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Il rimborso delle spese legali

Il rimborso delle spese legali per i convenuti assolti nei giudizi di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti

di Antonio Vetro, Presidente on. della Corte dei conti

 

  • La legislazione vigente in materia, prima dell’entrata in vigore del codice di giustizia contabile.

 

L’art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con r.d. n. 1038/1933, dispone che nei procedimenti contenziosi si osservano le norme e i termini della procedura civile, in quanto applicabili e non modificati dalle disposizioni del regolamento, il quale non contiene alcuna statuizione riguardante le spese.

Ciò premesso, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., il giudice, quando emette la sentenza nel processo civile, condanna la parte soccombente a rimborsare le spese di giudizio e gli onorari per la difesa della controparte, in base al principio della soccombenza. Al momento della liquidazione, il giudice può escludere le spese ritenute eccessive o superflue ai sensi dell’art. 92 del c.p.c., che conferisce al giudice un ampio potere dispositivo per le spese processuali, tanto che può compensarle tra le parti.

Per quanto riguarda i giudizi contabili, il regolamento delle spese trova disciplina nell’art. 3, comma 2-bis del d.l. n. 543/1996 convertito, con modificazioni, dalla legge, n. 639/1996 per il quale “in caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”.

Inoltre, l’art. 10-bis, comma 10, del d.l. n. 203/2005, conv. in legge n. 248/2005, stabilisce che “le disposizioni dell’art. 3, comma 2-bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza”. Tale disposizione è stata integrata dall’art. 17, comma 30-quinquies del d.l. n. 78 del 2009, convertito in legge n. 102/2009, il quale ha disposto che “all’art. 10-bis, comma 10, del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: procedura civile, sono inserite le seguenti: non può disporre la compensazione delle spese del giudizio”.

 

2) Il decreto legislativo n. 174/2016, (ex art. 20 della legge n. 124/2015), codice di giustizia contabile, entrato in vigore il 7.10.2016.

Il codice di giustizia contabile, all’art. 31 “Regolazione delle spese processuali” statuisce quanto segue: 1. Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. 2. Con la sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il giudice non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa. 3. Il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, quando vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, ovvero quando definisce il giudizio decidendo soltanto questioni pregiudiziali o preliminari. 4. Il giudice, quando pronuncia sulle spese, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento in favore dell’altra parte, o se del caso dello Stato, di una somma equitativamente determinata, quando la decisione è fondata su ragioni manifeste o orientamenti giurisprudenziali consolidati. 5. Le spese della sentenza sono liquidate dal funzionario di segreteria con nota in margine alla stessa. 6. Per quanto non espressamente disciplinato dai commi da 1 a 5, il giudice nel regolare le spese applica gli articoli 92, 93, 94, 96 e 97 del codice di procedura civile.

 

3) La giurisprudenza della Cassazione in materia.

L’analisi, per motivi di brevità, è limitata alla più recente giurisprudenza: di particolare rilievo è la sentenza della Cassazione, Sezione Lavoro, 19.8.2013 n. 19195, la quale ha stabilito che, dopo l’entrata in vigore dell’art. 10 bis, comma 10, del d.1. 30.9.2005 n. 203, convertito in legge n. 248/2005, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare – ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 cod. proc. civ. ed a carico dell’amministrazione di appartenenza – l’ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per quest’ultimo di chiedere in separata sede, all’amministrazione medesima, la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile. Tale principio si applica anche in ipotesi di compensazione delle spese disposta dal giudice contabile nel vigore del testo del cit. art. 10 bis, comma decimo, d.l. n. 203 del 2005, anteriormente alla novella di cui all’art. 17, comma 30 quinquies, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv. in legge 3 agosto 2009, n. 102.

Testualmente la suprema Corte in detta sentenza ha chiarito che “non può ammettersi una sopravvivenza integrativa del rimborso extragiudiziale a fronte di un’eventuale incongrua liquidazione delle spese ad opera del giudice contabile e ciò non solo per le ragioni innanzi esplicitate, ma anche per una coerenza sistematica. Infatti, in virtù di antica e costante giurisprudenza di questa S.C., il giudice competente per il merito della causa è funzionalmente competente a decidere sull’an e sul quantum delle relative spese e dell’eventuale risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. (Cass. 23.3.2004 n. 5734; Cass. 12.3.2002 n. 3573; Cass.4.4.2001 n. 4947; Cass. 5.3.84 n. 1525; Cass. S.U. 6.2.84 n. 874). In sintesi, deve affermarsi il seguente principio di diritto: “Dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 203/2005, art. 10 bis, comma 10 (conv., con modificazioni, in legge n. 248/2005), in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare – ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 c.p.c. e a carico dell’amministrazione di appartenenza – l’ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per il quest’ultimo di chiedere in separata sede all’amministrazione medesima la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile”.

