, al fine di renderlo conforme ai principi di eguaglianza e ragionevolezza, con conseguente infondatezza delle censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost.

A loro avviso, l’originario obbligo generalizzato di risposta omologava irragionevolmente situazioni differenti ed il «formale rifiuto» previsto dal citato art. 44, comma 1, non richiederebbe, necessariamente, un’esplicita affermazione di non volere fornire il dato statistico, sicché il criterio stabilito dalla norma censurata sarebbe il solo in grado di garantire la certezza del diritto, limitando la discrezionalità della pubblica amministrazione. Peraltro, in difetto della norma censurata, nelle more della definizione del procedimento del citato art. 3, comma 74, sarebbe accaduto che, non ragionevolmente, una condotta avrebbe potuto essere sanzionata, benché lecita alla luce della nuova disciplina.

Le censure riferite all’art. 97 Cost. sarebbero, invece, infondate, in quanto la sproporzione tra costi e ricavi nell’accertamento della violazione e nell’irrogazione delle sanzione, comprovata da un rapporto dell’ISTAT riportato in sintesi nella memoria, evidenzierebbe la sostanziale inapplicabilità della medesima, senza considerare che la scienza statistica conosce e utilizza tecniche idonee a scongiurare l’incidenza delle mancate risposte sull’attendibilità dei risultati. Pertanto, non sarebbe esatto che il citato art. 44, comma 1, elimina «ogni inderogabile livello di garanzia per la tutela dell’effettività dell’obbligo di conferimento dei dati» e la coerenza di tale norma con il principio di buon andamento sarebbe stata puntualmente sottolineata nel corso dei lavori preparatori della legge di conversione del d.l. n. 248 del 2007.

7.1. – O.C. e G.P., con riguardo alle censure riferite all’art. 77 Cost., deducono che l’esigenza di garantire la continuità tra la nuova disciplina e la pregressa regolamentazione, senza realizzare discriminazioni ed eliminando incertezze interpretative, giustificherebbe l’inserimento della norma in questione nel d.l. n. 248 del 2007.

Le censure prospettate con riguardo agli artt. 101, 103 e 108 Cost. sarebbero, invece, infondate, in quanto la norma in esame è stata emanata dopo l’invito a dedurre e prima della notificazione della citazione che ha dato avvio al giudizio principale; quindi, la disposizione non è intervenuta per annullare un giudicato o per incidere su di una fattispecie sub judice.

Le parti concludono, infine, chiedendo che la Corte, qualora ritenga fondate le censure formulate dal giudice a quo, voglia «dichiarare l’illegittimità parziale, con riferimento agli artt. 3 e 97» Cost. dell’art. 7, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del 1989, nel testo originario, «in virtù del potere conferitole dall’ultima parte dell’art. 27 legge n. 87/1953».

  1. – Nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, in quanto, qualora si ritenga che il citato art. 44, comma 1, costituisca una norma di interpretazione autentica dell’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989, il rimettente avrebbe dovuto censurare anche quest’ultima norma.

Ad avviso dell’interveniente, la questione, nel merito, sarebbe infondata, poiché la disposizione in esame non avrebbe sottratto ai ricorrenti nessuno strumento di tutela e neppure menomato la funzione giurisdizionale e, quindi, non recherebbe vulnus agli artt. 101, 103 e 108 Cost. Inoltre, detta norma non violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., dato che essa ha fatto chiarezza, ponendo rimedio agli inconvenienti determinati dall’originaria disciplina sanzionatoria, ed avrebbe assegnato alla disposizione interpretata uno dei significati possibili, con conseguente inesistenza della lesione dei principi di ragionevolezza e tutela dell’affidamento.

Infine, il citato art. 44, comma 1, non si porrebbe in contrasto con l’art. 77 Cost., poiché il requisito della «necessità» che legittima l’adozione del decreto-legge dipenderebbe da una valutazione politica del Governo e, comunque, sarebbe stata correttamente ritenuta urgente ed indifferibile l’esigenza di provvedere alla «eliminazione di una norma che aveva dato luogo a notevoli inconvenienti ed a interpretazioni contrastanti».

