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La tutela annullatoria nel moderno assetto della giustizia amministrativa

La tutela annullatoria nel moderno assetto della giustizia amministrativa

di Daniela Cimmino, funzionario del Consiglio Superiore della Magistratura

 

La tutela annullatoria, espressione del giudizio impugnatorio azionato dal soggetto inciso dal potere amministrativo per la caducazione con efficacia retroattiva dell’atto autoritativo, si inquadra oggi in un assetto giuridico sempre più conformato dalle emergenti istanze del tessuto economico sociale.

Nell’attuale stadio del percorso interpretativo giurisprudenziale e dottrinale, che da sempre alimenta l’evoluzione del pensiero giuridico del procedimento e del sistema processuale amministrativo, l’impianto normativo offre all’interprete una rinnovata lettura degli istituti classici del diritto sostanziale e della tutela.

Infatti, la tutela della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo, che si staglia a fronte dell’azione unilaterale amministrativa, appare sempre più conformata ai criteri di pienezza ed effettività proclamati nell’incipit del Codice del processo amministrativo, quali valori di rango costituzionale e europeo.

In sostanza, i caratteri di fondo del provvedimento amministrativo, quali scolpiti dall’insegnamento di memoria sandulliana, discendono dall’autoritatività dall’atto non paritetico, finalisticamente orientato alla realizzazione, per via del potere amministrativo, degli interessi predeterminati dalla legge.

Si tratta dell’esecutività del provvedimento che, ove efficace e con carattere costitutivo, è idoneo a produrre ex se gli effetti che la legge vi ricollega, mentre laddove siano necessari atti di esecuzione, l’amministrazione stessa provvede ad adottarli; l’inoppugnabilità dell’atto indica la relativa incontestabilità una volta decorsi i termini di impugnazione e, infine,  l’esecutorietà quale manifestazione del potere amministrativo di portare ad esecuzione immediata e diretta le pretese fondate su provvedimenti che recano siffatta caratteristica.

Invero il richiamo alla esecutorietà e all’esecutività del provvedimento si rinviene oggi nel capo della legge sul procedimento dedicato all’efficacia ed in particolare agli articoli 21 ter e 21 quater. Il primo fa riferimento alla possibilità per le pubbliche amministrazioni di imporre coattivamente l’adempimento di obblighi nei loro confronti ed il secondo alla circostanza che i provvedimenti efficaci sono eseguiti immediatamente.

L’esercizio della funzione amministrativa nelle sue diverse forme di esplicazione, discrezionale o vincolata, si presenta fisiologicamente strumentale alla realizzazione di interessi generali e dunque atta ad incidere su situazioni giuridiche soggettive presidiate dai criteri legislativi apprestati dall’ordinamento a garanzia della legittimità dell’azione amministrativa.

La decisione amministrativa scaturita dagli esiti della sequenza procedimentale matura, infatti, in un contesto ontologicamente distinto dalla fisiologia dei rapporti equiordinati di natura civilistica, che vedono il rimedio dell’annullamento del contratto quale rispondente all’esigenza sociale di neutralizzare i vizi atti ad incidere in modo invalidante sulla libera determinazione dell’autonomia privata.

Di converso, la tutela caducatoria tipica del giudizio amministrativo risponde alla diversa esigenza di contrastare, con effetto costitutivo invalidante, l’uso illegittimo del potere espresso dal provvedimento contaminato dal vizio della violazione di legge, declinato anche nelle forme dell’incompetenza e dell’eccesso di potere. L’azione amministrativa trae, infatti fonte legittimante nella legge ed è a questa che nel modello dello Stato di diritto deve conformarsi.

La rinnovata prospettiva inaugurata dalle SS.UU. Cassazione n. 500/99 ha aperto nuove frontiere alla situazione giuridica soggettiva ed alla relativa tutela, volta a valorizzare istanze di acquisizione e conservazione del bene della vita sviluppando altresì il piano del legittimo affidamento, fondato sulla regola dell’ id quod plerumque accidit, che, nel dinamismo dei traffici giuridici, acquista valenza economica sostanziale.

Il profilo risarcitorio entra dunque a pieno titolo nella tutela amministrativa, di talché l’interesse sostanziale del ricorrente può essere tale da indurlo a proporre domanda di annullamento oppure autonoma richiesta risarcitoria.