 

4) La giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Anche in questo caso, sempre per motivi di brevità, verrà esaminata solo la più recente sentenza emessa dal Consiglio di Stato in materia, la n. 3779/2017, pubblicata il 28.7.2017.

Tale sentenza ha riguardato l’appello presentato da un Ministero avverso una decisione di primo grado che aveva accertato il diritto del ricorrente, prosciolto nel merito in un giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti, ad ottenere il rimborso delle spese legali da parte dell’Amm.ne, previa acquisizione di un parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato, la quale non era in alcun modo vincolata dalla liquidazione delle spese effettuata dal giudice contabile. Nel gravame l’Amm.ne ha sostenuto che il rimborso delle spese legali sostenute dal ricorrente andava limitato a quanto riconosciuto in sede di giudizio contabile nella parte relativa alla condanna alle spese, senza possibilità di integrare l’importo in sede extragiudiziale, il tutto in virtù del chiaro disposto dell’articolo 10-bis della legge n. 248/2005, mentre il parere di congruità dell’Avvocatura era da considerarsi “ridimensionato al ruolo di riscontro formale”, sul piano amministrativo, della conformità della richiesta di rimborso rispetto alla misura liquidata in sentenza, nonché, eventualmente, per valutare la congruità degli oneri accessori e delle spese sostenute successivamente alla sentenza. Qualora poi il dipendente non avesse condiviso il quantum liquidato, avrebbe avuto la possibilità di impugnare il capo autonomo della sentenza del giudice contabile, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., che è “idoneo al giudicato sostanziale”.

Per inciso va ricordato che quest’ultima affermazione è conforme a quanto precisato dalla Cassazione con sentenza n. 17014/2003 secondo cui “la statuizione sulle spese del giudizio è oggetto della sentenza”.

A sostegno della propria tesi, l’appellante ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 19.8.2013 n. 19195, già citata, ma il giudice amm.vo ha ritenuto l’appello infondato per i seguenti motivi:

Se è vero che l’art. 10-bis, comma 10, del d.l., n. 203/2005, convertito, con modificazioni, nella legge n. 248/2005, statuisce che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, si deve comunque tenere conto del principio di diritto enunciato dalle SS.UU., nella sentenza 14 marzo 2011, n. 5.918, secondo cui il rapporto, che si instaura fra l’incolpato, poi assolto, e l’amministrazione di appartenenza, nulla ha a che vedere con quello che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile, con la conseguenza che va affermata la piena autonomia dei due rapporti. Il predetto rapporto sostanziale è disciplinato nell’art. 18, comma 1, del d.l. n. 67/1997, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135/1997, e, quanto al giudizio contabile, nell’art. 3, comma 2-bis del d.l. n. 543/1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 639/1996, le cui finalità sono quelle di tenere indenne il pubblico dipendente dalle spese legali sopportate in relazione a giudizi conclusisi con sentenza di esclusione di responsabilità, per cui va garantita l’effettività del diritto al rimborso, con la ineludibile conseguenza che la sentenza di proscioglimento nel merito costituisce mero presupposto di un credito che è attribuito dalla legge e che il giudice contabile, è sì deputato a quantificare, ma salva comunque la definitiva determinazione del suo ammontare da compiere, su parere dell’Avvocatura dello Stato, con provvedimento dell’Amministrazione di appartenenza. Diversamente opinando, si ammetterebbe  che il diritto al rimborso delle spese sopportate, che trova la sua origine nell’autonomo rapporto di natura sostanziale intercorrente tra Amministrazione e dipendente, possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile, come per esempio attraverso la liquidazione di un importo meramente simbolico e comunque inferiore rispetto all’effettivo esborso congruamente determinato o addirittura l’eventuale compensazione delle spese, il che sarebbe incompatibile con il principio della necessaria effettività del rimborso, considerato altresì il dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali in favore del proprio difensore in base alla tariffa forense. Come già affermato dal primo giudice, detto parere che, quindi, non ha la mera funzione “di riscontro formale, sul piano amministrativo, della conformità della richiesta di rimborso rispetto alla misura liquidata in sentenza”, come sostenuto dall’appellante, deve tenere conto delle necessità difensive dell’assistito in relazione alle accuse che gli sono state mosse ed ai rischi del giudizio e deve riguardare la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale ed ai criteri di fissazione del compenso ivi previsti.