  1. – All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

 

Considerato in diritto

  1. – La Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, dubita, in riferimento agli articoli 3, 77, 97, 101, secondo comma, 103 e 108 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 44 (recte: dell’articolo 44, comma 1) del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, che stabilisce: «fino al 31 dicembre 2008, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dall’articolo 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e con riguardo alle rilevazioni svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, è considerato violazione dell’obbligo di risposta, di cui all’articolo 7, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 322 del 1989, esclusivamente il formale rifiuto di fornire i dati richiesti».
  2. – L’ordinanza di rimessione premette che, nel giudizio principale, il Procuratore della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per la Regione Lazio (di seguito: Procuratore) ha chiesto la condanna di alcuni amministratori e dirigenti dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) a risarcire il danno asseritamente prodotto a causa della mancata applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 7 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322 (Norme sul Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell’Istituto nazionale di statistica, ai sensi dell’art. 24 della legge 23 agosto 1988, n. 400), nel caso di violazione da parte di amministrazioni, enti ed organismi pubblici e privati dell’obbligo di fornire tutti i dati e le notizie richiesti per le rilevazioni previste dal programma statistico nazionale. Secondo il giudice a quo, il citato art. 44, comma 1, avrebbe limitato l’applicabilità di detta sanzione e, impedendo, per le condotte concernenti le rilevazioni statistiche svolte anteriormente al 31 dicembre 2007, di fare riferimento al testo originario dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, avrebbe influito sulla configurabilità della responsabilità dei convenuti nel giudizio principale.

La Corte dei conti dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di siffatta disposizione in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., in primo luogo, poiché essa non sarebbe sorretta da «alcun criterio logico» e non assicurerebbe «un minimo, ma inderogabile livello di garanzia per la tutela dell’effettività dell’obbligo di conferimento dei dati» sino al 31 dicembre 2008 e nelle more dell’attuazione della nuova disciplina prevista dal novellato art. 7, comma 1, dato che la condotta consistente nel rifiuto formale di fornire i dati sarebbe inesigibile, perché contraria all’interesse dell’onerato e verosimilmente irrealizzabile. In secondo luogo, in quanto il criterio di applicabilità della sanzione sarebbe difforme da quello che caratterizza la disciplina introdotta dall’art. 3, comma 74, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008) e discriminerebbe, non ragionevolmente, i trasgressori, garantendo l’impunità a quelli rimasti silenti e sanzionando quanti hanno, invece, “formalmente” manifestato il rifiuto di fornire i dati, eventualmente motivandone le ragioni.

2.1. – Il citato art. 44, comma, 1, ad avviso del giudice a quo, violerebbe anche l’art. 77 Cost., poiché avrebbe un contenuto difforme rispetto a quello oggetto delle altre disposizioni del d.l. n. 248 del 2007, dato che non avrebbe carattere finanziario, né disporrebbe una proroga di termini in scadenza. Siffatta norma ha, infatti, modificato, retroattivamente, la disciplina della sanzione amministrativa in esame, incidendo su una disposizione che, in virtù della legge n. 244 del 2007, avrebbe dovuto rimanere in vigore sino al 31 dicembre 2007. Inoltre, qualora scopo della disposizione fosse stato quello di graduare l’entrata in vigore della disciplina introdotta dall’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007, in considerazione dell’esigenza di definire il procedimento da questo previsto, la modifica da essa realizzata sarebbe stata giustificabile esclusivamente in riferimento alle condotte tenute successivamente al 31 dicembre 2007. Pertanto, la norma censurata, «quantomeno nella parte in cui dispone la propria efficacia con riguardo alle rilevazioni statistiche svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto», recherebbe vulnus all’art. 77 Cost., stante il difetto del requisito di necessità ed urgenza previsto da tale parametro costituzionale.

2.2. – Secondo la Corte dei conti, la norma in esame si porrebbe, infine, in contrasto con gli artt. 101, secondo comma, 103 e 108 Cost., in quanto le censure sopra sintetizzate dimostrerebbero che, con essa, il legislatore ha leso le prerogative dei giudici contabili. Il citato art. 44, comma 1, non avrebbe, infatti, previsto una generale sanatoria, ma avrebbe limitato l’applicabilità della sanzione per la violazione dell’obbligo di fornire i dati statistici e, quindi, escluso l’illiceità della condotta dei convenuti nel giudizio principale, realizzando in tal modo «una preordinata interferenza sulle funzioni della magistratura contabile».