In ordine al rapporto tra le due forme di tutela, giova richiamare la sentenza n. 4 del 13 aprile 2015 del Consiglio di Stato in sede di Adunanza Plenaria, che nel valorizzare il principio della domanda, ha affermato l’impossibilità per il giudice di disporre d’ufficio il rimedio risarcitorio in luogo di quello annullatorio, quand’anche in presenza di obiettive ragioni di opportunità giustizia, equità e proporzionalità correlate al lungo tempo trascorso dall’adozione dell’atto.

In altra occasione decisoria la VI sezione del Consiglio di Stato n. 2755 del 10 maggio 2011, ha superato la regola della retroattività dell’annullamento posticipando la decorrenza degli effetti della pronuncia, nell’intento di offrire una tutela al massimo grado di effettività.

E’ appena il caso di osservare che i rilevati mutamenti che hanno interessato il sistema della tutela non hanno riguardato soltanto l’interesse legittimo nella sua rinnovata lettura, ma anche l’esercizio della pubblica funzione, permeata oggi, sul piano soggettivo, dal principio dell’ indifferenza delle forme giuridiche, ricondotta al piano organizzativo del soggetto.

A tale ultimo riguardo, come autorevolmente rilevato di recente dal Supremo Consesso della giustizia amministrativa, sezione VI, nella pronuncia n. 3043 dell’11 luglio 2016, il profilo funzionale dell’attività, che prescinde dalla veste formale del soggetto investito dal legislatore di poteri amministrativi, rivela una nozione “cangiante” di ente pubblico. In proposito il giudice ha rilevato che “uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica”.

In tale sede decisoria è stato tuttavia rimarcato che siffatta concezione funzionale e dinamica non implica tuttavia che un soggetto possa essere qualificato pubblico a prescindere dal fondamento normativo da cui derivano per quell’ente obblighi e doveri, prerogative e poteri propri del regime pubblicistico. Del resto, come autorevolmente rilevato nella stessa pronuncia, sempre più di frequente il legislatore sottopone, a prescindere dalla veste formale dei soggetti, a poteri e obblighi di natura pubblicistica.

Di talché, sul piano processuale, si è assistito ad una dilatazione dell’ambito dei destinatari della giurisdizione amministrativa ex art. 7 c.p.a.. In effetti, ai sensi del comma 2 della stessa norma, per pubbliche amministrazioni si intendono, ai fini del codice del processo amministrativo, anche i soggetti equiparati o comunque tenuti al rispetto del procedimento, scandito dalla legge generale n. 241/90.

Né, d’altro canto, sul versante oggettivo della tutela, va sottaciuto l’ulteriore ampliamento che ha interessato il raggio di azione del giudizio, rivolto, altresì, al mancato esercizio del potere, anche nelle sue mediate manifestazioni evocate dalla giurisprudenza costituzionale nelle note sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006.

Infatti, nel complessivo scenario evolutivo, giova altresì evidenziare che la tutela si manifesta oggi non più nella tradizionale dimensione attizia, essendo sempre più incentrata sulla dinamica del rapporto, che assume, quale ardine normativo, il paradigma procedimentale delineato dalla legge n. 241 richiamata.

La dinamica interpretativa del diritto prosegue il suo inarrestabile corso e consente oggi di scorgere nell’ordinamento le tracce del risultato ermeneutico ad oggi positivizzato.

La legge sul procedimento con i continui innesti normativi consegna agli amministratori della cosa pubblica, come a cittadini, imprese e più in generale, a soggetti pubblici e privati, un modello di esercizio della funzione amministrativa improntato a criteri legali, talvolta espressi in clausole generali quali economicità, efficacia, imparzialità, atti a scandire tempi e modi di esplicazione dell’agire discrezionale, funzionalmente preordinato alla massima realizzazione di pubblici interessi, con il minore sacrificio possibile delle istanze latistanti.

Nell’ampio sviluppo del sistema di giustizia amministrativa, ulteriore suggestione si lega all’acquisizione che anche soggetti pubblici, al pari di quelli privati, sono legittimati a proporre azione di annullamento di atti lesivi di interessi primari, da questi ricevuti in attribuzione dalla legge.