 

5) Analisi della sentenza del Consiglio di Stato n. 3779/2017.

La sentenza suscita le più ampie perplessità sotto molteplici profili.

A)In primo luogo, è singolare il fatto che il giudice amministrativo ignori totalmente la statuizione della Cassazione contenuta nella sentenza 19.8.2013 n. 19195 – pur espressamente citata e  richiamata dall’appellante – che giunge a conclusioni diametralmente opposte, soprattutto per motivi di “coerenza sistematica”. Infatti, “in virtù di antica e costante giurisprudenza di questa suprema Corte, il giudice competente per il merito della causa è funzionalmente competente a decidere sull’an e sul quantum delle relative spese”.

B) Al contrario di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato, il richiamato principio di diritto enunciato dalle SS.UU., nella sentenza 14 marzo 2011, n. 5918 – secondo cui il rapporto, che si instaura fra l’incolpato, poi assolto, e l’amministrazione di appartenenza, nulla ha a che vedere con quello che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile – è del tutto ininfluente per la soluzione della problematica in esame. Infatti, un conto è affermare, come è ovvio e da nessuno posto in dubbio, che il giudizio dinanzi alla Corte dei conti in sede di giurisdizione contabile è autonomo rispetto a quello dinanzi al giudice del lavoro o dinanzi al giudice amministrativo per controversie con l’Amm.ne in tema di rimborso di spese legali, altro conto è stabilire su quale base debba essere determinato il rimborso stesso. In altri termini, difetta totalmente il nesso causale fra la premessa (l’autonomia dei giudizi) e la conseguenza che si vorrebbe trarre (l’irrilevanza del giudicato del giudice contabile sulla quantificazione delle spese difensive).

C) Del tutto inaccettabile è l’affermazione secondo cui “va garantita l’effettività del diritto al rimborso, con la ineludibile conseguenza che la sentenza di proscioglimento nel merito costituisce mero presupposto di un credito che è attribuito dalla legge e che il giudice contabile, è sì deputato a quantificare, ma salva comunque la definitiva determinazione del suo ammontare da compiere, su parere dell’Avvocatura dello Stato, con provvedimento dell’Amministrazione di appartenenza”. Un simile ragionamento porterebbe alla conclusione aberrante che una garanzia di giustizia sostanziale riposerebbe solo su un provvedimento amministrativo, previo parere di un organo forense, mentre tale garanzia non sarebbe rinvenibile in un provvedimento giudiziario.

D) Il Consiglio di Stato prosegue aggiungendo che “diversamente opinando, si ammetterebbe che il diritto al rimborso delle spese sopportate possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile”. Se tale osservazione avesse il benché minimo fondamento, dato che la statuizione sulle spese richiama essenzialmente quella contenuta nel c.p.c., dovrebbe applicarsi lo stesso principio alla generalità dei giudizi, quanto meno dinanzi al giudice ordinario, con la conseguenza della amputazione di una parte del giudicato nelle sentenze dei diversi giudici, ogni qual volta il rimborso delle spese faccia carico alla p.a., che sarebbe libera di disattendere la relativa statuizione, sulla base di un diverso avviso di un organo forense.

E) Giustamente il Ministero appellante ha rilevato che “qualora il dipendente non avesse condiviso il quantum liquidato, avrebbe avuto la possibilità di impugnare il capo autonomo della sentenza del giudice contabile, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., che è “idoneo al giudicato sostanziale”.

F) Il Consiglio di Stato non ha tenuto conto dell’evoluzione legislativa in materia, rappresentata dall’entrata in vigore del d.lgl. 174/2016, come specificato nel successivo punto 6.