Ad avviso del rimettente, la garanzia costituzionale della giurisdizione contabile, nella quale rientrerebbe il diritto di azione del Procuratore, concernerebbe anche la fase promossa con l’invito a dedurre, la quale, benché preceda la proposizione del giudizio, sarebbe necessariamente prodromica a quest’ultimo. La norma censurata violerebbe, dunque, i suindicati parametri costituzionali, nonostante che alla data della pubblicazione del d.l. n. 248 del 2007 l’organo requirente non avesse ancora depositato l’atto di citazione a giudizio.

  1. – In linea preliminare, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità proposte da alcune delle parti costituite nel presente giudizio e dall’interveniente.

Secondo L.B., l’ordinanza di rimessione sarebbe viziata da insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione, in quanto quest’ultima è stata sollevata dal giudice a quo «prima ancora di avere accertato la sussistenza dei presupposti dell’azione risarcitoria» e, quindi, la rilevanza resterebbe esclusa, «qualora dovesse acclararsi che nessuna responsabilità può essere imputata ai convenuti».

G.P.O., V.T.A., G.A.C., A.M. e R.M. sostengono, invece, che la questione non sarebbe rilevante, sia perché la norma censurata non inciderebbe sull’effettività dell’obbligo di risposta per le rilevazioni svolte in data anteriore alla entrata in vigore della medesima, sia perché non avrebbe impedito lo svolgimento dell’attività istruttoria da parte del Procuratore.

Ad avviso di V.B., F.Z. e V.E., la questione non sarebbe rilevante, in quanto la disposizione in esame avrebbe offerto un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989.

L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, infine, l’inammissibilità della questione, sostenendo che, qualora si ritenga che il citato art. 44, comma 1, costituisca una norma di interpretazione autentica dell’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989, il rimettente avrebbe dovuto censurare anche quest’ultima disposizione.

3.1. – Le eccezioni non sono fondate.

Secondo l’ordinanza di rimessione, la norma censurata «incide sulle disposizioni poste dalla Procura a base dell’azione di responsabilità erariale», poiché «sostituisce, con effetto esteso ai fatti contestati ai convenuti, alla previgente fattispecie sanzionabile di cui all’art. 7, comma 1, del citato decreto legislativo una nuova fattispecie costituita esclusivamente dal “rifiuto formale di fornire i dati richiesti”». Il giudice a quo, esplicitando che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale del citato art. 44, comma 1, permetterebbe di valutare la condotta dei convenuti nel giudizio principale in base alla disciplina stabilita dal testo originario del citato art. 7, ha, quindi, non implausibilmente ritenuto rilevante la questione. Non concerne, infatti, tale profilo ed attiene, invece, ad una fase logicamente e giuridicamente successiva l’accertamento dell’effettiva sussistenza della responsabilità, in base alla prima ovvero alla seconda delle due formulazioni della norma succedutesi nel tempo. La circostanza che la disposizione in esame non ha impedito lo svolgimento dell’attività istruttoria da parte dell’organo requirente neppure, poi, esclude detto requisito, da ritenersi sussistente, in quanto la norma ha modificato il presupposto di applicabilità della sanzione in esame, mentre l’apprezzamento dell’idoneità della stessa a garantire l’effettività dell’obbligo di fornire i dati concerne la fondatezza delle censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost., non l’ammissibilità della questione.

Relativamente alle restanti eccezioni, va, infine, osservato che, secondo la non implausibile motivazione del giudice a quo, è possibile una differente interpretazione, costituzionalmente orientata, del testo originario del citato art. 7 e sarebbe, quindi, proprio l’art. 44, comma 1, del d.l. n. 248 del 2007 la disposizione censurabile, poiché è questa che avrebbe attribuito alla prima un contenuto precettivo lesivo dei parametri costituzionali evocati nell’ordinanza di rimessione. Inoltre, detta disposizione definisce la condotta che integra una «violazione dell’obbligo di risposta, di cui all’art. 7, comma 1» del d.lgs. n. 322 del 1989 e, in tal modo, incide anche sul comma 3 di quest’ultimo, avente ad oggetto il comportamento sanzionabile, con la conseguenza che il riferimento del rimettente ai commi 1 e 3 di detto art. 7 non comporta alcuna incertezza in ordine alla identificazione della norma censurata.