Il pensiero volge all’art. 21 bis della legge n. 287/90, che legittima l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ad agire in sede giurisdizionale per l’annullamento di atti di qualsiasi amministrazione pubblica che vìolino le norme a tutela del mercato.

Al riguardo, è appena il caso di richiamare l’art. 30 del d.lgs. 50/2016 secondo cui l’affidamento e l’esecuzione di appalti e concessioni deve garantire da un lato qualità delle prestazioni nel rispetto di canoni di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, ma, altresì, il rispetto dei principi di libera concorrenza, non discriminazione e dei corollari della trasparenza, proporzionalità e pubblicità.

Né va sottaciuta a completamento del disegno ordinamentale, la portata dell’art. 211 del codice degli appalti pubblici di cui al d. lgs. 50 del 18 aprile 2016, che apre frontiere inedite nei rapporti tra Anac e amministrazione destinataria del parere di precontenzioso o della raccomandazione rivolta alla stazione appaltante  ad agire in autotutela, segnatamente nella prospettiva dell’impugnativa di tali atti e delle implicazioni nel sistema della responsabilità.

Di significativo impatto si presenta anche il nuovo istituto sostanziale generale del silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche, introdotto dall’art. 17 bis della legge 241/90 per le possibili implicazioni processuali.

A tale ultimo proposito è appena il caso di evidenziare che l’azione costitutiva di annullamento, nell’ottica moderna supera il presupposto empirico dell’esistenza di un atto da impugnare. Infatti, in una visione sostanzialistica del fenomeno si è giunti all’acquisizione, per via giurisprudenziale, che il silenzio assenso produce gli stessi effetti costitutivi del provvedimento che, ove si presentino illegittimi, reclamano tutela.

L’asse della tutela pare, dunque, essersi assestato a favore di un approccio legislativo che guarda l’illegittimità  a prescindere dall’esistenza di un atto, in nome dell’effettività della tutela della situazione giuridica soggettiva del destinatario dell’azione amministrativa modellata dalla legge 241.

In tale scenario evolutivo i caratteri della tutela annullatoria appaiono oggi scolpiti nel processo amministrativo nell’art. 29 mentre, sul piano sostanziale l’annullamento del provvedimento per via giudiziale è evocato dall’art. 21 octies della l. 241, che fa salva la validità del provvedimento violativo di norme sul procedimento, ove sia evidente la natura vincolata della decisione, che non avrebbe potuto  essere di segno diverso.

La tutela annullatoria, tradizionalmente assunta quale unica reazione apprestata dall’ordinamento all’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa, pare tutt’oggi assumere una posizione centrale nel sistema della giustizia amministrativa, intono al quale orbitano pur tuttavia rimedi ulteriori rispetto all’azione di annullamento, quali l’azione di condanna, quella avverso il silenzio e quella preordinata alla declaratoria di nullità.

Lo strumentario giuridico che il codice del processo amministrativo consegna oggi al giudice amministrativo rappresenta il portato di una significativa evoluzione cultuale, che trae origine da una rinnovata coscienza sociale, volta a conformare la tutela a istanze, dapprima di effettività e pienezza e poi anche di concentrazione del giudizio risarcitorio in capo allo stesso giudice.

In effetti, l’approdo giurisprudenziale del progressivo sviluppo avviato dalla nota sentenza 500/99 appare oggi enunciato dall’art. 30 ultimo comma del codice del processo, in virtù del quale “di ogni domanda di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi o di diritti soggettivi in sede di giurisdizione esclusiva conosce esclusivamente il giudice amministrativo”.

Invero, di significativo interesse sull’argomento si presenta l’ordinanza n. 17586 del 2015 della Corte regolatrice della giurisdizione che, in relazione all’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento favorevole ampliativo della sfera giuridica del destinatario, riconduce la controversia relativa al risarcimento del danno per affidamento incolpevole del beneficiario alla giurisdizione ordinaria.

La Corte ritiene infatti mancante la condizione primaria  della riconducibilità della vicenda all’esercizio del potere ravvisando la lesione del diritto soggettivo all’integrità patrimoniale del beneficiario.