In conclusione, la normativa in esame, così come interpretata dal giudice amministrativo, risulterebbe caratterizzata da un macroscopico aspetto di illogicità, senza precedenti: secondo detta giurisprudenza, da una parte il giudice contabile sarebbe deputato a quantificare il credito per spese legali del soggetto prosciolto in giudizio, in ottemperanza ad un preciso obbligo di legge, dall’altra l’Avvocatura dello Stato, nel suo parere obbligatorio e vincolante per l’Amm.ne che deve provvedere al rimborso, sarebbe liberissima di non tenere nel minimo conto la statuizione giurisdizionale.

Inoltre, l’interpretazione anzidetta urterebbe contro fondamentali canoni di coerenza sistematica: come già ricordato, infatti, “in virtù di antica e costante giurisprudenza della suprema Corte, il giudice competente per il merito della causa è funzionalmente competente a decidere sull’an e sul quantum delle relative spese”.

La manifesta irrazionalità di tale conclusione, persino alla luce del comune buon senso dell’uomo della strada, imponeva un immediato intervento legislativo per porre fine ad una situazione insostenibile di violazione dei più elementari principi sull’efficacia del giudicato. In caso contrario, si sarebbe dovuto sollevare in sede giurisdizionale contabile dinanzi alla Consulta – la quale ha più volte affermato che il legislatore ordinario, anche nei casi di spiccata discrezionalità, non può prescindere dai confini della ragionevolezza – questione di legittimità costituzionale della normativa in parola, evitandosi statuizioni sulle spese, obbligatorie, ma sostanzialmente inutili, in quanto destinate a rimanere lettera morta.

 

6) La nuova disciplina introdotta dal codice di giustizia contabile, decreto legislativo n. 174/2016, in attuazione dell’art. 20 della legge n. 124/2015, entrato in vigore il 7.10.2016.

L’art. 4 dell’allegato 3 del codice, “norme transitorie e abrogazioni”, non prevede l’esplicita abrogazione delle disposizioni vigenti in materia. Si pone, quindi – in relazione all’art. 15 delle preleggi, secondo cui “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore” – il problema di stabilire:

– Se la disciplina sul rimborso delle spese difensive, esplicitamente prevista in un articolo del codice di giustizia contabile, art. 31 “Regolazione delle spese processuali”, possa ritenersi esaustiva, nel senso di regolare l’intera materia, con conseguente tacita abrogazione delle norme sul rimborso extragiudiziale;

– Se la precedente disciplina sia da ritenere incompatibile, e conseguentemente implicitamente abrogata, con la nuova regolamentazione.

Va preliminarmente osservato che nel precedente regolamento di procedura nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti, approvato con r.d. n. 1038/1933, ora abrogato dall’art. 4, comma 1, lett. a, dell’allegato 3 del codice, non era prevista alcuna specifica regolamentazione della materia, fatto salvo il rinvio generale al c.p.c. ex art. 26.

Ciò premesso, come già precisato, l’art. 31, comma 2, dispone che “con la sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il giudice non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa”.

Invece, secondo l’art. 10-bis, comma 10, del d.l. n. 203/2005, conv. in legge n. 248/2005, “il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza”.

Orbene, nel codice di giustizia contabile, art. 31, la competenza a liquidare l’ammontare delle spese difensive è attribuita in via esclusiva al giudice contabile ed è eliminato ogni riferimento al “parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato”, per cui la precedente disposizione che contemplava detto parere deve ritenersi implicitamente abrogata ed il rimborso a carico dell’Amministrazione deve avvenire in assoluta conformità di quanto statuito nella sentenza del giudice contabile, senza alcun margine di discrezionalità.

Un ultimo problema riguarda l’operatività della nuova disposizione in termini di applicabilità retroattiva.

Orbene, come statuito dalla Cassazione con sentenze n. 16581, 17406 e 18920 del 2012, il compenso della difesa deve essere liquidato secondo i parametri vigenti nel giorno della liquidazione giudiziale, d’immediata applicazione anche per le prestazioni precedentemente svolte nell’ambito del medesimo grado di giudizio.

 

Una considerazione conclusiva.

Come si è visto, nel caso di proscioglimento nel merito, l’art. 31, comma 2, del codice prescrive, in termini tassativi, che il giudice “liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa”, senza prevedere alcuna deroga o condizionamento.

Di conseguenza l’Amm.ne che liquidasse una somma superiore a quella prevista in sentenza provocherebbe un danno erariale pari all’eccedenza illecitamente riconosciuta, ed il funzionario responsabile potrebbe essere convenuto in giudizio per responsabilità amm.vo-contabile.

 

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