  1. – Nel merito, la questione non è fondata.

4.1. – Delle censure svolte nell’ordinanza di rimessione hanno carattere prioritario quelle riferite all’art. 77 Cost., in relazione alle quali va ribadito che la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validità dell’adozione di tale atto, la cui mancanza configura un vizio di legittimità costituzionale del medesimo, che non è sanato dalla legge di conversione. Il sindacato sulla legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge, secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve tuttavia ritenersi limitato ai casi di «evidente mancanza» dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost. o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione, rimanendo quella in ordine al merito delle situazioni di urgenza nell’ambito della responsabilità politica del Governo nei confronti delle Camere, chiamate a decidere sulla conversione in legge del decreto (sentenze n. 355 e n. 83 del 2010; n. 128 del 2008; n. 171 del 2007). L’espressione utilizzata dalla Costituzione per indicare i presupposti alla cui ricorrenza è subordinato il potere del Governo di emanare norme primarie comporta, inoltre, «l’inevitabile conseguenza di dare alla disposizione un largo margine di elasticità», poiché la straordinarietà del caso che impone la necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito «può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi» (sentenza n. 171 del 2007).

Nel caso in esame, gli indici intrinseci ed estrinseci alla disposizione censurata permettono di escludere l’ipotesi di evidente carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità ed urgenza di provvedere.

L’epigrafe del decreto-legge n. 248 del 2007 reca l’intestazione «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria», mentre il preambolo fa riferimento alla «straordinaria necessità ed urgenza di provvedere alla proroga di termini previsti da disposizioni legislative, al fine» sia «di consentire una più concreta e puntuale attuazione dei correlati adempimenti», sia «di conseguire una maggiore funzionalità delle pubbliche amministrazioni, nonché di prevedere interventi di riassetto di disposizioni di carattere finanziario».

Il comma 1 della norma in esame, inserito nel testo originario del decreto-legge n. 248 e non modificato nel corso del procedimento di conversione del medesimo, nella parte in cui ha disciplinato le violazioni commesse anteriormente al 31 dicembre 2007 (la sola rilevante nel giudizio principale), non è dissonante rispetto al contenuto ed alla materia di detto decreto-legge.

In riferimento a tale atto normativo e ad una disposizione del medesimo concernente la disciplina della responsabilità dei dipendenti pubblici, pure censurata in relazione all’art. 77, secondo comma, Cost., questa Corte ha, infatti, già considerato coerente con il contenuto dello stesso la «esigenza di limitare ambiti, ritenuti dal legislatore troppo ampi», di tale responsabilità, poiché l’ampliamento degli stessi «è suscettibile di determinare un rallentamento nell’efficacia e tempestività dell’azione amministrativa dei pubblici poteri» (sentenza n. 355 del 2010). E lo scopo del citato art. 44, comma 1, è stato eminentemente quello – riconducibile appunto tra le finalità del d.l. n. 248 del 2007 – di garantire la funzionalità dell’attività dell’ISTAT. Il legislatore ordinario, con tale norma, come è stato esplicitato nel corso dei lavori preparatori, ha, infatti, inteso «conseguire una sostanziale semplificazione delle attività che i soggetti del Sistema statistico nazionale devono porre in essere per individuare in maniera certa – a fronte delle centinaia di migliaia di mancate risposte che si registrano annualmente – quelle che, per la volontarietà della condotta, configurano una effettiva violazione dell’obbligo di risposta», mirando, allo stesso tempo, «a ridurre l’onerosità di dette attività», tale da «mettere a rischio la stessa qualità della statistica ufficiale» (Relazione al disegno di legge n. 3324, poi approvato come legge n. 31 del 2008).