Sotto altro profilo, il tendenziale superamento del ruolo dell’atto in un sistema di tutela sempre più improntato al rapporto amministrativo sostanziale è espresso anche dall’abbandono della c.d.  pregiudiziale annullatoria ad opera delle SS.UU. della Suprema Corte.

L’attuale assetto è, infatti, fondato sulla possibilità di proporre autonoma azione risarcitoria per il danno derivante da un atto la cui validità ed efficacia, nel mondo giuridico, si ammette possa restare impregiudicata.

E’ il segno del definitivo superamento della previgente concezione che, in nome della imperatività dell’atto e della stabilità dei rapporti, escludeva la possibilità del risarcimento in mancanza della previa eliminazione dal mondo giuridico del provvedimento amministrativo causativo del pregiudizio economico.

Pur tuttavia, la centralità del rimedio impugnatorio pare comunque trovare conforto nella constatazione che l’ordinamento è andato nel senso, da una parte, di emancipare la tutela dalla pregiudiziale processuale, ma dall’altra con il recupero comunque di una pregiudiziale in senso sostanziale, nella misura in cui il giudice, in ossequio ai canoni civilistici di buona fede e solidarietà, è chiamato a valutare, in sede risarcitoria, l’incidenza sul danno della mancata proposizione dell’azione annullatoria, in applicazione dei criteri civilistici recati dall’art. 1227 cc.

Infatti, ai sensi dell’art. 30 c. 3 c.p.a. il giudice giunge ad escludere il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza,  anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti, valutando comunque tale circostanza nel determinare l’entità del risarcimento.

Giova, in definitiva, rilevare che, ancora nell’ottica dell’ampliamento della tutela giurisdizionale ove la soluzione annullatoria non si riveli satisfattiva dell’interesse vantato, l’azione di condanna all’adempimento ex art 34 c. 1 lett. c si pone quale tutela complementare a quella annullatoria.

Infatti, la norma, nel rispetto dei limiti posti a tutela dell’esercizio della funzione amministrativa discrezionale introduce nell’ordine processuale, l’istituto inedito dell’azione di condanna all’adozione di misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e al rilascio del provvedimento richiesto,  che non può, però, prescindere dalla contestuale azione di annullamento del provvedimento o dell’azione avverso il silenzio serbato dall’amministrazione.

D’altronde, la dimensione sostanziale della situazione soggettiva che reclama tutela si presenta in tutto il suo spessore anche nel rimedio giurisdizionale avverso il silenzio amministrativo che può spingersi fino a riconoscere la fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, nella misura in cui vengano rispettati i presupposti di legge posti a presidio della sfera di esplicazione del potere amministrativo rispetto alla funzione giurisdizionale.

Del resto, a fronte dell’interesse individuale reclamato nelle diverse sedi,  prima procedimentale e poi, eventualmente processuale, si pone quello generale di sistema alla conservazione degli spazi certi di reazione processuale all’uso illegittimo della funzione amministrativa, che non possono però giungere a negare la riconducibilità del potere alla funzione amministrativa, come ricordato dal legislatore in diverse sedi normative, tra le quali l’art. 34 c.p.a.

La scelta  legislativa espressa dal nuovo codice del processo amministrativo appare pur tuttavia sempre improntata all’idea di fondo che l’esercizio del potere è espressione di una funzione pubblica che, in quanto tale, nel realizzare l’ottimale composizione dei molteplici interessi coinvolti nel procedimento esprime le ragioni della collettività, che pure reclamano certezza e stabilità degli assetti.

In tale prospettiva, la centralità della tutela annullatoria nel sistema processuale, le cui ragioni risiedono in nuce nei valori poc’anzi richiamati, espressi anche dalla previsione del termine decadenziale di sessanta giorni, parrebbe confermata dalla mancata affermazione, nel codice, di una generale azione di accertamento che ecceda quella preordinata a superare lo schermo del silenzio amministrativo e a dichiarare la nullità del provvedimento adottato ex art. 31 c.p.a.

In definitiva, il tradizionale paradigma della tutela annullatoria conserva, anche nel moderno impianto processuale, il connotato di un’azione volta a preservare l’equilibrio di sistema tra esercizio della funzione amministrativa nel segno dell’interesse generale ed esigenze di giustizia portate al cospetto del giudice in una più ampia prospettiva di tutela del legittimo esercizio della funzione amministrativa.

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