Si tratta di una considerazione corretta anche perché l’alto numero dei casi in cui avrebbe potuto essere irrogata la sanzione in esame, al quale fanno cenno i lavori preparatori, neppure è stato negato dal giudice a quo ed è anzi desumibile dall’entità del preteso danno indicato nell’ordinanza di rimessione (sostanzialmente coincidente con l’importo delle somme riscuotibili in ipotesi di applicazione della sanzione). Quest’ultimo evidenzia, infatti, l’elevata quantità dei procedimenti promuovibili che, non implausibilmente, avrebbe potuto influire negativamente sulla funzionalità dell’attività dell’ISTAT ed ha, quindi, giustificato la modifica realizzata in via d’urgenza con la norma in esame (peraltro, successivamente a quella attuata con l’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007), che ha inciso anche sui presupposti della responsabilità dei soggetti competenti ad instaurarli.

4.2. – Siffatta finalità è stata conseguita stabilendo una disciplina che è, altresì, immune dalle censure svolte dal rimettente in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.

Occorre premettere che non è necessario verificare se il citato art. 44 comma 1, costituisca una disposizione interpretativa (e sia perciò retroattiva), ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, poiché in entrambi i casi si tratta di accertare se la retroattività della norma, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo che per la materia penale, trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (tra le molte, sentenze n. 74 del 2008; n. 234 del 2007). Inoltre, va ribadito che rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza della scelta, sia conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa e stabilire le relative sanzioni (per tutte, ordinanze n. 23 del 2009 e n. 424 del 2008), sia «modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore a seconda delle materie oggetto di disciplina», anche in ordine all’eventuale applicabilità della disciplina posteriore più favorevole (ordinanze n. 245 del 2003, n. 501 e n. 140 del 2002).

Nel caso in esame, avendo la legge n. 244 del 2007 limitato, per il futuro, i casi nei quali può essere irrogata la sanzione per la violazione dell’obbligo di fornire i dati statistici, la successiva scelta di attenuare il rigore della disciplina anche per il passato non è in sé irragionevole, soprattutto in considerazione dell’onerosità (sopra richiamata) dell’attività diretta ad irrogare detta sanzione e dell’esigenza di garantire l’efficiente funzionamento dell’ISTAT, quindi, l’applicazione del principio di buon andamento dell’amministrazione, ferma restando la qualità della rilevazione statistica.

La diversità del criterio di identificazione dei presupposti per l’irrogazione della sanzione stabilito dal citato art. 44, comma 1, rispetto a quello previsto dall’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007 è, poi, giustificata dalla circostanza che la norma censurata concerne indagini statistiche già svolte e comportamenti dei destinatari dell’obbligo ormai esauriti, ai quali non avrebbe potuto essere applicata, con mero automatismo, la nuova regolamentazione, caratterizzata dall’identificazione delle fattispecie sanzionabili, all’esito del procedimento introdotto da quest’ultima norma. La diversità delle discipline non costituisce, dunque, sintomo della asserita illogicità della scelta operata con la norma in questione ed è anzi agevole individuare il comune elemento ispiratore di entrambe nell’intento di stabilire un criterio diretto a limitare i casi di applicabilità della sanzione amministrativa.

I dubbi del rimettente in ordine all’idoneità della norma censurata a garantire l’effettività dell’obbligo non tengono, invece, conto della circostanza che la disciplina dalla stessa stabilita, nella parte rilevante nel giudizio principale, concerne condotte ormai esauritesi. Inoltre, detti dubbi sono stati prospettati senza valutare ed approfondire sia la rilevanza delle presunte violazioni in relazione alle differenti rilevazioni, sia l’eventuale idoneità delle metodologie di interpretazione dei dati ad evitare che le omissioni possano avere influito sull’attendibilità delle indagini statistiche.

La locuzione «formale rifiuto» contenuta nel citato art. 44, comma 1, permette, infine, di ritenere integrato il presupposto di applicabilità della sanzione in esame sia nel caso in cui il destinatario della richiesta abbia esplicitamente comunicato l’immotivato rifiuto di fornire i dati, sia nel caso in cui egli ciò abbia fatto, adducendo giustificazioni pretestuose o inattendibili, in virtù di un’interpretazione che la rende immune dalle censure svolte dal rimettente. Si tratta, infatti, di fattispecie entrambe diverse dalla mera omissione della comunicazione, in tesi riconducibile ad ulteriori, differenti ragioni, con conseguente non omologabilità delle fattispecie ed insussistenza della denunciata violazione dell’art. 3 Cost.

4.3. – Le censure proposte in riferimento agli artt. 101, secondo comma, 103 e 108 Cost. sono anch’esse non fondate.

Al legislatore ordinario, come sopra è stato precisato, non è inibita l’adozione di norme retroattive, al di fuori della materia penale, qualora ciò trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. In particolare, con riguardo al rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, che viene qui in rilievo, la retroattività della norma, secondo la giurisprudenza di questa Corte, reca vulnus alle stesse, quando travolge gli effetti di pronunce divenute irrevocabili (tra le più recenti, sentenze n. 209 del 2010, n. 364 del 2007) e, comunque, nel caso in cui la disposizione non stabilisce una regola astratta, ma mira a risolvere specifiche controversie (ex plurimis, sentenza n. 94 del 2009), risultando diretta ad incidere sui giudizi in corso, per determinarne gli esiti (sentenza n. 170 del 2008).

Nella specie, secondo l’ordinanza di rimessione, l’organo requirente ha notificato ai convenuti l’invito a dedurre in data 19 novembre 2007 ed ha depositato l’atto di citazione, con il quale ha promosso il giudizio principale, il 5 agosto 2008; il decreto-legge recante la norma censurata è stato adottato e pubblicato il 31 dicembre 2007. Siffatta scansione temporale rende chiara l’inesistenza di elementi in grado di dimostrare la strumentalità del citato art. 44, comma 1, rispetto allo scopo di influire sulle attribuzioni costituzionali spettanti al giudice contabile.

Questa Corte ha, infatti, costantemente affermato che l’invito a dedurre – in quanto diretto all’acquisizione di ulteriori elementi in vista delle determinazioni del pubblico ministero – attiene «ad una fase del procedimento avente natura pre-processuale, sicché l’effettiva proposizione dell’azione di responsabilità è del tutto eventuale e solo con l’atto di citazione il giudice è investito della causa ed ha inizio il relativo giudizio»; la notificazione di tale atto non vale a conferire al presunto responsabile del danno la qualità di parte (sentenze n. 513 del 2001, n. 163 del 1997, n. 415 del 1995), poiché con esso è meramente ipotizzata e non ancora contestata una eventuale responsabilità del destinatario del medesimo. La natura pre-processuale della fase anteriore alla notifica dell’atto di citazione è condivisa dalla giurisprudenza della Corte dei conti (di cui si dimostra consapevole lo stesso rimettente), orientata nel ritenere l’invito a dedurre un prevalente strumento di definizione delle acquisizioni probatorie dell’attore, il quale, in relazione ad esse, si determina ad instaurare il giudizio con la citazione, ovvero a procedere all’archiviazione (Corte conti, sez. riun. giur., 20 marzo 2003, n. 6/QM; 19 giugno 1998, n. 14/QM), disposta con decreto, privo di natura giurisdizionale, revocabile e non soggetto al controllo del giudice contabile.

Nel quadro di tali principi, la constatazione che il decreto-legge contenente la norma censurata è stato emanato quando ai convenuti era stato notificato esclusivamente l’invito a dedurre, in una fase avente lo scopo e la natura sopra sintetizzata, molti mesi prima del deposito dell’atto di citazione ed allorché era già stata modificata l’originaria regolamentazione stabilita dal citato art. 7, rende chiara –indipendentemente da ogni considerazione in ordine alle funzioni esercitate dall’organo requirente ed alle garanzie che connotano l’attività dallo stesso svolta – l’inesistenza di elementi in grado di dimostrare la strumentalità della disposizione rispetto all’intento di risolvere una specifica controversia e di incidere su di un giudizio in corso, per determinarne l’esito. Pertanto, va escluso che il citato art. 44, comma 1, abbia compromesso la funzione giurisdizionale e deve ritenersi che, con esso, il legislatore ordinario si sia limitato a stabilire una nuova regola, generale ed astratta.

  1. – L’infondatezza delle censure comporta, a prescindere da ogni altra valutazione, l’irrilevanza nel presente giudizio della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del 1989, nel testo originario, proposta in linea subordinata da L.B, O.C. e G.P., in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.; dunque, difettano i presupposti, affinché questa Corte possa eventualmente sollevarla davanti a se stessa.

 

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 44, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 77, 97, 101, secondo comma, 103 e 108 della Costituzione, dalla Corte dei conti –sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2011.

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